Cassazione Penale, Sez. 4, 19 dicembre 2011, n. 46819 - Morte per asfissia acuta anossica da carenza ambientale di ossigeno e varie responsabilità


 

 



 

REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1) FI. FA. N. IL (Omissis);

2) DE. RO. FL. N. IL (Omissis);

3) LA. UG. N. IL (Omissis);

4) CA. GA. N. IL (Omissis);

5) BA. GI. N. IL (Omissis);

6) VI. GI. LU. N. IL (Omissis);

7) VI. MA. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 350/2008 CORTE APPELLO di ANCONA, del 03/05/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/10/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

udito il P.G. in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha concluso per annullamento senza rinvio per prescrizione per Fi. , De. Ro. , (Ndr: testo originale non comprensibile) le statuizioni civili e rigetto dei ricorsi per La. , Ca. , Ba. , Vi. Gi. Lu. e Vi. Ma.;

uditi per le parti civili gli avv. Giostra Igor - anche in sost. degli avv. Delle Fave e Bocalini - Teobaldo Tassotti che hanno concluso per il rigetto dei ricorsi depositando conclusioni scritte e nota spese;

uditi per i ricorrenti, gli avv.ti (Ndr: testo originale non comprensibile) Walter per Fi. e De. Ro. , e Sarino Piattoni per La. , Ca. , Ba. , Vi. Gi. Lu. e Vi. Ma. che hanno concluso insistendo per l'accoglimento dei ricorsi.

Fatto

 

Con sentenza del 24.4.2007, del Tribunale di Fermo, Vi. Ma. , Vi. Gi. Lu. , Ba. Gi. , Ca. Ga. , La. Ug. , Fi. Fa. , De. Ro. Fl. e Vi. Gi. venivano condannati, previa concessione delle attenuanti generiche valutate prevalenti sull'aggravante contestata, alle rispettive pene ritenute di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili Ma. Ca. , Ne. Lo. e Ma. La. , da liquidarsi in separata sede, con provvisionale a favore delle stesse parti civili, in relazione alle seguenti imputazioni: Tutti - del delitto p. e p. dagli articoli 40, 41, 113 e 589 c.p., perchè, Vi. Gi. in qualità di legale rappresentante dell' Az. Ag. F. Vi. di. Vi. Gi. Lu. e C. esercente attività di allevamento suinicolo con porcilaia sita in contrada (Omissis) e committente dei lavori, Vi. Gi. Lu. , quale responsabile dei lavori edili in atto presso il cantiere dell'azienda agricola suddetta, Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. quali soci e legali rappresentanti della impresa edile S.C.E.P. di La. Ug. e C. con sede legale in (Omissis), esecutrice dei lavori di posa in opera della conduttura idrica, fognaria e dell'impianto sanitario di un ampliamento della struttura zootecnica per l'allevamento dei suini, Fi. Fa. quale progettista e direttore dei lavori, De. Ro. Fl. quale coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori, Vi. Ma. quale socio dell'azienda agricola sopra indicata ed addetto al lavoro presso l'allevamento suinicolo in funzione, per colpa - consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione di norme relative alla normativa antinfortunistica e all'igiene sul lavoro (specificate nel capo di imputazione) - avevano cagionato e comunque non impedito la morte di Ma. Ro. , operaio dipendente della ditta S.C.E.P. il quale, stante la necessità di espletare un urgente bisogno fisiologico e la mancanza di servizi igienici per i lavoratori nelle vicinanze del posto di lavoro, si era portato all'interno del canale di raccolta liquami frapposto fra due fabbricati, costituenti la nuova porcilaia ed era deceduto per asfissia acuta anossica da carenza ambientale di ossigeno conseguente alle esalazioni di gas (metano, acido solforico ed altri) derivanti dallo scarico dei liquami provenienti dalla porcilaia in funzione nel collettore principale che conduceva alla vasca di stoccaggio e al quale collettore era collegato un collettore secondario che originava proprio nel canale di scarico ove si trovava il Ma. ;

condotte colpose consistite:

- quanto a Fi. Fa. , Vi. Gi. , Vi. Gi. Lu. , De. Ro. Fl. , Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. , nelle qualità sopra indicate, nell'aver disposto, permesso, effettuato e comunque non aver impedito l'esecuzione dei lavori per la realizzazione pratica della parte terminale della rete fognante in maniera non conforme al progetto - nella parte relativa al collegamento del modulo di porcilaia identificato con la lettera "C" con la rete fognante - e in particolare nella mancata costruzione del "pozzetto di raccordo" sulla parte terminale esterna del canale infossato trasversalmente al modulo della porcilaia "C", nell'adozione di una semplice "bretella" verticale per la connessione diretta tra il "canale infossato" trasversalmente al modulo della porcilaia "C" e la linea fognante principale sottostante, nell'applicazione di un "collo d'oca" sulla parte terminale del tubo principale di scarico, con palesi funzioni di ritegno; così che il "gas tossico" prodotto durante lo scarico del liquame poteva risalire la "bretella" e quindi saturare - oltre al "canale infossato" posto trasversalmente al modulo della porcilaia "C" - anche l'ambiente limitrofo e il canale ove si trovava il Ma.; - quanto a Vi. Gi. , nella qualità sopra indicata e quale datore di lavoro, anche in ulteriori comportamenti attivi e/o omissivi quali specificati nel capo di imputazione (e poi deceduto nelle more del procedimento);

- quanto a Vi. Gi. Lu. , nella qualità sopra indicata, anche nei seguenti comportamenti attivi e/o omissivi: non aver verificato che il Coordinatore per l'esecuzione dei lavori espletasse gli adempimenti di legge commissionati e in particolare che effettuasse i dovuti sopralluoghi in cantiere per verificare l'applicazione delle disposizioni contenute nel Piano di Sicurezza e Coordinamento e nei Piani Operativi di Sicurezza (violazione del Decreto Legislativo n. 496 del 1994, articolo 6, comma 2 e articolo 20, lettera a come mod. dalla Legge n. 528 del 1999);

- quanto a Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. , nelle qualità sopra indicate, anche nei seguenti comportamenti attivi e/o omissivi: non aver redatto in riferimento allo specifico cantiere il Piano Operativo di Sicurezza (violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 2 e articolo 89, comma 1); non aver individuato e predisposto idonei servizi igienici per i propri dipendenti in prossimità dei loro posti di lavoro (violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 39 come modif. dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 33, comma 12 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 58, lettera b));

