Cassazione Penale, Sez. 4, 10 agosto 2012, n. 32318 - Infortunio mortale in seguito allo schiacciamento da parte di una pala meccanica: responsabilità del socio


 


Responsabilità del presidente del consiglio di amministrazione nonchè legale rappresentante di una srl per infortunio mortale occorso al socio ed amministratore della società stessa, investito ed ucciso dalla pala meccanica Fiat Hitachi guidata da un operaio dipendente:  la vittima, mentre si trovava ferma sul piazzale di compostaggio dando le spalle alla macchina operatrice, veniva prima urtato con la benna e poi schiacciato, con la ruota posteriore, una volta caduto a terra.

All'imputato faceva capo ogni potere decisionale e di spesa, ad eccezione della gestione delle operazioni commerciali affidata invece alla vittima.

Condannato in primo grado, la Corte d'appello dichiarava il reato estinto per maturata prescrizione, confermando le statuizioni civili nei confronti degli appellanti: l'imputato e il responsabile civile. Ricorso in Cassazione - Rigetto.

La Corte afferma che, come evidenziato dai Giudici di seconda istanza, l'imputato versava in colpa generica e specifica, per aver omesso di:

- impartire un' adeguata formazione ed informazione all'operaio dipendente che guidava il mezzo d'opera circa le condizioni di sicurezza da osservare durante le manovre di carico della benna;


- stabilire il divieto di circolazione dei pedoni o quantomeno delimitare percorsi protetti di passaggio degli stessi sul piazzale ove era avvenuto l'incidente, sul quale, in uno spazio significativamente ristretto, si muovevano in contemporanea diversi mezzi meccanici di considerevole dimensioni, estremamente rumorosi, sì da sovrastare voci e segnali acustici i cui conducenti avevano peraltro la visuale avanti a sè, pressochè ostruita nel momento in cui dovevano girarsi in retromarcia con la benna ricolma del materiale da movimentare;


- disporre la presenza e l'intervento di un operatore a terra, visibile dal conducente della pala meccanica, che avrebbe dovuto guidarlo nell'esecuzione delle manovre, qualora vi fossero stati presenti pedoni nell'area.


Infine, come rimarcato dalla Corte distrettuale, è insussistente l'eccezionalità e l'abnormità della condotta della vittima.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Mar - Consigliere

Dott. VITELLI CASELLA Luca - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

1) (Omissis) N. IL (Omissis);

2) (Omissis) SRL;

avverso la sentenza n. 1097/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del 09/11/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI CASELLA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito, per la parte civile, l'avv. (Omissis) del foro di (Omissis) che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto

 

Con sentenza 25 giugno 2009, il Tribunale di Pavia dichiarava (Omissis) responsabile del delitto di cui all'articolo 41, articolo 589 cod. pen., commi 1 e 2, in relazione al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articoli 37, 38 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articoli 8, 11, commesso in (Omissis) ai danni di (Omissis), condannandolo alla pena di giustizia nonchè, in solido con il responsabile civile (Omissis) s.r.l., al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede eccezion fatta per una provvisionale di euro 50.000,00 accordata a ciascuna di esse, riconosciuto un concorso di colpa della vittima nella misura del 50%.

La Corte d'appello di Milano, con sentenza 9 novembre 2010, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, dichiarava il reato estinto per maturata prescrizione, confermando le statuizioni civili nei confronti degli appellanti: (Omissis) e (Omissis) s.r.l., in veste di responsabile civile.

In punto di fatto era emerso, in esito all'istruttoria, che (Omissis), socio ed amministratore della (Omissis) s.r.l., fu investito ed ucciso dalla pala meccanica Fiat Hitachi guidata da (Omissis), operaio dipendente della stessa società, mentre si trovava fermo sul piazzale di compostaggio di (Omissis), dando le spalle alla macchina operatrice che lo aveva prima urtato con la benna e poi schiacciato, con la ruota posteriore, una volta caduto a terra.

Ricorrono per la cassazione della sentenza, il (Omissis) ed il responsabile civile (Omissis) s.r.l., per tramite dello stesso difensore, articolando un unico motivo per inosservanza ed erronea applicazione della normativa in materia di nesso di causalità nonchè per manifesta illogicità della motivazione.

