Cassazione Penale, Sez. 4, 12 settembre 2011, n. 33734 - Costante esposizione ad amianto e mesotelioma maligno: posizioni di garanzia


 

 

 

Responsabilità dei direttori di uno stabilimento di una spa, succedutisi nel tempo, per il delitto di omicidio colposo commesso in pregiudizio di un dipendente della società, addetto alla manutenzione della centrale termica dal 1970 al 1990; tale mansione, in tesi di accusa, ne ha comportato la costante esposizione ad amianto e ha determinato l'insorgere di mesotelioma maligno che ne ha causato il decesso.

Ricorso in Cassazione - Inammissibile.


"I giudici hanno chiarito, alla stregua delle emergenze probatorie in atti, che la patologia che ha causato la morte del lavoratore è stata dallo stesso contratta nel lungo periodo durante il quale egli ha svolto attività lavorativa alle dipendenze della (...), al tempo in cui gli odierni ricorrenti, quali direttori dello stabilimento di Cuneo della predetta società, e di preposti alla sicurezza e igiene del luogo di lavoro, ricoprivano una precisa posizione di garanzia nei confronti del lavoratore deceduto. Nell'argomentare le ragioni di tale convincimento, i giudici del merito non hanno omesso di considerare le posizioni difensive, secondo cui diversa era l'origine della predetta patologia, ed hanno ritenuto, con motivazione del tutto coerente sul piano logico, e dunque non censurabile nella sede di legittimità, che le causali alternative prospettate (precedenti attività lavorative svolte dalla vittima, esposizione residenziale) si erano rivelate prive di consistenza e che proprio all'attività di lavoro svolta dal (...) alla (...) doveva imputarsi l'insorgere della richiamata patologia, peraltro contratta, nello stesso periodo, da altri sette lavoratori."


 

 

 

 

FattoDiritto

 



- I - (...), (...), (...) succedutisi, tra il 1970 ed il 1994 nella direzione dello stabilimento di Cuneo della “(...) spa” sono stati tratti a giudizio per rispondere, quali direttori pro tempore di detto stabilimento, del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di (...) dipendente della predetta società, addetto alla manutenzione della centrale termica dal 1970 al 1990; mansione che, in tesi di accusa, ne ha comportato la costante esposizione ad amianto e che ha determinato l'insorgere di mesotelioma maligno che ha causato il decesso.

Secondo quanto indicato nel capo d'imputazione, i tre imputati, nelle rispettive qualità. hanno, per colpa generica e specifica, cagionato la morte del lavoratore, avendo omesso: di sottoporre lo stesso ad adeguato controllo sanitario mirato sul rischio specifico da amianto, di informarsi e di informare il lavoratore circa i rischi derivanti dall'esposizione all'amianto e circa le misure da adottare per ovviarvi, di disporre, o di sollecitare i vertici aziendali della (...) ad adottare, le misure necessarie a contenere i rischi di tale esposizione, di curare o sollecitare la fornitura e l'effettivo impiego di mezzi personali di protezione.

Con sentenza del 20 dicembre 2008, il Tribunale di Cuneo ha affermato la responsabilità degli imputati e riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante contestata, li ha condannati alla pena, dichiarata condonata, di sei mesi di reclusione ciascuno, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite liquidati, all'attualità, per ciascuna di esse, in euro 111.407.50.

Il primo giudice ha quindi ritenuto accertato, alla stregua degli elementi probatori acquisiti, non solo che vi era stata una prolungata esposizione all'amianto del (...) ma anche che tale esposizione era stata la causa del mesotelioma, avendo escluso che l'insorgere della malattia potesse ricondursi ad una precedente attività lavorativa della vittima, svolta in una cartiera, ovvero ad una esposizione di tipo residenziale.

- II - su appello proposto dai tre imputati, la Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 13 aprile 2010, ha assolto (...) da ogni addebito per non avere commesso il fatto e ritenuta la prevalenza delle già riconosciute attenuanti generiche, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (...) e del (...) essendo il reato loro ascritto estinto per prescrizione.

A tale decisione, i giudici del gravame sono pervenuti dopo avere respinto talune eccezioni preliminari proposte dal (...) e dopo avere illustrato, sia pure in termini sintetici e richiamando la sentenza di primo grado, le ragioni della sussistenza, nella sua oggettività, del tatto contestato e della riferibilità dello stesso ai due imputati.

