Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 gennaio 2013, n. 1137 - Comportamenti vessatori e risarcimento del danno






REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco - rel. Consigliere

Dott. TRIA Lucia - Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA



sul ricorso 15397/2007 proposto da:

(Omissis), elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (Omissis), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(Omissis) S.P.A. (Omissis) (già (Omissis)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 6334/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 25/10/2006 R.G.N. 9630/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/11/2012 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Fatto



Con sentenza del 26.9 - 25.10.2006 la Corte d'Appello di Roma rigettò il gravame proposto da (Omissis) nei confronti della (Omissis) spa avverso la pronuncia di prime cure che aveva respinto la domanda del (Omissis) intesa ad ottenere il risarcimento dei danni "fisici e psichici, oltrechè di natura biologica" asseritamente subiti per causa di comportamenti addebitati alla Società datrice di lavoro come vessatori o ingiusti o illegittimi o semplicemente "strani" o "inspiegabili" a partire dal 1987, quando era stato invitato a riprendere servizio dopo i periodi di inabilità temporanea seguiti a un infortunio sul lavoro del novembre 1984.

Espletata nuova CTU al fine di meglio verificare il rapporto causale tra le dedotte vicende lavorative e la sindrome ansioso depressiva denunciata dal lavoratore, la Corte territoriale, a sostegno del decisum, ritenne quanto segue:

- l'elaborato peritale di secondo grado era incorso in un primo errore di metodo quando, invece di giustapporre le malattie accertate ai fatti acquisiti al processo, ha ridotto tali fatti ai riferimenti anamnestici del (Omissis), essi stessi parte della patologia denunziata; ciò ha determinato "una prima torsione dei risultati diagnostici formulati, posto che, al di là delle aggettivazioni utilizzate negli scritti difensivi, il (Omissis) aveva dichiarato in sede di interrogatorio libero di non aver mai subito ad opera dei preposti gerarchici o degli stessi colleghi maltrattamenti o angherie;

- la vicenda risultante dagli atti era quella di un lavoratore che aveva subito un infortunio certamente mai accettato, ma che a causa di quell'infortunio, dal (Omissis) all'interrogatorio libero del 1998, aveva lavorato per circa un mese e, successivamente, aveva quasi sempre sospeso per malattia il suo obbligo di prestazione lavorativa; lo stesso lavoratore, dalla precedente sede in provincia di (Omissis), era stato trasferito ad una sede più prossima ((Omissis)) alla sua residenza in (Omissis) e, di fatto, aveva ottenuto di 60 giorni in 60 giorni provvedimenti di autorizzazione al lavoro in (Omissis);

- le vicende processuali relative all'ammontare della rendita da inabilità, ai non accettati richiami in servizio, al contestato licenziamento, andavano considerate quali vicende di ordinaria lotta per il diritto e di per sè non deponevano per un comportamento sistematicamente vessatorio e perciò illecito della parte datoriale;

- la possibilità che, pur in assenza di una carica di illecito, tali vicende potessero aver cagionato malattie in un soggetto eventualmente già afflitto da sue particolari fragilità, imponeva una attenta verifica circa la esistenza di un sicuro nesso causale o concausale adeguato e sufficiente;

- la CTU di secondo grado aveva però anche mancato di raggiungere tale individuazione di un vincolo causale secondo ragionevole certezza;

- l'individuata psicopatologia reattiva tra il 1988 e il 1992 aveva costituito la reazione non già avverso comportamenti illeciti del datore di lavoro, bensì avverso gli esiti dell'infortunio subito; nella fase successiva al 1993 il CTU aveva ritenuto l'aggiungersi di spine irritative rappresentate dalla aspettativa di un maggior indennizzo e dalle vicissitudini collegate al licenziamento e alla reintegra, ritenuta comunque non riparativa perchè tardiva, ma in tal modo più che una malattia era stata ancora diagnosticata una sindrome, il cui carattere reattivo era orientato a circostanze che non includevano illeciti del datore di lavoro;

