3.6. Il ruolo dei medici del lavoro nelle politiche di prevenzione e contrasto agli infortuni e alle malattie professionali
Una delle figure centrali nelle attività di prevenzione e di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali è da sempre quella dei medici del lavoro, ai quali lo stesso Testo unico riserva particolare attenzione. Per tale ragione la Commissione ha ritenuto opportuno incontrare, per una comune riflessione, la più importante ed antica associazione scientifica di questo settore, la Società italiana di medicina del lavoro e igiene industriale (SIMLII).
Già ascoltata il 3 marzo 2009, la SIMLII è stata audita nuovamente in occasione del rinnovo dei propri vertici nella seduta del 28 febbraio 2012. In tale audizione il presidente, professor Pietro Apostoli, ha sottolineato che nel nuovo mandato l’obiettivo principale che la Società intende porre al centro del programma di attività 2011-2014 è costituito dal rafforzamento del ruolo dei medici del lavoro. Anche gli ultimi dati sugli infortuni sul lavoro hanno dimostrato infatti la necessità di intervenire su questo aspetto, valorizzando il ruolo e il coordinamento delle figure tecniche preposte alla prevenzione, che non sempre le attuali norme di legge o le buone pratiche riconoscono in modo adeguato.
Tale esigenza è stata da tempo segnalata da parte della SIMLII, sulla base della propria esperienza: la Società è infatti una delle più antiche organizzazioni di medicina del lavoro e, annoverando tra i propri associati sia docenti universitari che medici che operano sul campo (ossia nelle aziende e negli altri luoghi di lavoro), ha una visione trasversale e completa dei problemi. La principale preoccupazione è stata negli ultimi anni quella di garantire un’adeguata formazione e aggiornamento degli operatori di medicina del lavoro. A tale scopo, sono state prodotte 30 linee guida, sono stati attivati programmi di formazione a distanza (l’ultimo dei quali ha visto la partecipazione di quasi 800 persone) e si è altresì cambiata anche l’impostazione dei congressi e degli altri incontri di settore, nell’ottica di «ripartire dal lavoro».
La SIMLII ritiene che i medici del lavoro debbano essere maggiormente coinvolti nelle attività di prevenzione e che il loro ruolo debba essere specificamente riconosciuto anche a livello normativo: esiste infatti, nella prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, un livello più profondo, quello del fattore umano, sul quale si può incidere solo con l’azione di operatori competenti che sviluppino un rapporto diretto con le persone. Questo è il ruolo che devono rivestire i medici del lavoro, la cui figura si deve quindi affiancare alle altre figure della prevenzione di carattere più specificamente tecnico. In particolare la SIMLII propone il medico di lavoro come consulente globale della prevenzione, che assiste l’azienda fin dall’inizio nella progettazione delle attività, al pari di altre competenze come quelle degli ingegneri o dei progettisti.
Nel corso dell’audizione il professor Apostoli ha sottolineato inoltre la necessità di superare la visione che limita il ruolo del medico del lavoro all’effettuazione delle visite fiscali di legge, per coinvolgerlo in una azione complessiva di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Ricorda poi alcune critiche già espresse in passato dalla Società alle previsioni del Testo unico, laddove affida ai medici del lavoro una serie di adempimenti che appaiono eccessivi, o perché estranei al loro ruolo o perché comunque inutilmente gravosi e rispetto ai quali servirebbe una opportuna semplificazione. Occorre inoltre definire più chiaramente il ruolo e il valore delle indicazioni di prevenzione contenute nelle buone prassi e nelle linee guida, anche alla luce degli orientamenti consolidati in campo nazionale ed internazionale.
La Commissione ha concordato sul fatto che l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali negli ultimi anni ha confermato la necessità di rafforzare l’attenzione sull’aspetto umano, ossia sulle condizioni del singolo lavoratore, integrandolo con le attività di prevenzione più strettamente tecniche. Tenendo conto del rapporto tra il numero degli infortuni e quello degli occupati, infatti, si è evidenziato come nei grandi settori industriali il trend sia decrescente, così come in edilizia (pur rimanendo molto alti i numeri assoluti degli incidenti). Viceversa, il rapporto rimane estremamente alto nei settori caratterizzati da operatori economici di piccole dimensioni, come l’agricoltura e l’artigianato (ad esempio le attività pirotecniche o la concia dei pellami), che sono i comparti dove risulta più difficile incidere sulla preparazione e sulla qualificazione dei lavoratori.
