Cassazione Penale, Sez. 3, 02 ottobre 2012, n. 38104 - Detenzione di 700 litri di gasolio e prevenzione incendi


 

 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZAA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio Felice - Presidente

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere

Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

(Omissis), nato a (Omissis);

avverso la sentenza 29.6.2011 della Corte di appello di Bari;

Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;

Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale;

Udite le richieste del Pubblico Ministero, dott. SALZANO Francesco il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Fatto


La Corte di appello di Bari, con sentenza del 29.6.2011, ha confermato la sentenza 20.2.2009 del Tribunale di Bari - Sezione distaccata di Bitonto, che aveva affermato la responsabilità penale di (Omissis) in ordine ai reati di cui:

- all'articolo 679 cod. pen. (perchè, quale titolare di impresa individuale esercente l'attività di trasporto merci su strada, ometteva di denunciare all'autorità la detenzione di 700 litri di gasolio per autotrazione, sostanza infiammabile per qualità e quantità - acc. in agro di (Omissis));

- al Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1995, n. 547, articoli 36, 37 e 389, lettera b) e c) (per non avere osservato l'obbligo di sottoporre l'impianto ove il gasolio era detenuto ai controlli dei Vigili del fuoco finalizzati alla prevenzione degli incendi);

- al Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 4, comma 5, lettera c), articolo 89, comma 2, lettera a), (per avere omesso di adottare, presso il suddetto impianto aziendale, le misure necessarie ai fini della prevenzione degli incendi e dell'evacuazione dei lavoratori nel caso di pericolo grave ed immediato) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex articolo 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena complessiva di mesi tre di arresto, convertita in quella pecuniaria corrispondente di euro 3.420,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, il quale sia eccepito:

- la nullità delle decisioni di primo e secondo grado, perchè già il Tribunale aveva correlato il calcolo della pena ad un reato mai contestato (quello di cui al Decreto Legislativo n. 32 del 1998, articoli 1 e 3) ed aveva così modificato l'imputazione in violazione dell'articolo 335 c.p.p., a nulla rilevando fa circostanza che "i reati arbitrariamente introdotti dal primo giudice siano puniti con pena occasionalmente uguale a quella prevista per i reati che si assume essere stati realmente commessi dall'imputato";

- violazione di legge per avere il Tribunale rigettato l'istanza di oblazione con motivazione non specifica, fondando "per relationem" il diniego sulle stesse ragioni già espresse dal G.I.P. nel corso delle indagini preliminari senza un espresso e concreto riferimento al fatto commesso e senza dare conto della capacità a delinquere dell'imputato, il quale, inoltre, non avrebbe avuto la possibilità di eliminare gli eventuali effetti pregiudizievoli dei reati in quanto aveva restituito al proprietario il box, condotto in locazione, già adibito a deposito del gasolio.

Diritto



Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poichè manifestamente infondato.

1. La richiesta oblazione speciale, nella specie, è stata denegata dal G.I.P. e poi dal giudice dei dibattimento in relazione al disposto dell'articolo 162-bis cod. pen., comma 4, "avuto riguardo alla gravità del fatto" (sovrabbondante deve ritenersi, pertanto, il riferimento della Corte territoriale anche alla permanenza di conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore) e la decisione di rigetto risulta adeguatamente motivata, con concreta correlazione al fatto commesso, essendo stata razionalmente ritenuta la sussistenza di una situazione di rilevante pericolo per l'incolumità pubblica, imprudentemente protratta nel tempo dall'imputato, in un impianto frequentato da una pluralità di persone.

2. La pena applicata è legittima, poichè computata in misura corrispondente al minimo edittale per la contravvenzione prevista dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (capo C della contestazione, ritenuto più grave).

Il riferimento - nella sentenza di primo grado - alla sanzione comminata dal Decreto Legislativo n. 32 del 1998, articoli 1 e 3 è erroneo ma non ha comportato l'irrogazione di una pena più grave nè ha influito sulla sostanza delle imputazioni e dei comportamenti contravvenzionali esaminati dal giudici del merito ed in relazione ai quali è intervenuta pronunzia di responsabilità.

Come esattamente rilevato dalla Corte territoriale, non si configura, pertanto, alcuna violazione dell'articolo 335 cod. proc. pen..

3. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 166 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa consegue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di 1.000,00 euro.

P.Q.M.


dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro mille/00 in favore della cassa delle ammende.