5. Considerazioni conclusive
A conclusione di questa relazione, che è anche l’ultima della Commissione, appare doveroso tracciare un sintetico bilancio sull’attività svolta nel corso della XVI legislatura, per evidenziare le principali questioni ancora aperte in materia di salute e sicurezza del lavoro, sulle quali la Commissione ritiene opportuno richiamare l’attenzione e gli sforzi dei vari soggetti competenti, pubblici e privati, nonché per proporre alcune possibili soluzioni, sulla base dei risultati dell’inchiesta e dell’esperienza maturata.
Ancora una volta, l’aspetto principale è quello del completamento, in tempi rapidi, dell’attuazione del Testo unico n. 81 del 2008, che registra purtroppo ancora alcune lacune. Certamente, gran parte del lavoro è ormai stata fatta: il quadro istituzionale degli organismi chiamati a governare, a livello centrale e periferico, il sistema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro è stato completato e sono stati parimenti emanati molti atti normativi secondari ancora rimanenti – peraltro quasi tutti già istruiti – destinati a regolare specifici settori di attività lavorativa. Tuttavia, mancano ancora alcuni provvedimenti di particolare importanza, il cui iter si trascina ormai da anni. In primo luogo, è essenziale avviare quanto prima il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), la banca dati che dovrà riunire tutte le informazioni inerenti agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali e alle attività di prevenzione e vigilanza svolte dai vari enti competenti. Il Sistema sarebbe dovuto partire da tempo, ma ha subito gravi ritardi: finalmente, però, il 21 dicembre 2011 la Conferenza Stato-Regioni ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto interministeriale che ne regola il funzionamento, che ha ricevuto altresì il prescritto parere dal Consiglio di Stato. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta procedendo alle ultime modifiche necessarie per la definitiva approvazione, pertanto è auspicabile che non vi siano ulteriori rinvii, anche per non rischiare di compromettere definitivamente l’intero progetto.
Il completamento dell’attuazione del Testo unico implica però anche – e forse soprattutto – la sua piena applicazione in tutti i settori e in tutte le parti del Paese, superando le asimmetrie e le contraddizioni che ancora rimangono. A livello settoriale, mentre le grandi attività industriali hanno, nel complesso, recepito la normativa, essa incontra tuttora ostacoli e ritardi nei settori dove si concentra maggiormente la presenza delle piccole o piccolissime imprese, come edilizia, agricoltura e artigianato, che non a caso sono anche i comparti con il maggior numero di infortuni (anche mortali), le cui prime vittime – è bene ricordarlo – sono spesso proprio i titolari delle aziende. Le cause sono essenzialmente di tipo organizzativo e culturale, ma anche l’attuale crisi economica gioca un ruolo pesante, ostacolando un’applicazione completa delle norme e incoraggiando estesi fenomeni di irregolarità, in particolare di lavoro sommerso.
Occorre allora intervenire maggiormente in queste realtà, intensificando i controlli e, soprattutto, accrescendo la formazione e il coinvolgimento degli operatori: a tal fine, strumenti certamente utili e da valorizzare sono gli organismi paritetici e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, aziendali e territoriali. La Commissione auspica quindi che si possa riuscire finalmente a illuminare questi «angoli bui» ancora presenti nel tessuto economico-produttivo del nostro Paese attraverso l’impegno e la coesione di tutti gli attori istituzionali e sociali.
L’attuazione del Testo unico riguarda anche la dimensione territoriale, legata soprattutto alle nuove competenze assegnate alle istituzioni regionali, in termini di programmazione, coordinamento e vigilanza. La Commissione ha esaminato a fondo questo aspetto, in particolare attraverso le missioni compiute in tutte le Regioni d’Italia: l’inchiesta ha confermato purtroppo le molte, troppe differenze e disomogeneità che ancora sussistono tra le varie Regioni, alcune delle quali hanno adottato scelte organizzative diverse e in parte contraddittorie. I maggiori problemi si registrano nell’attività dei comitati regionali di coordinamento: tali organismi attuano gli indirizzi e le politiche nazionali di prevenzione e contrasto agli infortuni e alle malattie professionali e coordinano le relative azioni in ambito locale, assicurando il necessario raccordo fra tutti gli enti competenti, sia statali che periferici, operanti sul territorio. Pur essendo ormai insediati in tutte le Regioni, tuttavia, i comitati non sempre funzionano come dovrebbero, sia pure con alcune lodevoli eccezioni: la loro convocazione non avviene con la cadenza prevista e l’attività è a volte lacunosa, specie riguardo alla collaborazione e alla sinergia tra gli enti.
