2.5. La proposta della Commissione. L’istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro
In vista della scadenza del suo mandato, la Commissione d’inchiesta ha sentito come suo dovere non solo la necessità di segnalare l’esistenza di una serie di difficoltà e di ritardi nel coordinamento e nella cooperazione tra gli organismi statali e periferici del sistema della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ma anche l’esigenza di individuare e suggerire, al Governo e al Parlamento, possibili soluzioni. La prima ipotesi presa in considerazione è stata quella di una proposta di modifica dell’articolo 117 della Costituzione per riportare alla competenza esclusiva dello Stato la potestà legislativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Si trattava certamente di una proposta «forte», in quanto incideva direttamente sull’assetto del nostro sistema istituzionale e, come tale, è stata oggetto di un’ampia riflessione all’interno della Commissione.
Con questa proposta di revisione costituzionale non si intendeva tuttavia sottrarre competenze o poteri alle Regioni e alle Province autonome, in nome di una malintesa forma di statalismo o centralismo, bensì piuttosto ripristinare le condizioni per l’esercizio di un effettivo potere di indirizzo e di programmazione nelle politiche a favore della salute e sicurezza sul lavoro, capace di dispiegarsi in maniera univoca su tutto il territorio nazionale, per assicurare uguali livelli di tutela di diritti che – è bene ribadirlo – sono costituzionalmente garantiti. Un potere di questo tipo potrebbe essere esercitato soltanto dallo Stato, ma non andrebbe ad interferire con le altre attribuzioni spettanti alle Regioni in questo settore, considerato tra l’altro che l’azione amministrativa – ossia le concrete competenze operative, volte a tradurre in pratica gli indirizzi politici – dovrebbe necessariamente esplicarsi a livello locale, come prevede del resto anche l’articolo 118, primo comma, della Costituzione, in applicazione del principio di sussidiarietà.
Questa posizione trova conforto nel confronto con l’assetto normativo di altri Paesi. All’inizio della XVI legislatura, la Commissione d’inchiesta ha svolto un’apposita indagine in tre Paesi dell’Unione europea (Germania, Francia e Regno Unito), dalla quale è risultato 9 che in tutti e tre gli Stati la potestà legislativa in materia di «tutela e sicurezza del lavoro» è di esclusiva competenza statale, anche in una nazione di marcata impronta federalista come la Germania.
In realtà, sul tema della competenza legislativa si confrontano, legittimamente, due distinte posizioni, fra chi ritiene che essa dovrebbe essere appunto ricondotta in via esclusiva allo Stato, per assicurare una effettiva uniformità di indirizzo, e chi invece sostiene l’opportunità che essa rimanga concorrente fra lo Stato e le Regioni e Province autonome, per garantire una più efficace attuazione in ambito territoriale. Si tratta ovviamente di un tema complesso, che si iscrive nel più generale dibattito sulla ridefinizione dei rapporti e delle competenze tra lo Stato centrale e gli enti locali, intorno al quale esistono opinioni e sensibilità diverse.
Per valutare i vari aspetti della questione, la Commissione ha avviato un ampio confronto al proprio interno, in particolare nella seduta del 9 maggio 2012. Nel corso del dibattito, tutti i commissari intervenuti hanno convenuto sull’esigenza prioritaria di intervenire sulla normativa vigente per assicurare un’applicazione più univoca delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro su tutto il territorio nazionale e quindi una maggiore uniformità delle concrete azioni di prevenzione e di tutela, tenuto conto anche dei risultati dell’inchiesta, che ha dimostrato il rischio di una eccessiva diversificazione e frammentazione a livello locale. Si è quindi osservato che la proposta di una modifica dell’articolo 117 della Costituzione per ricondurre la competenza legislativa allo Stato avrebbe dovuto ricercare la più ampia condivisione possibile, per l’importanza dell’iniziativa e per garantire alla stessa un percorso parlamentare più agevole, considerando da un lato la complessità e la lunghezza della procedura di revisione costituzionale – specie in relazione all’approssimarsi della fine della legislatura –, dall’altro i differenti punti di vista sull’argomento e le inevitabili resistenze.
Per queste ragioni, nell’ambito di un corretto rapporto di collaborazione tra istituzioni dello Stato, la Commissione ha ritenuto opportuno acquisire in merito all’ipotesi di revisione costituzionale dell’articolo 117 anche l’opinione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Su mandato della Commissione, il presidente Tofani ha quindi investito della questione la Conferenza, che l’ha infine esaminata nella riunione del 6 giugno 2012, approvando uno specifico documento di osservazioni 10. Nel documento, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno espresso contrarietà alla proposta di modifica dell’articolo 117 della Costituzione, richiamando anzitutto i principi e l’organizzazione del sistema istituzionale che la normativa statale ha definito in attuazione della competenza concorrente introdotta dalla riforma costituzionale del 2001, imperniato come si è già visto a livello locale sui comitati regionali di coordinamento di cui all’articolo 7 del Testo unico, e a livello nazionale sul Comitato per l’indirizzo e la valutazione di cui all’articolo 5 e sulla Commissione consultiva permanente di cui all’articolo 8 del medesimo Testo unico.
In tale ambito le Regioni hanno sottolineato come il loro ruolo sia stato di forte impulso all’attività degli organismi nazionali con la redazione di numerosi documenti poi approvati dalla Conferenza Stato-Regioni, sia in seno al Comitato che alla Commissione consultiva 11. Per quanto riguarda i comitati regionali di coordinamento, il documento delle Regioni osserva che il Ministero della salute e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali avrebbero dovuto, attraverso il Comitato di cui all’articolo 5, «stabilire le linee comuni delle politiche nazionali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, definire la programmazione annuale in ordine ai settori prioritari di intervento dell’azione di vigilanza, i piani di attività, e i progetti operativi», mentre il Comitato fino ad oggi non ha adottato alcun atto di indirizzo, ad eccezione del Piano nazionale di prevenzione in edilizia e del Piano nazionale di prevenzione in agricoltura.
Le Regioni hanno segnalato poi di aver inviato i dati sull’attività di vigilanza e di prevenzione svolta, sia pure in forma aggregata, al Comitato e alla Commissione consultiva, nonché al Ministero della salute, lamentando che la mancata attivazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione abbia finora impedito la trasmissione in formato elettronico dei dati in questione. Inoltre le Regioni e le Province autonome hanno ribadito di aver previsto, nei Piani regionali di prevenzione, progetti e programmi di intervento sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro che sono stati certificati dagli organismi ministeriali nel 2010 e nel 2011 a fronte delle attività già realizzate.
Pertanto, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome non ha ravvisato le complicazioni e le difficoltà di raccordo tra i rappresentanti delle amministrazioni centrali dello Stato, delle Regioni e delle parti sociali segnalate dalla Commissione d’inchiesta, sottolineando che, mentre le Regioni hanno sempre svolto un ruolo attivo nei vari organismi nazionali e nelle iniziative di promozione, come pure nel coordinamento delle attività a livello regionale, tali complicazioni e difficoltà riguardano piuttosto l’azione degli uffici decentrati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che avrebbero ricevuto indicazione di attivare autonomamente campagne di vigilanza sul territorio in edilizia a prescindere dalla programmazione dei comitati regionali di coordinamento.
Ad avviso delle Regioni, inoltre, la riconduzione della materia della tutela e sicurezza sul lavoro tra quelle di esclusiva competenza legislativa statale non sarebbe idonea a risolvere i problemi di coordinamento tra amministrazioni, in quanto le funzioni amministrative, in ossequio al principio di sussidiarietà espresso dall’articolo 118, primo comma, della Costituzione, dovrebbero comunque rimanere in capo agli enti territoriali più prossimi alla comunità, in modo da assicurare un’azione amministrativa adeguata alla dimensione territoriale regionale e alle esigenze delle comunità locali. Le Regioni osservano altresì che una riconduzione della tutela e della sicurezza e del lavoro alla competenza esclusiva statale porterebbe a creare una irrazionale e pericolosa asimmetria con la più generale tutela della salute, che ricomprende la tutela e la sicurezza e del lavoro e che l’articolo 117 della Costituzione attribuisce alla competenza concorrente di Stato e Regioni.
Viceversa, le Regioni e le Province autonome ritengono piuttosto incoerente il permanere in capo all’amministrazione decentrata del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di competenze amministrative in materia di tutela e sicurezza sul lavoro, ravvisando l’opportunità di attribuire ad esse in via esclusiva, modificando l’articolo 13 del Testo unico, la funzione di coordinamento degli interventi di vigilanza, tramite le aziende sanitarie operanti sul territorio, per assicurare un raccordo tra tutte le amministrazioni ed evitare sovrapposizioni di interventi 12.
Nel documento approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, infine, le Regioni hanno chiesto che l’INAIL attivi in tempi rapidi il Sistema informativo nazionale per la prevenzione, che si costituisca uno specifico capitolo di spesa a sostegno dell’attività di prevenzione, in sede di ridefinizione del Patto per la salute, e che siano rafforzate le funzioni di programmazione e coordinamento delle attività di vigilanza in seno al Comitato di cui all’articolo 5 del Testo unico e, a livello locale, ai comitati regionali di coordinamento.
