Cassazione Penale, Sez. 4, 12 aprile 2011, n. 14686 - Escavatore sprovvisto della cabina di protezione del posto di guida e mancanza di cintura di sicurezza


 

 

Responsabilità di un datore di lavoro perchè, per colpa specifica consistita nella violazione della disciplina antinfortunistica, ha cagionato a B.F., conduttore di macchine per movimento terra, un infortunio a seguito della caduta di un escavatore da lui guidato nella scarpata sottostante nel corso della quale il B. veniva sbalzato al suolo, riportando lesioni personali guarite oltre il quarantesimo giorno, con indebolimento permanente dell'organo della deambulazione.

 

L'imputato fu accusato in base al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, comma 1, e articolo 89 cpv., lettera a) per avere, in qualità di datore di lavoro, consentito al lavoratore dipendente B.F. di far uso di un escavatore sprovvisto della cabina di protezione del posto di guida (rollbar), utile a prevenire lo schiacciamento dell'operatore in caso di ribaltamento del mezzo.

 

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

 

La Corte afferma, riguardo al primo motivo di ricorso, che, "anche a voler seguire l'assunto della difesa secondo cui la struttura di protezione rimossa non avrebbe funzione antinfortunistica, il primo capo di imputazione fa comunque riferimento alla generica previsione di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 36, comma 1 che obbliga il datore di lavoro a mantenere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di sicurezza dei lavoratori. Nel caso specifico tali attrezzature erano costituite dalla copertura metallica, pacificamente rimossa e dalle cinture di sicurezza non indossate dal lavoratore, come pure pacifico."

 

Inoltre, afferma la Suprema Corte, la Corte territoriale ha motivato in modo assai dettagliato, "ipotizzando le conseguenze che si sarebbero avute nel caso in cui il lavoratore fosse stato assicurato da cintura di sicurezza e protetto dalla struttura metallica rimossa. La Corte d'Appello, sulla base della CTU espletata, ha considerato dettagliatamente quale sarebbe stato l'impatto con il suolo e le sue conseguenze, proprio al fine di rispondere ai rilievi mossi dalla difesa anche in sede di appello, riguardo al nesso causale. La Corte d'Appello, con motivazione dettagliata, compiuta e logica, operata sulle considerazioni svolte di CTU, ha concluso che non è possibile affermare che le conseguenze della caduta sarebbero state più gravi nel caso di osservanza delle norme comportamentali violate. Pertanto, con riferimento ancora al primo motivo di ricorso, la dichiarazione di responsabilità è stata motivata non sulla semplice circostanza della mancanza della struttura protettiva e della cintura di sicurezza, ma proprio sulla effettiva incidenza, contestata dal ricorrente, che tale mancanza ha avuto nella determinazione dell'evento."


 

 
 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - rel. Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) M. M. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 350/2010 CORTE APPELLO di GENOVA, del 13/05/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/03/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Geraci Vincenzo che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione quanto al capo B); rigetto nel resto;

Udito, per la parte civile, l'Avv. Trapasso Romano del foro della Spezia che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

 

Con sentenza del 13 maggio 2010 la Corte d'Appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale della Spezia che ha dichiarato M.M. colpevole del reato di cui all'articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3 per avere, nella qualità di titolare della ditta omonima, datore di lavoro del lavoratore infortunato, per colpa specifica, consistita nella violazione della disciplina antinfortunistica, cagionato a B.F. conduttore di macchine per movimento terra e come tale incaricato, il giorno dell'infortunio, di provvedere, alla guida di un escavatore di proprietà della stessa ditta, a opere di sbancamento di un terrapieno posto in adiacenza ad un piccolo manufatto esistente, a seguito della caduta dello stesso mezzo nella scarpata sottostante nel corso della quale il B. veniva sbalzato al suolo, lesioni personali guarite oltre il quarantesimo giorno, con indebolimento permanente dell'organo della deambulazione; e del reato di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, comma 1, e articolo 89  cpv., lettera a) per avere, nella qualità e nelle circostanze suddette, consentito al lavoratore dipendente B.F. di far uso di un escavatore sprovvisto della cabina di protezione del  posto di guida (rollbar), in modo da prevenire lo schiacciamento dell'operatore in caso di ribaltamento del mezzo. Con la stessa sentenza il M. è stato condannato alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione per il primo reato, e di euro 1.400 di ammenda per il secondo reato.

La Corte territoriale ha motivato la conferma della dichiarazione di responsabilità dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli considerando che era stata smontata la struttura metallica di protezione dell'escavatore, e che il lavoratore non indossava la cintura di sicurezza come da obbligo sulla cui osservanza il datore di lavoro è tenuto a vigilare, e tali circostanze hanno avuto incidenza causale nella determinazione dell'evento. La Corte territoriale non ha ritenuto di prestare fede alla tesi difensiva secondo cui, ipoteticamente, la presenza della struttura rimossa e della cintura di sicurezza avrebbero causato conseguenze peggiori per la parte offesa che sarebbe rimasta schiacciata dal mezzo, trattandosi di tesi meramente ipotetica. D'altra parte, secondo la Corte territoriale, e in conformità a quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in tema di reati colposi la causalità deriva anche nel caso in cui una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno indipendentemente dalla violazione della norma che mira a prevenire l'evento.

