Corte di Appello di Trieste, Sez. 1 Pen., 23 febbraio 2011 - Infortunio nel reparto modelleria dei pezzi di legno


 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

CORTE D'APPELLO DI TRIESTE

 

PRIMA SEZIONE PENALE

 

La Corte d'Appello di Trieste, Prima Sezione penale, composta dai Magistrati:

 

Dott. Francesca Morelli - Presidente -

 

Dott. Donatella Solinas - Consigliere -

 

Dott. Gloria Carlesso - Consigliere est. -

 

Alla udienza pubblica del 2 febbraio 2011 ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel processo penale nei confronti di

 

Ba.St. nato (...) con domicilio eletto in Remanzacco via (...)

 

Libero contumace

 

Imputato

 

a) Del reato p. e p. dall'art. 35 comma 2 D.lgs. 19 settembre 1994 n. 626 perché quale direttore e responsabile in materia di sicurezza del lavoro dello stabilimento di Remanzacco della Fa. S.r.l. non attuava le misure tecniche e organizzative adeguate per eliminare o ridurre al minimo i rischi connessi con la lavorazione nel reparto modelleria di pezzi di legno di piccole dimensioni alla pialla a filo, in particolare non metteva a disposizione dei lavoratori dei dispositivi spingi pezzo e non forniva loro specifiche istruzioni operative;

 

b) Del reato p. e p. dall'art. 590 commi 1 e 2 e 3 c.p. perché nella qualità meglio indicata nel capo che precede e per colpa specifica consistita nella violazione della regolare cautelare sopra descritta concorreva a cagionare al dipendente Gi.De. dipendente della Fa. S.r.l. con mansioni di addetto al reparto modelleria, lesioni personali gravi (amputazione falange ungueale 3 dito mano destra) da cui derivava una malattia ovvero un'incapacità di attendere le ordinarie occupazioni di durata superiore a q. 40 giorni. In particolare il Gi. dovendo piallare un pezzo di legno di abete di piccole dimensioni lo sospingeva in avanti verso il tamburo rotante portalama della pialla con la mano destra che, causa un blocco improvviso del pezzo lavorato veniva in contatto con la lama riportando le lesioni sopra indicate. Fatto aggravato perché commesso in violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Appellante: l'imputato avverso la sentenza del Tribunale di Udine sezione distaccata di Cividale del Friuli di data 8 ottobre 2009 che visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiarava Ba.St. colpevole dei reati a lui ascritti e, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, lo condannava alla pena di Euro 1.500,00 di ammenda in ordine alla contravvenzione di cui al capo A) e alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione sostituiti con Euro 1.520,00 di multa in ordine al delitto di cui al capo B) oltre al pagamento delle spese processuali

 

 

FattoDiritto

 

1. Ba.St. veniva tratto a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna perché quale direttore e responsabile in materia di sicurezza del lavoro dello stabilimento di Remanzacco della Fa. S.r.l. non attuava le misure tecniche e organizzative adeguate per eliminare o ridurre al minimo i rischi connessi con la lavorazione nel reparto modelleria di pezzi di legno di piccole dimensioni alla pialla a filo, in particolare non metteva a disposizione dei lavoratori dei dispositivi spingi pezzo e non forniva loro specifiche istruzioni operative; nonché del reato p. e p. dall'art. 590 commi 1 e 2 e 3 c.p. perché nella qualità indicata e per colpa specifica consistita nella violazione della regola cautelare sopra descritta concorreva a cagionare al dipendente Gi.De., dipendente della Fa. S.r.l. con mansioni di addetto al reparto modelleria, lesioni personali gravi (amputazione falange ungueale 3 dito mano destra) da cui derivava una malattia ovvero un'incapacità di attendere le ordinarie occupazioni di durata superiore a 40 giorni; in particolare il Gi. dovendo piallare un pezzo di legno di abete di piccole dimensioni lo sospingeva in avanti verso il tamburo rotante portalama della pialla con la mano destra che, causa un blocco improvviso del pezzo lavorato, veniva in contatto con la lama riportando le lesioni sopra indicate. Fatto aggravato perché commesso in violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Dopo aver assunto la testimonianza della persona offesa e quella del teste To. dipendente del Dipartimento di prevenzione dell'ass. 4 Medio Friuli, con sentenza dd. 8 ottobre 2009 il Tribunale di Udine, sezione distaccata di Cividale del Friuli, in composizione monocratica, dichiarava Ba.St. responsabile dei reati a lui ascritti e lo condannava alla pena di 1.550,00 Euro di ammenda per la contravvenzione sub a) e alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione sostituiti con 1.520,00 Euro di multa per il reato sub b) oltre al pagamento delle spese processuali; il giudice riteneva provato che l'infortunio in cui era incorso il Gi., assunto con la qualifica di gruista, avrebbe potuto essere evitato ove il dipendente avesse avuto le necessarie istruzioni operative e ove avesse avuto a disposizione i dispositivi spingipezzo idonei a ridurre il rischio di contatti della mano con la lama nelle lavorazioni di piccoli pezzi di legno; riteneva l'imputato responsabile direttamente poiché in qualità di dirigente aveva ampi e precisi poteri di organizzazione e gestione del lavoro anche con riferimento alla materia di prevenzione degli infortuni.