- quanto a De. Ro. Fl. , nella qualità sopra indicata, anche nei seguenti comportamenti attivi e/o omissivi: non aver verificato, prima della realizzazione dell'opera, il Piano Operativo di Sicurezza che avrebbe dovuto essere predisposto dalla ditta S.C.E.P. (violazione del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 5, comma 1, lettera b) e articolo 21, comma 2, lettera a)); non aver redatto il Piano di Sicurezza e Coordinamento secondo le disposizioni di cui all'articolo 12, comma 1, ed in particolare non aver previsto ed indicato in maniera specifica e puntuale nel Piano di Sicurezza e di Coordinamento quali fossero e dove avrebbero dovuto essere ubicati i servizi igienici a disposizione dei lavoratori e non aver individuato le ditte che avrebbero dovuto predisporre detti servizi, non aver redatto una relazione tecnica rappresentante un'analisi dettagliata dei luoghi, una puntuale valutazione dei rischi e una precisa indicazione delle procedure e delle misure di prevenzione da attuare, non aver tenuto conto dei rischi specifici derivanti dall'attività di allevamento suinicolo svolta nell'area di pertinenza del cantiere ed in particolare del rischio rappresentato dalla possibile presenza di gas derivanti dai processi metabolici dei liquami negli ambienti di lavoro, non aver predisposto alcuna modifica del PSC (Piano di sicurezza e coordinamento) in relazione alla realizzazione del percorso fognario difforme - e in notevole e maggiore pendenza - rispetto al progetto approvato (violazione del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 4, comma 1, lettera a e articolo 21, comma 1);

- quanto a Vi. Ma. , quale socio dell' Az. Ag. Vi. e addetto al lavoro presso l'allevamento suinicolo in funzione, nei seguenti comportamenti attivi e/o omissivi: aver proceduto all'apertura delle saracinesche che consentivano l'immissione del liquame dalle vasche della porcilaia attiva al collettore principale che conduceva alla vasca di stoccaggio - al quale era stato collegato il giorno (Omissis) il collettore fognario che dal canale del capannone non ancora attivo avrebbe poi dovuto convogliare i liquami nella vasca di stoccaggio suddetta - in orario in cui erano previsti nel cantiere presente nell'area dell'allevamento suinicolo e precisamente all'interno del capannone "C" i dipendenti della ditta S.C.E.P. che stavano eseguendo lavori nel capannone in corso di realizzazione e comunque senza accertarsi - prima di eseguire l'operazione sopra descritta - che nessun soggetto si trovasse nelle aree pericolose a causa delle esalazioni e dei gas emessi dai liquami scaricati (Fatto avvenuto in (Omissis)).

Considerata la posizione di garanzia di tutti gli imputati nelle rispettive competenze, e cioè committente (vale a dire i soci della Az. ag. F. Vi. di. Vi. Gi. Lu. & C s.a.s., e quindi Vi. Gi. , Vi. Gi. Lu. e Vi. Ma. ), datore di lavoro (soci della SC. di. La. Ug. & C s.n.c., e cioè Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. ), progettista e direttore dei lavori ing. Fi. Ug. , e coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione ing. De. Ro. , il giudice affermava la penale responsabilità di ciascuno a titolo di cooperazione colposa, vuoi per il mancato rispetto dei propri obblighi in riferimento al piano operativo di sicurezza (POS) e al piano di sicurezza e coordinamento (PSC), riguardo in particolare alla mancata previsione progettuale e mancato allestimento del bagno di servizio per le necessità degli operai nelle vicinanze del fabbricato dove erano in corso i lavori, vuoi per la difformità della realizzazione del canale di raccordo al collettore principale rispetto al progetto, difformità che aveva, secondo il consulente del PM, determinato il riflusso e/o la propagazione, ad un livello certamente più elevato, di gas tossici letali, al collettore inerente allo speco fognario del fabbricato "C".

Il Tribunale riteneva l'evento in esame derivato dalle condotte commissive e omissive rispettivamente addebitate, e rientrante nella tipologia di eventi oggetto di tutela delle regole cautelari, ravvisando in esso la concretizzazione del rischio tipico che le regole specifiche richiamate mirano a prevenire, e ritenendo la evitabilità dell'evento attraverso il rispetto delle regole cautelari, a prescindere dalla prevedibilità del fatto specifico, trattandosi di regole "aperte".

Avverso detta sentenza proponevano appello tutti gli imputati.

Vi. Gi. contestava, oltre al criterio di giudizio circa la responsabilità per omissione, il nesso di causalità e la imprevedibilità del fatto: Vi. Gi. decedeva poi in data (Omissis).

Vi. Ma. precisava che le sue mansioni erano meramente manuali, di addetto alla porcilaia, senza responsabilità di tipo decisionale e/o organizzativo. Pure essendo egli a conoscenza della entità dei lavori di ristrutturazione del complesso produttivo, era rimasto estraneo alla loro esecuzione, facendo affidamento sulle scelte operate dall'esperto capofamiglia: cosicchè l'operazione di routine di apertura delle saracinesche non poteva apparigli fonte di pericolo.

Vi. Gi. Lu. , responsabile dei lavori edili, ribadiva di essersi premurosamente attivato per accertare che i lavori procedessero regolarmente sotto la supervisione effettiva dello studio tecnico Fi. nelle figure del geom. Qu. e dell'ing. Fa. e dell'ing. De. Ro. , con la puntuale applicazione da parte del committente Azienda agraria e del datore di lavoro S.C.E.P. di tutte le direttive da costoro impartite. Cosicchè nulla veniva fatto senza la preventiva approvazione del direttore dei lavori ing. Fi. e del coordinatore per la sicurezza ing. De. Ro. . Nè egli aveva la necessaria competenza per sindacare scelte e valutazioni tecniche dei due professionisti. Laddove il comportamento del lavoratore era stato del tutto imprevedibile.

Analoghi i motivi di appello proposti dai soci della S.C.E.P. Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. , nel ribadire la imprevedibilità del comportamento del lavoratore. De. Ro. Fl. , coordinatore per la sicurezza contestava la violazione relativa alla mancata previsione del bagno a servizio del cantiere edile, avendo egli espressamente rappresentato tale esigenza nel Piano di sicurezza e coordinamento, prevedendo che i servizi igienico-assistenziali fossero da ricavare in edifici attigui al cantiere. Quanto all'addebito di non avere effettuato la valutazione dei rischi da interferenza fra attività di allevamento e attività edilizia, e di non avere indicato le misure di prevenzione riguardo alla formazione di gas nocivi, rilevava che nella progettazione della sicurezza era stato previsto un primo lotto di intervento consistente nella edificazione dei fabbricati B, C, F, E, (quest'ultima vasca di stoccaggio); quindi in fase di progettazione e redazione del PS. , non era contemplata alcuna interferenza possibile tra l'attività di allevamento suini e il cantiere di lavoro, non essendo prevista l'attivazione dei singoli fabbricati, contemporaneamente alla realizzazione del complesso. Precisava che il collegamento del fabbricato C al collettore principale doveva essere effettuato a opere edili complete. E il progetto originario della rete fognaria era stato abusivamente modificato ed eseguito il giorno prima dell' infortunio mortale.

