Cassazione Penale, Sez. 3, 20 luglio 2011, n. 28898 - Carrello elevatore e misure di prevenzione e protezione


 

 

 

Responsabilità di un amministratore/datore di lavoro presso una s.a.s. perchè, in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 4 bis, non adottava ogni misura idonea ad evitare che i lavoratori presenti subissero danni fisici derivanti dall'utilizzo delle attrezzature mobili e/o semoventi in relazione alle operazioni di carico e scarico materiali con l'utilizzo di un carrello elevatore e non adottava inoltre, a fronte di una adeguata valutazione dei rischi, le misure necessarie ad assicurare la stabilità del mezzo di trasporto (carrello elevatore) e del suo carico in relazione alle caratteristiche del movimento e al tipo di carico.

 

Condannato, ricorre in Cassazione - La CORTE annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l'omessa concessione delle attenuanti generiche e dei doppi benefici con rinvio per nuovo esame al tribunale di Milano; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.


"Come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata, il D.Lgs. n. 626 del 1994 e il D.P.R. n. 547 del 1955 sono stati oggi sostituiti dalla normativa di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, che ha disciplinato nuovamente e più organicamente la materia della sicurezza sui luoghi di lavoro, abolendo buona parte delle leggi precedenti, e trasfondendo nella riforma i vecchi precetti, sanzionati oggi in modo più rigoroso. Nella specie le disposizioni di legge recanti le condotte contestate all' O. sono state in particolare sostituite da quelle previste dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 167 ss recanti norme di prevenzione degli infortuni nella movimentazione manuale dei carichi, sicchè c'è continuità normativa e va pertanto esclusa l'abolitio criminis allegata dal ricorrente."


 




REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE



SEZIONE TERZA PENALE




Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:



Dott. FERRUA Giuliana - Presidente



Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere



Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere



Dott. SARNO Giulio - Consigliere



Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere



ha pronunciato la seguente:



sentenza

 





sul ricorso proposto da:



O.M. nato a ***;



avverso la sentenza del 18.1.2010 del tribunale di Milano;



Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;



Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. MAZZOTTA Gabriele che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;



Udito l'avv. De Santis in sostituzione dell'avv. Savoldi Massimo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.



la Corte osserva:



Fatto



1. O.M. nato a ***, era imputato: a) della contravvenzione p. e p. dall'art. 89, comma 2. lett. a), in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 4 bis in qualità di amministratore/datore di lavoro presso la ditta L. O. s.a.s., per non avere adottato ogni misura necessaria idonea ad evitare che i lavoratori presenti subissero danni fisici derivanti dall'utilizzo delle attrezzature mobili e/o semoventi in relazione alle operazioni di carico e scarico materiali con l'utilizzo di un carrello elevatore; b) contravvenzione p. e p. dall'art. 389, comma 1, lett. c), in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 169 in qualità di amministratore/datore di lavoro presso la ditta L.O.s.a.s., per non avere adottato, a fronte di una adeguata valutazione dei rischi, le misure necessarie ad assicurare la stabilità del mezzo di trasporto (carrello elevatore) e del suo carico in relazione alle caratteristiche del movimento e al tipo di carico (accertato in ***).



Il tribunale di Milano con sentenza del 18.1.2010, dichiarava O.M. colpevole dei reati a lui ascritti, uniti dal vincolo della continuazione e lo condannava alla pena di 3000,00 Euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.



Osservava il tribunale che l'ufficiale di Polizia Giudiziaria G.R., in servizio presso la ASL *** della Provincia di Milano (servizio UOPSAL), aveva riferito come teste che l'1.6.2006 aveva svolto accertamenti presso la L.O. s.a.s., di cui l'imputato era l'amministratore, a seguito di un infortunio occorso tempo prima ad un operaio. Era successo che un dipendente dell' O. stava trasportato sulle forcole di un carrello elevatore un macchinario da riparare, che non era assicurato in alcun modo alle suddette forcole o ad altri elementi del carrello. Al suo fianco camminava un altro dipendente che, con una mano, sorreggeva l'impianto trasportato. Ad un certo punto il carrello aveva incontrato una buca nel terreno, il macchinario si era ribaltato e aveva colpito il lavoratore che camminava a fianco del carrello.