Sostengono i ricorrenti che, diversamente da quanto asserito da entrambi i giudici di merito, l'incidente non si verificò a causa dell'assenza di delimitazione di appositi percorsi pedonali nella zona di movimentazione del materiale (visto che il (Omissis), con i visitatori dell'impianto, era transitato in un canale laterale in cui la pala meccanica non operava) nè per l'omessa presenza di altro addetto sul piazzale (che sarebbe stato inutilmente esposto a rischi per la propria incolumità, stante il divieto di passaggio ai pedoni nell'area) ovvero per effetto dell'omessa formazione professionale od informazione da impartirsi al conducente del mezzo, che da anni svolgeva quelle stesse mansioni, bensì esclusivamente in conseguenza della condotta incomprensibile ed abnorme della stessa vittima (che doveva peraltro ritenersi il creatore ed direttore di fatto dell'impianto di (Omissis), cumulando egli il ruolo di amministratore della società e quello di vero e proprio gestore operativo della struttura) rivelatasi contraria alle istruzioni ed ai divieti dallo stesso (Omissis) impartiti, a cagione verosimilmente di un eccesso di sicurezza. Sicchè avrebbe dovuto escludersi, nel caso concreto, la cd. casualità dei profili di colpa contestati al (Omissis), dai momento che la presunta violazione delle regole cautelari non aveva rivestito alcuna efficienza causale rispetto alla verificazione dell'incidente.

Diritto

 

I ricorsi sono infondati e devono quindi, per quanto di ragione, esser respinti con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali a carico dei ricorrenti, ex articolo 616 cod. proc. pen..

In conformità dell'insegnamento delle Sezioni Unite (cfr. sentenza n. 35490 del 28 maggio 2009 - dep. 15 settembre 2009 - imp. Tettamanti), all'accoglimento del ricorso proposto nell'interesse di (Omissis) - prosciolto dalla Corte d'appello di Milano, dal reato ascrittogli, perchè estinto per prescrizione, con conferma, ex articolo 578 cod. proc. pen., delle statuizioni civili della sentenza di condanna di primo grado - potrebbe unicamente pervenirsi ove sussista, ai sensi dell'articolo 129 cpv. cod. proc. pen., prova "evidente" dell'insussistenza del fatto o della sua non commissione da parte dell'imputato o della sua irrilevanza penale, senza necessità - ovviamente - di ulteriori approfondimenti o verifiche in altra sede; prova evidente che dovrebbe emergere "positivamente; ictu oculi; in esito ad un procedimento di mera constatazione e non di apprezzamento valutativo delle risultanze probatorie già acquisite", come testualmente stabilito dalle Sezioni Unite.

Orbene,secondo le statuizioni del Giudice di prime cure, condivise dalla Corte d'appello, la responsabilità dell'imputato quanto al mortale infortunio in conformità alla contestazione era risultata fuori discussione. Il (Omissis) infatti in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e di legale rappresentante della società cui faceva capo ogni potere decisionale e di spesa, ad eccezione della gestione delle operazioni commerciali affidata invece alla vittima (Omissis), rivestiva il ruolo di datore di lavoro e di titolare della posizione di garanzia, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 4 n. 4981 del 2003). Come peraltro pacificamente accertato in esito all'istruttoria espletata, hanno invero evidenziato i Giudici di seconda istanza che il (Omissis) versava in colpa generica e specifica, per aver omesso di:

- impartire un' adeguata formazione ed informazione all'operaio dipendente che guidava il mezzo d'opera circa le condizioni di sicurezza da osservare durante le manovre di carico della benna;

- stabilire il divieto di circolazione dei pedoni o quantomeno delimitare percorsi protetti di passaggio degli stessi sul piazzale ove era avvenuto l'incidente, sul quale, in uno spazio significativamente ristretto, si muovevano in contemporanea diversi mezzi meccanici di considerevole dimensioni, estremamente rumorosi, sì da sovrastare voci e segnali acustici i cui conducenti avevano peraltro la visuale avanti a sè, pressochè ostruita nel momento in cui dovevano girarsi in retromarcia con la benna ricolma del materiale da movimentare;

- disporre la presenza e l'intervento di un operatore a terra, visibile dal conducente della pala meccanica, che avrebbe dovuto guidarlo nell'esecuzione delle manovre, qualora vi fossero stati presenti pedoni nell'area.