 

Ai fini del trattamento sanzionatorio riconosceva le attenuanti generiche poste in giudizio di equivalenza con l'aggravante contestata e irrogava la pena indicata.

 

 

2. Avverso la sentenza propone rituale e tempestivo appello il difensore dell'imputato lamentando che mancavano entrambi i presupposti per una pronuncia di penale responsabilità in quanto, da un lato, il Ba. aveva ottemperato agli obblighi di legge come si poteva evincere dalle schede di registrazione delle informazioni sottoscritte dallo stesso dipendente che aveva partecipato a specifici corsi di formazione e apprendimento delle norme in materia di infortuni ed era stato comunque affiancato da colleghi esperti nel primo anno di attività;

 

osserva inoltre l'appellante che l'assenza dei dispositivi spingi pezzo era stata addotta dal teste To. senza che si comprendesse da chi l'avesse appresa e comunque era circostanza che non era stata direttamente verificata, né poteva sottovalutarsi il fatto che l'ispezione era stata fatta a diversi mesi di distanza dall'infortunio; il comportamento del dipendente si collocava nell'area della abnormità ed eccezionalità in quanto il macchinario utilizzato non era adatto per la lavorazione intrapresa per cui era naturale che accanto a quel macchinario, scelto inopinatamente dal dipendente, non vi fossero i ed spingi - pezzo ossia particolari attrezzi che consentono di tenere le mani lontane dai pezzi, mentre questi strumenti erano presenti vicino ad altra macchina, troncatrice, come aveva riferito il teste To., seppure non fosse affatto certo da chi il teste avesse appreso queste informazioni e cosa gli fosse stato esattamente riferito; il macchinario utilizzato dal Gi. non era affatto adatto alla lavorazione dei pezzi di legno di dimensioni ridotte e avrebbe dovuto usare macchinari diversi, come era stato addestrato a fare per cui il suo comportamento assumeva le caratteristiche di un comportamento abnorme e imprevedibile;

 

l'appellante lamenta inoltre la mancanza del nesso causale tra la contestata omissione e le lesioni patite dal Gi.: secondo il difensore il Ba. non era titolare dell'obbligo giuridico di agire, obbligo cui comunque aveva ottemperato e, in ogni caso, anche laddove il dipendente fosse stato fornito dei dispositivi spingi - pezzi non si poteva escludere il verificarsi dell'infortunio che aveva avuto luogo anche perché il Gi. non aveva fatto uso di guanti protettivi nonostante ne avesse l'obbligo; da qui secondo il difensore il comportamento scorretto, avventato e abnorme del dipendente, idoneo a recidere il nesso causale tra l'evento e la responsabilità del dirigente;