Malgrado gli innegabili progressi compiuti dalle Regioni in questi anni, sul piano organizzativo e culturale, questi ritardi indeboliscono oggettivamente la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Inoltre, la maggior parte delle Regioni non hanno inviato le previste relazioni ai Ministeri del lavoro e della salute e alcune (specie quelle ad autonomia speciale) hanno adottato modelli organizzativi diversi per i comitati e per l’attività di prevenzione. Manca infatti un adeguato coordinamento tra lo Stato e le varie Regioni, non riuscendo così ad assicurare una effettiva unità di indirizzo politico in questa materia. Questa situazione, che si lega alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, aumenta la confusione e rischia di produrre un’applicazione non uniforme della normativa tra le varie parti d’Italia, il che è assolutamente inaccettabile.
Poiché gli istituti di coordinamento previsti dall’ordinamento vigente, a cominciare dal Comitato ministeriale di cui all’articolo 5 del Testo unico, hanno dimostrato di non essere adeguati per questo compito, la Commissione ha assunto l’iniziativa di proporre una modifica normativa, attraverso l’istituzione di un’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro che prenda il posto del Comitato, con poteri più ampi e rafforzati, per esercitare in modo più efficace le funzioni di indirizzo politico e di raccordo tra i diversi enti istituzionali, centrali e periferici, in materia di prevenzione e di tutela. Tale soluzione, nata da un ampio confronto con tutti i soggetti istituzionali e sociali, ha inoltre il pregio di non alterare la ripartizione delle competenze costituzionali tra Stato e Regioni. Essa è stata formalizzata in un apposito disegno di legge (Atto Senato n. 3587), che la Commissione, a conclusione della sua inchiesta, intende offrire alla riflessione del Parlamento e del Governo, auspicandone l’approvazione nella successiva legislatura.
Analogamente, è auspicabile una sempre più stretta collaborazione tra i soggetti istituzionali statali e non statali, anche sul fronte dei controlli e della repressione delle violazioni, mediante un’applicazione equilibrata ma rigorosa delle sanzioni. La Commissione sottolinea la necessità di proseguire con decisione in questa direzione, attraverso un più forte coordinamento tra gli enti ispettivi, in cooperazione con le forze dell’ordine e gli organi di polizia locale, adottando procedure e verbali unificati di rilevazione. Ciò da un lato potrà accrescere l’efficacia e l’uniformità dei controlli, evitando duplicazioni e sovrapposizioni; dall’altro potrà consentire una razionalizzazione delle risorse e degli organici, con notevoli risparmi anche sul piano finanziario. La banca dati del SINP potrà certamente contribuire in questo senso, aiutando a programmare meglio gli interventi e la vigilanza su base territoriale e facilitando lo scambio delle informazioni. È inoltre opportuno aumentare il numero degli ispettori tecnici rispetto a quelli amministrativi, incentivando processi di riqualificazione e di mobilità tra le categorie.
La Commissione auspica una sempre maggiore diffusione e valorizzazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, cui spetta un importante ruolo di garanzia nel sistema della prevenzione disegnato dal Testo unico. Purtroppo, soprattutto nelle piccole e piccolissime imprese, queste figure stentano ancora ad affermarsi, venendo percepite talvolta con diffidenza o persino con ostilità, anziché in modo collaborativo. Il problema si pone anche per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali, che il Testo unico ha previsto per consentire la presenza di queste figure anche nelle realtà di minori dimensioni con pochi o pochissimi lavoratori, attraverso una rappresentanza a livello territoriale o settoriale per più imprese, evitando eccessivi aggravi per le aziende stesse.
