Cassazione Penale, Sez. 4, 20 settembre 2012, n. 36269 - Cartiera e caduta da una scala: omessa valutazione del rischio


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - rel. Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

(Omissis) N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 467/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 04/07/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/05/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Cons. Iacoviello F.M. che ha concluso per l'inammissibilità;

Udito il difensore Avv. (Omissis) del foro di (Omissis).

Fatto


Il tribunale di Trieste ha ritenuto (Omissis) colpevole del reato di lesioni colpose cagionate con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro in danno di (Omissis) e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante, lo ha condannato a due mesi di reclusione, sostituiti con la multa di euro 2280. Il (Omissis) era responsabile dell'unità produttiva della cartiera di (Omissis) spa, e dunque datore di lavoro del (Omissis); è stato ritenuto responsabile della caduta di quest'ultimo da una scala e delle conseguenti lesioni riportate; era avvenuto che il (Omissis), dipendente da molti anni della cartiera in questione, mentre era addetto alla conduzione della "linea tre", era salito su una scala per aprire una valvola sita a circa 4 m di altezza da terra; l'operazione si era resa necessaria per evitare che si bloccasse il ciclo di lavorazione; allo scopo si doveva assicurare che l'impianto avesse acqua sufficiente, il che era possibile ottenere agendo appunto sulla valvola; l'operazione richiedeva sforzo e un certo tempo (l'operaio dichiarava di aver impiegato circa un minuto); essa era ben nota, atteso che si ripeteva con una certa frequenza, circa una volta al mese, tanto che nei pressi vi era una scala che veniva adoperata a tale scopo; per evitare ulteriori e più gravi danni era necessario far entrare rapidamente acqua e quindi intervenire urgentemente su questa valvola.

Si riteneva che la caduta del lavoratore fosse dovuta non tanto al fatto che la scala poteva essere scivolata per la pasta di legno presente sul pavimento, ma piuttosto a causa del movimento richiesto dall'operazione, necessitandosi fare forza per l'apertura della valvola. Si riteneva sussistente la responsabilità del datore di lavoro per non avere il predetto compiuto la valutazione del rischio che questa pericolosa operazione comportava per il lavoratore ed adottato idoneee misure per contenerlo. La sentenza del tribunale di Trieste è stata confermata dalla Corte di appello.

2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputato. Con un primo motivo deduce inosservanza di legge, in particolare dell'articolo 192 cod. proc. pen., e contraddittorietà di motivazione in relazione al contenuto del documento di valutazione dei rischi. Il ricorrente sostiene che il documento di valutazione dei rischi redatto nel 2004, quindi prima dell'infortunio, era - sul punto specifico - del tutto corrispondente a quello del 2008; quest'ultimo era stato sottoposto alla autorità amministrativa ai fini dell'ammissione dell'imputato al pagamento della sanzione amministrativa, pagamento che era stato autorizzato, il che dimostra che conteneva una corretta valutazione del rischio; in sintesi, secondo il ricorrente la sostanziale identità del contenuto dei citati documenti avrebbe dovuto convincere il tribunale prima e poi la corte d'appello del fatto che vi era stata una corretta valutazione dei rischi. Analogo travisamento della prova vi è stato, prosegue il ricorrente, per quanto riguarda il numero dei lavoratori presenti nel reparto al momento dell'infortunio; il difensore evidenzia in particolare che i dipendenti che potevano intervenire erano non due, come ritenuto dalla corte d'appello, bensì tre; è stata trascurata la presenza di una terzo addetto, precisamente dell'addetto all'imbianco; il mansionario prevedeva espressamente la possibilità che tale figura potesse, ove necessario, aiutare il personale di turno ad eseguire tutte le operazioni necessarie e quindi si trattava di un soggetto che ben avrebbe potuto intervenire ad aiutare il (Omissis), che invece non ha ritenuto di chiamarlo.

Con un secondo motivo il ricorrente contesta la posizione di garanzia del (Omissis) quale direttore di stabilimento, affermando che, una volta accertato - come dal ricorrente sostenuto con il primo motivo - che era stata fatta la valutazione dei rischi ed erano state date le istruzioni necessarie perchè il lavoro si svolgesse in sicurezza (prevedendo turni di più lavoratori) era evidente che il (Omissis), quale datore di lavoro, non poteva essere ritenuto responsabile della inosservanza di tali disposizioni, essendo altre le figure (dirigenti e preposti) cui competeva il compito di vigilare.