Come risulta da questa ampia illustrazione, il sistema delle Regioni e delle Province autonome è dunque fermamente contrario ad una revisione dell’articolo 117 della Costituzione, ritenendo che essa non risolverebbe i problemi indicati dalla Commissione d’inchiesta, che andrebbero invece affrontati con interventi volti a rafforzare il coordinamento e la leale collaborazione tra le amministrazioni centrali e periferiche nelle sedi istituzionali già esistenti. Ciononostante, le Regioni hanno comunque riconosciuto l’esistenza di un problema generale, che è appunto quello di assicurare una più efficace uniformità di indirizzo politico e quindi di azione sia a livello nazionale che territoriale, anche se le valutazioni divergono riguardo alle possibili soluzioni.
Nel prendere atto della posizione del sistema regionale, la Commissione ha avviato lo studio di una soluzione alternativa che, senza incidere sul riparto delle competenze costituzionali in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, possa tuttavia fornire correttivi all’attuale situazione, nella convinzione che occorra comunque prevenire quei rischi di eccessiva dispersione e disomogeneità dell’azione amministrativa che – è bene ripeterlo – sono emersi in modo chiaro durante l’inchiesta, in particolare attraverso la ricognizione diretta svolta in tutte le Regioni d’Italia negli ultimi due anni.
Si è già spiegato che nell’attuale assetto istituzionale il coordinamento a livello centrale delle attività di prevenzione e di vigilanza per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro spetta al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale dell’attività di vigilanza, previsto dall’articolo 5 del Testo unico. Tuttavia, per le difficoltà già indicate, il Comitato non ha potuto finora svolgere appieno questa funzione, il che costituisce un oggettivo elemento di debolezza del sistema e impone un ripensamento della natura e degli strumenti a disposizione di questo organismo.
Come si è già accennato nel paragrafo 2.3, partendo da tale assunto, dopo un’attenta riflessione la Commissione d’inchiesta ha elaborato una proposta, mirante a sopprimere il Comitato e a sostituirlo contestualmente con una nuova «Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro», che ne assumerà le funzioni. L’Agenzia eserciterà tali attribuzioni, e in particolare quella della programmazione e del coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con un rafforzamento dei relativi poteri rispetto all’assetto vigente. I diversi aspetti dell’iniziativa sono stati esaminati in particolare nelle sedute del 14 e del 21 novembre 2012 e hanno condotto alla predisposizione di un testo normativo che, su iniziativa del presidente Tofani e dei componenti della Commissione, è infine confluito nel disegno di legge n. 3587, presentato in Senato il 27 novembre 2012 e intitolato «Istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro».
La scelta di proporre questa soluzione si rende necessaria proprio alla luce delle considerazioni precedenti: il sistema della prevenzione disegnato dal Testo unico è infatti necessariamente complesso e articolato, coinvolgendo le competenze di una pluralità di soggetti istituzionali e sociali. Serve quindi una modalità di raccordo più forte, che possa fare da sintesi tra le diverse istanze e, contemporaneamente, dare impulso alle varie attività di prevenzione e di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali. Al riguardo, la Commissione ha ritenuto che tale compito possa essere meglio assolto da un organismo dedicato, che sia al tempo stesso operativamente snello e dotato di adeguate competenze e risorse.
La formula dell’Agenzia, già prevista e presente nel nostro ordinamento con compiti di supervisione e controllo in vari settori di pubblico interesse (si pensi, solo per fare un esempio, all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie), è apparsa quindi la scelta più idonea a soddisfare queste esigenze. Nel mettere a punto la proposta, la Commissione ha avuto occasione di discuterne informalmente, soprattutto nel corso delle varie missioni svolte sul territorio, sia con esponenti del sistema regionale che con rappresentanti dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali. In particolare, durante il sopralluogo in Emilia-Romagna del settembre 2012, la Commissione ha incontrato il Presidente della Regione Vasco Errani, che è anche Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e che ha manifestato interesse a valutare l’iniziativa e a discuterne nell’ambito della Conferenza.
Al tempo stesso, molti degli spunti e delle indicazioni raccolte nel corso di questi confronti sono poi confluiti nel testo del disegno di legge, che rappresenta quindi il risultato di una sintesi e di una mediazione tra le diverse istanze. Esaminando nel dettaglio il testo, l’articolo 1 stabilisce anzitutto che, d’ora in avanti, tutti i richiami al Comitato di cui all’articolo 5 del Testo unico, contenuti nel medesimo decreto, dovranno essere riferiti all’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro. Si prevede poi che un rappresentante dell’Agenzia sieda all’interno della Commissione consultiva permanente prevista dall’articolo 6 del Testo unico, in modo da creare una forma di raccordo tra questi due organismi. Infine, modificando l’articolo 12 del Testo unico, si trasferiscono le competenze attualmente esercitate dalla Commissione per gli interpelli all’Agenzia, per rafforzarne il ruolo di riferimento per la programmazione e il coordinamento delle attività in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
L’articolo 2 del disegno di legge procede poi, con il metodo della novella, alle necessarie modifiche dell’articolo 5 del Testo unico e definisce i compiti e la struttura della nuova Agenzia, che è sottoposta all’indirizzo e alla vigilanza congiunti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero della salute e gode di personalità giuridica e di ampia autonomia, secondo il modello generale previsto per le agenzie governative dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
Al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni con altri organismi già esistenti, si stabilisce che la nuova Agenzia ricalchi sostanzialmente le funzioni e la composizione dell’attuale Comitato, ma con una formula organizzativa più snella ed efficiente e con poteri più ampi ed incisivi. Per quanto riguarda l’assetto organizzativo, organi dell’Agenzia sono il direttore, il comitato direttivo e il collegio dei revisori dei conti, che rimangono in carica tre anni: nella nomina si prevede una stretta collaborazione tra amministrazioni centrali e periferiche, con il concorso decisivo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome.
Il comitato direttivo è l’organo decisionale dell’Agenzia: la sua composizione corrisponde (ad eccezione del direttore che lo presiede) a quella attualmente prevista per il Comitato di cui all’articolo 5 del Testo unico, fatto salvo l’aumento di una unità sia del numero dei rappresentanti del Ministero della salute, sia di quello dei rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome. In questo modo si intende soddisfare una duplice esigenza: da un lato, assicurare una continuità di funzionamento tra il Comitato e l’Agenzia, per evitare l’interruzione dell’attività amministrativa in corso e la dispersione del patrimonio di competenze e di esperienza maturato in questi anni; dall’altro, rafforzare la presenza del Ministero della salute (che viene equiparata a quella del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) e delle Regioni e Province autonome all’interno dell’Agenzia, per dare maggiore sostanza ed efficacia al suo ruolo di organismo di collegamento tra le istituzioni centrali e periferiche competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Per le medesime ragioni, anche le funzioni dell’Agenzia assorbono ed espandono quelle dell’attuale Comitato: da una parte si riconfermano i compiti già attribuiti in materia di programmazione, impulso e verifica delle attività finalizzate alla prevenzione e alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, dall’altra si introducono ulteriori funzioni di carattere complementare, tra le quali si possono citare quelle della Commissione per gli interpelli, il monitoraggio sull’effettivo uso da parte delle ASL del ricavato delle sanzioni per violazioni antinfortunistiche ai fini della prevenzione e la partecipazione alla gestione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP).
Ne deriva dunque un ampio ventaglio di competenze e di poteri, la cui efficacia è rafforzata, anche rispetto all’assetto vigente, soprattutto per quanto concerne gli aspetti del coordinamento tra i diversi soggetti pubblici e privati coinvolti nel sistema, nell’intento di stimolare il dialogo e la collaborazione tra i vari enti competenti e di garantire linee di azione uniformi su tutto il territorio nazionale. L’Agenzia infatti, oltre ad avere al proprio interno un’ampia rappresentanza sia delle amministrazioni centrali che di quelle periferiche – anche attraverso il costante collegamento con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome –, mantiene un ampio dialogo anche con le categorie sociali e con gli esperti del settore della sicurezza, che formano parte integrante del sistema della prevenzione.
A tal fine, l’articolo 2 stabilisce che, ai fini delle definizioni degli obiettivi di alcune attività di comune interesse, l’Agenzia consulti preventivamente le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro e le associazioni tecnico-scientifiche maggiormente rappresentative a livello nazionale. Inoltre, l’Agenzia effettua una verifica almeno semestrale sui risultati raggiunti e può, nell’espletamento delle sue funzioni, acquisire informazioni e documenti da tutti i soggetti competenti. Per ovvie ragioni, una particolare attenzione è riservata ai comitati regionali di coordinamento: l’Agenzia effettua un monitoraggio costante sul loro funzionamento e riferisce ai Ministri vigilanti il verificarsi di una delle disfunzioni o inadempienze previste dall’articolo 4, comma 1, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 dicembre 2007, affinché gli stessi Ministri possano valutare i necessari provvedimenti, anche ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi del Governo stabiliti dai commi 2 e 3 del medesimo articolo 4. In tal modo, senza ledere l’autonomia dei comitati di coordinamento regionali, si intende assicurare un maggiore presidio sul loro corretto funzionamento e dare maggiore efficacia all’esercizio dei compiti di vigilanza e di intervento già previsti a legislazione vigente in capo ai Ministri del lavoro e della salute. Infine, l’Agenzia trasmette ai Ministeri vigilanti una relazione semestrale sull’attività svolta, contenente un’analisi dettagliata dei problemi della salute e della sicurezza sul lavoro e dei risultati ottenuti da ciascuno dei soggetti competenti sulla base dei programmi e degli obiettivi loro assegnati, nonché proposte per un miglioramento delle azioni di prevenzione e di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali.