Ad esempio, negli incidenti in agricoltura legati al ribaltamento dei mezzi, la maggior parte delle vittime sono persone molto giovani o molto anziane, che non hanno spesso i requisiti di preparazione o anche semplicemente fisici per operare su questi mezzi, mancando un’espressa disposizione di legge.
La Commissione ha sottolineato quindi il suo interesse per le indicazioni che la SIMLII ha già elaborato o potrà elaborare in futuro su questi aspetti legati più direttamente alle condizioni personali dei lavoratori e che potrebbero fornire utili spunti, anche in vista della relazione finale sull’attività della Commissione, per proporre al Parlamento e al Governo eventuali modifiche di tipo legislativo tese ad innalzare i livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, come si è già fatto per alcuni settori quali l’agricoltura e gli appalti. Un discorso analogo vale per i lavoratori stranieri, che provengono da altri contesti culturali e sono spesso occupati in lavori molto pesanti e pericolosi. Anche in questo caso l’attenzione al fattore umano è apparsa essenziale per aggredire ancora più in profondità il fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali.
In risposta alle considerazioni della Commissione, il presidente della SIMLII, professor Apostoli, ha osservato che, anche senza modificare le attuali normative, si potrebbero raggiungere risultati importanti chiarendo meglio il valore che possono avere, in termini di efficacia e di cogenza, le indicazioni di prevenzione antinfortunistica fornite dagli operatori di medicina del lavoro nelle buone prassi, soprattutto in relazione alle prescrizioni di carattere normativo. Ad esempio la SIMLII sta lavorando su una linea guida specifica sugli effetti dell’invecchiamento progressivo della popolazione lavorativa in certi settori, tra i quali anche l’agricoltura: questo fenomeno, sconosciuto in passato, sta creando l’insorgere di patologie e di problemi di salute che i lavoratori tendono a trascinarsi per molti anni, con le conseguenze immaginabili. Occorre quindi integrare le indicazioni di tipo tecnico con quelle di carattere medico-biologico per una vera prevenzione, rafforzando il ruolo del medico del lavoro, specie se si considera che in certi contesti (come le aziende di minori dimensioni) questi è spesso l’unica figura tecnica di riferimento. Il presidente Apostoli ha inoltre segnalato alcune perplessità circa i contenuti di uno degli accordi Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 che detta i contenuti e le modalità per la formazione, tra gli altri, degli operatori della prevenzione: senza contestare ovviamente il principio di un’adeguata qualificazione degli operatori, nell’accordo vi sono tuttavia alcuni adempimenti e requisiti richiesti ai medici del lavoro che egli ritiene decisamente eccessivi, ove si consideri la specializzazione che tali figure già possiedono, in una sorta di «accanimento» che prevede obblighi di formazione anche dove non servirebbero.
Nel ringraziare il professor Apostoli per il suo importante contributo, la Commissione ha convenuto con le sue osservazioni, soprattutto sul tema della formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in relazione al quale i problemi sono purtroppo molto più ampi. Contrariamente a quanto talvolta si pensa, le risorse finanziarie per le attività di formazione vi sono, ma sono spesso spese male, in quanto i corsi o non vengono fatti oppure sono svolti in maniera superficiale e non corretta. Ciò , oltre ad essere eticamente censurabile, pone seri problemi anche rispetto alla preparazione dei lavoratori ai fini della prevenzione, che in alcuni casi non fanno neanche la formazione di base. L’INAIL sta lavorando molto su questi temi, ma il problema è molto complesso. Occorre anzitutto trovare modelli didattico-formativi validi in tema di sicurezza sul lavoro: la Commissione ad esempio ha audito alcuni atenei che hanno organizzato corsi specializzati su queste materie, ma l’offerta formativa è ancora inadeguata.
Un altro tema, legato sempre alla necessità di una maggiore e specifica attenzione alle caratteristiche personali dei lavoratori, è quello delle malattie professionali: ad esempio, come la Commissione ha segnalato nella relazione sul terzo anno di attività e nelle relative risoluzioni approvate dall’Assemblea del Senato, esistono alcune malattie «di genere», ossia patologie professionali (legate alle condizioni lavorative di determinati settori) che colpiscono in modo diverso uomini e donne e danneggiano la loro stessa capacità riproduttiva.
Su questo particolare argomento, la Commissione ha svolto nel corso del suo ultimo anno di attività una serie di approfondimenti specifici, dei quali si darà conto nel prossimo paragrafo.

