Tribunale di Trento, Sez. Pen., 23 settembre 2011 - Ponteggio non realizzato a regola d'arte e caduta dall'alto


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TRENTO
SEZIONE PENALE


Il Tribunale, in composizione monocratica, presieduto dal Giudice dr. Guglielmo Avolio alla pubblica udienza del 20.09.11 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA

 

nel procedimento penale
Contro
S.P., nato (...), res. in Telve via (...)
Difeso di fiducia dall'avv. M.P. del Foro di Trento
Libero contumace
Imputato
del reato p. e p. dall'art. 590, co. I - II e III, c.p. perché - nella sua qualità di legale rappresentante della ditta "S. S.r.l." e di datore di lavoro e responsabile tecnico della medesima ditta – per imprudenza, negligenza ed in violazione della normativa prevenzionale degli infortuni sul lavoro - cagionava al lavoratore dipendente H.A. "la frattura del polso sinistro e dello scafoide carpale sinistro" con conseguente malattia di durata superiore ai giorni quaranta, in particolare perché:
in violazione dell'art. 23 D.P.R. 164/1956 e dell'art. 36 quater D.lgs. 626/1994, permetteva che i lavoratori dipendenti operassero nel cantiere edile gestito dalla sua azienda avvalendosi di un ponteggio realizzato non a regola d'arte, in quanto presentava degli spazi vuoti pericolosi tra gli elementi costituenti il ponteggio stesso ed i poggioli in via di realizzazione, ai quali si permetteva il passaggio mediante tavole metalliche, non idoneamente assicurate ed ancorate, poggianti da un lato sugli impalcati del ponteggio e dall'altro sul poggiolo stesso, con tale suo comportamento colposo, ponendo così in essere, il presupposto per l'infortunio occorso ai lavoratore il quale - mentre transitava dal ponteggio al poggiolo, cadeva da un altezza di circa tre metri riportando le lesioni sopra evidenziate, in ragione del mancato corretto ancoraggio della tavola metallica di transito, che sotto il peso del lavoratore stesso si spostava e cadeva a sua volta verso il vuoto.
In cui è parte offesa:
H.A. res. in Borgo Valsugana via (...)
INAIL Trento in persona del direttore leg. rappresentante

 

FattoDiritto

 

Si è proceduto, a seguito di citazione diretta del PM, nella dichiarata contumacia dell'imputato. Si è dato luogo all'esame dei testi ammessi e quindi, sull'accordo delle parti, alla dichiarazione di utilizzabilità di tutti gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento. All'esito le parti hanno concluso come da verbale di udienza.
La prova a carico, si anticipa, risiede sostanzialmente nelle dichiarazioni rese in udienza dalla p.o. H.A., dipendente della ditta di costruzioni facente capo all'odierno imputato, datore di lavoro. Il teste ha premesso che doveva lavorare al primo solaio di un edificio in costruzione ed ha riferito di essere precipitato al suolo da un'impalcatura o ponteggio, formato da tavole e lamiere a incastro, da lui stesso allestito, pur non avendo ricevuto istruzioni specifiche per il montaggio. Ha aggiunto infine di avere portato il gesso per circa 4 mesi, a fronte di una prognosi iniziale di gg. 35 se per frattura del polso e dello scafoide carpale sx, di essere tornato al lavoro dopo che era decorso tale periodo e di provare ancor oggi un certo dolore, in caso di uso sotto sforzo dell'arto interessato.
L'Ispettore del Lavoro D., premesso di essere intervenuto a circa 2 anni dal fatto ed a cantiere ormai disarmato per l'avvenuta ultimazione dei lavori (sì da non aver potuto accedere all'impalcatura utilizzata), ha riferito, anche sulla base di quanto appreso dal ferito, che il piano di calpestio era stato improvvidamente posto fra la testata del ponteggio ed un poggiolo realizzato sul primo solaio dell'edificio, e che tale piano, non ancorato, si era mobilizzato al passaggio del lavoratore, provocandone la caduta (cfr. anche la relazione dell'APS S della PAT trasmessa in data 9/1/2009 al PM, allegata sub foll. 13 ss. e dichiarata utilizzabile sull'accordo delle parti).
I testi della difesa nulla hanno potuto riferire sulla dinamica dell'incidente, per non essere stato presente nessuno di essi. La ricostruzione dell'accaduto può essere dunque compiuta solo sulla base delle dichiarazioni dell'H.A.