L’inchiesta ha rivelato come i nominativi dei soggetti eletti o nominati come rappresentanti per la sicurezza non siano resi noti dall’INAIL per motivi di tutela della privacy, rendendo però difficile per i sindacati e per gli enti preposti rapportarsi con loro ai fini delle attività di prevenzione e di formazione. A tal fine, anche su sollecitazione della Commissione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta studiando adeguate forme di pubblicità dei nominativi. Ciò consentirebbe anche finalmente la creazione presso l’INAIL del «Fondo di sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla pariteticità», destinato a finanziare le attività di questi soggetti a favore della salute e sicurezza sul lavoro. Particolarmente importante in questo ambito è anche il ruolo degli organismi paritetici costituiti nei vari settori tra i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, per la loro azione nel campo della prevenzione e della formazione. Fermo restando il principio della libera intesa tra le parti, è comunque auspicabile una sempre maggiore diffusione anche di queste strutture.
La Commissione raccomanda pertanto che sia attivata quanto prima l’anagrafe dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza aziendali e territoriali, al fine di consentire una sempre maggiore diffusione della cultura della sicurezza, anche tra le imprese di minori dimensioni.
La Commissione ribadisce l’importanza, ai fini della promozione di una vera cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro, di un’ampia e idonea formazione. Allo scopo di garantire che essa venga impartita da formatori realmente qualificati, la Commissione raccomanda il rapido completamento dell’iter per l’emanazione del decreto interministeriale che fissa i criteri di qualificazione dei formatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro, licenziato dall’apposita Commissione consultiva permanente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Specialmente le piccole e medie imprese hanno spesso avanzato richieste di semplificazione di talune norme e adempimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ritenute eccessivamente gravose o addirittura inutilmente burocratiche. La Commissione auspica un adeguato accoglimento di tali istanze, in sé certamente condivisibili, dando anche attuazione alle norme di semplificazione già previste dalla legislazione vigente.
È però essenziale che nel contempo sia garantito il rispetto delle regole fondamentali poste a presidio della salute e dell’incolumità dei lavoratori e degli stessi datori di lavoro. Serve quindi un approccio equilibrato, che sia in grado di contemperare le diverse esigenze: da una parte eliminare adempimenti e passaggi burocratici effettivamente inutili o eccessivi, dall’altra garantire il mantenimento di adeguati standard di sicurezza e di tutela.
La Commissione sottolinea ancora una volta la necessità di assumere provvedimenti urgenti per cercare di ridurre la grave piaga degli incidenti legati all’uso delle macchine ed attrezzature di lavoro, in particolare nel settore agricolo. A tal fine occorre agire su due aspetti. Il primo è quello degli adeguamenti normativi per rendere più severi e stringenti i requisiti sia dei conducenti (mediante un’idonea formazione per l’abilitazione), sia dei mezzi (imponendo a tutti l’obbligo dei dispositivi di sicurezza e delle revisioni periodiche). Nel settore agricolo tale principio è stata finalmente accolto con il nuovo testo dell’articolo 111 del Codice della strada, modificato dal decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012. La Commissione raccomanda che tale norma sia attuata nel più breve tempo possibile, per non vanificare il lungo lavoro fatto per giungere a tale traguardo. Senza voler penalizzare le categorie interessate, è però opportuno mettere finalmente ordine in un settore caratterizzato finora da gravi lacune. A ciò si dovrà poi accompagnare una campagna mirata di sensibilizzazione e di formazione rivolta agli utilizzatori dei mezzi agricoli, di tipo professionale e non.
Il secondo aspetto è quello delle agevolazioni per la sostituzione e, soprattutto, per la messa in sicurezza delle macchine e attrezzature di lavoro. Al fine di garantire un uso più efficiente delle risorse finanziarie già disponibili o di futuro stanziamento, occorre superare i vincoli imposti dal meccanismo comunitario del «de minimis» relativo ai limiti degli aiuti di Stato. A tal fine la Commissione ha predisposto un’apposita proposta normativa, confluita nell’Atto Senato n. 3400 e mirante ad escludere dalle limitazioni degli aiuti di Stato tutte le agevolazioni volte ad accrescere la sicurezza delle macchine e attrezzature da lavoro, di qualunque settore, al fine di favorirne un migliore utilizzo. Dopo un lungo confronto con la Direzione concorrenza della Commissione europea, in collaborazione con il Dipartimento per le politiche comunitarie, poiché la tutela della salute e sicurezza sul lavoro può rientrare nelle deroghe previste dall’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, si sta delineando una possibile soluzione nella formula dell’aiuto di Stato compatibile, fatta salva naturalmente la necessità di definire meglio i dettagli della proposta.