3.7. La salute e la sicurezza sul lavoro in un’ottica di genere. L’inchiesta sulle condizioni delle aziende del Gruppo Fiat
Un aspetto particolarmente importante ma talvolta, per così dire, sottovalutato della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è quello relativo alla distinzione di genere, ossia ai diversi tipi di rischio, e quindi alle diverse esigenze di prevenzione, che si possono porre in questo settore per gli uomini e per le donne. Si tratta di profili che attengono in modo particolare – anche se non esclusivo – ai rischi di malattie professionali, tenendo conto della diversa esposizione che i lavoratori e le lavoratrici possono avere in determinate circostanze, in ragione delle differenti mansioni eventualmente svolte e soprattutto della loro diversa fisiologia.
Un esempio è quello dei rischi di infertilità che possono essere causati dall’esposizione a determinati agenti chimici o biologici, o ancora dei particolari rischi per la salute che le lavoratrici in stato interessante possono avere rispetto ai colleghi maschi e per la cui tutela esistono infatti precise e dettagliate prescrizioni di legge. La Commissione, accogliendo in particolare una proposta della senatrice Donaggio, ha richiamato l’attenzione su questi aspetti già nella terza relazione annuale, invitando a potenziare le forme di aiuto e di tutela a favore dei lavoratori e delle lavoratrici aventi lo scopo di salvaguardare il diritto alla paternità e alla maternità degli individui, assicurando la salubrità degli ambienti di lavoro e la protezione nelle attività a maggior rischio contro i possibili danni biologici. Tale indicazione è stata poi recepita anche nella risoluzione di impegno al Governo approvata dall’Assemblea del Senato il 7 febbraio 2012, dopo la discussione sulla terza relazione della Commissione.
L’esigenza di considerare anche i rischi specifici per la salute e la sicurezza ai quali possono essere esposti sul luogo di lavoro in modo differenziato uomini e donne è del resto espressamente sancita dalle disposizioni vigenti, in particolare dall’articolo 28, comma 1, del Testo unico, che afferma che la valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro «deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, [...] e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, [...] nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro».
Si tratta quindi di un principio già vigente nel nostro ordinamento, ma che, nella pratica, viene spesso trascurato o comunque non sufficientemente applicato, il che costituisce una grave lacuna per l’efficacia del sistema di prevenzione e di tutela dei lavoratori e delle lavoratrici.
Nel corso dell’ultimo anno di attività, la Commissione ha avuto modo di approfondire ulteriormente l’argomento svolgendo un’apposita inchiesta sulle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro dei lavoratori e, più in particolare, delle lavoratrici degli stabilimenti del gruppo FIAT. L’iniziativa è stata promossa in particolare dalla senatrice Carloni, componente della Commissione d’inchiesta, che ha sottoposto ai colleghi la possibilità di svolgere tale approfondimento per verificare la fondatezza di alcune segnalazioni da lei ricevute, secondo le quali il nuovo contratto di lavoro adottato all’interno del gruppo FIAT il 29 dicembre 2011 avrebbe introdotto un’organizzazione e dei carichi di lavoro tali da incidere negativamente sulla salute e sulla sicurezza delle dipendenti. La Commissione ha esaminato la proposta di inchiesta della senatrice Carloni nella seduta del 28 marzo 2012.
In tale occasione la senatrice Carloni, dopo aver ringraziato preliminarmente il Presidente e la Commissione tutta per l’attenzione e la sensibilità dimostrate, ha spiegato che il tema da lei sollevato nasceva da una segnalazione raccolta durante un incontro del Gruppo PD del Senato con una delegazione di lavoratrici del gruppo FIAT-FIAT Industrial provenienti dagli stabilimenti di Pomigliano d’Arco, Avellino (Irisbus), Pratola Serra, Termoli, Bologna (Magneti Marelli) e Torino (Carrozzerie Mirafiori). Le lavoratrici, tutte aderenti alla FIOM-CGIL, erano accompagnate da due rappresentanti dello stesso sindacato che, come è noto, non aveva firmato l’accordo contrattuale del 29 dicembre 2011.
