Cassazione Penale, Sez. 4, 20 settembre 2012, n. 36273 - Macchina granigliatrice e scavalcamento della barra di acciaio: infortunio mortale


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo - Presidente

Dott. CIAMPI Frances - Consigliere

Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere

Dott. GRASSO Giusepp - Consigliere

Dott. DOVERE Salvato - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

(Omissis) N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 12438/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del 13/07/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/06/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro Aldo che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore Avv. (Omissis) che ha concluso per l'accoglimento.

Fatto

1. (Omissis), (Omissis) e (Omissis) venivano condannati dal Tribunale di Verbania per il reato di omicidio colposo in danno di (Omissis) commesso con violazione di norme prevenzionistiche. Avverso tale decisione proponevano appello gli imputati e la Corte di Appello di Torino con sentenza del 13 luglio 2011 assolveva dal reato loro ascritto il (Omissis) e (Omissis), confermando la sentenza di condanna nei confronti di (Omissis).

I giudici di merito ritenevano accertato che il (Omissis), occupato presso la fonderia di metalli della (Omissis) s.r.l., della quale (Omissis) era consigliere di amministrazione, era deceduto perchè, mentre stava scavalcando una barra di collegamento del dispositivo di carico al corpo della macchina granigliatrice a tappeto rampante, posta alla quota di due metri dal suolo, era caduto su un corpo metallico e nell'impatto aveva riportato gravi lesioni cardiache che ne avevano determinato la morte.

In particolare il Tribunale di Verbania riteneva che la caduta del (Omissis) fosse in definitiva da ricondursi ad una modifica del sistema di sicurezza della macchina, che in origine era stato costituito da un sistema ottico di inibizione all'accesso frontale o laterale dei lavoratori che avessero dovuto provvedere a rimuovere pezzi in lavorazione incastratisi nel tappeto, ma che era stato successivamente sostituito con delle reti di acciaio applicate direttamente ai lati del corpo del macchinario, le quali lasciavano accessibile un passaggio verso lo stesso attraverso un portello di acciaio.

Ad avviso del Tribunale, tale passaggio non era utilizzato dai lavoratori perchè scomodo in quanto lontano dal quadro comandi.

Pertanto in occasione del sinistro il (Omissis) aveva fatto dapprima accesso alla camera di granigliatura e quindi percorso la via del ritorno alla propria postazione scavalcando la barriera in acciaio e nel fare la manovra di scavalcamento aveva perso l'equilibrio ed era caduto urtando violentemente il torace contro lo spigolo del canale di scarico dei prodotti, riportando le lesioni che ne avevano provocato la morte.

La Corte di Appello di Torino confermava la condanna di (Omissis) essendo pervenuta alle medesime conclusioni. La sostituzione delle barriere ottiche, che erano rimaste soltanto sul lato anteriore della macchina, aveva fatto si che le fiancate laterali di tali barriere fossero sostituite con pannelli di reti d'acciaio applicati direttamente sul corpo della macchina. Per salire sul trasportatore attiguo al tappeto rampante ed accedere alla camera di granigliatura esisteva, sul lato opposto al quadro comandi, un varco nel grigliato di protezione munito di sportello di acciaio apribile. Il (Omissis), trovandosi nella necessità di rimuovere pezzi incastrati all'interno del tappeto, si era portato presso questo non usufruendo dello sportello aperto sul lato opposto al quadro comandi, ma scavalcando la traversa posta a due metri di altezza e che fungeva da collegamento tra il corpo macchina ed il dispositivo di carico. Nel percorso di ritorno il lavoratore aveva nuovamente scavalcato la barra ma nel fare ciò aveva perso l'equilibrio ed era caduto a peso morto sullo spigolo del contenitore dei prodotti o il bordo del canale trasportatore, riportando le lesioni cardiache che ne avevano provocato la morte.

La Corte territoriale riteneva la condotta del lavoratore certamente impropria, anomala ed imprudente, ma ciò non di meno escludeva trattarsi di una condotta abnorme in grado di porsi come causa unica ed esclusiva dell'evento lesivo, posto che all'origine del meccanismo causale di determinazione dell'evento era ravvisata una condotta colposa del datore di lavoro. Infatti era stato accertato dai tecnici (Omissis) e dal consulente tecnico del pubblico ministero che il passaggio attraverso lo sportello apribile non era agevole sia perchè il varco era posizionato sul lato opposto al quadro comandi sia perchè esso era sprovvisto di una scaletta atta a salire in sicurezza verso il cestello.