Fi. Fa. , progettista e direttore dei lavori, contestava in primo luogo il nesso di causalità naturale, in quanto gli esiti degli esperimenti più volte ripetuti avevano dimostrato che la concentrazione di ossigeno non era mai scesa al di sotto del livello di compatibilità con la vita. Contestava la responsabilità a titolo di cooperazione colposa, essenzialmente facendo riferimento alla mancanza di prove ed elementi indiziari sulla circostanza che egli fosse stato l'autore della difforme esecuzione del canale di raccordo, o che ne fosse stato comunque informato; nè egli era obbligato ad una presenza costante e ininterrotta in cantiere, sì da potersi altrimenti avvedere della esecuzione difforme dell'opera, nè a lui potevano addebitarsi condotte colpose imputabili ad altre figure professionali. Con successiva memoria deduceva di non essersi mai interessato alla gestione del cantiere.

La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza del 3 maggio 2010, pronunciava declaratoria di improcedibilità in relazione ai reati contravvenzionali per intervenuta prescrizione, e confermava l'affermazione di colpevolezza già pronunciata in primo grado dal Tribunale per il reato di omicidio colposo. La Corte stessa disponeva poi procedura di correzione di errore materiale, e pronunciava declaratoria di improcedibilità nei confronti di Vi. Gi. per estinzione dei reati allo stesso ascritti per morte dell'imputato avvenuta il (Omissis).

Nel merito, la Corte distrettuale e, in risposta alle deduzioni degli appellanti, dava conto del convincimento così espresso, quanto alla ritenuta colpevolezza in ordine al reato di omicidio colposo, con il richiamo per relationem alla sentenza di primo grado, nonchè con argomentazioni concementi: a) le specifiche condotte contestate ai singoli imputati e le responsabilità individuali degli stessi; b) il nesso di causalità tra tali condotte e l'evento, con particolare riferimento alla cd. concretizzazione del rischio; c) la condotta della vittima ritenuta priva di connotazioni di abnormità tali da interrompere il nesso di causalità.

Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori, deducendo censure di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta colpevolezza.

Vi. Ma. , Ba. Gi. , Ca. Ga. , La. Ug. e Vi. Gi. Lu. , dopo aver sinteticamente ricordato la dinamica della vicenda come ricostruita dal primo giudice e ripercorso l'iter processuale, hanno preliminarmente posto questioni comuni ed hanno poi formulato doglianze relative alle singole posizioni. Le censure comuni possono così riassumersi: A) i giudici di merito avrebbero erroneamente ancorato il loro convincimento ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità con la decisione relativa al cd. "caso (Omissis)" quanto alla problematica della concretizzazione del rischio con riferimento alle conseguenze della condotta dell'agente derivanti dalla violazione delle regole cautelari, avendo del tutto omesso di tener conto dei più recenti arresti della giurisprudenza della Cassazione - intervenuti nelle more tra il primo grado e quello d'appello - che secondo la tesi difensiva avrebbero ribaltato il rigoroso orientamento giurisprudenziale espresso con la sentenza relativa alla vicenda di (Omissis); B) avrebbero altresì errato, il Tribunale prima e la Corte d'appello poi, nel ritenere l'insussistenza di profili di abnormità ed imprevedibilità nella condotta del lavoratore: la vicenda in esame non sarebbe riconducibile, con tranquillante certezza, a quella che è la sfera di rischio tipico, coperta dalle regole cautelari contestate agli imputati, in quanto sarebbe stata caratterizzata dal determinante ruolo giocato dalla fatalità; le doglianze concernenti le singole posizioni possono così sintetizzarsi: Vi. Ma. - l'operazione di apertura delle saracinesche non poteva apparire pericolosa al Vi. Ma. , in quanto normale e di routine, ed in ogni caso alla stessa non potrebbe attribuirsi rilevanza per l'impossibilità di prevedere l'eccezionale ed imponderabile tragedia, potendo razionalmente immaginare una presenza umana solo sul piano di calpestio dei capannoni ad uso porcilaia senza alcun motivo di rischio; Vi. Gi. Lu. - nominato responsabile dei lavori edili di ristrutturazione dell'azienda, aveva fatto completo affidamento sulle scelte operate dal padre Gi. , legale rappresentante dell'azienda stessa e poi deceduto nelle more del procedimento, avendo il genitore fatto un notevole investimento finanziario optando per il meglio che il mercato del settore offriva; egli non aveva peraltro mancato di assicurarsi che i lavori procedevano regolarmente sotto la effettiva supervisione tecnica dello studio Fi. (nelle persone del geom. Qu. e dell'ing. Fa. ) e dell'ing. De. Ro. ; laddove aveva permesso l'esecuzione della modifica del tratto terminale della rete fognaria, aveva fatto affidamento sulla competenza degli altri soggetti cui spettavano le scelte tecniche che egli non avrebbe potuto sindacare non essendo gravato da alcun obbligo al riguardo; comunque anch'egli, confidando nella totale sicurezza del cantiere, non avrebbe potuto prevedere quella imponderabile tragedia; Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. , soci della SC. - sarebbe insussistente l'addebito mosso agli stessi circa la mancata predisposizione di un servizio igienico a disposizione degli operai, essendo risultata pacifica l'esistenza di un bagno all'interno del vecchio capannone nel terreno di proprietà Vi. , distante all'incirca cento metri dal luogo dell'incidente; ed in ogni caso, pur a voler ipotizzare l'inosservanza del precetto "de quo" da parte loro, non sarebbe possibile ricondurre l'evento in questione alla connessa cornice di rischio specifico: avrebbero errato i giudici del merito nel sostenere che la previsione legislativa in argomento sarebbe una disposizione di carattere esplicitamente antinfortunistico; non possedendo specifiche competenze in tema di porcilaie e liquami, confidavano nella competenza degli esperti tecnici del settore e, quindi, nella non-pericolosità dell'intervento difforme, e non erano a conoscenza che l'eventuale pericolosità del sito sarebbe stata esclusivamente determinata dal periodico azionamento dello scarico dal capannone già funzionante, dal convogliamento nel canalone (a mezzo della bretella) dei gas prodotti e dalla accidentale contestuale presenza in loco di un loro dipendente. Fi. Fa. e De. Ro. Fl. , dopo aver descritto i luoghi e le modalità della realizzazione di smaltimento delle deiezioni zootecniche, e dopo aver accennato alla realizzazione del tratto in difformità al progetto e ricordato la dinamica della vicenda anche con il richiamo alle testimonianze assunte ed alle altre acquisizioni probatorie, hanno dedotto, con separati atti di impugnazione caratterizzati da ampie e diffuse argomentazioni e richiamo alla giurisprudenza di legittimità, censure - di violazione di legge e vizio motivazionale, in relazione agli addebiti loro mossi con riferimento alle rispettive specifiche posizioni soggettive, reiterando sostanzialmente le tesi difensive già sostenute in sede di merito - concernenti la ritenuta cooperazione colposa, l'elemento psicologico del reato, le specifiche competenze in relazione al ruolo rivestito ed ai connessi obblighi, il tema della prevedibilità dell'evento in concreto verificatosi in relazione al dovere di tutela nell'applicazione di norme cautelari. Le Parti Civili hanno poi depositato memoria difensiva con articolate argomentazioni - caratterizzate anche dal richiamo alle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado ed a taluni precedenti della giurisprudenza di legittimità - finalizzate a contrastare le censure dedotte dai singoli ricorrenti. Hanno formalmente rinunciato alla prescrizione i ricorrenti Vi. Ma. , Vi. Gi. Lu. , Ba. Gi. , Ca. Ga. , La. Ug. .