Al fine di assicurare che le verifiche e le proposte dell’Agenzia abbiano un adeguato seguito normativo e amministrativo, l’articolo 2 stabilisce poi che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero della salute, sentita la Conferenza Stato-Regioni, debbano tenere conto delle indicazioni fornite dall’Agenzia medesima ed elaborare le iniziative necessarie al raggiungimento degli obiettivi e dei programmi, provvedendo altresì a inviare al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Parlamento un rapporto informativo annuale sull’attività svolta dall’Agenzia. A tal fine si promuove inoltre un’iniziativa pubblica di presentazione dell’attività dell’Agenzia, da tenersi annualmente, possibilmente in occasione della Settimana per la sicurezza e la salute sul lavoro dell’Unione europea. In questo modo, si vuole creare un ulteriore momento di sensibilizzazione e di diffusione della cultura della sicurezza sul lavoro tra la società civile.
Infine, l’articolo 2 rinvia ad un apposito regolamento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro della salute la definizione delle modalità di organizzazione e funzionamento dell’Agenzia. Tale norma è richiamata dal successivo articolo 3 del disegno di legge, che detta i principi di organizzazione e funzionamento ai quali dovrà attenersi il regolamento, ferme restando le disposizioni di carattere generale previste per le agenzie governative dai già citati articoli 8 e 9 del decreto legislativo n. 300 del 1999.
La norma è studiata in modo da minimizzare i costi di funzionamento dell’Agenzia e da utilizzare risorse già esistenti a legislazione vigente. Così le risorse organiche e strumentali sono trasferite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministero della salute, dall’INAIL e dalle Regioni e Province autonome. In particolare, i componenti del comitato direttivo (ad eccezione del direttore che è assunto con un contratto ad hoc) sono collocati in posizione di comando dalle rispettive amministrazioni, a carico delle quali rimangono tutti gli oneri dei trattamenti economici, a livelli invariati. Sono altresì comandate dalle stesse amministrazioni e con i medesimi criteri di invarianza finanziaria tutte le unità di personale dell’Agenzia, potendo ricorrere anche a quelle già addette alla segreteria del Comitato ex articolo 5 del Testo unico.
Sulla base di questa formula, l’articolo 4 del disegno di legge quantifica la copertura finanziaria delle spese di funzionamento in 500.000 euro annui – somma nella quale sono ricompresi i compensi del direttore e dei revisori dei conti –, escludendo nel contempo ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, dovendo le amministrazioni competenti svolgere le attività loro affidate con le risorse disponibili a legislazione vigente.
Si è ritenuto utile illustrare in dettaglio il contenuto del disegno di legge non solo per chiarire le caratteristiche che dovrebbe assumere la nuova Agenzia, ma anche per ribadire come il provvedimento non intenda «stravolgere» il sistema attuale, ma solo garantirne un miglior funzionamento attraverso una razionalizzazione ed un’armonizzazione delle competenze esistenti. Queste ultime infatti restano essenzialmente in capo agli stessi soggetti statali o regionali, tuttavia si spera che potranno essere esercitate in maniera più coordinata ed efficace, evitando le duplicazioni e sovrapposizioni più volte richiamate in queste pagine.
Naturalmente, essendo stato il disegno di legge presentato nella parte finale della legislatura, era chiaro che i tempi a disposizione sarebbero stati troppo brevi per consentirne un adeguato iter parlamentare. Ciononostante, la Commissione d’inchiesta ha ritenuto opportuno e doveroso dare corso a questa iniziativa legislativa per assolvere fino in fondo al proprio mandato istituzionale, segnalando al Parlamento e al Governo non solo l’esistenza di una serie di problemi, ma anche e soprattutto una possibile via per risolverli. L’auspicio è che questa iniziativa possa trovare il sostegno convinto di tutte le istituzioni e le forze politiche e sociali del Paese, per giungere ad una sua rapida attuazione nella prossima legislatura, e contribuire così in questo modo ad una più efficace azione di prevenzione e contrasto agli infortuni e alle malattie professionali.

2.6. Il quadro statistico degli infortuni e delle malattie professionali
A conclusione di questa seconda sezione, appare opportuno offrire una panoramica sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali nel corso dell’ultimo anno, utilizzando i dati ufficiali contenuti nel Rapporto annuale INAIL 2011 presentato il 10 luglio 2012. Contemporaneamente, si daranno anche alcune indicazioni di massima sull’andamento dei primi nove mesi del 2011, sulla base dei dati provvisori diffusi dall’INAIL in data 27 novembre 2012. È bene avvisare che, mentre i dati per il 2011 sono consolidati e definitivi e possono quindi consentire una serie di valutazioni più precise, quelli per il 2012 sono, oltre che riferiti solo a una parte dell’anno, ancora provvisori e suscettibili di successivi controlli e revisioni, fino al consolidamento che avverrà, per l’intero 2012, a metà dell’anno successivo. Essi, di conseguenza, devono essere considerati con cautela, ai fini delle valutazioni sull’andamento del fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali nell’ultimo anno.

2.6.1. I dati definitivi del 2011
In base ai dati dell’INAIL, nel 2011 è proseguito l’andamento decrescente degli infortuni sul lavoro che è in atto nel nostro Paese dalla fine degli anni Sessanta. Tra il 2010 e il 2011, infatti, per gli infortuni in generale si è passati da 776.099 a 725.174 casi, con un calo del 6,6 per cento, mentre per gli infortuni mortali si è scesi da 973 a 920 casi, pari ad una diminuzione del 5,4 per cento. Anche i dati provvisori sui primi nove mesi del 2012, di cui si parlerà nel successivo paragrafo, sembrano confermare questo trend decrescente: tuttavia sia il numero degli incidenti che dei casi mortali è ancora molto alto e decisamente inaccettabile per un Paese sviluppato come l’Italia, imponendo un maggiore impegno per la prevenzione ed il contrasto di questo fenomeno.
Prima di analizzare in dettaglio questi dati, è necessaria una breve premessa di carattere metodologico. Le statistiche dell’INAIL sono le più ampie e complete disponibili in Italia sul fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali: l’INAIL è infatti membro del Sistema statistico nazionale (SISTAN), ossia della rete di soggetti pubblici e privati che forniscono le statistiche ufficiali del nostro Paese. Ciononostante, l’INAIL non registra gli infortuni e le malattie professionali di tutti i lavoratori, ma solo di quelli iscritti presso di sé per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni; si tratta della stragrande maggioranza dei lavoratori italiani, afferenti alle gestioni assicurative dei seguenti comparti: industria e servizi, agricoltura, dipendenti conto Stato e settore navigazione marittima (tale gestione è stata trasferita all’INAIL dal preesistente IPSEMA, soppresso dal 31 maggio 2010).
Viceversa, nelle categorie assicurate dall’Istituto a norma di legge non rientrano, principalmente:
– Forze armate e di polizia (sono assicurati invece i Vigili urbani)
– Corpo nazionale dei Vigili del fuoco
– personale di volo (sussiste invece l’obbligo per il personale che oltre al rischio di volo sia esposto a rischi derivanti da lavori svolti a terra complementari e sussidiari a quelli della navigazione aerea, ad esempio i piloti di eliambulanze)
– liberi professionisti operanti individualmente, consulenti del lavoro, periti industriali
– commercianti titolari di impresa individuale
– giornalisti
– dirigenti e impiegati dell’agricoltura (assicurati presso l’ENPAIA)
– agricoltori che svolgono l’attività a livello hobbistico
– amministratori locali
– infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana
– sportivi dilettanti
– allievi delle autoscuole
– volontari della protezione civile.
Con riferimento ai lavoratori del settore agricolo, come indicato questi sono assicurati presso l’ENPAIA (Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura): tuttavia le denunce di infortunio o di malattia riguardanti questi soggetti sono sempre comunicate, tramite l’INPS, anche all’INAIL. Questa è la ragione per la quale le statistiche dell’INAIL includono anche gli infortuni e le malattie professionali del settore agricolo. Per quanto riguarda invece gli altri lavoratori non iscritti all’INAIL, i loro infortuni e le loro malattie professionali non sono conteggiati nelle statistiche dell’Istituto.
Su questi temi è aperto da tempo un vasto dibattito, circa l’opportunità o meno di estendere a tutti i lavoratori l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie e di accentrarne la gestione presso l’INAIL, ma si tratta di discorsi complessi e che esulano dalle finalità dell’inchiesta. L’aspetto che preme sottolineare in questa sede è la necessità di leggere i dati dell’INAIL con la dovuta attenzione, conoscendo esattamente l’universo statistico al quale fanno riferimento, ai fini di una valutazione più corretta dei fenomeni.
Un altro fattore che incide sulle statistiche degli infortuni sul lavoro è il fatto che queste non comprendono naturalmente quelli occorsi ai cosiddetti lavoratori «in nero», dei quali l’INAIL non viene a conoscenza. Nella maggior parte di questi casi, infatti, a parte quelli più gravi o mortali, la mancata notifica è quasi scontata a causa dell’irregolarità del rapporto di lavoro, anche se (è bene ricordarlo) l’INAIL garantisce comunque le sue prestazioni anche ai lavoratori «in nero», in base al principio della cosiddetta «automaticità delle prestazioni».