La senatrice ha riferito come nell’incontro le lavoratrici avessero denunciato con forza e in maniera anche toccante una serie di profonde sofferenze relative alla loro condizione personale e alla loro dignità di donne, legate a gravi carenze nella cura dell’igiene e della salute personale. Le lavoratrici avevano chiesto di essere ascoltate anche dal Governo e avevano già inviato una lettera dettagliata, ripresa anche da alcuni organi di stampa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. In discussione erano gli effetti del nuovo contratto collettivo di lavoro di 1º livello che aveva introdotto negli stabilimenti del gruppo FIAT una organizzazione del lavoro (con orari, turni e mansioni) che era stata da loro descritta come particolarmente penalizzante, in quanto avrebbe determinato carichi del lavoro più pesanti e maggiore affaticamento sulle linee di produzione. Le lavoratrici avevano anche fatto notare come per partecipare a questo incontro avessero dovuto prendere un giorno di ferie, non potendo fruire di altri tipi di permessi. Esse avevano inoltre denunciato il carattere discriminatorio delle nuove norme contrattuali con particolare riferimento alla tutela della maternità e della salute.
Ad avviso della senatrice Carloni, la denuncia delle lavoratrici era apparsa credibile, sia perché suffragata dalla testimonianza diretta, sia perché non si aveva fino ad allora notizia di indagini scientifiche che escludessero possibili riflessi negativi dei nuovi ritmi e organizzazioni del lavoro sulla salute delle lavoratrici, con particolare riguardo ad aspetti legati alla maternità, come la gravidanza, l’allattamento o il ciclo mestruale. D’altro canto né l’azienda né le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto erano state in grado di dimostrare l’assenza di tali effetti negativi sulla salute dei lavoratori e delle lavoratrici.
La senatrice Carloni ha poi ricordato che nella precedente relazione intermedia sull’attività della Commissione si era affrontata espressamente la questione della salute e sicurezza del lavoro delle lavoratrici in un’ottica di genere, intesa come necessità di garantire la salubrità e la protezione contro i possibili danni biologici. Ella ha poi richiamato il contratto unico di lavoro del gruppo FIAT, firmato a Torino il 13 dicembre 2011, che interessava 86.000 lavoratori e lavoratrici ed era stato sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali rappresentate nelle aziende del gruppo ad eccezione della FIOM. La FIAT, d’altra parte, nel novembre 2011 era uscita dalla Confindustria e aveva receduto da tutti i contratti nazionali precedentemente sottoscritti, per poter applicare questo nuovo contratto autonomo in tutto il gruppo, sul modello di quello sperimentato a Pomigliano d’Arco. Il contratto prevedeva, tra l’altro, 18 turni settimanali, 6 ore lavorative su 3 turni giornalieri, con pausa a fine turno, una settimana di 6 giorni seguita da una di 4 giorni e, infine, 120 ore di straordinario obbligatorie, ovvero 80 in più di quelle previste nel precedente contratto. Veniva inoltre abolita la vecchia rappresentanza sindacale unitaria e sostituita dalla rappresentanza sindacale aziendale, composta essenzialmente dalle organizzazioni firmatarie dell’accordo.
Per quanto riguarda gli aspetti della sicurezza sul lavoro, la senatrice Carloni ha rilevato come le informazioni fornite dalla FIAT sul proprio sito web ufficiale fossero piuttosto scarse. Si indicava l’adozione di un sistema di gestione e sicurezza certificato, con l’applicazione degli strumenti safety del World Class Manufacturing e la ricerca della partecipazione condivisa delle persone ai problemi della sicurezza. Venivano inoltre dichiarati forti miglioramenti sulle condizioni della sicurezza del lavoro attraverso una serie di analisi e relazioni che quantificavano in 15.000 gli infortuni nel 2010 per tutto il gruppo (che in quello stesso anno contava circa 200.000 dipendenti). Tra i pochissimi dati resi disponibili sul sito vi erano quelli delle risorse investite in salute e sicurezza che risultavano visibilmente in calo, passando da 263 milioni di euro del 2003 (3,5 per cento dei costi del personale) ai 218 milioni del 2010 (2,9 per cento dei costi del personale). D’altro canto, i dati riportati indicavano una diminuzione sia dell’indice di frequenza che dell’indice di gravità degli infortuni. Aumentavano inoltre le ore di formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro e sulla prevenzione dei rischi, anche se nel sito non sembrava più essere monitorato il progetto «Health & Safety» avviato nel 2009 con le organizzazioni sindacali, che nel 2010 aveva interessato 7 stabilimenti per un totale di 21.000 dipendenti e che avrebbe poi dovuto essere esteso a tutti gli stabilimenti del gruppo. Mancava inoltre sul sito web qualsiasi informazione sulle condizioni della sicurezza in un’ottica di genere, essendovi solo informazioni sul totale dei lavoratori, senza distinzioni in base al sesso. Nel sito si citava un corso sulla non discriminazione di genere, che però non sembrava aver avuto una grande adesione.