 

quale terzo motivo di impugnazione il difensore deduce la errata riferibilità della responsabilità penale al Ba. quale presunto delegato del datore di lavoro sotto il profilo della inefficacia della delega per mancanza dei requisiti essenziali; il Ba. infatti si poneva in posizione intermedia tra il datore di lavoro e i responsabili di reparto senza che vi fosse alcuna procura o delega delle funzioni di garanzia proprie direttamente dello stesso datore di lavoro: evidenzia il difensore come manchi alcuno dei requisiti propri della delega e un potere in materia di autonomia di spesa per poter attribuire al Ba. la responsabilità dell'evento colposo; il teste della difesa, Ve.Ma. aveva riferito che il referente dei lavoratori in seno alla falegnameria era Fr.Gu. e che il responsabile della sicurezza del gruppo era a Ci. e non era il Ba.; il Difensore sottolinea dunque l'assenza di una delega di funzioni specificamente accettata avente i requisiti oggettivi e soggettivi necessari per attribuire al Ba. la presa in carico della tutela della sicurezza, vale a dire l'esistenza di una delega espressa, inequivoca e certa, attribuita a persona tecnicamente capace dotata dei relativi poteri di intervento e di decisione.

 

Chiede pertanto in via principale la integrale riforma della sentenza e l'assoluzione del Ba. perché il fatto non sussiste/o per non aver commesso il fatto; in via subordinata, l'assoluzione per non aver commesso il fatto per insussistenza di una valida ed efficace delega di funzioni.

 

 

3. Il giudizio di appello, svoltosi nella dichiarata contumacia dell'imputato, sentita la relazione e le conclusioni delle parti, è stato definito con una pronuncia di conferma della sentenza impugnata.

 

 

4. L'appello è infondato.

 

E' stato accertato in fatto che il sig. Gi. assunto come secondo gruista di colata, viene addetto anche al reparto falegnameria all'interno dell'impresa Fa.; si tratta di una fonderia che si serve di stampi di legno per la fusione; il reparto modelleria serve a realizzare gli stampi e a ripararli ove necessario; l'infortunio del Gi. si verifica il (...) mentre lavora a una pialla a filo: egli doveva piallare un pezzo di legno di piccole dimensioni (20 cm. x 10 circa);

 

una mano (la sinistra) è sopra il legno e l'altra in fondo per spingerlo; il nodo del legno blocca il pezzo facendo scivolare la mano destra a contatto con la lama e cagiona l'amputazione della falange ungueale del 3 dito;

 

l'infortunio viene segnalato all'A.G. una ventina di giorni dopo l'accaduto e le indagini in loco vengono compiute alcuni mesi dopo il fatto su delega del PM dal tecnico del servizio Prevenzione Infortuni Toscani bino, assunto come teste (vds. ud. 21 maggio 2009):

 

secondo il To. avrebbe reso più sicura l'attività svolta l'uso di un attrezzo "spingi pezzo" che avrebbe consentito di tenere le mani lontane dal pezzo in modo da ridurre il rischio di un contatto accidentale con la lama; il teste constata che l'unico spingi pezzo presente era destinato ad altra macchina, la troncatrice e riferisce che all'indomani dell'ispezione, l'allora responsabile della sicurezza, sig. Co., aveva avviato un corso per i modellatori del reparto allineamento in cui affrontare anche il problema della lavorazione dei piccoli pezzi e delle cautela da adottare per prevenire gli infortuni;

 

il teste Ve., offerto dalla difesa, come dipendente impiegato nel settore modelleria, ha riferito a propria volta che per ridurre il rischio di infortuni occorreva accompagnare con determinate modalità i pezzi di legno, ma che lo spingi pezzo non era previsto perché sarebbe stato d'impaccio più che di aiuto e che comunque per pezzi piccoli come quello che aveva causato l'infortunio doveva essere utilizzata una macchina diversa (macchine medicatrici a carta vetrata); ha infine riferito di aver appreso a scuola l'uso delle macchine e di non aver ricevuto alcuna informazione sull'utilizzo della macchina piallatrice interessata dall'infortunio in esame.

 

La difesa ha offerto ampia documentazione in ordine ai corsi effettuati ai dipendenti per prevenire gli infortuni sul lavoro, e la stessa persona offesa ha riconosciuto di aver ricevuto istruzioni riguardanti la prevenzione degli infortuni.