Come si è già accennato nel paragrafo 2.2, le stime elaborate e diffuse dall’ISTAT per il 2010 quantificano in quasi 3 milioni le unità di lavoro «in nero». Partendo da tali dati e utilizzando opportuni fattori correttivi, l’INAIL stima periodicamente gli infortuni che hanno interessato i lavoratori irregolari, che per il 2010 sono stati quantificati in circa 164.000, per lo più con un livello di gravità medio-lieve, confermando una sostanziale stabilità rispetto alla stima dell’anno precedente (circa 165.000 casi) e una sensibile riduzione rispetto a quella del 2006 (circa 175.000 casi).
Nella valutazione dei dati sugli infortuni, occorre poi tenere conto che negli ultimi anni il trend decrescente è stato certamente influenzato, in una certa misura, dalla crisi economica che ha colpito il Paese dal 2009 in poi, con pesanti riflessi sul piano produttivo e occupazionale. Nel 2011, però , a differenza dei due anni precedenti in cui l’ISTAT aveva rilevato un calo nel numero degli occupati rispettivamente dell’1,6 per cento nel 2009 e dello 0,7 per cento nel 2010, si registra un lieve aumento dell’occupazione (+0,4 per cento) e una sostanziale stabilità (+0,1 per cento) del dato delle unità di lavoro anno equivalente (ULA) 13 diminuite anch’esse rispettivamente del 2,9 per cento e dello 0,9 per cento nel 2009 e nel 2010. Di conseguenza, si può stimare che, a livello medio generale, nel 2011 la riduzione degli infortuni in termini reali – al netto quindi della perdita di lavoro – sia pari a circa il 5 per cento per gli infortuni nel complesso e a circa il 4 per cento per quelli mortali.
Da una prima analisi sembrerebbe, quindi, che il calo infortunistico registrato nel 2011 risenta molto poco della dinamica occupazionale, cosi come è avvenuto nel biennio 2009-2010. In realtà però , la situazione è più complessa, in quanto esiste una notevole variabilità all’interno delle varie componenti del mondo del lavoro. In primo luogo, l’incremento dello 0,4 per cento del totale degli occupati rilevato nel 2011 è influenzato esclusivamente dalla componente femminile (+1,2 per cento, pari ad oltre 110.000 occupate in più ), mentre quella maschile, com’è noto occupata in lavorazioni più pericolose e a rischio di infortunio, segna un valore negativo dello 0,1 per cento (15.000 unità in meno).
Esistono poi forti differenze tra i vari comparti produttivi, alcuni dei quali sono stati colpiti pesantemente dalla crisi. Ad esempio, l’agricoltura ha registrato nel 2011 rispetto al 2010 una contrazione occupazionale dell’1,9 per cento (oltre 16.000 lavoratori in meno) e le costruzioni addirittura un calo del 5,3 per cento (-6,3 per cento se riferito alla sola componente maschile con 116.000 occupati in meno), dove peraltro l’ISTAT ha rilevato un aumento del ricorso alla CIG (cassa integrazione guadagni). Anche nel ramo dei servizi, se nel complesso gli occupati crescono dell’1 per cento, viceversa al suo interno ad esempio il commercio segna -1,5 per cento (52.000 occupati in meno) e i servizi alle imprese -0,3 per cento (pari a 7.500 addetti in meno). Conclusioni analoghe si ricavano anche dalle ULA, che nel 2011 segnano riduzioni in agricoltura (-2,8 per cento) e nelle costruzioni (-3,1 per cento). Anche i lavoratori autonomi calano nel complesso di 36.000 occupati (-0,6 per cento).
C’è poi un altro aspetto di cui occorre tenere conto. Il dato sull’occupazione elaborato dall’ISTAT riguarda gli occupati nel complesso, ossia le persone che prestano la propria attività lavorativa e che, anche se temporaneamente non al lavoro, mantengono un legame formale con la loro posizione lavorativa, come i lavoratori in «cassa integrazione guadagni» (CIG). Per la definizione stessa di occupati, quindi, il loro numero non diminuisce per prestazioni lavorative a tempo ridotto. Poiché dunque il numero sugli occupati include anche lavoratori temporaneamente assenti dal lavoro, esso potrebbe non fornire un’indicazione chiara dell’eventuale effetto che la dinamica occupazionale ha sugli infortuni sul lavoro. Di conseguenza, al fine di poter valutare in maniera più corretta se e in che misura l’andamento dell’occupazione possa aver influito sulla riduzione degli incidenti sul lavoro nell’ultimo anno, come per la precedente relazione annuale la Commissione ha chiesto uno specifico approfondimento all’INAIL, con particolare riguardo ai dati sul numero delle ore effettivamente lavorate, che consentono di avere una visione più chiara del fenomeno.
Con la consueta puntualità, l’INAIL ha quindi fornito tale analisi che, confrontando in particolare i dati sulle ore effettivamente lavorate con quelle della cassa integrazione, fa riferimento in maniera specifica ai lavoratori dipendenti (esclusi i dirigenti) delle imprese con almeno 10 addetti dell’industria e servizi, che sono appunto quelle per le quali è possibile il ricorso alla cassa integrazione: si tratta di aziende che occupano circa il 50 per cento degli addetti complessivi (9,4 milioni su 17,6 milioni).
L’analisi mostra che, in base ai dati ISTAT, nell’anno 2011 il monte ore lavorate per i lavoratori dipendenti citati è diminuito dello 0,3 per cento rispetto al 2010. Tale diminuzione è da attribuire interamente al settore dei servizi, dove si è registrata una riduzione pari allo 0,8 per cento, laddove l’industria ha avuto un lieve aumento pari allo 0,4 per cento (0,1 per le costruzioni). Al riguardo occorre ricordare che nel 2010 rispetto al 2009 vi era invece un forte decremento (-2,5 per cento per l’industria e - 2,6 per cento per le costruzioni). L’ISTAT fornisce anche i dati relativi alle ore di cassa integrazione guadagni (CIG) concesse, sempre per le imprese con almeno 10 dipendenti: il numero di ore di CIG per mille ore lavorate è sceso da 33,08 nel 2010 a 28,75 nel 2011 (-13,1 per cento). Infine, secondo l’INPS il «tiraggio» (ossia il rapporto tra ore di CIG effettivamente utilizzate e ore autorizzate) è passato dal 51,8 per cento nel 2010 al 54,0 per cento nel 2011.
Da questi dati – sia pure circoscritti alle grandi imprese – si ricava quindi che nelle imprese interessate si è lavorato di meno in termini di tempo effettivo. Cassa integrazione, contenimento degli straordinari, ore di sciopero, mancata crescita della produzione industriale hanno di fatto contribuito alla riduzione dell’effettiva esposizione al rischio in termini di durata o di presenza fisica sul luogo di lavoro, determinando anche una riduzione dell’incidentalità (in particolare durante l’ultimo trimestre del 2011). Anche per questo motivo, dunque, i dati del calo degli infortuni – che restano comunque positivi – devono essere valutati con una certa cautela.
Fatte pertanto queste doverose precisazioni per inquadrare in maniera più corretta il fenomeno degli infortuni sul lavoro, si può passare ad una lettura disaggregata dei dati. Come è noto, la distinzione più importante è quella tra infortuni in itinere (quelli occorsi nel tragitto casa-lavoro-casa) ed infortuni in occasione di lavoro (quelli occorsi durante l’attività lavorativa vera e propria).
Rispetto al calo complessivo del 6,6 per cento registrato tra il 2010 e il 2011, la diminuzione più sensibile ha riguardato gli infortuni in itinere, passati da 88.129 a 81.861 (-7,1 per cento), mentre gli infortuni in occasione di lavoro sono diminuiti da 687.970 a 643.313 (-6,5 per cento). Gli infortuni avvenuti in occasione di lavoro rappresentano però circa il 90 per cento del complesso delle denunce: tra di essi sono da citare quelli occorsi ai lavoratori che operano sulla strada (autotrasportatori di merci e persone, portalettere, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale, ecc.), che nel 2011 sono scesi dell’8,4 per cento rispetto all’anno precedente (da 54.601 a 50.028 casi). Più forte, invece, la differenza tra le due modalità di evento per i casi mortali: il calo del 5,4 per cento dipende esclusivamente dagli infortuni in occasione di lavoro (-8,6 per cento), che scendono da 744 a 680 casi, mentre gli infortuni mortali in itinere hanno registrato purtroppo un sensibile aumento in termini percentuali (+4,8 per cento) corrispondente a 11 morti in più nel 2011 rispetto al 2010.
In un’ottica di genere, nel 2011 il calo degli infortuni in generale ha riguardato sia i lavoratori (-7,0 per cento) che le lavoratrici (-5,6 per cento). Il calo degli infortuni mortali (5,4 per cento) è invece dovuto esclusivamente ai lavoratori uomini (-7,3 per cento rispetto al 2010), mentre per le donne si è registrato un sensibile aumento dei decessi (+15,4 per cento), passando dai 78 casi del 2010 ai 90 del 2011. È interessante osservare che tale aumento riguarda prevalentemente i casi in itinere ai quali va ricondotta più della metà dei decessi femminili. Considerando che, secondo i dati ISTAT, le donne rappresentano circa il 40 per cento degli occupati, che la quota di infortuni femminili è del 32 per cento rispetto al totale e quasi del 10 per cento per i casi mortali, l’incidenza del rischio nel lavoro femminile risulta mediamente più bassa. Ciò si deve soprattutto al fatto che le donne sono occupate prevalentemente nei servizi e in settori a bassa pericolosità e, se impegnate in comparti più rischiosi come quello delle costruzioni, dei trasporti e dell’industria pesante, svolgono comunque mansioni di tipo impiegatizio o dirigenziale.
