Cassazione Civile, 23 gennaio 2012, n. 856 - Infortunio sul lavoro e azione di regresso dell'Inail




 

 

Fatto

 

 

Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Caltanisselta confermava la statuizione di primo grado con cui era stata rigettata la domanda di regresso dell'Inail nei confronti di G. S., datore di lavoro di N. R., il quale, il 4 marzo 1998, aveva subito un infortunio sul lavoro cadendo nel mentre eseguiva i lavori di disarmo della carpenteria in legno posta sulla pensilina a tetto sita al terzo piano di un edificio in costruzione. La Corte territoriale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro si basava sulla deposizione di un collega di lavoro, il quale aveva riferito che l'infortunio si era verificato quando lui ed il G. si erano allontanati dal cantiere e che aveva sentito il G. medesimo incaricare il N. di ripulire le tavole già smontate. Il medesimo teste aveva precisato che il giorno precedente erano state smontate le prime due pensiline e che rimaneva da smontare l'ultima, lavoro però che non poteva essere compiuto da un solo operaio. Rilevava quindi la Corte territoriale non essere stato accertato che l'incarico ricevuto dall'infortunato fosse proprio quello di smontare la pensilina, ossia di compiere una lavorazione per la quale erano necessarie idonee misure dì sicurezza per evitare il pericolo di cadute nel vuoto. Per cui, in assenza di una precisa direttiva in tal senso, la responsabilità dell'infortunio non poteva essere ascritta al G..

Avverso detta sentenza l'Inail ricorre con unico complesso motivo, illustrato da memoria. Il G. è rimasto intimato.


Diritto

 

L'Inail, censurando la sentenza per violazione degli artt. 10 e 11 dpr 1124/65, 1218 e 2087 cod. civ. 10, 16, 25 e 28 dpr 164/1956, 4 dpr 547/55, 444 c.p.p. e 116 cod. proc. civ. e difetto di motivazione, sostiene che la sentenza impugnata non si sarebbe conformata alla giurisprudenza che, in caso di infortunio sul lavoro, esclude la responsabilità del datore solo in caso di dolo o di rischio elettivo del lavoratore. Nella specie l'infortunio si era verificato nell'esercizio di mansioni che non risultavano estranee alla qualifica di carpentiere del N..

La Corte territoriale inoltre non avrebbe considerato l'esistenza della sentenza di patteggiamento del G., che, pur non rivestendo efficacia di giudicato, abilita il giudice civile a conoscere incidenter tantum la responsabilità.

La censura è fondata.

1. La giurisprudenza di questa Corte ( cfr. Cass. n. 11986 del 17/05/2010, e n. 10950 del 2000) afferma che l'azione di regresso che l'I.N.A.I.L. promuove, ai sensi degli artt. 11 e 112, u.p., del d.P.R. n. 1124 del 1965 ha una sua peculiarità ed autonomia. Essa è concessa all'Istituto in funzione delle sue finalità istituzionali ed è esperibile contro il datore di lavoro responsabile del fatto da cui è derivato l'infortunio, attuando un autonomo diritto dell'Ente derivante dal rapporto assicurativo. Presupposto del diritto di regresso è, secondo la sua specifica disciplina, che il fatto di cui il datore di lavoro deve rispondere civilmente costituisca reato perseguibile di ufficio. Per effetto degli interventi della Corte costituzionale (in particolare, si vedano le sentenze n. 102 del 1981, n. 118 del 1986 e n. 372 del 1988) l'accertamento giudiziale dell'obbligazione del datore di lavoro può avvenire sia in sede penale che in sede civile. Il processo penale, infatti, si può chiudere con sentenza di condanna o di assoluzione che non fa stato, rispettivamente, nei confronti del datore di lavoro o dell'Inail, rimasti estranei al giudizio, e in tal caso l'accertamento deve essere fatto nel giudizio civile. Ne consegue che le azioni in sede civile possono essere esperite indipendentemente dal processo penale, salvo il riscontro dell'eventuale pregiudizialità penale. Egualmente, l'accertamento deve farsi esclusivamente in sede civile quando, per qualsiasi causa, non sia stato fatto in sede penale e lo stesso avviene se un procedimento penale non si è mai aperto per difetto della relativa notitia criminis.

2. Discende dal sistema, dunque, che perché nasca il credito dell'Istituto verso la persona civilmente obbligata è necessario che il fatto costituisca reato perseguibile di ufficio, ma l'accertamento giudiziale, sempre che si renda necessario in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore o di bonario componimento della lite, può avvenire sia in sede civile che in sede penale.

3. Nella specie va considerato che con la sentenza di questa Corte n. 14997 del 2011 è stato accolto il ricorso proposto dal lavoratore infortunato N. R. avverso la sentenza della Corte d'appello di Caltanissetta, con cui era stata rigettata la domanda da questi proposta nei confronti del G. per ottenere il risarcimento del danno biologico. Con detta sentenza si è affermato: «Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, da ultimo, Cass. 25 febbraio 2011 n. 4656) "le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile ex art. 2087 ce. dell'infortunio occorso al lavoratore sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore dall'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, essendo necessaria a tal fine una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro e, con essa, dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere".

Nel caso in esame, accertato che l'avere svolto l'attività di disarmo di una pensilina collocata in un piano alto di un edificio in costruzione aveva costituito una iniziativa del N., non richiestagli dal datore di lavoro che gli aveva affidato il diverso incarico di estrarre alcuni chiodi dalle parti di un'altra pensilina già disarmata e situata anch'essa in un piano elevato dell'edificio, ne hanno tratto la conseguenza che l'infortunio che ne era derivato non poteva essere attribuito a responsabilità del datore di lavoro. Trattasi di enunciazione meramente assertiva, non avendo la Corte territoriale preso adeguatamente in esame, sulla base del contesto in cui si era verificato l'infortunio (oltre le circostanze indicate, la qualifica di aiuto carpentiere del dipendente, età e durata del suo rapporto di lavoro e quindi la sua esperienza professionale in materia, la possibile presenza in cantiere di altri dipendenti - dalla sentenza sembra di capire che il N. vi era stato lasciato solo, mentre il datore di lavoro e il carpentiere si erano allontanati), la possibile prevedibilità della deviazione del N. -avvenuta comunque sempre all'interno del tipo di lavoro cui era addetto - dai compiti specificatamente assegnatigli, dopo lo svolgimento di questi e quindi il corretto adempimento del dovere di vigilanza gravante sul datore di lavoro in ordine all'effettiva osservanza degli incarichi impartiti, alla stregua dei principi di diritto sopra richiamati»

4. Le medesime considerazioni valgono anche nella presente causa, non avendo la Corte territoriale tutti gli clementi indicati dal citato precedente e non avendo considerato la sentenza di patteggiamento.

Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza va conseguentemente cassata, con rinvio, anche in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio, alla Corte d'appello di Palermo, che si atterrà nella nuova valutazione dei fatti al principio di diritto sopra enunciato.


P.Q.M.




Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione alla Corte d'appello di Palermo.