- la conclusione del CTU - secondo cui era "del tutto ragionevole riconoscere la dipendenza causale del danno di natura psichica sia dalle minorazioni organiche sia dalla vicenda amministrativa giudiziaria" - non aveva offerto la ragionevole certezza di una causalità sufficiente e adeguata tra fatti illeciti addebitabili alla datrice di lavoro e malattia, definendo come ragionevole la semplice congettura che la malattia fosse stata in parte e da ultimo radicata in una vicenda lavorativa giudiziaria;

- il carattere ingiusto del comportamento delle (Omissis) era restato fuori dalla indagine peritale, mentre era escluso dalle stesse dichiarazioni lealmente rese dal (Omissis) nel corso del libero interrogatorio;

- la responsabilità civile non esiste al di fuori di una addebitabilità dei fatti dannosi ad un comportamento proprio e ingiusto di chi è chiamato a risarcire;

- andava quindi confermata la statuizione del primo giudice, che aveva escluso il raggiungimento di qualsiasi prova circa il rapporto causale tra malattie indagate e condotte ingiuste addebitabili al datore di lavoro, posto che la contrapposta esistenza di opposte visioni delle obbligazioni connesse al rapporto di lavoro intercorso tra le parti, ancorchè esitata in pronunzie che talora hanno convalidato le tesi del (Omissis), non costituiva ancora prova di condotte ingiuste e illecite delle (Omissis) nel senso della loro idoneità a produrre la malattia, tanto più che le stesse (Omissis) a loro volta avevano tenuto in conto molte delle aspettative del lavoratore.

Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, (Omissis) ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

L'intimata (Omissis) spa ha resistito con controricorso.

Diritto



1. Con il primo motivo, denunciando vizio di motivazione "in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5", il ricorrente si duole della valutazione delle emergenze istruttorie, con particolare riferimento a quanto risultante nella CTU di secondo grado, che la Corte territoriale aveva ritenuto malamente di disattendere, posto che i mali di esso ricorrente erano diretta conseguenza non solo dei postumi dell'infortunio occorsogli, ma anche dei comportamenti della parte datoriale, determinati unicamente da intenti punitivi in relazione alle azioni giudiziarie intraprese dal lavoratore a tutela dei propri diritti.

Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione "in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5", il ricorrente si duole della valutazione fatta dalla Corte territoriale in ordine alla dichiarazione resa da esso ricorrente in sede di interrogatorio libero, essendo stato trascurato di considerare che le condotte della parte datoriale integravano, nel loro complesso, un comportamento censurabile e condannabile, in quanto teso a ledere l'integrità psico-fisica del lavoratore.

2. Osserva preliminarmente la Corte che l'articolo 366 bis c.p.c., è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l'entrata in vigore (2.3.2006) del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr., Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della Legge n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 25.10.2006.

In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Secondo l'orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall'articolo 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta - negativa od affermativa - che ad esso si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento od il rigetto del gravame (cfr., ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007).

Nel caso che ne occupa entrambi i motivi, prima ancora che infondati (siccome rivolti, inammissibilmente in questa sede di legittimità, ad una rivalutazione delle emergenze istruttorie già compiutamente esaminate dalla Corte territoriale - nei termini già diffusamente esposti nello storico di lite - con motivazione coerente con le risultanze considerate ed immune da vizi logici), sono inammissibili, atteso che, in relazione al solo enunciato vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (in ordine al quale, peraltro, neppure sono state specificate le norme di diritto che si assumono violate) non è stato enunciato alcun quesito di diritto, mentre, quanto ai dedotti vizi di motivazione, le censure non contengono il richiesto momento di sintesi.

3. In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese a favore della controricorrente, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.



La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 4.040,00 (quattromilaquaranta), di cui euro 4.000,00 (quattromila) per compenso, oltre accessori come per legge.