Dal punto di vista dell’età degli infortunati, nel 2011 la fascia 35-49 anni risulta la più colpita in valore assoluto con il 44 per cento di tutti gli infortuni. La riduzione degli infortuni rispetto al 2010 ha comunque riguardato tutte le classi di età, in particolare quella sotto i 35 anni (-23,2 per cento), a fronte di un calo degli occupati (-3,2 per cento). A seguire la fascia di età degli ultra 65enni (-8,3 per cento) e quella dei 35-49 anni (-6,2 per cento), mentre si rileva un discreto aumento per la classe 50-64 anni (+6,7%).
Relativamente ai settori di attività, nel 2011 la diminuzione degli infortuni sul lavoro, rispetto all’anno precedente, ha interessato tutti i settori: industria (-8,2 per cento), agricoltura (-6,5 per cento) e attività dei servizi (-5,5 per cento). Al riguardo, occorre ricordare che per lo stesso periodo l’ISTAT ha rilevato una diminuzione degli occupati nell’industria dello 0,6 per cento e nell’agricoltura dell’1,9 per cento e, viceversa, una leggera ripresa nei servizi (+1 per cento).
Più in dettaglio, nel comparto industriale la riduzione più significativa degli infortuni si è avuta nell’edilizia (-14,7 per cento) a fronte di un calo occupazionale del 5,3 per cento, seguita da importanti settori quali la meccanica (-6,7 per cento) e la metallurgia (-6,6 per cento), caratterizzate da riduzioni inferiori ma ugualmente sensibili. Per quanto riguarda i servizi la diminuzione degli infortuni si concentra principalmente in alcuni settori di maggiori dimensioni: trasporti (-11,3 per cento), servizi alle imprese e attività immobiliari (-9,7 per cento), commercio (-9,6 per cento). Anche per il settore del personale addetto ai servizi domestici si segnala un calo contenuto del 3,4 per cento.
Per quanto riguarda gli infortuni mortali, nel 2011 rispetto all’anno precedente si rileva una diminuzione sensibile nei servizi (-9,4 per cento) e nell’industria (-3,7 per cento), mentre l’agricoltura registra purtroppo un aumento del 2,7 per cento. Tra i settori più importanti, una riduzione molto elevata si è verificata nei trasporti (-30,7 per cento), nei servizi alle imprese e attività immobiliari (-26,2 per cento) e nelle costruzioni (-10,6 per cento). Per converso, aumenti rilevanti dei decessi per infortuni si sono invece avuti nella meccanica (+27,3 per cento) e nella metallurgia (+19,0 per cento).
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale del fenomeno infortunistico, la riduzione registrata a livello nazionale (-6,6 per cento tra il 2010 e il 2011) ha interessato tutte le aree del Paese, in maniera crescente dal Nord al Sud (dal -6,1 per cento del Nord-Ovest al -8,1 per cento del Mezzogiorno, passando per il -6,2 per cento del Nord-Est e il -6,4 per cento del Centro), quest’ultimo in presenza di un calo occupazionale dello 0,1 per cento. Considerando le varie Regioni, praticamente quasi tutte vedono contrarsi il numero degli infortuni con risultati più significativi in Molise (-12,5 per cento), Campania (-11,1 per cento), Umbria (-10,4 per cento) e Basilicata (-10,2 per cento). Nel Nord continua a concentrarsi oltre il 60 per cento degli infortuni, essendo d’altra parte il territorio che assorbe la maggior parte dell’occupazione (52 per cento del totale nel 2011). Le Regioni con maggior numero di denunce di infortunio si confermano Lombardia (127.007 casi), Emilia-Romagna (99.713) e Veneto (81.217): tre regioni che concentrano da sole il 42 per cento dell’intero fenomeno. Per quanto riguarda i casi mortali, la diminuzione del 5,4 per cento registrata a livello nazionale fra il 2010 e il 2011 si presenta in maniera molto più accentuata nel Mezzogiorno (-14,9 per cento, 48 vittime in meno) e più contenuta nel Nord-Ovest (-2,2 per cento) e nel Centro (-0,5 per cento), mentre il Nord-Est è praticamente stazionario (+0,4 per cento, 1 vittima in più).
Per quanto riguarda i lavoratori stranieri 14, occorre preliminarmente evidenziare che nel 2011 quelli assicurati all’INAIL sono stati circa 3 milioni, l’1,3 per cento in più dell’anno precedente e ben il 17,8 per cento in più del 2007. Questa importante crescita registrata in un periodo di grande crisi per il mercato del lavoro (in Italia negli ultimi cinque anni si è perso un milione di posti di lavoro tra gli italiani) è dovuta non solo a un numero maggiore di assunzioni, ma soprattutto alla regolarizzazione dei contratti di badanti e colf. Le lavoratrici straniere sono, infatti, aumentate del 30 per cento circa dal 2007 ad oggi, contro il 9,4 per cento degli uomini.
Nel 2011 gli infortuni nel complesso occorsi a lavoratori stranieri sono stati 119.396 contro i 115.661 del 2010, con una riduzione del 3,1 per cento. Anche i decessi mostrano un trend decrescente, con una lieve flessione rispetto al 2010 (138 casi contro 141). Gli infortuni degli stranieri rappresentano il 15,9 per cento degli infortuni complessivi e il 15 per cento di quelli mortali; con riferimento ai soli extracomunitari, le percentuali sono rispettivamente dell’11,7 e dell’8,8 per cento.
Per quanto riguarda i settori, la diminuzione più marcata si è rilevata nell’industria e servizi (-3,2 per cento rispetto all’anno precedente), seguita dall’agricoltura (-0,9 per cento) e dalla gestione dei dipendenti conto Stato (-1,1 per cento). Si è quindi avuta un’inversione di tendenza rispetto al 2010 quando sia nell’industria e servizi che in agricoltura si era verificato un aumento del fenomeno, controbilanciato dalla diminuzione registrata tra i dipendenti del conto Stato.
In generale il 94,3 per cento degli infortuni degli stranieri si concentra nell’industria e servizi, il 5 per cento in agricoltura e lo 0,7 per cento tra i dipendenti conto Stato. Il settore più colpito è quello delle costruzioni, che con poco più di 13.200 infortuni copre l’11,5 per cento del complesso delle denunce. A seguire, l’industria dei metalli (7,8 per cento) e i servizi alle imprese (7,6 per cento) che includono anche le attività di pulizia. Per quanto riguarda i casi mortali, il numero maggiore (28 decessi, anche se in diminuzione rispetto al 2010) si riscontra ancora una volta nel settore delle costruzioni, a causa dell’alta rischiosità; numeri elevati si hanno anche nei trasporti e in agricoltura (rispettivamente 15 e 14 morti).
L’incidenza infortunistica, espressa dal rapporto tra infortuni denunciati e lavoratori assicurati all’INAIL, risulta più elevata per gli stranieri rispetto a quella degli italiani, rispettivamente 38,4 casi denunciati ogni 1.000 occupati contro i 35,8. Queste incidenze evidenziano un calo rispetto ai dati del 2010 dovuto essenzialmente alla diminuzione degli infortuni denunciati. Queste differenze sono determinate senz’altro anche dall’occupazione prevalente degli immigrati in settori particolarmente rischiosi nei quali l’attività manuale è prevalente (edilizia, industria pesante, agricoltura), i turni di lavoro sono più lunghi e spesso la formazione professionale non è adeguata.
Per quanto riguarda la suddivisione per genere, tra gli stranieri gli infortuni colpiscono il sesso maschile in modo nettamente prevalente rispetto a quello femminile. Infatti la quota raggiunge il 74 per cento delle denunce e l’89 per cento dei casi mortali (per il complesso dei lavoratori le percentuali sono rispettivamente pari al 68 per cento e 90 per cento).
La distribuzione degli infortuni sul lavoro per età degli immigrati rispecchia in sostanza quella degli assicurati; si tratta prevalentemente di giovani: il 42 per cento circa ha meno di 35 anni e l’88 per cento ne ha meno di 50. Invece, rispetto a tutti i lavoratori, le percentuali sono più basse e pari rispettivamente al 31 per cento e al 75 per cento. Appena pari allo 0,2 per cento la quota di infortuni da attribuire agli ultrasessantacinquenni stranieri, contro l’1,6 per cento riferito al complesso degli infortunati.
Romania, Marocco e Albania nell’ordine sono le comunità che ogni anno denunciano il maggior numero di infortuni sul lavoro totalizzandone oltre il 40 per cento. Se si considerano, poi, i casi mortali la percentuale sale al 51,5 per cento, riattestandosi ai valori del 2009, quando superava il 50 per cento.
A livello territoriale, il 42,3 per cento degli infortuni a lavoratori stranieri avviene nel Nord-Est e ben il 75 per cento al Nord. Nel Mezzogiorno si registrano il 7,1 per cento delle denunce in complesso e il 14,5 per cento degli eventi mortali. Per quanto riguarda le regioni, gli infortuni si concentrano ovviamente in quelle a maggior maggior densità occupazionale: si tratta di Lombardia (24.981 denunce nel 2011, pari al 21,6 per cento del complesso), Emilia-Romagna (22.404) e Veneto (17.157) che insieme totalizzano il 55,8 per cento delle denunce e il 44,9 per cento dei decessi. Per i casi mortali, però , nel 2011 emerge il Lazio con ben 19 morti.