A tal fine la Commissione raccomanda al Parlamento e al Governo, nella prossima legislatura, di proseguire con decisione lungo questa strada, per definire in tempi rapidi un testo che possa essere approvato dalla Commissione europea.
Uno dei settori più critici per il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è quello degli appalti e dei subappalti. Gli eccessivi ribassi che continuano a riscontrarsi nelle offerte, sia in fase di progettazione che di realizzazione dei lavori, rischiano di comprimere i costi della sicurezza e di abbassare la qualità delle prestazioni, malgrado le disposizioni in materia. Ciò vale soprattutto nel settore privato, dove non esistono regole cogenti per gli appalti, ma anche in quello pubblico, dove il ricorso assai esteso al meccanismo del massimo ribasso d’asta (incoraggiato anche dalle esigenze di risparmio delle pubbliche amministrazioni e dalla maggiore semplicità della formula) crea spesso gravi distorsioni, specie nelle catene più lunghe dei subappalti, dove ormai si registra una varietà di formule contrattuali che rende spesso opaca la reale situazione e favorisce altresì l’infiltrazione della criminalità, specie negli appalti delle grandi opere pubbliche.
Attesa l’impossibilità, per i vincoli comunitari esistenti in materia, di modificare le norme vigenti per eliminare o quanto meno limitare l’utilizzo del massimo ribasso, occorre incoraggiare il ricorso a sistemi alternativi di valutazione delle offerte, in particolare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, basata su parametri non solo meramente economici, ma anche qualitativi, assicurando così anche una selezione delle imprese più qualificate e capaci. Esistono a tal fine alcune iniziative di carattere legislativo (come l’Atto Senato n. 3176) ovvero amministrativo (come i protocolli di accordo tra enti locali, associazioni di categoria e sindacati) che vanno in questa direzione e che dovrebbero essere opportunamente sostenute e diffuse.
Parimenti, occorre rafforzare il regime dei controlli delle amministrazioni appaltanti, sia nella fase preliminare di valutazione delle eventuali anomalie di offerta che nelle fasi successive di esecuzione delle opere, nei confronti dell’appaltatore principale come pure dei subappaltatori. È infatti nella catena dei subappalti che ricorrono le maggiori violazioni della sicurezza sul lavoro e i più gravi incidenti, spesso mortali. La Commissione auspica a tal fine un potenziamento delle strutture amministrative, con una maggiore preparazione e tutela del personale preposto alla gestione delle gare, anche contro le minacce di contenzioso delle aziende. Particolarmente raccomandabile è la creazione delle stazioni appaltanti uniche a livello territoriale, ad esempio provinciale, intorno alle Prefetture, così da poter avere una maggiore «massa critica» e gestire gli appalti in modo centralizzato e più efficiente, anche ai fini dei controlli di legalità contro le infiltrazioni della criminalità organizzata (purtroppo molto presente specie negli appalti delle grandi opere).
Negli appalti privati, l’assenza delle procedure e dei controlli previsti nel settore pubblico rende la violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro molto più frequente e difficile da arginare. Il problema concerne soprattutto l’edilizia e si lega al tema della regolamentazione della professione di imprenditore edile, per la quale occorre prevedere adeguati requisiti di esperienza, preparazione tecnica e struttura organizzativa, al fine di evitare, come accade oggi, che imprese o professionisti non qualificati si affaccino sul mercato, offrendo prezzi più bassi in concorrenza sleale con le imprese meglio organizzate, spesso a discapito del rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro. La Commissione auspica quindi che si definiscano presto adeguate regole per la figura dell’imprenditore edile che, senza limitare la libertà d’iniziativa privata, assicurino una maggiore qualificazione degli operatori del settore, anche attraverso l’attivazione della patente a punti in edilizia, da tempo attesa.
La Commissione auspica una sempre maggiore specializzazione e qualificazione professionale dei magistrati chiamati ad occuparsi dei procedimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sia in sede inquirente che in sede giudicante. A tal fine è opportuno avviare una riflessione, anche all’interno dell’ordine giudiziario, sulla creazione di adeguate strutture di coordinamento, a livello nazionale ovvero distrettuale, che assicurino una sempre maggiore preparazione professionale dei magistrati e, conseguentemente, una sempre maggiore uniformità di indirizzo e di valutazione nel trattamento dei diversi casi giudiziari.