Diritto


Ritiene il Collegio che preliminarmente - avuto riguardo al "tempus commissi delicti" ((Omissis)), al titolo del reato (omicidio colposo, aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche) ed alla pena edittale per lo stesso prevista - occorre verificare se, alla data della odierna udienza, sia interamente decorso il termine massimo di prescrizione (sette anni e sei mesi).

Ciò posto, va rilevata l'intervenuta prescrizione, dovendo trovare applicazione l'articolo 157 cod. pen. nella formulazione anteriore alle modifiche di cui alla Legge n. 251 del 2005 (cd. legge "ex Cirielli"), trattandosi di termine prescrizionale più favorevole avuto riguardo alla valutazione di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata (termine di prescrizione pari ad anni sette e mesi sei); detta causa estintiva del reato deve invero ritenersi verificata pur tenendo conto del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte - con sentenza (imp. Cremonese) del 28 novembre 2001, depositata l'11 gennaio 2002 - in tema di sospensione del decorso del termine di prescrizione in conseguenza di impedimento dell'imputato o del suo difensore: tenuto conto delle cause di sospensione, la data di prescrizione del reato va posta al 22.5.2010, dunque in epoca immediatamente posteriore alla decisione di secondo grado, che è stata pronunciata il 3.5.2010. Mette conto sottolineare peraltro che i ricorrenti Vi. Ma. , Vi. Gi. Lu. , Ba. Gi. , Ca. Ga. , La. Ug. hanno rinunciato alla prescrizione con formale dichiarazione pervenuta a questo ufficio. Va altresì precisato che il diritto di rinuncia alla prescrizione può essere esercitato solamente dopo che la prescrizione stessa sia maturata, in quanto solo da quel momento l'interessato può valutarne gli effetti: nel caso in esame, tale condizione di anteriorità della rinuncia alla prescrizione si è, per l'appunto, verificata.

Per quel che riguarda gli altri ricorrenti che non hanno rinunciato alla prescrizione ( De. Ro. e Fi. ), occorre adesso verificare se, avuto riguardo ai motivi dedotti dai ricorrenti stessi in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d'Appello di Ancona nell'impugnata sentenza, i ricorsi presentino profili di inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perchè basati su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità). Orbene, i ricorsi non presentano esclusivamente connotazioni di inammissibilità (ravvisagli, queste, certamente nelle censure relative alle valutazioni probatorie, in quanto concernenti apprezzamenti di merito incensurabili in sede di legittimità); essi sono basati anche su doglianze (non manifestamente) infondate, quanto meno nella parte relativa alle deduzioni con le quali sono state affrontate tematiche di ordine giuridico. Nè sono riscontrabili nella impugnata sentenza della Corte distrettuale elementi di giudizio idonei a riconoscere la prova evidente dell'innocenza dei prevenuti ai fini e per gli effetti di cui all'articolo 129 cod. proc. pen.. Nei confronti dei ricorrenti De. Ro. e Fi. deve essere dunque pronunciata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione: essendo stata confermata nei confronti di detti imputati, con la sentenza oggetto dei ricorsi, la condanna al risarcimento dei danni cagionati dal reato, già pronunciata dal primo giudice, la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione comporta la necessità di esaminare le doglianze dei ricorrenti ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (articolo 578 c.p.p.). Nei confronti dei ricorrenti che hanno rinunciato alla prescrizione bisogna procedere al vaglio delle censure da loro dedotte per valutarne la fondatezza o meno anche sotto il profilo penale.

Tutto ciò premesso - e risultando non contestate e non controverse la dinamica del fatto, le relative modalità e la causa del decesso - va rilevata la infondatezza delle doglianze dedotte da tutti i ricorrenti.

Vanno ovviamente trattate unitariamente, per ragioni di economia espositiva, le censure comuni a tutti i ricorrenti, con particolare riferimento alla cd. concretizzazione del rischio ed alla condotta del lavoratore, temi che costituiscono il "cuore" del processo e sui quali si sono sostanzialmente soffermati a lungo tutti i ricorrenti, con diffuse prospettazioni, in pratica tra loro sovrapponigli, nonostante qualche sfumatura peraltro non dirimente.

Deve altresì sottolinearsi che le doglianze mosse alla sentenza impugnata vanno esaminate con riferimento anche alla sentenza di primo grado: trattasi invero di una doppia conforme, per cui la completissima ed articolata decisione di primo grado e la più celere decisione di secondo grado, si saldano reciprocamente dando vita ad un "unicum" al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (cfr: Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497; Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 Ud. - dep. 05/12/1997 - Rv. 209145).

Non è dato riscontrare nell'impugnata sentenza l'errore concettuale prospettato dalla difesa dei ricorrenti secondo cui i giudici del merito avrebbero aderito all'arresto giurisprudenziale sulla cd. vicenda (Omissis) che dovrebbe considerarsi superato per essersi verificato un vero e proprio revirement, un ribaltamento dell'originario indirizzo interpretativo: ribaltamento che sarebbe dimostrato dalle sentenze evocate dalla difesa e sottoposte al giudice di appello.