Orbene, il Tribunale ricorda che nel caso in esame si è in presenza di testimonianza, seppure resa dalla p.o. Invero, come ripetutamente ha affermato la SC, in tema di valutazione della prova e con specifico riguardo alla prova testimoniale il Giudice, pur essendo tenuto a valutare criticamente, verificandone l'attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però tenuto ad assumere come base del proprio ragionamento l'ipotesi che il teste dica scientemente il falso o si inganni su ciò che forma l'oggetto essenziale della propria deposizione, salvo sussistere riconoscibili e specifici elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. Ciò significa che, in assenza di siffatti elementi, il giudice deve partire invece dal presupposto che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza, e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come certamente vero, per diretta conoscenza, e quello che emerge da altre eventuali fonti probatorie di pari valenza. Detta incompatibilità, inoltre, deve essere ravvisata solo quando incida sull'elemento essenziale della deposizione, e non su elementi di contorno relativamente ai quali appaia ragionevolmente prospettabile l'ipotesi che il teste possa essere caduto in errore di percezione o di ricordo, senza per ciò perdere di obiettiva credibilità per ciò che attiene all'elemento centrale della narrazione.
Si osserva quindi che nulla osta, in via di principio, a che la deposizione della persona offesa sia anche da sola assunta come fonte di prova, ove sottoposta ad indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva e non innestata in situazioni concrete che inducano a dubitare della attendibilità, tra l'altro neppure necessitando di riscontri esterni (giurispr. costante; cfr. p.e., tra le tante, Cass. Pen. Sez. IV, 13/7/2007 n. 27738, M.; Sez. II, 14/6/2007 n. 23383, S.; Sez. III, 14/2/2005 n. 5460, M.; Sezione V, 21/7/2004 n. 31720, A.; Sezione IV, 26/3/2004 n. 14873, M.; Sez. V, 24/7/2003 n. 31403, M.; Sezione V, 30/1/2003 n. 4303, G.; Sez. III, 23/1/2003 n. 3162, H.). Nel caso di specie, in effetti, la deposizione della p.o. si presenta nel complesso come verosimile, disinteressata (tanto che neppure vi è stata, da parte sua, costituzione in giudizio o richiesta di risarcimento del danno), coerente con le scarne emergenze obiettive (in pratica, con il dato medico e con le informazioni fornite sullo stato di avanzamento dei lavori) e non contraddetta da sicuri elementi contrari. Oltretutto la p.o., ancor oggi dipendente dell'imputato, in un primo momento aveva addirittura cercato di nascondere l'incidente, avendo dichiarato in ospedale, per motivi che è fin troppo agevole intuire (ma che qui non interessano se non per escludere qualsiasi malanimo del teste), di essersi infortunata ... cadendo dalle scale di casa propria. La p.o. può in definitiva essere ritenuta credibile e, quindi, posta a pieno fondamento del giudizio di colpevolezza.

È appena il caso di aggiungere che sussiste un perfetto nesso di causalità materiale e giuridica fra la condotta omissiva enucleata e l'evento, posto che, con l'assoluto grado di certezza agevolmente raggiungibile attraverso il consueto congegno retrospettivo della prognosi postuma, ed esclusa - anche in quanto non validamente invocata neppure da parte della difesa, per il radicale difetto di qualsiasi elemento a sostegno - l'interferenza di fattori causali alternativi, l'infortunio non avrebbe avuto modo di verificarsi, laddove il garante per la sicurezza si fosse tempestivamente attivato nel senso poi prescritto, e posto pure che la cautela in questione era diretta a scongiurare proprio gli infortuni del tipo di quello purtroppo verificatosi.


Non può peraltro essere riconosciuta alla condotta del lavoratore infortunato alcuna concorrente efficacia giuridica ai fini della produzione dell'evento. Anzitutto non si ravvisa nella sua condotta alcun profilo di abnormità, che può assumere il valore di causa sopravvenuta, di per sé sufficiente a cagionare l'evento, solo quando - come chiaramente non è nel caso di specie - possa considerarsi imprevedibile ed eccezionale, cioè assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni in concreto attribuite all'interessato. È d'altra parte noto che le norme di prevenzione mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad infortuni che possano derivare da sua imprudenza o negligenza laddove, come nel caso di specie, l'infortunio discenda direttamente dall'omissione od inidoneità applicativa di dette norme, essendo l'evento da collegare giuridicamente, con esclusione d'altro, alla mancanza o insufficienza delle enucleate cautele, che - come è di immediata evidenza - se adottate, sarebbero sicuramente valse, a parità di condizioni, a neutralizzare il rischio dell'evento dannoso. Pena equa ex art. 133 c.p. è quella di Euro 600 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


Visti gli artt. 533 - 535 c.p.p.
Dichiara S.P. colpevole del reato ascrittogli e lo condanna alla pena di Euro 600 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.