 

Il M. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza lamentando, con il primo motivo, violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35 e violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera d) per mancanza o contraddittorietà della motivazione. In particolare si deduce che la struttura che sarebbe stata smontata non sarebbe prevista da alcuna norma antinfortunistica e, comunque, non avrebbe il carattere di struttura di sicurezza.

 

Con secondo motivo si deduce l'intervenuta prescrizione del reato di cui al capo b).

 

Con terzo motivo si lamenta violazione di legge in relazione agli articoli 590, 40 e 41 cod. pen. e articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e); mancanza e contraddittorietà della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto sussistere il nesso causale tra le lesioni e la condotta dell'imputato. In particolare si deduce che la mancanza della struttura di cui all'imputazione, non avrebbe avuto alcun nesso causale con la determinazione dell'evento in quanto, viceversa, la sua presenza avrebbe potuto causare conseguenze più gravi; comunque il mezzo sarebbe comunque finito nella scarpata, e non sussisterebbero ragioni per ritenere che il conducente non si sarebbe gettato fuori dal mezzo.

 

Con quarto motivo si lamenta violazione di legge in relazione agli articoli 590, 40 e 41 cod. pen., e articoli 521 e 597 cod. proc. pen., inosservanza delle norme processuali ex articolo 606, lettera c) in relazione agli articoli 516, 518, 519, 520 e 521 cod. proc. pen., e mancanza o contraddittorietà della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera d) nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto sussistere la responsabilità dell'imputato per il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte della persona offesa. Si rileva, a tale riguardo, che la circostanza non sarebbe stata contestata all'imputato, e che comunque tale mancato utilizzo non sarebbe comunque addebitabile al datore di lavoro non essendo dimostrato che tale mancanza sia attribuibile all'omesso controllo del M. .

 

Diritto

 

Il ricorso non è fondato e va conseguentemente rigettato.

 

Riguardo al primo motivo di ricorso si osserva che, anche a voler seguire l'assunto della difesa secondo cui la struttura di protezione rimossa non avrebbe funzione antinfortunistica, il primo capo di imputazione fa comunque riferimento alla generica previsione di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 36, comma 1 che obbliga il datore di lavoro a mantenere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di sicurezza dei lavoratori. Nel caso specifico tali attrezzature sono state costituite dalla copertura metallica, pacificamente rimossa e le cinture di sicurezza non indossate dal lavoratore, come pure pacifico. Poichè all'imputato datore di lavoro è stata comunque addebitata la colpa per la determinazione dell'evento, egli è stato in grado di difendersi, come in effetti è avvenuto, riguardo a tale determinazione, indipendentemente dai profili specifici di colpa o dall'eventuale non previsione della obbligatorietà della copertura metallica del mezzo utilizzato dal lavoratore. Pertanto, ai fini in esame, rileva determinare il nesso causale fra l'azione omissiva dell'imputato e l'evento.

Con il terzo e quarto motivo di ricorso si lamenta, per l'appunto, il vizio di motivazione riguardo alla determinazione di tale nesso causale con riferimento, rispettivamente, alla mancanza della struttura metallica protettiva e della cintura di sicurezza. Va osservato al riguardo che la Corte territoriale ha motivato sul punto in modo assai dettagliato, ipotizzando le conseguenze che si sarebbero avute nel caso in cui il lavoratore fosse stato assicurato da cintura di sicurezza e protetto dalla struttura metallica rimossa. La Corte d'Appello, sulla base della CTU espletata, ha considerato dettagliatamente quale sarebbe stato l'impatto con il suolo e le sue conseguenze, proprio al fine di rispondere ai rilievi mossi dalla difesa anche in sede di appello, riguardo al nesso causale. La Corte d'Appello, con motivazione dettagliata, compiuta e logica, operata sulle considerazioni svolte di CTU, ha concluso che non è possibile affermare che le conseguenze della caduta sarebbero state più gravi nel caso di osservanza delle norme comportamentali violate. Pertanto, con riferimento ancora al primo motivo di ricorso, la dichiarazione di responsabilità è stata motivata non sulla semplice circostanza della mancanza della struttura protettiva e della cintura di sicurezza, ma proprio sulla effettiva incidenza, contestata dal ricorrente, che tale mancanza ha avuto nella determinazione dell'evento.

Il secondo motivo di ricorso con il quale si chiede la dichiarazione di estinzione del reato contravvenzionale di cui al capo b) dell'imputazione, è infondato in quanto, ai sensi dell'articolo 157 c.p., comma 1 il termine prescrizionale è di quattro anni aumentabile nel massimo per un quarto, e per un conseguente termine massimo di cinque anni. Poichè il fatto è del (Omissis), il reato ad oggi non risulta prescritto. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di questo giudizio sostenute dalla costituita parte civile e liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.