Cassazione Penale, Sez. 3, 17 giugno 2011, n. 24410 - Esposizione a fumi, gas e vapori nocivi e mancata ottemperanza alle prescrizioni impartite


 

 

Responsabilità del presidente del consiglio di amministrazione e dell'amministratore delegato di una spa:

a) del reato di cui al
Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 374 in quanto le cappe posizionate sui forni di fusione non captavano, se non in parte, i fumi nocivi prodotti dal processo produttivo;

b) del reato di cui al
Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 63 per non avere effettuato la valutazione dell'esposizione dei lavoratori agli agenti cancerogeni (quali benzene e formaldeide) presenti nell'ambiente di lavoro durante le attività di fusione e di colata.

c) del reato di cui al
Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 20 e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 21 per non aver adottato accorgimenti tecnici atti ad evitare l'esposizione dei lavoratori ai fumi, gas e vapori nocivi ed alle polveri che si sviluppano durante le operazioni di colata e, relativamente alle polveri, durante le operazioni di preparazione stampi.


In data (Omissis) era stato effettuato un accertamento al fine di verificare l'eliminazione dell'infrazione prevista al capo b) d'imputazione e in tale circostanza veniva riscontrata l'inottemperanza alle prescrizioni impartite, per cui gli imputati non erano stati ammessi al pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta.

In data (Omissis) veniva effettuato un ulteriore accesso presso l'azienda per verificare l'ottemperanza alle prescrizioni impartite relativamente ai capi a) e c) d'imputazione ed alla presenza del curatore fallimentare si riscontrava che le attività produttive erano cessate.

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

Ritiene il Collegio che correttamente il tribunale abbia ritenuto la punibilità di entrambi gli imputati. Esattamente è stato rilevato che nell'(Omissis) era stato accertato il mancato adempimento alle prescrizioni impartite dagli agenti di vigilanza accertatori e che senza l'adempimento non può farsi luogo al pagamento in misura ridotta. Pertanto nessuna doglianza può essere formulata al riguardo in questa sede.


 

 

 




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRUA Giuliana - Presidente

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. SARNO Giulio - rel. Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

1) BO. MA. N. IL (Omissis);

2) GU. MA. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 4452/2005 TRIBUNALE di ALESSANDRIA, del 20/03/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO;

udito il P.G. in persona del Dott. MAZZOTTA Gabriele che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Fatto



Con decreto di citazione a giudizio emesso a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, Bo. Ma. e Gu. Ma. venivano citati a giudizio dinanzi al Tribunale di Alessandria per rispondere nella rispettiva qualità di presidente del consiglio di amministrazione e di amministratore delegato della " fo. of. bo. s.p.a.":

a) del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 374 in quanto le cappe posizionate sui forni di fusione non captavano, se non in parte, i fumi nocivi prodotti dal processo produttivo;

b) del reato di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 63 per non avere effettuato la valutazione dell'esposizione dei lavoratori agli agenti cancerogeni (quali benzene e formaldeide) presenti nell'ambiente di lavoro durante le attività di fusione e di colata.

c) del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 20 e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 21 per non aver adottato accorgimenti tecnici atti ad evitare l'esposizione dei lavoratori ai fumi, gas e vapori nocivi ed alle polveri che si sviluppano durante le operazioni di colata e, relativamente alle polveri, durante le operazioni di preparazione stampi.

Reati tutti accertati il (Omissis) e permanenti sino all'(Omissis).

In motivazione si rilevava che in data (Omissis) erano stati effettuati sopralluoghi da parte di personale Sp. di (Omissis) e Ar. di (Omissis) presso la ditta " Fo. Of. Bo. s.p.a.". In occasione del primo sopralluogo l'attività dell'azienda era in atto e nel reparto della fusione e nel reparto di preparazione degli stampi i lavoratori risultavano esposti a fumi e polveri, le cappe di aspirazione dei fumi non avevano capacità aspirante sufficiente per cui i fumi stazionavano nell'ambiente lavorativo.

La ditta veniva messa in liquidazione in data (Omissis).

In data (Omissis) era stato effettuato un accertamento al fine di verificare l'eliminazione dell'infrazione prevista al capo b) d'imputazione e in tale circostanza veniva riscontrata l'inottemperanza alle prescrizioni impartite, per cui gli imputati non erano stati ammessi al pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta.