-IlI- Avverso tale decisione propongono congiuntamente ricorso, per il tramite del comune difensore. (...) e (...) che deducono, in via preliminare:

a) Violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione al rigetto dell'eccezione di inutilizzabilità di atti, riguardanti altra vicenda processuale. depositati nel corso del giudizio di primo grado.

b) Mancata assunzione di prova decisiva, costituita da un accertamento tecnico diretto ad individuare la natura della malattia di cui era affetto il (...) le cause della morte dello stesso. Sostengono i ricorrenti che la diagnosi di mesotelioma pleurico maligno, accertata nel 2001 sulla base delle procedure al tempo conosciute, avrebbe dovuto esser riconsiderata alla stregua delle più recenti metodologie d'indagine, come ammesso dallo stesso perito al tempo incaricato degli accertamenti medico-legali. Sul punto, la motivazione della sentenza / impugnata sarebbe contraddittoria; sarebbe stato, quindi indispensabile, previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, disporre nuovi accertamenti tecnici; il (....) ulteriormente ed ancora preliminarmente deduce:

c) Violazione dell'art. 420 ter. co. 1. cod. proc. pen.. laddove il giudice di primo grado ha ritenuto, all'udienza del 7.3.08. di non riconoscere l'impedimento dell'imputato a comparire in udienza, malgrado la certificazione medica prodotta: tale decisione avrebbe compromesso il diritto di difesa e comporterebbe la nullità di tutti gli atti successivi a quella decisione, comprese le sentenze dei due gradi di giudizio; in via principale, ambedue i ricorrenti deducono:

d) Errata interpretazione dell'art. 40. co. 2 cod. pen. e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla sussistenza del nesso causale tra l'esposizione lavorativa della persona offesa all'amianto e la patologia della quale la stessa ha sofferto, che ben avrebbe potuto avere altra origine.

-IV- I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili per la manifesta infondatezza e la genericità dei motivi proposti.

1) Quanto alle censure proposte in via preliminare, la Corte osserva:

a) Generico è il motivo con il quale si censura la mancata declaratoria di inutilizzabilità di atti provenienti da altro procedimento, i ricorrenti, invero, non precisano di quali atti si tratti,non ne indicano i contenuti né il rilievo probatorio ai fini della decisione: neanche chiariscono se la documentazione in questione sia stata utilizzata dai giudici del merito e in caso affermativo, in che termini.

b) Manifestamente infondato è il motivo, articolato con riferimento all'art. 606 co. 1 lett. d) ed e) cod. proc. pen., concernente la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'espletamento di ulteriore perizia diretta a verificare l'esattezza, alla stregua di più recenti metodologie d'indagine, della diagnosi di mesotelioma pleurico maligno in precedenza accertata.

In realtà, premesso il carattere eccezionale unanimemente riconosciuto all'istituto della rinnovazione, che presuppone {'impossibilità di decidere allo stato degli atti, occorre rilevare che. sotto il profilo della mancata assunzione di prova decisiva, ex lett. d) della richiamata disposizione di legge, questa Corte ha costantemente affermato che il mancato espletamento di un accertamento peritale "non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 comma primo lett. d) cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova neutro sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove il citato art. 606 attraverso il richiamo all'art. 495 comma secondo cod. proc. pen. si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività" (Cass. 5.12.03 rv 229665); ed ancora, che "la perizia, per il suo carattere neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non e sanzionabile ai sensi dell'art. 606 comma primo lett. d) cod. proc. pen., in quanto giudizio di fatto che, se corretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (Cass. n. 14130/07).

Orbene, nel caso di specie, il giudice del gravame, richiamate le considerazioni svolte sui punto dal primo giudice ed i pareri tecnici espressi dal consulente della parte civile, dott.(...) ha ritenuto, con motivazione congrua e coerente sul piano logico, l'insussistenza delle condizioni per la riapertura dell'istruttoria dibattimentale e per l'espletamento di altro accertamento tecnico. In particolare, lo stesso giudice ha legittimamente sostenuto che la diagnosi di mesotelioma doveva ritenersi certa, posto che le "vecchie" metodologie di indagine erano e sono tuttora certamente affidabili, in quanto sicuramente idonee a riconoscere i casi di mesotelioma, e non messe in discussione dalle più recenti tecniche d'indagine, alle quali hanno fatto riferimento gli imputali, che hanno perfezionato la ricerca, ma non hanno per nulla messo in discussione la validità delle precedenti metodiche, allorchè certi dovessero ritenersi i risultati dalle stesse forniti. Il ricorso alle nuove tecniche invero, secondo i giudici del merito, doveva ritenersi necessario solo nei casi di incertezza della diagnosi effettuata con la precedente metodica, non anche nei casi in cui, come di specie, la diagnosi è apparsa certa ed indiscutibile.

Considerazioni che non relegano le nuove procedure di identificazione del mesotelioma, come si legge nel ricorso, al ruolo di correttore degli elementi posti a base di indagini statistiche ed epidemiologiche, ma che segnalano solo come sia del tutto inutile -in presenza di accertamenti eseguiti utilizzando i “vecchi” sistemi d'indagine che abbiano fornito una diagnosi certa ed in equivoca - ricercare conferme attraverso il ricorso a strumenti più recenti.