 

Così accertato il fatto non può essere addebitato al lavoratore infortunato alcun comportamento abnome idoneo - secondo l'assunto dell'appellante - a interrompere il nesso causale tra l'evento e la sua riferibilità al soggetto responsabile, individuato nel dirigente d'azienda St.Ba.:

 

va ricordato in proposito il principio, assolutamente pacifico, e ripreso in una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. 15 luglio 2010, imp. Sc.) secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l'addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, giacché al datore di lavoro, che è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela (cfr. D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 8, art. 18, comma 1, lett. f).

 

In altri termini - precisa la Corte - il datore di lavoro, quale diretto responsabile della sicurezza del lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa prevenzionale e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarsi ad essa anche instaurando prassi di lavoro magari di comodo, ma non corrette e foriere di pericoli (cfr., di recente, Sezione 4 28 febbraio 2008, Le.; nonché, Sezione 4 8 ottobre 2008, Proc. gen. App. Venezia in proc. Da.). Pertanto la colpa del datore di lavoro non è esclusa da quella del lavoratore e l'evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza della posizione di garanzia di cui ex lege è onerato, sulla base del principio dell'equivalenza delle cause vigente nel sistema penale (art. 41 c.p., comma 1).

 

Nel caso in esame non può neppure ravvisarsi nel Gi. un comportamento imprudente, e giammai può essere ravvisato nella condotta da questi tenuta un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile e come tale inevitabile; l'essersi apprestato a piallare un piccolo pezzo di legno rientrava infatti nelle sue ordinarie mansioni, l'averlo fatto alla pialla piuttosto che ad altra macchina era evento prevedibile atteso che altri pezzi di piccole dimensioni venivano ordinariamente piallati in quella macchina;

 

si esclude decisamente in giurisprudenza che presenti le caratteristiche dell'abnormità il comportamento (pur imprudente), del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l'osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Sezione 4, 5 giugno 2008, St. ed altri).

 

Viene ricordato invero come l'ipotesi tipica di comportamento "abnorme" è quella del lavoratore che violi "con consapevolezza" le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare. Mentre altra ipotesi paradigmatica di interruzione del nesso causale è quella del lavoratore che provochi l'infortunio ponendo in essere, colposamente, un'attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento "esorbitante" rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro (come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un'altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva ad altro lavoratore; ovvero nel caso in cui il lavoratore, pur nello svolgimento delle mansioni proprie, abbia assunto un atteggiamento radicalmente lontano dalle ipotizzatali e, quindi, prevedibili, imprudenze comportamentali) (cfr., tra le altre, di recente, Sezione 4, 22 gennaio 2007, Pe. ed altri) (vds. Cass. 15 luglio 2010, Scagliarmi, citata).

 

Nessuna delle caratteristiche enunciate dalla giurisprudenza per ritenere abnorme il comportamento del lavoratore si rileva nella condotta del Gi. al momento dell'infortunio.

 

Va dunque respinto il motivo di appello teso ad attribuire al dipendente Gi. la responsabilità dell'infortunio di cui è stato vittima.

 

Quanto ai profili di colpa del datore di lavoro viene condivisa la valutazione del giudice di primo grado in ordine alla violazione delle norme di sicurezza, o meglio alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio del comportamento imprudente e eziologicamente ricollegato alla verificazione dell'incidente (efficacemente, in tal senso, Sezione 4, 21 ottobre 2008, Pe.): la colpa è qui ravvisata nel non aver messo a disposizione dei dispositivi spingi pezzo e nel non aver fornito specifiche istruzioni operative per il loro uso:

 

la colpa deve ritenersi provata non solo sulla base delle dichiarazioni del Gi. ma, soprattutto, sulla base delle dichiarazioni del teste della Difesa, sig. Ve., che ha candidamente ammesso che il dispositivo spingi pezzo non era previsto per quel macchinario e che nessuna istruzione era stata data per il suo corretto uso;