La Corte rilevava che l'affermazione della difesa, per la quale in loco esisteva la menzionata scaletta, risultava smentita dal verbale di contravvenzione dell'organo di vigilanza, il quale aveva contestato al datore di lavoro la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 375, comma 1 per non aver installato una scala con pianerottolo in modo da impedire che i lavoratori si arrampicassero sulla struttura della macchina ed aveva altresì prescritto di istallare una idonea scala con pianerottolo per permettere l'accesso comodo e sicuro al vano di carico della macchina. Proprio l'accesso disagevole, ad avviso della Corte, aveva determinato una prassi lavorativa comportante il disuso del passaggio attraverso il portello di acciaio e il ricorso allo scavalcamelo della barra di collegamento del corpo macchina al dispositivo di carico. Ritenevano quindi i giudici dell'impugnazione che al datore di lavoro fosse addebitatile, alternativamente: a) di non aver portato efficacemente a conoscenza del lavoratore il divieto di scavalcare la rete di protezione; b) di aver ignorato la prassi di accedere alla macchina attraverso quella inidonea via; c) di essere a conoscenza di questa anomala prassi e di non aver fatto quanto necessario per farla cessare, pretendendo che i lavoratori osservassero le norme di sicurezza.

Quanto alla titolarità della posizione di garanzia in campo a (Omissis), la Corte di Appello rilevava che si trattava di un profilo non contestato ed anzi affermato nello stesso atto di appello.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino ricorre per cassazione il (Omissis) a mezzo dei difensori di fiducia.

2.1. Con un primo motivo si deduce la mancanza e contraddittorietà della motivazione della sentenza, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), laddove afferma essere stata assente sul luogo dell'Infortunio una scaletta per l'accesso alla camera di granigliatura. Si osserva che la sentenza di condanna avrebbe al suo nucleo la circostanza che il datore di lavoro non aveva predisposto un comodo accesso alla camera di granigliatura e in particolare non aveva posizionato una scaletta che permettesse di raggiungere in sicurezza il cestello con i pezzi incastrati. Per contro, il teste (Omissis) aveva espressamente e perentoriamente ammesso la presenza di una scaletta in occasione dell'infortunio del (Omissis); deposizione che la Corte di Appello, come già il giudice di primo grado, non ha preso in esame.

2.2. Con un secondo motivo si deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione all'interruzione del nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e la morte del (Omissis). Si osserva come la sentenza della Corte di Appello abbia affermato il carattere anomalo ed imprudente della manovra realizzata dal lavoratore e ciò nonostante abbia ravvisato la colpa del datore di lavoro per non aver predisposto un passaggio agevole per il lavoratore. Si rileva che anche dopo le modifiche della macchina il consulente tecnico Ing. (Omissis) l'aveva definita intrinsecamente sicura e rispondente alle necessità della sicurezza sul lavoro se utilizzato da persona dotata di normale buon senso. Il teste (Omissis) aveva riferito che il (Omissis) non aveva osservato le indicazioni che egli gli aveva dato.

Sotto altro profilo si rileva che l'eventuale presenza della fotocellula in luogo delle barriere metalliche laterali non avrebbe modificato il livello di sicurezza perchè esse non avrebbero funzionato con la macchina ferma e quindi il lavoratore si sarebbe potuto comunque arrampicare sulla macchina. Il comportamento del lavoratore si doveva quindi ritenere assolutamente abnorme e il datore di lavoro non poteva prevedere ex ante lo specifico sviluppo causale ed attivarsi per prevenirlo; ancor più a monte il (Omissis) non avrebbe violato alcuna regola cautelare.

Si chiede pertanto l'annullamento della sentenza senza rinvio.

Diritto


3. Il ricorso è infondato e pertanto non merita accoglimento. Tutte le doglianze sono volte a contestare le valutazioni degli elementi di prova rese dai giudici del merito (trattasse bene ricordarlo, di doppia conforme quanto all'an delle responsabilità); deve quindi essere rilevato come i ricorsi si risolvano in censure di fatto integranti questioni insuscettibili di considerazione nel giudizio di cassazione.