Diritto



1. Il ricorso è proposto per motivi infondati.

Dalla pretesa corrispondenza dei documenti di valutazione del rischio del 2004 e del 2008 il ricorrente vorrebbe far derivare la conseguenza che fin dal 2004 vi era stata la valutazione del rischio collegato all'uso delle scale e che dunque nessun rimprovero poteva essere mosso all'imputato. Non tiene presente il ricorrente quanto ha al riguardo puntualmente osservato la Corte d'appello, rispondendo alla analoga censura formulata con l'appello, e cioè che tanto il primo documento, del 2004, che il secondo, quello del 2008, erano gravemente carenti sul punto della valutazione del rischio dei lavori che dovevano essere svolti ad altezza da terra, per non avere tenuto conto del fatto che le operazioni di apertura e chiusura delle valvole a quell'altezza erano pericolose e facevano correre all'operaio gravi rischi di caduta; il rischio non valutato non era quello connesso alla pericolosità della scala o alla previsione di modalità di uso della scala secondo comuni canoni antinfortunistici, ma piuttosto quello, del tutto particolare e specifico, che non si fosse tenuto conto della necessità di effettuare abitualmente un intervento urgente su una valvola posta a notevole altezza dal suolo, intervento che richiedeva tempo e fatica e che, effettuato su una scala , esponeva a un rilevante rischio di caduta il lavoratore; il rischio collegato alla apertura delle valvole in quota, pur descritto, non era stato valutato dai predetti documenti. E neppure tiene conto il ricorrente di quanto puntualmente ribadito dalla Corte di appello e cioè che dopo l'infortunio di cui si discute tale rischio venne eliminato alla radice, installando un meccanismo di rinvio che consentiva di comandare la valvola da terra. Circostanza che ben può giustificare l'ammissione dell'imputato alla definizione amministrativa della infrazione contestata.

Quanto alle osservazioni svolte circa la presenza di tre persone al momento del fatto, trattasi di deduzione inammissibile in quanto introduce osservazioni meramente teoriche sulla "possibile" presenza sul posto di tre soggetti, ancorando tale affermazione al mansionario e alla deposizione resa da un teste, senza però tenere conto della complessiva dichiarazione di tale teste che ha aggiunto che l'addetto "al bianco" e l'aiuto di reparto del (Omissis), potevano non essere presenti sul posto; nulla specifica il ricorrente sull'effettiva presenza dell'addetto al bianco e nulla specifica sull'urgenza dell'intervento, ben evidenziata dai giudici di merito, incompatibile con la possibilità di avvisare o attendere i compagni. Viceversa la sentenza di appello è assolutamente dettagliata sul fatto che (Omissis) era solo al momento dell'incidente, tanto che per chiedere aiuto si trascinò fino al piano di sopra, atteso che il compagno di lavoro si trovava al piano di sopra e l'assistente di turno era solo "occasionalmente" presente; ed altrettanto precisa è sul fatto che si trattava di una situazione abituale, avendo lo stesso (Omissis) precisato che "un tempo" vi erano tanti operai e l'operazione si poteva fare in due, ma che poi il personale era stato ridotto e sull'impianto erano normalmente in due. Resta dunque correttamente accertata la responsabilità del (Omissis) per l'infortunio avvenuto al (Omissis), avendo egli omesso di valutare il rischio lavorativo che veniva corso dai propri dipendenti nella particolare situazione di blocco della pompa a servizio della "linea 3", per la necessità di intervenire con urgenza ad aumentare l'afflusso di acqua azionando, mediante un apposito volante, una valvola posta a notevole altezza da terra, e di adottare misure adeguate, quale quella che venne introdotta dopo l'incidente; valutazione del rischio che è di specifica competenza del datore di lavoro e che ne comporta la responsabilità per l'infortunio avvenuto, a prescindere dalla eventuale responsabilità di altri soggetti collegata a diversi profili di colpa.

3. Conclusivamente il ricorso deve rigettato e da ciò deriva l'onere delle spese del procedimento.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.