Per quanto riguarda le malattie professionali, anche nel 2011 si è avuto un aumento rilevante: le denunce sono passate dalle 42.465 del 2010 a 46.558, 4.000 in più in un anno (+9,6 per cento), oltre 17.000 in più rispetto al 2007, mostrando però almeno un certo rallentamento in confronto al 2010, quando erano cresciute del 21,7 per cento rispetto all’anno prima.
La crescita del fenomeno, osservata già da alcuni anni, si è fatta sostenuta nell’ultimo triennio, ma si tratta in realtà di un fatto positivo, legato in gran parte alle azioni di sensibilizzazione e alle novità legislative introdotte in materia proprio negli anni più recenti.
Da sempre l’INAIL, le parti sociali e i medici del lavoro consideravano quello delle malattie professionali un fenomeno sottostimato, una parte rilevante del quale non riusciva a emergere, dando luogo alle cosiddette malattie «nascoste» o «perdute». Ciò per una serie di motivi, tra cui i lunghi periodi di latenza di molte patologie, le difficoltà nell’individuazione e nell’accertamento del nesso causale ma, soprattutto, un significativo fenomeno di «sotto denuncia» da parte degli interessati.
Il notevole aumento degli ultimi anni si può quindi ricondurre senz’altro ad una più matura consapevolezza raggiunta da lavoratori e datori di lavoro. A ciò hanno senz’altro concorso in maniera decisiva l’intensificazione delle attività di informazione/formazione e di prevenzione, svolte anche da parte dell’INAIL, e gli approfondimenti divulgativi attraverso diversi canali informativi, oltre alla sensibilizzazione dei datori di lavoro, dei lavoratori, dei medici di famiglia e dei patronati.
Un altro aspetto che ha favorito l’incremento delle denunce è stata l’entrata in vigore delle nuove «tabelle» delle malattie professionali. Alcune malattie prima erano «non tabellate», cioè non erano riconosciute direttamente e richiedevano l’onere della prova al lavoratore che doveva dimostrare, con indagini ambientali, l’effettivo livello di nocività del luogo di lavoro. L’aggiornamento dell’elenco delle tecnopatie con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 9 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 169 del 21 luglio 2008, ha invece introdotto la presunzione legale d’origine per molte patologie, tra le quali quelle «causate da vibrazioni meccaniche trasmesse al sistema mano-braccio», «da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore e del ginocchio» e le «ernie discali lombari»; sono state poi, tra l’altro, ampliate le lavorazioni che espongono il lavoratore al rischio di ipoacusia.
Infine, le tabelle ora precisano la patologia (superando la definizione generica «malattia da ...») e costituiscono quindi una vera e propria guida operativa per il medico in materia di malattie lavoro-correlate, favorendo l’emersione di una serie di patologie meno note o sottovalutate in passato. Un effetto collaterale di questo maggior livello di dettaglio è stato, in alcuni casi, la denuncia di più malattie per lo stesso lavoratore (denunce plurime) e relative alla sua mansione (ad esempio per le malattie al sistema mano-braccio da vibrazioni meccaniche ci si può attendere da una a sei denunce per lo stesso rischio) con un certo effetto «moltiplicatore» sul numero complessivo di denunce.
L’incremento delle denunce di malattia professionale ha riguardato tutte le gestioni, in particolare l’agricoltura. Più precisamente, delle 46.558 denunce del 2011, l’industria e servizi ne hanno registrato 38.101, con un aumento del 6,9 per cento rispetto al 2010 (quasi 2.500 in più ) e del 41,7 per cento rispetto al 2007 (erano 26.888). In agricoltura si sono avute 7.971 denunce, +24,8 per cento rispetto al 2010 (quasi 1.600 in più ), addirittura +383,1 per cento rispetto al 2007 (erano 1.650). Per i dipendenti del conto Stato sono stati denunciati 486 casi, ossia +14,4 per cento rispetto al 2010 (61 in più ), +23,0 per cento rispetto al 2007 (395 casi).
Anche nel 2011 le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, dovute prevalentemente a sovraccarico bio-meccanico e movimenti ripetuti, sono state le tecnopatie più diffuse. Con quasi 31.000 denunce per il complesso delle gestioni, sono ormai da molti anni la patologia più frequente e tale è sistematicamente cresciuta passando, anno dopo anno, dal 40 per cento del 2007 al 66 per cento del 2011. Si tratta soprattutto di affezioni dei dischi intervertebrali (oltre 11.000 denunce nel 2011) e tendiniti (più di 10.000): più che triplicate le prime e più che raddoppiate le seconde nei cinque anni di osservazione. Anche per queste malattie l’aumento è stato certamente influenzato dall’introduzione della presunzione legale di origine operata con il citato decreto ministeriale 9 aprile 2008 che ha incentivato il ricorso alla denuncia. Tra le altre malattie professionali sono poi da segnalare le ipoacusie da rumore (5.600 casi, fortunatamente in regresso rispetto al 2010), quelle respiratorie (quasi 3.500 denunce, in lieve aumento dal 2009) e le malattie cutanee (circa 600 casi, in costante diminuzione da vari anni).
Un discorso a parte occorre poi fare per le malattie da amianto: vengono denunciati all’INAIL, ogni anno, più di 2.000 casi di malattia, tra asbestosi (quasi 600 l’anno), placche pleuriche (7-800 l’anno) e neoplasie letali, mesoteliomi pleurici e carcinomi polmonari in particolare, ammontanti a circa 1.000 denunce l’anno. A causa soprattutto dei lunghi periodi di latenza (pari anche, come nel caso del mesotelioma, a 40 anni con un picco di manifestazione stimato dagli esperti intorno al 2025), il trend osservato per queste patologie è in crescita negli ultimi anni. Tuttavia il 2011 ha fatto registrare una certa contrazione rispetto al 2010 (rispettivamente 2.250 e 2.294 denunce), attestandosi comunque su livelli superiori agli anni ancora precedenti (circa 2.200 casi l’anno tra il 2007 e 2009). Alle malattie professionali da amianto è dedicato in particolare il paragrafo 3.5, al quale si rinvia per ulteriori approfondimenti.
In termini generali, i tumori professionali restano la principale causa di morte per malattia tra i lavoratori. Le cifre rilevate dall’INAIL devono, purtroppo, considerarsi sottostimate: esiste infatti per queste patologie un fenomeno di sottodenuncia, a causa delle difficoltà di riscontro del nesso causale (il più delle volte di natura multifattoriale), della lunga latenza di alcune forme e della ancora scarsa consapevolezza della possibile natura professionale di molti tumori. I tumori denunciati per tutte le gestioni (compresi quelli da asbesto) continuano a superare i 2.000 casi l’anno, restando tra le patologie professionali più frequenti. Più della metà riguardano la pleura (600-700 l’anno, prevalentemente da asbesto) e i polmoni-trachea-bronchi (circa 600 l’anno); si rileva anche una certa consistenza di quelli legati alla vescica (quasi 300 denunce l’anno).
Un ultimo accenno alle malattie professionali di natura psichica. Per tali malattie all’INAIL pervengono circa 600 denunce all’anno (con percentuali di indennizzo inferiori al 10 per cento). Tra le varie tipologie sono da segnalare, in quanto numericamente rilevanti e oggetto di particolare attenzione, sia in termini tecnico-assicurativi che mediatici, i «disturbi dell’adattamento cronico» e i «disturbi post-traumatici da stress lavoro-correlato», più comunemente noti come mobbing.
Come ricordato nel paragrafo 2.3, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con una circolare del 18 novembre 2010, ha fornito le indicazioni metodologiche per la valutazione, da parte dei datori di lavoro dello stress lavoro-correlato negli ambienti di lavoro, così come previsto dal Testo unico. Le denunce pervenute all’INAIL per tale patologia sono stimabili in 200-300 casi l’anno nell’ultimo quinquennio, con un andamento decrescente (e percentuali di indennizzo del 10-15 per cento). L’INAIL però sottolinea come queste cifre possano, in una certa misura, sottostimare il fenomeno reale, sia per la difficoltà di distinguere, in fase di denuncia e prima codifica, la specifica patologia psichica, sia per i confronti con i dati raccolti da altri organismi e osservatori. Le denunce si concentrano soprattutto nelle attività dei servizi, piuttosto che in quelle dell’industria, e tra i dipendenti conto Stato.
Nel 2011 anche le malattie professionali occorse a lavoratori stranieri segnano un aumento, da 2.442 nel 2010 a 2.640 nel 2011 (+8,1 per cento), corrispondente, anche se leggermente inferiore, all’andamento generale (+9,6 per cento). È ancora l’agricoltura a far registrare il maggior incremento: da 112 denunce del 2010 a 159 nel 2011 (+42,0 per cento).
Le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee nell’ultimo quinquennio sono passate dal 43 per cento nel 2007 a oltre il 70 per cento nel 2011 (80 per cento in agricoltura) con 1.870 denunce. Le malattie del sistema nervoso e organi di senso (per circa l’85 per cento ipoacusie) hanno avuto un incremento minore rispetto allo scorso anno: 341 denunce (di cui 295 ipoacusie) nel 2011 contro le 391 (di cui 343 ipoacusie) nel 2010. In calo anche le malattie cutanee (62 denunce nel 2011) e i tumori (36).
I Paesi di provenienza dei tecnopatici sono principalmente Marocco (12 per cento), Romania e Albania (entrambe 10 per cento), gli stessi che detengono il primato per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro.