Accanto al fenomeno degli infortuni sul lavoro, la Commissione richiama l’attenzione sulla prevenzione e il contrasto delle malattie professionali, incoraggiando la diagnosi e la segnalazione tempestiva da parte delle strutture mediche e sanitarie competenti, nonché una rapida definizione delle pratiche amministrative per il riconoscimento dei relativi benefici da parte dell’INAIL, laddove ricorrano i necessari presupposti.
Una particolare attenzione deve essere riservata alle patologie legate all’esposizione all’amianto. Malgrado l’uso di questo materiale sia bandito in Italia ormai dal 1992, esso continua ad essere presente in moltissimi edifici e manufatti, ponendo problemi per la sua eliminazione. L’ampia diffusione dei decenni passati ha inoltre determinato un numero elevato di persone destinate ad ammalarsi, il cui picco di manifestazione si avrà nei prossimi anni, a causa dei lunghi periodi di latenza delle patologie asbesto-correlate, primo fra tutti il mesotelioma pleurico.
La Commissione raccomanda che sia attivato quanto prima il Piano nazionale amianto, per definire sia un adeguato e capillare sistema di sorveglianza sanitaria per le persone a rischio, sia una vasta campagna di bonifica dei siti inquinati e di rimozione dei manufatti di amianto ancora presenti in edifici pubblici e privati, incoraggiando anche i sistemi di smaltimento alternativi alla discarica, tenuto conto che in molte Regioni italiane mancano ancora piani specifici di smaltimento. Al tempo stesso, è auspicabile che siano trovate formule efficienti per definire le posizioni degli ex lavoratori e dei loro familiari esposti all’amianto, ai fini dell’accesso sia ai benefici economici previsti dalla legge, sia alle necessarie cure di assistenza sanitaria.
La Commissione sollecita una maggiore considerazione delle differenze di genere ai fini della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici, anche in adesione alle disposizioni vigenti. Occorre valutare con attenzione i rischi specifici riguardanti gli uomini e le donne e derivanti dalle loro condizioni lavorative e fisiologiche, al fine di impostare le conseguenti azioni di prevenzione. Particolare attenzione va riservata alla salvaguardia della fertilità degli individui, garantendo la salubrità degli ambienti di lavoro e la protezione nelle attività a maggior rischio contro i possibili danni biologici.
La Commissione raccomanda altresì che si proceda in tempi rapidi a colmare le lacune normative e amministrative concernenti la disciplina della salute e sicurezza sul lavoro nelle attività portuali, nell’interesse della tutela dei lavoratori e dell’ordinato svolgimento delle attività economiche del settore. A tal fine è opportuno che il Governo e il Parlamento nella prossima legislatura procedano quanto prima all’emanazione delle norme di coordinamento tra la disciplina generale dettata dal Testo unico e quella di settore prevista dai decreti legislativi nn. 271, 272 e 298 del 1999, approvando il disegno di legge delega già presentato alla fine della XVI legislatura (Atto Camera n. 5368), in modo da superare i ritardi da troppo tempo accumulatisi.
Infine, la Commissione auspica che si proceda quanto prima ad una revisione dell’attuale sistema delle provvidenze di carattere assicurativo e previdenziale previsto dalle norme vigenti a favore dei familiari superstiti dei lavoratori vittime di infortuni, che in taluni casi si è dimostrato insufficiente ad assicurare un adeguato ristoro alle famiglie colpite da tali tragedie. È quindi opportuno valutare la possibilità di introdurre alcuni correttivi di tipo legislativo ed amministrativo che, pur tenendo conto delle necessarie compatibilità finanziarie, possano da un lato ampliare la platea degli aventi diritto (ad esempio includendo alcune categorie di familiari non a carico del deceduto), dall’altro elevare la misura dei benefici. In tale ambito una particolare attenzione dovrebbe essere riservata ai nuclei familiari superstiti di lavoratori giovani con minori a carico, nei confronti dei quali i meccanismi risarcitori stabiliti dall’attuale normativa (in quanto commisurati al livello della retribuzione e ai contribuiti versati) non riescono talvolta a garantire quei mezzi di vita adeguati previsti anche dalla Costituzione, creando un fenomeno di grave disagio sociale, rispetto al quale è urgente provvedere.

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