Infine ha rimarcato la Corte distrettuale l'insussistenza dell'eccezionalità e dell'abnormità della condotta della vittima che era solita accompagnare clienti sul luogo del sinistro. Nè poteva legittimamente giudicarsi "imprevedibile" che, durante le visite dei clienti all'impianto industriale, lo stesso "accompagnatore" (intento al momento dell'investimento ad accendersi una sigaretta) od altra persona potesse attardarsi sul piazzale, rispetto al gruppo dei visitatori "o magari inciampare". Ne discendeva che, ove fossero state attuate tutte le misure antinfortunistiche testè descritte (ed omesse), preordinate a regolamentare l'accesso dei pedoni sul piazzale ove operavano le pale meccaniche, guidate da conduttori appositamente addestrati ed informati sulle condizioni dei luoghi in cui operavano, si sarebbe potuto evitare "con grado di probabilità logica" l'incidente mortale occorso al (Omissis); ciò quindi a dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico.

Ciò posto,non pare quindi che possa esservi spazio per l'applicazione dell'articolo 129 cpv. cod. proc.pen; ciò anche con diretta ed immediata rilevanza per la posizione del responsabile civile.

La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione,sancita dalla sentenza impugnata, comporta, ex articolo 578 cod. proc. pen. l'obbligo di esaminare compiutamente i motivi di impugnazione, e, di conseguenza, anche il materiale probatorio acquisito, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (In tal senso, ex plurimis, S. U. n. 35490/2009, Tettamanti). Nè può giungersi alla conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno (sancita dal Giudice di prime cure e confermata dalla Corte d'appello) in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, ex articolo 129 cod. proc. pen., comma 2.

Quanto fin qui esposto conduce altresì alla reiezione dei ricorsi anche agli effetti civili per l'infondatezza delle dedotte censure.

Quanto ad primo profilo di doglianza, va rilevato che con esso si censura, in sostanza, in termini di mera apparenza del vizio motivazionale, l'apprezzamento delle risultanze istruttorie ed il procedimento valutativo, complessivo delle prove,compiuto dalla Corte d'appello per aver misconosciuto "l'effettività dei ruoli rivestiti in azienda dall'imputato e dalla vittima", risultando, secondo i ricorrenti "inaccettabile la circostanza che i giudici di merito abbiano sostanzialmente equiparato la posizione di un soggetto che aveva le caratteristiche ed il ruolo del povero (Omissis) a quella di un dipendente o di un terzo estraneo all'impresa".

Come già si è osservato l'apparato argomentativo della sentenza impugnata oltrechè il procedimento di valutazione delle prove (poste alla base del convincimento dei Giudici d'appello) è sorretta, sul punto, da motivazione congrua e non manifestamente illogica. Deve quindi affermarsi che il rilievo della difesa,è palesemente finalizzato a chiedere alla Corte di legittimità un inammissibile, diverso apprezzamento valutativo delle prove per testi a "preferenza" di quelle documentali a pretesa dimostrazione del ruolo rivestito dall'imputato, nell'impresa. Deve invece ribadirsi che,anche a seguito della riforma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), "non risulta istituito un terzo grado di giudizio di merito tale cioè che al Giudice di legittimità possa esser sottoposto materiale probatorio giù utilizzato dal Giudice di merito, affinchè la Corte di cassazione rinnovi la valutazione degli elementi di prova fornendone una lettura diversa da quella del giudice di merito" (cfr. Sez. 6 n.26149 del 2009). Il vizio di motivazione, poi, deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o - a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8 - da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame". Il che vuoi dire - quanto al vizio di manifesta illogicità -, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30).

Circa l'altra doglianza dedotta, concernente la presunta interruzione del nesso eziologico sui rilievo della condotta abnorme, eccezionale ed imprevedibile della stessa vittima, osserva il Collegio che anch'essa da un lato, è basata sulla deduzione di questioni di fatto finalizzate ad una "rilettura " delle risultanze, In alternativa alle valutazioni dei Giudici d'appello e, dall'altro, a fronte del giudizio cd. controfattuale esplicitato nella sentenza impugnata, si fonda sull'apodittica ed illogica affermazione dell'assoluta irrilevanza delle omissioni colpose contestate all'imputato, quali antecedenti in realtà imprescindibili dell'evento.



P.Q.M.



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.