Per quel che riguarda la sentenza relativa alla vicenda (Omissis), i ricorrenti hanno inteso riferirsi alla sentenza di questa Quarta Sezione n. 4675 del 17/05/2006 Ud. - dep. 06/02/2007 - Rv. 235661 (P.G. in proc. Bartalini e altri) emessa, appunto, in relazione al cd. caso di (Omissis), con la quale è stato enunciato il principio così massimato: "in tema di delitti colposi, ai fini dell'elemento soggettivo, per potere formalizzare l'addebito colposo, non è sufficiente verificare la violazione della regola cautelare, ma è necessario accertare che tale regola fosse diretta ad evitare proprio il tipo di evento dannoso verificatosi, altrimenti si avrebbe una responsabilità oggettiva giustificata dal mero "versari in re illicita". Ne consegue che occorre verificare la cosiddetta "concretizzazione del rischio" (o "realizzazione del rischio"), che si pone sul versante oggettivo della colpevolezza, come la prevedibilità dell'evento dannoso si pone più specificamente sul versante soggettivo e la relativa valutazione deve prendere in considerazione l'evento in concreto verificatosi per accertare se questa conseguenza dell'agire rientrava tra gli eventi che la regola cautelare inosservata mirava a prevenire".

Orbene, nulla autorizza a trarre da tale principio la lettura riduttiva della sua applicazione fornita dai ricorrenti: trattasi, invero, di decisione la cui portata risulta tuttora integra.

La sentenza Ba. , come si legge nella motivazione della stessa, ha fornito una soluzione equilibrata del problema della concretizzazione del rischio, laddove è stato precisato che "l'evento deve rientrare nel "tipo" di eventi che la norma cautelare mira(va) a prevenire (per esempio il pericolo per la vita del soggetto tutelato o un grave danno alla sua salute) ma questi eventi non devono avere carattere di eccezionalità. L'agente è rimproverabile se agisce in contrasto con le regole cautelari sapendo o dovendo sapere che la sua condotta può avere conseguenze dannose anche se questi esiti della condotta non sono determinabili preventivamente purchè si tratti di conseguenze del tipo di quelle prese in considerazione nel momento in cui la regola cautelare è stata redatta anche se non ancora interamente descritte e conosciute". Pur dando atto della "problematicità della soluzione", dunque, la sentenza Ba. , in motivazione, congruamente ritiene che "il principio della concretizzazione del rischio deve essere inteso con criteri di ragionevolezza interpretando la regola cautelare non in senso formale e statico ma secondo la sua ratio e secondo criteri che tengano conto dell'evoluzione delle conoscenze e della possibilità di ricondurre comunque l'evento alle conseguenze della violazione della regola di condotta, anche se infrequenti e non previste anticipatamente, purchè non siano completamente svincolate dallo scopo perseguito nella redazione della regola cautelare". Ancora, con la sentenza Ba. , è stato sottolineato che, di volta in volta, "... occorre verificare se la regola cautelare è stata dettata per impedire il verificarsi di uno specifico evento preventivamente individuato o per uno spettro più ampio di eventi determinato soltanto nel tipo. Esistono, infatti, regole di condotta ad ampio spettro che si limitano a dettare la regola di condotta in relazione all'astratta possibilità del verificarsi di eventi dannosi alcuni dei quali possono essere ancora ignoti..."; "... e sarebbe veramente singolare che una condotta imposta in presenza di determinati presupposti ... sia ritenuta incolpevole per aver provocato la conseguenza di cui il legislatore non aveva tenuto conto perchè non conosciuta al momento della formulazione originaria della norma: norma che pertanto sia stata dettata in termini generali e aspecifici proprio perchè tutte le conseguenze dell'esposizione non erano ancora conosciute (e verosimilmente mai lo saranno)". Dunque, nel caso di violazione della regola cautelare, allorchè la norma sia redatta in previsione di uno specifico, determinato evento, il verificarsi di un evento completamente diverso consente di affermare soltanto l'esistenza del versar in re illicita; ma quando si tratta di regola cautelare aperta, occorre valutare se l'evento concretamente verificatosi non sia completamente diverso da quelli presi in considerazione nella formulazione della regola di cautela e non costituisca sviluppo eccezionale della violazione: in tal caso, osserva la sentenza Ba. , "... la condotta dell'agente è rimproverabile perchè era prevedibile che esistessero conseguenze eventualmente non ancora conosciute o descritte del medesimo tipo".