In data (Omissis) veniva effettuato un ulteriore accesso presso l'azienda per verificare l'ottemperanza alle prescrizioni impartite relativamente ai capi a) e c) d'imputazione ed alla presenza del curatore fallimentare si riscontrava che le attività produttive erano cessate.

Nell'interesse dei due imputati propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia deducendo:

a) la violazione degli articoli 191 e 431 c.p.p. con specifico riferimento all'inserimento nel fascicolo per il dibattimento e all'utilizzo a fini probatori degli accertamenti tecnici compiuti dai tecnici dell'ARPA. Si assume che tali accertamenti, anche in considerazione dell'andamento cronologico delle indagini preliminari, possono unicamente essere inquadrati nell'attività svolta di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 348 c.p.p., comma 4 a norma del quale "la polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera".

b) la nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale e totale mancanza di motivazione in ordine alla imputabilità a ciascuno degli imputati, a titolo di riferibilità individuale e di elemento soggettivo, delle condotte costituenti reato;

c) con riferimento all'imputazione di cui al capo b) violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione del procedimento sanzionatorio previsto dal Decreto Legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, articoli 19 e ss..

d) inosservanza dell'articolo 533 c.p.p., per omessa individuazione in motivazione del reato più grave e dei singoli aumenti relativi ai reati per i quali è stata applicata la continuazione.

e) mancanza di motivazione con riferimento all'omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione dell'indulto ex Legge n. 241 del 2006.

I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.

In ordine al primo motivo occorre anzitutto rilevare che il ricorrente non ha documentato in questa sede di essersi tempestivamente opposto all'inserimento nel fascicolo del dibattimento dei verbali relativi agli accertamenti tecnici compiuti dai tecnici dell'ARPA e che, come già affermato da questa Corte, qualora, senza tempestiva opposizione delle parti, venga inserito nel fascicolo per il dibattimento un atto che non dovrebbe esservi inserito, esso diviene pienamente utilizzabile ai fini della decisione salvo che si tratti di atto non utilizzabile ex articolo 191 cod. proc. pen. poichè acquisito secondo un procedimento "contra legem" (Sez. 4, n. 33387 del 08/07/2008 Rv. 241573).

Nè l'atto in questione può essere definito contra legem.

L'articolo 348 c.p.p., comma 4 contempla espressamente, infatti, il potere della polizia giudiziaria quando compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche di avvalersi di persone idonee le quali, peraltro, non possono rifiutare la propria opera.

In ogni caso, rispetto al caso di specie, è comunque assorbente il rilievo che le persone che hanno partecipato all'accertamento sono state comunque sentite in dibattimento e che le dichiarazioni da esse rese, come si rileva dalla motivazione della sentenza impugnata, sono state utilizzate per la decisione.



In ordine al secondo motivo si rileva che correttamente la sentenza ha avuto riguardo alla qualifica degli imputati rispettivamente presidente ed amministratore della società in quanto le misure di sicurezza mancanti erano indiscutibilmente imputabili alla società stessa. Ciò posto deve aggiungersi che in questa sede nessuno dei ricorrenti evidenzia elementi trascurati dal giudice di merito che, se rettamente valutati, avrebbero dovuto indurre quest'ultimo ad escludere la responsabilità in toto o in parte di essi. Da qui la genericità e la sostanziale inammissibilità del motivo.



In ordine al terzo motivo il giudice di merito ha distinto tra l'accertamento effettuato in data (Omissis) - nel corso del quale, rispetto al capo B), veniva riscontrata da parte degli agenti accertatori l'inottemperanza alle prescrizioni impartite, con la conseguente inammissibilità degli imputati al pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta e l'accertamento in data (Omissis).

Tale ulteriore accesso presso l'azienda suddetta riguardava infatti la verifica circa l'ottemperanza alle prescrizioni impartite relativamente ai capi d'imputazione sub A) e C).

In questa occasione, alla presenza del curatore fallimentare, si riscontrava, secondo la decisione di merito, che le attività produttive erano cessate e che pertanto era cessata l'esposizione dei lavoratori ai rischi per la salute determinati dall'inosservanza delle norme di sicurezza oggetto delle infrazioni contestate ai capi d'imputazione; che vi era stato il sostanziale adempimento alle prescrizioni impartite e, di conseguenza, gli imputati erano stati ammessi al pagamento delle sanzioni amministrative in forma ridotta ma che il pagamento non risultava, tuttavia, essere stato mai effettuato. Si duole la parte ricorrente in questa sede che erroneamente il giudice non avrebbe ammesso gli imputati al pagamento in misura ridotta anche per il capo b), così come avvenuto per gli altri due capi di imputazione, essendo venuto meno ogni situazione di pericolo per la liquidazione della società e che, in ogni caso, avrebbe dovuto verificare se l'inottemperanza fosse da ricondurre a forza maggiore essendo ravvisabile ciò nella liquidazione della società.