Come noto, la legge n. 122 del 2010 (che ha convertito il decreto-legge n. 78 del 2010) ha previsto tra l’altro l’incorporazione nell’INAIL dell’IPSEMA (Istituto di previdenza per il settore marittimo) che assicurava i lavoratori del comparto marittimo, dando luogo alla nuova gestione INAIL Settore Navigazione, ormai pienamente operativa. Nel corso del 2011 sono state assicurati contro gli infortuni e le malattie professionali per conto di 5.012 imprese armatoriali gli equipaggi di quasi 7.198 imbarcazioni/navi (unità), per la maggior parte (46,0 per cento circa) impegnati nella cosiddetta pesca costiera 15. Sia le unità assicurate che le imprese armatoriali sono risultate in leggera crescita, rispettivamente +2,8 per cento e +2,3 per cento in confronto al 2010. Il volume delle contribuzioni accertate nel 2011 ha raggiunto gli 86,8 milioni di euro, con un leggero incremento complessivo rispetto all’anno precedente (+2,0 per cento).
Nel 2011 sono stati complessivamente denunciati 1.002 infortuni, di cui 988 (circa il 98,6 per cento) accaduti sul luogo di lavoro, ossia a bordo delle navi e i rimanenti 14 (1,4 per cento) in itinere. Nel complesso, tra il 2010 ed il 2011 si è rilevata una diminuzione di eventi del 21,0 per cento, dovuta a una riduzione degli infortuni sul luogo di lavoro pari al 19,5 per cento e a una riduzione degli infortuni in itinere del 65,9 per cento, percentuale che in sé risulta molto elevata, ma che va ridimensionata per il numero molto limitato di casi.
La diminuzione degli infortuni del 2011 si accompagna ad un lieve aumento dello 0,5 per cento della massa retributiva accertata per l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali e quindi ad un livello di occupazione da ritenersi stabile.
Su un arco temporale più ampio, si conferma il trend decrescente degli infortuni nel loro complesso, che tra il 2002 ed il 2011 si sono ridotti di circa il 38,0 per cento, passando da 1.614 a 1.002.
Se si esamina la distribuzione degli eventi per categoria di naviglio, la categoria passeggeri (trasporto persone) è quella nella quale si è concentrato il maggior numero di infortuni sul luogo di lavoro, con quasi la metà dei casi (48,8 per cento), e che insieme alla categoria del carico (trasporto merci) e al settore pesca assorbe oltre l’85,0 per cento degli eventi avvenuti nel 2011. Essendo la categoria del diporto sostanzialmente trascurabile, in quanto ha dimensioni limitate ed è quindi maggiormente soggetta ad oscillazioni casuali, il settore passeggeri è anche l’unico nel quale si registra una diminuzione di infortuni, con una percentuale piuttosto elevata (23,5 per cento). Poiché inoltre l’occupazione del settore passeggeri risulta praticamente stabile (il complesso delle retribuzioni imponibili del 2011 registra un -0,5 per cento), la diminuzione degli infortuni è associabile ad un sostanziale mantenimento dell’attività lavorativa e quindi dell’esposizione al rischio.
La quota di infortuni a carico del personale femminile varia di anno in anno e nel 2011 risulta pari al 4,3 per cento, concentrati nelle categorie dei passeggeri e del diporto, dato che il personale femminile nel mondo marittimo opera ancora oggi prevalentemente nel naviglio dedicato al trasporto delle persone/turismo.
Dal punto di vista anagrafico, si riscontra una diminuzione del numero degli incidenti per tutte le classi di età, con la sola, rilevante eccezione dei lavoratori più anziani, di età superiore a 65 anni, per i quali gli infortuni aumentato del 25,0 per cento. L’età media dei lavoratori marittimi infortunati nel 2011 risulta pari a 43,8 anni (nel 2010 era 42 anni), mentre per le lavoratrici a 34,3 anni (nel 2010 era 34,7), dato quest’ultimo che conferma la giovane età delle lavoratrici del settore della navigazione.
Il 74 per cento degli infortuni del 2011 ha riguardato marittimi di nazionalità italiana, la rimanente quota per il 42 per cento è costituita da marittimi di nazionalità tunisina (14 per cento), che sono presenti quasi esclusivamente nel settore della pesca, e da lavoratori di nazionalità romena (28 per cento).
Nel 2011 circa il 55 per cento degli infortuni si è verificato nei mesi compresi tra maggio e ottobre ed è nel mese di luglio che si è registrato il maggior numero di casi. Si ricordi infatti che oltre il 48 degli infortuni è stato rilevato nella categoria passeggeri, dove l’attività si intensifica proprio nei mesi estivi.
Nel 2011, nel settore della navigazione si sono verificati 7 casi mortali, contro i 5 del 2010. Di questi 7, 5 appartengono al settore della pesca, settore che annualmente conferma la sua rischiosità, soprattutto a causa dei naufragi che mettono a repentaglio la vita dell’intero equipaggio. Tra il 2001 e il 2011 infatti oltre il 69 per cento dei casi mortali nel comparto marittimo (più di 80 eventi) si sono verificati proprio nel settore della pesca.
Per quanto riguarda le malattie professionali del settore marittimo, nel 2011 l’INAIL Settore Navigazione ha indennizzato complessivamente circa 1,9 milioni di giornate per «malattia comune», dato che risulta sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. La malattia comune si distingue in malattia fondamentale (verificatasi durante l’imbarco) e malattia complementare (verificatasi entro 28 giorni dallo sbarco). Quest’ultima, in termini di numero di giornate indennizzate, rappresenta circa il 69 per cento delle erogazioni per malattia comune.
Per quanto riguarda le tipologie, gli ultimi dati disaggregati disponibili risalgono al 2010. Considerando le pratiche di malattia fondamentale aperte in quell’anno, pari a circa 7.500, si riscontra un’assoluta predominanza delle pratiche aperte per patologie legate al sistema muscolo-scheletrico, che è comune a tutte le categorie di naviglio. Nel 2011, infine, l’INAIL Settore Navigazione ha indennizzato quasi 140.000 giornate per prestazioni di maternità (inclusi i congedi parentali). La diminuzione registrata rispetto al 2010 è pari al 2,7 per cento: da 143.586 giornate indennizzate nel 2010 a 139.652 nel 2011.
Infine, a conclusione di questa ampia panoramica, sembra opportuno effettuare un raffronto con gli altri Paesi europei. Sulla base dei tassi d’incidenza standardizzati EUROSTAT l’Italia registra per il 2008 (ultimo anno reso disponibile 16) un indice infortunistico 17 pari a 2.362 infortuni per 100.000 occupati: (con una riduzione del 27,7 per cento rispetto al 2003 e del 42,5 per cento rispetto al 1998), collocandosi nella graduatoria risultante dalle statistiche armonizzate ben al di sotto di quello rilevato per Spagna (4.792), Francia (3.789) e Germania (3.024).
Per quanto riguarda gli infortuni mortali 18, i tassi di incidenza diminuiscono da 2,5 a 2,4 decessi per 100.000 occupati, segnando un -14,3 per cento rispetto al 2003 e dimezzando il valore del 1998 (pari a 5), confermando per il nostro Paese come il rischio infortunistico continui nella sua tendenza al ribasso.

2.6.2. I dati provvisori dei primi nove mesi del 2012
Come per la precedente relazione annuale, la Commissione ha chiesto all’INAIL alcuni approfondimenti sull’andamento degli infortuni sul lavoro nel periodo gennaio-settembre 2012. L’Istituto, con la consueta disponibilità e puntualità, ha fornito una dettagliata e articolata analisi, dalla quale è possibile evincere alcune interessanti indicazioni. Si tratta però, è bene ribadirlo, di valutazioni ancora del tutto provvisorie, essendo i dati ancora soggetti a revisione, in attesa del consolidamento definitivo che avverrà a metà del 2013.
Innanzitutto, i dati dei primi nove mesi del 2012 registrano una riduzione nel numero complessivo degli infortuni di quasi 56.000 casi (da 552.922 a 496.911) rispetto allo stesso periodo del 2011: si tratta di un calo pari al 10,1 per cento, notevolmente superiore a quello, pari al 6,6 per cento, che si è registrato per l’intero anno precedente. Una riduzione ancora più elevata si rileva per gli infortuni mortali, scesi nei primi nove mesi del 2012 del 13,0 per cento (da 685 a 596 vittime); in tal modo, sembra confermarsi il trend di forte contrazione iniziato nel 2010 quando, per la prima volta dal dopoguerra, il numero degli incidenti sul lavoro mortali è sceso sotto la soglia dei mille casi.
Come nel paragrafo precedente, il dato sul trend degli infortuni può essere rapportato ai dati ISTAT sull’andamento dell’occupazione, che nel confronto tra i primi nove mesi del 2012 e lo stesso periodo del 2011 segna una sostanziale stabilità, sia rispetto al numero degli occupati (-0,1 per cento), sia rispetto al monte ore lavorate (+0,0 per cento). Per quanto riguarda il numero delle ore di cassa integrazione guadagni (CIG) si registra invece un aumento, passando da 28,20 ore per mille ore lavorate nei primi 9 mesi del 2011, a 38,72 ore nei primi 9 mesi del 2012. I dati INPS confermano infatti che nel periodo considerato vi è stato un incremento di richieste per la CIG pari al 10,1 per cento: 792,9 milioni di ore autorizzate nei primi tre trimestri del 2012 contro i 727,9 milioni dello stesso periodo del 2011, delle quali fino al mese di agosto sono state effettivamente utilizzate solo il 46,0 per cento (cosiddetto «tiraggio»), confermando così l’andamento decrescente già rilevato nel 2011 rispetto al 2010 e di cui si è detto nel paragrafo precedente.