Ciò posto, mette conto sottolineare che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, siffatto orientamento non risulta contraddetto dai successivi interventi interpretativi di questa Quarta Sezione che più specificamente si sono occupati della regola della concretizzazione del rischio. Basti ricordare, tra le altre, le seguenti decisioni: Sez. 4, n. 36857 del 23/04/2009 Ud. (dep. 22/09/2009) Rv. 244979, secondo cui "la responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire (cosiddetta causalità della colpa), poichè alla colpa dell'agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare. (Nella specie, la Corte ha confermato il proscioglimento dell'imputato, poichè si era accertato che il pieno rispetto delle regole cautelari - la cui violazione era stata contestata - non avrebbe evitato il verificarsi dell'evento)"; Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009 Ud. (dep. 17/11/2009) Rv. 245526 (Imp. Mo. ), con la quale è stato precisato che "la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso." Si tratta di decisioni che, all'evidenza, non contraddicono affatto le linee interpretative tracciate dalla sentenza Ba. . La sentenza Mo. , in particolare, disegna perfettamente il percorso della verifica causale: l'applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsivoglia automatico addebito di responsabilità, a carico di chi pure ricopre la posizione di garanzia, imponendo la verifica in concreto della violazione da parte di tale soggetto della regola cautelare (generica o specifica) e della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire (la cd. "concretizzazione" del rischio). Occorre cioè chiedersi, precisa la sentenza Mo. , se l'evento dannoso fosse o no prevedibile ex ante: ciò in quanto l'inosservanza delle regole cautelari può dare luogo ad una responsabilità colposa soltanto per gli eventi che le regole stesse miravano ad evitare. Ed occorre altresì chiedersi se una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) avrebbe o no evitato l'evento: ciò in quanto si può formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative, probabilità di scongiurare il danno. Rispetto a tale impostazione ermeneutica non presentano affatto valenza contraria e dirompente le decisioni di questa Corte - richiamate in particolare nei ricorsi Vi. , Ba. , Ca. e La. - in cui è dato ravvisare, in fattispecie di diversa e più contenuta complessità, soltanto, la ripetizione della regola base della concretizzazione del rischio e non certo la contraddizione dell'interpretazione fornita dalla decisione Ba. (Sez. 4, n. 19512 del 14/02/2008 Ud. - dep. 15/05/2008 - Rv. 240172, P.C. in proc. Aiana; Sez. 4, a 4675 del 05/12/2008 Ud. - dep. 03/02/2009 - Rv. 243647 Imp. Cacioppo e altri; Sez 4, n. 39882 del 01/10/2008 Ud. - dep. 23/10/2008 - Rv. 242124 Imp. Zocco e altro; Sez. 4 n. 24051 del 18/03/2004 Ud. - dep. 26/05/2004 - Rv. 228585, Imp. Fatuzzo ed altro). Muovendo da tali premesse, appare evidente che, nella concreta fattispecie, il nodo cruciale sia da individuarsi non tanto nella ragione per la quale la vittima fosse scesa nel cunicolo, quanto piuttosto nel fatto che proprio quel luogo era stato reso in concreto pericoloso dal comportamento improvvido di chi doveva garantire la sicurezza dei lavoratori: l'omessa informazione connessa ai rischi insiti all'interno del cunicolo; l'irresponsabile condotta attiva di modifica della conduttura rispetto al progetto originario; la mancata predisposizione di servizi igienici atti a garantire, in prossimità del luogo di lavoro, la sicurezza nell'espletamento di bisogni fisiologici. Ed è bene sottolineare che la ratio dell'ultima regola cautelare, quella che impone la predisposizione di idonei servizi igienici nel cantiere e nelle immediate vicinanze dei lavoratori, non è solo quella della mera garanzia dell'igiene, ma quella di un vero e proprio presidio antinfortunistico, come opportunamente sottolineato nella sentenza di primo grado del tribunale di Fermo: "la previsione dei servizi igienici sul luogo di lavoro rientra tra gli elementi indispensabili da prevedere........quale disposizione di carattere esplicitamente antinfortunistico, e non di mera igiene sul lavoro, rispondendo alla ratio di evitare che i lavoratori dei cantieri edili temporanei, per l'assenza dei servizi igienici, siano costretti ad esporre a rischio la loro incolumità per trovare un posto ove, senza allontanarsi dal luogo di lavoro, abbiamo la possibilità di provvedere alle proprie esigenze e nel contempo tutelare il pudore" (pag. 41 della sentenza di primo grado). Di tal che, non assume alcun rilievo, nella concreta fattispecie, la circostanza che vi fosse un bagno in un vecchio capannone, peraltro neanche nelle immediate vicinanze del cantiere: mette conto sottolineare, in proposito, che detto bagno - indicato agli Ispettori ASL, intervenuti dopo il fatto, in un edificio individuato nella planimetria come edificio N - fu ritenuto dagli ispettori stessi non idoneo in quanto, data la distanza di circa 300 metri, non poteva assolvere alla sua funzione di pertinenza del cantiere (pag. 21 della sentenza impugnata; nella sentenza di primo grado risulta altresì precisato, a pag. 40, che - a parte la distanza di alcune centinaia di metri - al bagno in argomento era possibile accedere "attraverso una strada scoscesa ed in rilevante salita, all'interno di una casa diroccata").

Con motivazione congrua e logica i giudici di merito hanno dunque esaminato il punto relativo all'interrogativo nodale: nel caso in esame, se fosse stata rispettata la regola, invece violata, l'evento specifico sarebbe stato evitato (con certezza ovvero con alto grado di probabilità)? Ed hanno dato, all'interrogativo stesso, risposta affermativa, altresì congruamente chiarendo che nella concreta fattispecie è riscontrabile la cd. "causalità della colpa", perchè la violazione delle regole cautelari ha determinato proprio la concretizzazione del rischio che esse miravano a prevenire.

Da quanto detto emerge che la motivazione della sentenza - laddove è stata riscontrata la colpa nelle condotte degli imputati e la loro efficienza causale - appare coerente e priva di vizi logici.

La decisione impugnata ha altresì correttamente spiegato come non possa ipotizzarsi un caso di interruzione del nesso causale, posto che non può ritenersi assolutamente imprevedibile la condotta del lavoratore Ma. Ro. - il quale era in condizioni di assoluta efficienza fisica - solo perchè, per accedere al canale, egli dovette rimuovere una griglia del peso di circa 60 chili (senza peraltro sollevarla del tutto, ma solo quanto bastava per essere sovrapposta sulla grata adiacente, ed essere lì evidentemente con maggiore facilità trascinata, per ricavarsi la buca di ingresso: pag. 27 della sentenza impugnata). Come osservato dai giudici di merito, imprevedibile non è, e non può essere, all'interno di un cantiere ancora attivo, la scelta di un luogo non impervio, nè inaccessibile - nè oggettivamente protetto da efficiente ed idonea chiusura - che non necessitava di particolari attrezzature per la rimozione: si trattava di un canale non ancora adibito a fogna e, per tale ragione, assolutamente neutro in quanto da nessuno indicato come fonte di pericolo.

Quanto al nesso di causalità, non deve invero confondersi il concetto di anomalia del comportamento della vittima con quello della sua imprevedibilità. è jus receptum che, in tema di nesso di causalità, la colpa della vittima non può costituire causa (unica e) determinante dell'evento in una situazione di pericolo posta in essere dall'imputato; la causa sopravvenuta, infatti, può essere considerata causa esclusiva dell'evento quando, rispetto alla serie causale precedente, presenti i caratteri della assoluta anormalità o della eccezionalità e non può dirsi eccezionale - e deve riconoscersi, invece, logicamente inserita nella precedente serie - la condotta di chi, dovendo legittimamente attendersi, in una situazione data, di essere tutelato, debba prendere atto della mancata predisposizione delle misure di tutela ed adotti un comportamento non in grado - sia pure, magari, per imprudenza o imperizia - di evitare il pericolo che altri era tenuto a non creare. L'inosservanza delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento del lavoratore, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. in tal senso Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109, imp.: Masi e altro).

Ma anche sotto altro profilo, parimenti rilevante, la decisione impugnata, si pone in sintonia con i principi enunciati da questa Corte.