Mentre il richiamo, nel ricorso, ad una frase estrapolata dall'esame dibattimentale del perito, dott. (...) non vale a modificare le coerenti considerazioni svolte sul punto dal giudice del gravame, né a giustificare la prospettazione di un travisamento della prova da parte della corte territoriale.

Occorre, infine, sul punto rilevare che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte, quando con il ricorso per cassazione si faccia valere -come nel caso di specie- il vizio di difetto o illogicità della motivazione ovvero quello di travisamento della prova, trova applicazione il principio, costantemente affermato dai giudici di legittimità, secondo cui, "in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione) non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall'art. 129 cod. proc. pen." (Cass. n. 40799/08). Argomento che ancor più ribadisce la inammissibilità del ricorso.

c) Insussistente è la violazione, dedotta dal (...) dell'art. 420 ter co. 1 cod. proc. pen.

Detta norma, invero, prevede che l'impedimento dell'imputato a comparire in dibattimento può ritenersi legittimo solo allorché si accerti che l'assenza dello stesso sia dovuta ad assoluta impossibilità a comparire. A tale proposito, allorché tale impedimento sia determinato dalle condizioni di salute dell'imputato, che siano state attestate da idoneo certificato medio, questa Corte ha affermato che l'esistenza di una determinala patologia non impedisce al giudice di valutare se la stessa comporti effettivamente l'assoluta impossibilità a comparire se non a prezzo di grave rischio per la salute, e che tali condizioni debbono assumere carattere di tale gravità da costituire effettiva ed assoluta impossibilità, per incapacità fisica dello stesso imputato, a presentarsi in giudizio. E' stato, altresì, affermato che il compito di valutare la certificazione sanitaria attestarne l'impedimento dedotto spetta al giudice del merito, il quale, nell’esaminare tale produzione documentale deve attenersi alla natura dell'infermità dedotta -avvalendosi delle regole di esperienza senza che sia necessario disporre accertamenti fiscali- ed esporre le ragioni del proprio convincimento circa la ritenuta non ravvisabilità di condizioni attestanti l'assoluta impossibilità dell'imputato a comparire. Valutazione che, se adeguatamente e logicamente motivala è incensurabile in sede di legittimità (Cass. nn. 3400/05, 5540/08).

Orbene, nel caso di specie il giudice del merito, con motivazione sintetica e tuttavia congrua e coerente sul piano logico, ha ritenuto che dalla certificazione sanitaria prodotta a sostegno dell'istanza di rinvio del procedimento per motivi di salute, emergeva solo una condizione di disagio psicofisico dell'imputato che non assumeva il carattere dell'assoluta impossibilità dello stesso, nei termini previsti dall'art. 420 ter sopra richiamato, a presentarsi in dibattimento.

Il ricorrente, d'altra parte, nel censurare la decisione del giudice del merito, richiama l'età avanzata dell'imputato e le patologie tumorali che lo avevano colpito le quali, evidentemente, non sono idonee a rappresentare, di per sé stesse, la sussistenza delle condizioni di assoluta impossibilità a comparire, nei termini sopra richiamati.

d) Quanto alle censure proposte in via principale, con le quali si deduce il vizio di motivazione e l’errata interpretazione dell'art. 40 co. 2 cod. pen. con riguardo al nesso di causalità, ribadita l'inammissibilità di censure motivazionali proposte in presenza di una causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, va altresì ribadita la corretta interpretazione ed applicazione, da parte dei giudici del merito, dell'art. 40 co. 2 cod. pen.

Sul punto, invero, i predetti giudici hanno chiarito, alla stregua delle emergenze probatorie in atti, che la patologia che ha causato la morte del lavoratore è stata dallo stesso contratta nel lungo periodo durante il quale egli ha svolto attività lavorativa alle dipendenze della (...), al tempo in cui gli odierni ricorrenti, quali direttori dello stabilimento di Cuneo della predetta società, e di preposti alla sicurezza e igiene del luogo di lavoro, ricoprivano una precisa posizione di garanzia nei confronti del lavoratore deceduto. Nell'argomentare le ragioni di tale convincimento, i giudici del merito non hanno omesso di considerare le posizioni difensive, secondo cui diversa era l'origine della predetta patologia, ed hanno ritenuto, con motivazione del tutto coerente sul piano logico, e dunque non censurabile nella sede di legittimità, che le causali alternative prospettate (precedenti attività lavorative svolte dalla vittima, esposizione residenziale) si erano rivelate prive di consistenza e che proprio all'attività di lavoro svolta dal (...) alla (...) doveva imputarsi l'insorgere della richiamata patologia, peraltro contratta, nello stesso periodo, da altri sette lavoratori.


-V- Alla declaratoria d'inammissibilità dei ricorsi, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro 1.000.00 ciascuno.



P.Q.M.



Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.