2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con quattro motivi.



Diritto



1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente denuncia, l'erronea e falsa applicazione dell'art. 649 c.p.p. per inammissibilità di nuovo procedimento penale per il medesimo fatto, è infondato.



E' vero che l'imputato, in riferimento allo stesso episodio di infortunio sul lavoro, è stato processato anche per il reato di lesioni colpose dove la colpa era consistita nella violazione della suddetta prescrizione preventiva degli infortuni. Ma in proposito deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 4, 6 giugno 2001 - 3 ottobre 2001, n. 35773) che ha affermato che sussiste concorso materiale tra i reati previsti dalle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, atteso che la diversa natura dei reati medesimi (i primi di pericolo e di mera condotta, i secondi di danno e di evento), il diverso elemento soggettivo (la colpa generica nei primi, la colpa specifica nei secondi, nell'ipotesi aggravate di cui all'art. 589, comma 2 e all'art. 590, comma 3), i diversi interessi tutelati (la prevalente finalità di prevenzione dei primi, e lo specifico bene giuridico della vita e dell'incolumità individuale protetto dai secondi), impongono di ritenere non applicabile il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p..



Nè è violato il principio del ne bis in idem che impedisce al giudice di procedere contro la stessa persona per il medesimo fatto su cui si è formato il giudicato, ma non di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento a diverso reato, dovendo la vicenda criminosa essere valutata alla luce di tutte le sue implicazioni penali (Cass., sez. 5, 14 ottobre 2009 - 29 aprile 2010, n. 16556).



2. Parimenti inammissibile per manifesta infondatezza è il terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente ipotizza l'abolitio criminis per effetto dell'abrogazione del D.Lgs. n. 626 del 1994.



Come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata, il D.Lgs. n. 626 del 1994 e il D.P.R. n. 547 del 1955 sono stati oggi sostituiti dalla normativa di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, che ha disciplinato nuovamente e più organicamente la materia della sicurezza sui luoghi di lavoro, abolendo buona parte delle leggi precedenti, e trasfondendo nella riforma i vecchi precetti, sanzionati oggi in modo più rigoroso. Nella specie le disposizioni di legge recanti le condotte contestate all' O. sono state in particolare sostituite da quelle previste dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 167 ss recanti norme di prevenzione degli infortuni nella movimentazione manuale dei carichi, sicchè c'è continuità normativa e va pertanto esclusa l'abolitio criminis allegata dal ricorrente.



3. Fondato è invece il quarto motivo di ricorso con cui il ricorrente denuncia la mancata concessione delle attenuanti generiche e doppi benefici (sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna).



Avendo il ricorrente fatto questa richiesta trascritta nel verbale d'udienza, il tribunale non poteva esimersi dal prendere posizione accogliendo o respingendo questa domanda, che atteneva esclusivamente alla determinazione della pena.



Questa Corte (Cass., sez. 2, 11 ottobre 2004 - 25 gennaio 2005, n. 2285) ha affermato in proposito che ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis cod. pen., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. Sicchè - può ora aggiungersi - se il giudice non indichi alcun elemento e si limiti a rigettare - o comunque a non accogliere - la richiesta di concessione di attenuanti generiche, vi è una radicale omissione di motivazione che vizia in parte qua la sentenza.



Analoga valutazione può farsi ove manchi alcuna motivazione della mancata concessione del beneficio della sospensione condizione della pena e della non menzione della condanna. Cfr. Cass., sez. 6, 9 dicembre 2009 - 15 dicembre 2009, n. 47913, che ha affermato che integra un difetto assoluto di motivazione della sentenza l'omessa pronuncia del giudice d'appello sulla concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, quando nell'atto di impugnazione sia stata esplicitamente richiesta una verifica in ordine all'applicabilità dei predetti benefici.



4. Pertanto va annullata la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l'omessa concessione delle attenuanti e dei doppi benefici con rinvio per nuovo esame al tribunale di Milano; va dichiarato inammissibile nel resto il ricorso.





P.Q.M.


LA CORTE annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l'omessa concessione delle attenuanti generiche e dei doppi benefici con rinvio per nuovo esame al tribunale di Milano; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.