E' stato infatti precisato, e più volte ribadito, che in tema di delitti colposi, nel giudizio di "prevedibilità", richiesto per la configurazione della colpa, va considerata anche la sola possibilità per il soggetto di rappresentarsi una categoria di danni, sia pure indistinta, potenzialmente derivante dalla sua condotta, tale che avrebbe dovuto convincerlo ad adottare più sicure regole di prevenzione: in altri termini, ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione "ex ante" dell'evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravita ed estensione (così, Sez. 4, n. 40785 del 19/06/2008 Ud. - dep. 31/10/2008 - Rv. 241470; conf., oltre alla sentenza Bartalini sopra già più volte ricordata, anche: Sez. 4, n. 2147 del 22/11/1996 Ud. - dep. 06/03/1997 - Rv. 207573). In altri termini, come condivisibilmente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, "in tema di colpa, la prevedibilità dell'evento può riconnettersi anche solo alla possibilità che lo stesso si verifichi, purchè tale possibilità riveli in maniera comunque concreta le potenzialità dannose della condotta dell'agente. In tal senso, quando si verte in materia di tutela della vita e della salute dei consociati, il rischio che l'agente deve rappresentarsi può ritenersi concreto anche solo laddove la mancata adozione di cautele preventive possa indurre un dubbio non meramente congetturale sulla possibile produzione di conseguenze dannose" (così, Sez. 4, n. 5117 del 22/11/2007 Ud. - dep. 01/02/2008 - Rv. 238777, imp. Biasotti e altri). Di tal che - al fine di ascrivere a titolo di colpa l'evento cagionato al soggetto attivo - la prevedibilità dell'evento deve coniugarsi all'evitabilità dell'evento, che si dimostra allorchè un comportamento alternativo corretto sarebbe stato in concreto idoneo ad evitare l'evento dannoso (così, Sez. 4, n. 25648 del 22/05/2008 Ud. - dep. 24/06/2008 - Rv. 240859, imp. Ottonello e altro).

Nel caso di specie il complesso motivazionale dei giudici di merito ha compiutamente delibato la fattispecie quanto ai profili elencati.

Nè ha pregio evocare, come prospettato dal ricorrente Vi. Gi. Lu. , il principio di affidamento. In tema di rapporto di causalità - in particolare, nel reato omissivo improprio - non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte, confidando che altri rimuova o neutralizzi la situazione di pericolo o adotti dei comportamenti idonei a prevenirlo, posto che in tali casi il mancato intervento del terzo non si configura come fatto eccezionale ed imprevedibile sopravvenuto da solo sufficiente a produrre l'evento. Giova ricordare il consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità in relazione all'ipotesi in cui vi sia una pluralità di garanti: "Se più sono i titolari della posizione di garanzia od obbligo di impedire l'evento, ciascuno è, per intero, destinatario di quell'obbligo, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente e adeguatamente intervenuto. Se uno dei garanti è intervenuto e l'altro o gli altri, resi edotti dell'intervento e del tipo di intervento, hanno le capacità tecniche per rendersi conto dei limiti, delle insufficienze di quell'intervento, gli stessi non hanno il diritto di confidare nell'efficacia di quel precedente intervento, anche se effettuato da chi aveva specifiche capacità tecniche, sicchè versano in colpa se confidano nello stesso" (in termini, "ex plurimis", Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990 Ud. - dep. 29/04/1991 - Rv. 191802: conf: Sez. 4, n. 8593 del 22/01/2008 Ud. - dep. 27/02/2008 - Rv. 238936; Sez. 4, n. 46515 del 19/05/2004 Ud. - dep. 01/12/2004 - Rv. 230398).

E' stato inoltre precisato in giurisprudenza che le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità non sono solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall'agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente. Come rimarcato da questa Quarta Sezione con la sentenza n. 39617/2007 (Rv. 237659, imp. Tamborini), il problema dell'interpretazione dell'articolo 41 cod. pen., comma 2, secondo l'opinione maggiormente seguita, è quello di temperare il rigore che deriverebbe da una meccanica applicazione del principio generale contenuto nell'articolo 41 cod. pen., comma 1 che si ritiene abbia accolto il principio condizionalistico o dell'equivalenza delle cause (condicio sine qua non): il nesso di condizionamento esiste, e la condotta può essere considerata causa di un evento, se non può essere mentalmente eliminata senza che l'evento venga meno.

Quando si parla di interruzione del rapporto causale, si ha riguardo anche ad un processo non completamente avulso dall'antecedente ma caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale: deve trattarsi di un evento che si verifica solo in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. è noto l'esempio riportato nella relazione ministeriale al codice penale: l'agente ha posto in essere un antecedente dell'evento (ha ferito la persona offesa) ma la morte è stata determinata dall'incendio dell'ospedale nel quale il ferito era stato ricoverato: il che, non solo non costituisce il percorso causale tipico (come, per es., il decesso a seguito del ferimento) ma realizza una linea di sviluppo del tutto anomala della condotta, imprevedibile in astratto e imprevedibile per l'agente che non può anticipatamente rappresentarla come conseguente alla sua azione od omissione. Questa elaborazione del concetto di causa sopravvenuta è stata, in più occasioni, ribadita nella giurisprudenza di legittimità (cfr, "ex plurimis": Sez. 1, 10 giugno 1998 n. 11024, Ceraudo; Sez. 4: 21 ottobre 1997 n. 10760, Lini; 19 dicembre 1996 n. 578, Fundarò; 6 dicembre 1990 n. 4793, Bonetti; 12 luglio 1990 n. 12048, Gotta). Concetti e principi condivisibilmente riaffermati di recente con la sentenza n. 26020 del 29/04/2009 (Rv. 243933, Imp. Cipiccia e altri) con la quale è stato ribadito che "in tema di rapporto di causalità, non può ritenersi causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento il comportamento imprudente di un soggetto che trovi la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui, la quale abbia posto in essere le premesse su cui si innesta il suo errore o la sua condotta negligente". Fermo restando che la natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto è tuttavia un tipico accertamento devoluto al giudice del merito che deve logicamente motivare il suo convincimento sul punto: orbene, nel caso in esame, non può certo dirsi che tale accertamento sia mancato da parte dell'articolato complesso motivazionale di merito (risultante dalla reciproca integrazione delle sentenze di primo e secondo grado) che in modo del tutto logico ha assunto che, in nessun senso razionale, nel caso di specie, potrebbe ipotizzarsi una qualsivoglia interruzione del nesso causale.

Per quel che riguarda le ulteriori censure dei ricorrenti, i relativi temi sono stati diffusamente esaminati nelle due decisioni di merito rispetto alle quali i ricorrenti stessi hanno inteso proporre a questa Corte un inammissibile intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto al congruo argomentare del complesso motivazionale di merito. è opportuno altresì sottolineare che il giudice di seconda istanza non era tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti formulate in sede di appello ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali; la Corte di merito, sia pure con andamento sintetico - e facendo ricorso in modo espresso alla tecnica della motivazione per relationem - ha provveduto ad una valutazione globale di deduzioni e risultanze processuali, ed ha spiegato, in modo logico e adeguato, seguendo il percorso argomentativo innanzi ricordato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; di tal che, debbono considerarsi implicitamente superate dalla decisione impugnata le deduzioni difensive che, anche se non espressamente esaminate, appaiono logicamente delibate dalla stesa decisione adottata dalla Corte di merito.