3.1. Compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver questa tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata.

In realtà, le deduzioni dei ricorrenti non risultano in sintonia con il senso dell'indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989) la Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione. Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla stregua dei contenuti concettuali dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che: 1) la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso, dovendosi semmai parlare di "travisamento della prova"; esso, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che si sia incorsi nell'utilizzazione di un'informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460, P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della Legge n. 46 del 2006, ha introdotto un onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell'articolo 606 cod. proc. pen., comma 1, lettera e) - nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente "specificamente indicati" - detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell'articolo 581 cod. proc. pen., lettera c) (secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere "l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta"). Con la conseguenza che sussiste a carico del ricorrente - accanto all'onere di formulare motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell'articolo 581 cit. - anche un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell'atto nel fascicolo del giudice et similia (cfr. Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri).

In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone, inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena altrimenti l'impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all'esame diretto degli atti (in tal senso, "ex plurimis", Cass. sez. 1, n, 16223 del 02/05/2006, Scognamiglio, Rv. 233781): manifesta illogicità motivazionale assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle argomentate risposte fornite dalle integrative pronunce di primo e secondo grado alle questioni prospettate dalla difesa dell'imputato. Ma v'è di più, posto che, sempre con riferimento alla portata delle innovazioni della Legge n. 46 del 2006, relativamente allo specifico caso di ricorso per cassazione di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), non è sufficiente: a) che gli atti del processo evocati con il ricorso siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità; b) nè che tali atti possano essere astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Occorre invece che gli "atti del processo", presi in considerazione per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione, siano "decisivi", ossia autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del "testo del provvedimento impugnato", anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all'intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, Capri ed altri).

3.2. Tenendo conto di tutti i principi testè ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure appena esaminate non valgono a scalfire la congruenza logica della struttura motivazionale impugnata. Il ricorrente, pur asserendo di volere contestare l'omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, in realtà ha piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito. Le allegazioni difensive non valgono dunque a disarticolare l'apparato argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in termini, "ex pJurlmis", Cass. Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, Rv. 197497; conf. Cass. Sez. 2, n, 11220 del 13/11/1997, Rv. 209145).

3.3. Il primo di motivo di ricorso si traduce nella richiesta di valutare come preferibile la deposizione dei collega del lavoratore deceduto in luogo delle risultanze dell'accertamento condotto dall'organo di vigilanza. Si tratta quindi di una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio che non può essere accolta. Peraltro si nota anche un'errata lettura degli elementi di prova posti dalla Corte territoriale a fondamento della propria decisione giacchè non è negata l'esistenza di una scala bensì che la scala esistente fosse munita di idoneo pianerottolo; si è perciò accertata l'inesistenza di una scala con caratteristiche tali da rendere agevole l'accesso mediante di essa all'aria di lavoro.

Il secondo motivo di ricorso evoca la sussistenza di un comportamento abnorme del lavoratore, dai quale si vorrebbe dedurre l'effetto di una elisione del rapporto causale tra violazione ascrivibile al datore di lavoro ed evento illecito.

Tuttavia, il fermo orientamento di questa Corte è nel senso che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (ex multis, Cass. sez. 4, sent. n. 23292 del 28/04/2011, Millo e altri, Rv. 250710).

Nel caso di specie non vi è alcun dubbio che il (Omissis) abbia subito l'infortunio mentre attendeva alle proprie occupazioni.

Quanto al riferimento alla inidoneità del sistema di sicurezza basato sulle fotocellule ad evitare il comportamento tenuto dal (Omissis), è sufficiente osservare che l'addebito mosso al (Omissis) ha tutt'altro contenuto e che in ogni caso, in tema di causalità nei reati colposi, l'agente risponde dell'evento provocato con la sua condotta colposa e non di un altro evento ipotizzato, anche se destinato a prodursi ugualmente, escludendosi la responsabilità soltanto per il caso in cui detto evento si sarebbe comunque verificato in relazione al medesimo processo causale, nei medesimi tempi e con la stessa gravità od intensità, poichè in tal caso dovrebbe ritenersi che l'evento imputato all'agente non era evitabile (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 28782 del 9/06/2011, Cezza, Rv. 250713).

4. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.