Dal punto di vista settoriale, nel periodo da gennaio a settembre del 2012 rispetto all’analogo intervallo del 2011 il calo tendenziale degli infortuni è comune a tutti i rami di attività, seppure in misura diversa. La diminuzione degli infortuni è più pronunciata nell’industria (-19,6 per cento) rispetto all’agricoltura (-9,0 per cento) e alle attività dei servizi (-13,1 per cento). Per quanto riguarda l’andamento occupazionale, l’ISTAT stima una sostanziale tenuta del numero degli occupati (-0,1 per cento), con una crescita in agricoltura (+2,0 per cento) e nei servizi (+0,9 per cento), alla quale si contrappone una marcata riduzione nell’industria (-2,6 per cento). Anche le ore lavorate sono abbastanza stabili, con una riduzione dello 0,2 per cento nell’industria e un aumento dello 0,2 per cento nei servizi.
Analizzando i principali settori di attività, nell’industria il dato maggiormente positivo in termini di riduzione degli infortuni si registra nelle estrazioni minerarie (-24,3 per cento), seguite dalle costruzioni (-24,1 per cento), sia pure condizionate queste ultime dal calo dell’occupazione (-3,2 per cento come numero degli occupati, ma +1,5 per cento come monte ore lavorate); una sensibile riduzione degli infortuni si è riscontrata anche per gli altri due settori industriali notoriamente più a rischio, la metallurgia (-18,5 per cento) e la meccanica (-16,0 per cento). Nei servizi, si è avuto un calo significativo (-16,5 per cento) nel settore dei servizi alle imprese (che comprende tra l’altro noleggio di macchinari, manutenzione e riparazione di macchine per ufficio, servizi di pulizia e disinfestazione industriale, ecc.). Altrettanto notevoli le diminuzioni degli infortuni registrate nel settore degli alberghi e ristoranti, nel commercio e nei trasporti, tutte oltre il 15 per cento.
Per quanto riguarda i casi mortali, a fronte di un dato stabile nell’agricoltura (+0,0 per cento), si registra una contrazione nei servizi (-28,1 per cento) e nell’industria (-21,3 per cento). In quest’ultimo ramo di attività, la maggior parte dei settori sono in calo, a parte pochi limitati comparti dove il numero assoluto delle vittime è comunque di poche unità. Tra i settori più a rischio, un sensibile calo delle morti sul lavoro si registra nelle costruzioni (-31,2 per cento, da 141 a 97) e nell’industria metallurgica (-37,2 per cento, da 40 a 25), come pure nell’industria chimica e in quella del legno. Nei servizi, il calo dei decessi (72 casi in meno rispetto ai primi 9 mesi del 2011) è dovuto per quasi la metà al buon risultato del settore dei trasporti e comunicazioni (-38,0 per cento); seguono poi i settori del commercio, degli alberghi e ristoranti e dei servizi pubblici. Registrano invece un aumento, sia pure contenuto in termini assoluti, l’intermediazione finanziaria, la pubblica amministrazione e la sanità.
Nella suddivisione tra infortuni in occasione di lavoro ed infortuni in itinere, il periodo gennaio-settembre 2012 ha visto entrambi ridursi di circa il 10 per cento in termini generali, mentre i casi mortali sono diminuiti del 7,0 per cento per gli incidenti in occasione di lavoro e del 29,7 per cento per quelli in itinere.
Dal punto di vista della differenza di genere, nei primi tre trimestri del 2012 rispetto a quelli del 2011 si è avuto un calo degli infortuni in generale dell’11,8 per cento per i lavoratori e del 6,4 per cento per le lavoratrici, mentre i casi di morte sono scesi da 628 a 553 per gli uomini (-11,9 per cento) e da 57 a 43 per le donne (-24,6 per cento).
A livello territoriale, il calo degli infortuni complessivi risulta generalizzato. Precisamente, nel Nord vi è una riduzione del 9,3 per cento, nel Centro dell’11,1 per cento e nel Mezzogiorno dell’11,7 per cento: tali dati devono essere raffrontati con l’andamento occupazionale (misurato come numero di occupati), caratterizzato da una sostanziale stabilità in tutto il Paese: -0,1 per cento nel Nord, +0,4 per cento nel Centro e -0,3 per cento nel Mezzogiorno. Per i casi mortali, la riduzione è pari al 5,4 per cento nel Nord, al 24,0 per cento nel Centro e al 17,3 per cento nel Sud e nelle Isole.
Relativamente alle malattie professionali, nei primi nove mesi del 2012 rispetto al corrispondente periodo del 2011 si è registrato un calo delle denunce, passate da 34.390 a 32.975 (-4,1 per cento). Si tratta di un dato in decisa controtendenza rispetto all’andamento degli ultimi anni, che dovrà essere opportunamente indagato sulla base delle statistiche definitive. Pur essendo dunque ancora prematuro trarre conclusioni, si può comunque osservare che, dopo il boom degli anni passati, legato soprattutto all’emersione delle «malattie perdute», un certo rallentamento nel numero delle denunce era in parte prevedibile.
Per quanto riguarda la distribuzione settoriale, nel periodo considerato l’agricoltura registra una diminuzione dei casi di malattia denunciati del 9,6 per cento, l’industria del 13,0 per cento e i servizi del 10,9 per cento. Nell’industria sono in controtendenza gli aumenti delle malattie denunciate nell’agroalimentare (+28,9 per cento) e, sia pure in modo meno significativo dato il numero esiguo, nella pesca (+38,5 per cento). Nei servizi spicca invece l’aumento delle patologie nelle attività domestiche (+36,8 per cento)
Dal punto di vista delle tipologie, nel confronto tra gennaio-settembre 2011 e gennaio-settembre 2012 le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, in assoluto la casistica più diffusa di tecnopatia (nel 2012 hanno rappresentato il 65,6 per cento del totale), registrano la riduzione più bassa (-4,7 per cento), a conferma della rilevanza del fenomeno. Mostrano invece cali più significativi delle denunce le malattie del sistema nervoso e sensoriale (prevalentemente ipoacusie, -20,0 per cento), i tumori (-18,1 per cento), le malattie respiratorie (-23,3 per cento) e cutanee (-16,8 per cento).
Per quanto riguarda la distribuzione di genere, nei primi nove mesi del 2012 la maggior parte delle malattie professionali si è registrata tra gli uomini (69,9 per cento, in calo del 3,5 per cento rispetto all’analogo periodo del 2011), mentre le donne hanno conosciuto un calo più consistente (-5,4 per cento).
In termini geografici, la riduzione dei casi denunciati tra 2011 e 2012 è stata nettamente più forte nel Mezzogiorno (-8,5 per cento) rispetto al Nord (-2,5 per cento) e al Centro (-0,6 per cento).
I dati illustrati, pur nel loro carattere preliminare e parziale, indicano comunque un trend discendente degli infortuni sul lavoro abbastanza consolidato, che potrebbe confermarsi anche per l’intero anno 2012. Sia per quanto riguarda il fenomeno nel suo complesso, sia per quanto concerne i casi mortali, quindi, il bilancio dovrebbe essere positivo e segnare un’ulteriore riduzione rispetto al 2011. Naturalmente le variabili da considerare sono molteplici: in primo luogo occorre che l’andamento del quarto trimestre – trascorso anche il necessario periodo di consolidamento tecnico dei dati – confermi l’andamento delle rilevazioni provvisorie; in secondo luogo, per i casi mortali è necessario un congruo periodo di osservazione. Ai fini statistici, infatti, vanno conteggiati i decessi avvenuti entro 180 giorni dall’evento; l’INAIL, inoltre, sottopone costantemente a verifica le denunce d’infortunio sul lavoro e alcuni casi possono essere rivisti in un senso o in un altro. Pertanto, il dato provvisorio elaborato dall’Istituto per i primi nove mesi del 2012 è destinato a lievitare nel tempo, per cui occorre procedere a una stima per ricavare il dato definitivo dell’intero anno e consentire il confronto (da effettuare comunque con una certa cautela) con il dato consolidato del 2011. Ciò premesso, l’andamento dell’ultimo trimestre, l’aggiornamento tecnico degli archivi e l’evolversi di eventi potenzialmente letali ma non ancora risultanti tali, determineranno il risultato finale relativamente alle vittime sul lavoro dell’anno 2012. Per le ragioni tecniche anzidette, le stime più attendibili per il 2012 saranno elaborate e diffuse a marzo del 2013.
Indipendentemente dal bilancio finale che si determinerà per il 2012, resta comunque il fatto che, sia pure in costante diminuzione, nel nostro Paese gli infortuni restano ancora molto alti, soprattutto quelli mortali, pur a fronte di un andamento occupazionale tendenzialmente stabile. Ciò dimostra come, malgrado i notevoli progressi degli ultimi anni, permangano ancora forti contraddizioni e asimmetrie nell’applicazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, sia a livello settoriale che territoriale. Occorre dunque tenere desta l’attenzione e intensificare le azioni di prevenzione e contrasto degli infortuni e delle malattie professionali, capitalizzando i successi già ottenuti e potenziando gli sforzi, con azioni mirate, in quei settori e in quelle realtà che sono tuttora vulnerabili. Si tratta cioè di «illuminare gli angoli bui» che ancora esistono nel tessuto economico-produttivo del nostro Paese, in una battaglia di civiltà che richiede l’impegno e la coesione di tutti gli attori istituzionali e sociali.