Ciò posto ritiene il Collegio che correttamente il tribunale abbia ritenuto la punibilità di entrambi gli imputati anche in relazione all'imputazione sub b). Esattamente è stato rilevato che nell'(Omissis) era stato accertato il mancato adempimento alle prescrizioni impartite dagli agenti di vigilanza accertatori e che senza l'adempimento non può farsi luogo al pagamento in misura ridotta. Pertanto nessuna doglianza può essere formulata al riguardo in questa sede. Nè vale richiamare il pronunciamento di questa Corte secondo cui nelle contravvenzioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro, l'inottemperanza da parte del contravventore alle prescrizioni di regolarizzazione impartite dall'organo di vigilanza a norma del Decreto Legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, costituisce una condizione di punibilità, conseguendone che è onere del giudice accertare se il contravventore abbia omesso di ottemperare alla prescrizione per negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di norme regolamentari ovvero se sia stato impossibilitato a ottemperare per caso fortuito o per forza maggiore (Sez. 3, n. 8372 del 11/01/2008 Rv. 239279). Al riguardo si rileva anzitutto che la procedura indicata al Decreto Legislativo n. 758 del 1994, articoli 20 e ss. ha carattere estintivo del reato che, dunque, si realizza per effetto della sola violazione agli obblighi di prevenzione.

L'ari 20 (Prescrizione) recita, infatti, "1. Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'articolo 55 c.p.p., impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario".

L'articolo 24 prevede poi che "La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'articolo 21, comma 2".

Ciò posto è agevole rilevare che lo stato di liquidazione della società non ha certamente avuto alcuna incidenza sulla consumazione del reato in quanto la vicenda societaria - intesa come liquidazione dell'attività - è incontrovertibilmente successiva all'accertamento degli illeciti.

Avuto riguardo alla mancata ammissione al pagamento estintivo, ha ragione il tribunale ad affermare che esso può conseguire solo all'adempimento delle prescrizioni.

I ricorrenti attribuiscono a forza maggiore il mancato adempimento censurando la motivazione della sentenza nella parte in cui non si è fatta carico di esaminare a tal proposito l'intervenuta liquidazione della società.

Anche sotto questo profilo il ragionamento dei ricorrenti non può essere tuttavia condiviso.

Una corretta esegesi della nozione di forza maggiore implica che l'impossibilità sopravvenuta cui ricollegare l'inadempimento debba essere intesa in senso assoluto ed oggettivo come causa esterna non imputabile all'obbligato, che esula del tutto dalla condotta dell'agente e che non può, quindi, ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente.

Tale condizione non è evidentemente ravvisabile nel caso di liquidazione della società - neanche se determinata da difficoltà finanziarie - in quanto lo stato d'insolvenza che determina la liquidazione dipende comunque da una scelta o da una condizione soggettiva in cui viene a trovarsi il debitore e che, in quanto tale, non può essere ritenuta a lui estranea.

Per quanto concerne il quarto motivo ritiene il Collegio - pur consapevole di alcuni pronunciamenti contrari - di dovere aderire, condividendone le motivazioni, alla tesi secondo cui non da luogo a nullità, per assenza di previsione di legge, l'omessa specificazione, nell'applicazione della pena per reato continuato, degli aumenti correlati ad ogni singolo reato, una volta che sia stato individuato il reato più grave (Sez. 2, n. 32586 del 03/06/2010 Rv. 247978; Sez. 1, n. 3100 del 27/11/2009 Rv. 245958).

In ordine al quinto motivo si rileva che la giurisprudenza di legittimità è assolutamente consolidata nel senso che il ricorso per cassazione avverso la mancata applicazione dell'indulto è ammissibile solo qualora il giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta applicazione, mentre nel caso in cui abbia omesso di pronunciarsi deve essere adito il giudice dell'esecuzione (Sez. 5, n. 43262 del 22/10/2009 Rv. 245106).

Al rigetto del ricorso consegue per i ricorrenti l'onere del pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.