 

la documentazione offerta dalla Difesa poi non offre elementi rilevanti per ritenere che presso l'impresa Fa. siano stati tenuti dei corsi in materia di sicurezza nel lavoro: va invero notato che la prima parte della documentazione prodotta si riferisce ai corsi per gruisti e imbracatori - addetti cioè a un reparto diverso - e la seconda parte si riferisce ai corsi di formazione per addetti alla modelleria ma svolti successivamente (ossia nel maggio 2007) all'infortunio;

 

si riconosce tuttavia che il Gi. sia stato affiancato per un periodo significativo per poter essere adibito da solo a mansioni nel reparto modelleria, essendo stato assunto come secondo gruista, ma questa preparazione non esclude affatto la colpa del soggetto responsabile nei termini contestati.

 

Va dunque respinto anche il motivo di appello relativo ai profili di colpa.

 

Quanto infine alla individuazione del soggetto responsabile e alla doglianza relativa al difetto di delega occorre osservare che stando ai documenti prodotti dal PM presso l'impresa Fa. S.r.l. il sig. Ba.St. era stato nominato direttore di stabilimento dal consiglio di amministrazione in data 1 dicembre 2005 (carica cessata il 9 maggio 2007):

 

egli era dotato non solo di poteri di rappresentanza esterna nei rapporti di lavoro, ma anche dei poteri di acquisto di materiali, attrezzature, macchinari, con l'onere di verificarne l'efficienza e l'idoneità anche ai fini della loro sicurezza; aveva poi lo specifico potere/dovere di predisporre le misure di sicurezza e di vigilare affinché le istruzioni impartite venissero rispettate.

 

A fronte di tale ruolo, e dei poteri e responsabilità che vi risultano espressamente connessi, sia in ordine agli oneri di vigilanza sia in ordine ai poteri di spesa, appare decisamente infondata ogni doglianza mossa dall'appellante volta a dimostrare la estraneità del Ba. per mancanza di una delega;

 

si ricorda invero che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, i dirigenti e i preposti, ai sensi dell'art. 1 comma quarto bis D.Lgs. n. 626 del 1994, sono, in quanto tali e nell'ambito delle rispettive competenze ed attribuzioni, destinatari "iure proprio" e senza necessità di un'apposita delega dei precetti antinfortunistici che gravano sul datore di lavoro (Cass. 3 febbraio 2009, n. 19712, Gu.);

 

né osservare che altri, in particolare il sig. Co.En., che compare nella documentazione prodotta dalla Difesa, quale Rs. potesse essere responsabile della sicurezza nel reparto in questione, potrebbe valere a sollevare il Ba. dalle proprie dirette responsabilità: si richiama in proposito la recente sentenza della Cassazione secondo la quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la responsabilità penale del datore di lavoro (o, si precisa, dei dirigenti e preposti) non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che agisce, piuttosto, come semplice ausiliario del datore di lavoro, il quale rimane direttamente obbligato ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio (Cass. 12 agosto 2010, n. 32357, Ma.); in altri termini Co. avrebbe potuto rispondere semmai in concorso con il Ba. per l'infortunio in esame, qualora fosse emersa la prova che egli stesso era a conoscenza della situazione pericolosa e che egli avrebbe potuto e dovuto segnalarla in modo da consentire la tempestiva adozione da parte del dirigente delle iniziative idonee a neutralizzare la situazione di pericolo (Cass. 15 luglio 2010, n. 32195, Sc.).

 

L'appello va pertanto rigettato.

 

La conferma della sentenza di primo grado comporta la condanna dell'imputato al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

 

 

P.Q.M.

 

 

La Corte di Appello di Trieste, prima sezione penale

 

Visti gli artt. 592 e 605 c.p.p.,

 

conferma

 

la sentenza del Tribunale di Udine sezione distaccata di Cividale del Friuli di data 8 ottobre 2009 appellata da Ba.St. che

 

condanna

 

al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio

 

Visto l'art. 544 comma 3 c.p.p. indica termine di giorni trenta per il deposito della motivazione.

 

Così deciso in Trieste il 2 febbraio 2011.

 

Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2011.