Solo talune ulteriori precisazioni si impongono, ancora, per completezza argomentativa.

Priva di fondamento risulta la tesi difensiva del Fi. secondo cui nei suoi confronti non sarebbero ravvisabili profili di colpa anche perchè non sarebbe stato a conoscenza della modifica del canale di raccordo dello speco fognario al collettore principale in quanto apportata solo il giorno prima dell'infortunio mortale "de quo": innanzi tutto, risulterebbe già di per sè assorbente la mancata predisposizione di idonei servizi igienici, anche a lui addebitabile (e contestata nella prima parte del capo di imputazione, quella ascritta a "tutti" gli imputati) nella sua veste di progettista e direttore dei lavori; in secondo luogo, come ricordato nella sentenza impugnata, il Fi. stesso non poteva chiamarsi fuori rispetto alla difforme realizzazione del raccordo del fabbricato C al collettore principale, essendovi "coerenza tra le dichiarazioni di Vi. Gi. (secondo cui l'ing. Fi. approvò la variante) e la sua qualità specifica di direttore dei lavori "(cfr. pag. 29 della sentenza impugnata).

Lo stesso dicasi per l'ing. De. Ro. . Anch'egli, nella sua veste di coordinatore per la sicurezza, era responsabile della mancata previsione di servizi igienici adeguati; ed a prescindere dalla conoscenza della difforme esecuzione del canale di raccordo dello speco fognario al collettore principale, non avrebbe dovuto assolutamente "autorizzare l'inizio dell'attività prima di ogni verifica di funzionamento e collaudo dell'impianto, dovendo anzi fin da subito impartire rigorose disposizioni per evitare la vicinanza di persone a canali, pozzetti e sfiati.., nelle conseguenti e prevedibili interferenze tra l'una e l'altra attività, alla cui regolamentazione egli era istituzionalmente preposto" (pag. 30 della sentenza impugnata).

Con riferimento alle posizioni del Fi. e del De. Ro. , deve ancora aggiungersi che, secondo quanto dedotto con i motivi di appello da Vi. Gi. Lu. , quest'ultimo si era accertato che "i lavori procedessero regolarmente sotto la effettiva supervisione tecnica dello studio tecnico Fi. nelle figure del geom. Qu. e dell'ing. Fa. e dell'ing. De. Ro. . Cosicchè nulla veniva fatto senza la preventiva approvazione del direttore dei lavori ing. Fi. e del coordinatore per la sicurezza ing. De. Ro. " (pag. 9 della sentenza della Corte d'Appello).

Neppure la tesi difensiva del Vi. Ma. - in relazione alla sua specifica posizione ed alla sua condotta - può trovare condivisione. Innanzi tutto, oltre ad essere addetto al lavoro presso l'allevamento suinicolo in funzione, anch'egli era socio dell'azienda agricola, con le annesse responsabilità; ed in secondo luogo fu proprio lui ad attivare lo scarico dei liquami, non potendo ignorare i pericoli che da ciò potevano derivate tenuto conto del percorso che i liquami avrebbero dovuto seguire e dei danni che le loro esalazioni avrebbero potuto causare, nel contesto di un cantiere in piena attività (con la presenza di lavoratori, anche sul piano di calpestio adiacente il canale): basti pensare che quando la dott.ssa F. F. e l'infermiere At. Ma. erano giunti sul posto - a seguito della chiamata di emergenza appena dopo il fatto - "gli stessi avevano avvertito, rimanendo all'aperto nei pressi dello speco fognario, un intollerabile lezzo che aveva procurato loro malessere, nausea e lieve cefalea" (pag. 23 della sentenza della Corte d'appello). La condotta e la colpa del Vi. Ma. risultano evidenziate inequivocabilmente a pag. 62 della sentenza di primo grado (che, come innanzi detto, integra quella d'appello) laddove si legge testualmente quanto segue: "....se l'imputato avesse, doverosamente, prima e durante il fatale scarico di liquami dato adeguato avvertimento di non avvicinarsi alle fonti di esalazione, che potevano essere mortali; se si fosse fatto parte diligente per evitare che tale condotta pericolosa, a cantiere aperto, coinvolgesse persone presenti, a qualsiasi titolo, in prossimità delle esalazioni venefiche, l'evento non si sarebbe verificato". Conclusivamente: vanno rigettati i ricorsi di Vi. Ma. , Vi. Gi. Lu. , Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. , agli effetti penali ed agli effetti civili avendo costoro rinunciato alla prescrizione; deve pronunciarsi sentenza di annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza nei confronti dei ricorrenti Fi. Fa. e De. Ro. Fl. , perchè estinto il reato loro ascritto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili posto che, sulla scorta di tutte le considerazioni dianzi esposte nell'esaminare le doglianze dedotte da tutti i ricorrenti, risulta acquisita la prova della responsabilità ai fini civili ex articolo 578 c.p.p. anche dei ricorrenti Fi. e De. Ro. i quali non hanno rinunciato alla prescrizione.

Vi. Ma. , Vi. Gi. Lu. , Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. vanno condannati al pagamento delle spese processuali; detti ricorrenti, nonchè i ricorrenti Fi. Fa. e De. Ro. Fl. , vanno condannati, in solido, alla rifusione delle spese in favore delle parti civili: di Ne. Fa. , e liquida le stesse in euro 2.750,00 complessivi oltre accessori come per legge; di Ne. Gi. e Ne. Sa. e liquida le stesse in complessivi euro 3.300,00 oltre accessori come per legge; di Ne. Lo. e Ma. La. e liquida le stesse in euro 3.300,00 oltre accessori come per legge; di Ma.Ca. , Ma.Ig. e Il.Vi. e liquida le stesse in euro 3.850,00 oltre accessori come per legge.



P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè il reato è estinto per prescrizione nei confronti di Fi. Fa. e di De. Ro. Fl. , ferme restando le statuizioni civili: rigetto i ricorsi di Vi. Ma. , Vi. Gi. Lu. , Ba. Gi. , Ca. Ga. e La. Ug. e condanna gli stessi al pagamento delle spese processuali; condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese in favore delle parti civili: di Ne. Fa. , e liquida le stesse in euro 2.750,00 complessivi oltre accessori come per legge; di Ne. Gi. e Ne. Sa. e liquida le stesse in complessivi euro 3.300,00 oltre accessori come per legge; di Ne. Lo. e Ma. La. e liquida le stesse in euro 3.300,00 oltre accessori come per legge; di Ma.Ca. , Ma.Ig. e Il.Vi. e liquida le stesse in euro 3.850,00 oltre accessori come per legge.