La senatrice ha sottolineato che esistono vari studi, disponibili su Internet, che analizzano i possibili effetti negativi di un certo tipo di organizzazione del lavoro sulla salute e sicurezza dei lavoratori. In particolare è da citare un working paper di «Olympus», l’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro dell’Università di Urbino, che pone l’accento sull’importanza dell’organizzazione del lavoro per la prevenzione dei problemi per la salute e la sicurezza, citando proprio il nuovo sistema organizzativo della FIAT come caso paradigmatico di rischio. Si mette in discussione la validità del sistema stesso, specie rispetto all’adozione del sistema di controllo ERGO/ UAS e all’introduzione di forme e metodi di organizzazione del lavoro volti a razionalizzare tempi e pause in un’ottica di competitività, per le inevitabili ripercussioni su salute e sicurezza, e anche in relazione alle metodiche adottate per la valutazione dei rischi (il sistema EA WS rispetto a quello OCRA più diffuso). In generale, si sollevano dubbi sulla non perfetta conformità del nuovo sistema rispetto alla normativa italiana di prevenzione.
Per tali ragioni – ha concluso la senatrice Carloni – potevano esservi le premesse per approfondire, da parte della Commissione, i possibili rischi per la salute dei lavoratori e delle lavoratrici legati al nuovo sistema contrattuale, ad esempio svolgendo audizioni con i soggetti interessati, sindacali e aziendali, e valutando poi le eventuali ulteriori iniziative da intraprendere.
La Commissione ha condiviso le valutazioni della senatrice Carloni circa l’opportunità di approfondire le questioni segnalate, che riprendevano un aspetto di grande importanza, quello appunto della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in un’ottica di genere, con particolare riguardo alle condizioni delle lavoratrici, già affrontato dalla Commissione, tanto nell’ultima relazione intermedia sull’attività svolta, quanto nell’atto di indirizzo al Governo approvato in Assemblea ad esito della relativa discussione. Conseguentemente, è stata approvata la proposta di avviare un’inchiesta in merito, svolgendo una serie di audizioni con tutti i sindacati presenti nelle aziende del gruppo FIAT (che avessero o meno sottoscritto l’accordo del 2011) e, successivamente, con i rappresentanti dei vertici aziendali.
La prima di queste audizioni ha avuto luogo il 24 aprile 2012, con le organizzazioni sindacali. La Commissione ha ricordato preliminarmente lo scopo dell’audizione, tesa a verificare alcune notizie, apprese per il tramite della senatrice Carloni, circa alcuni problemi che si sabbero evidenziando negli stabilimenti del gruppo FIAT di Pomigliano d’Arco, Avellino (Irisbus), Pratola Serra, Termoli, Bologna (Magneti Marelli) e Torino (Carrozzerie Mirafiori), in riferimento al modello di organizzazione del lavoro introdotta dal nuovo contratto collettivo specifico di lavoro (CCSL), per quanto riguarda i rischi per la salute dei lavoratori e in particolare delle lavoratrici (specialmente per la tutela della maternità).
Il primo ad intervenire è stato quindi il dottor Eros Panicali, segretario nazionale e responsabile settore auto della UILM, che, dopo aver ricordato la grande attenzione da sempre riservata da parte della propria organizzazione alle questioni della salute e della sicurezza sul lavoro, ha esposto i dati relativi all’andamento degli infortuni sul lavoro relativi a tutto il gruppo FIAT a livello globale, fortemente diminuiti negli ultimi anni passando dai 757 del 2009 ai 616 del 2010 fino ad arrivare ai 317 del 2011. L’indice di frequenza (infortuni per 100.000 ore lavorate) è sceso dall’1,03 per cento del 2009 allo 0,76 del 2010, per finire allo 0,41 del 2011, mentre l’indice di gravità (giorni di assenza per infortuni per 1.000 ore lavorate) è calato dallo 0,32 per cento del 2009 allo 0,21 del 2010, per attestarsi allo 0,13 del 2011. Inoltre negli ultimi tre anni nei siti considerati non vi sono stati infortuni mortali, il che costituisce complessivamente un dato molto positivo considerato anche che si stava parlando di un’azienda con oltre 200.000 dipendenti in tutto il mondo.
Il dottor Panicali ha quindi espresso perplessità sulle denunce dei possibili rischi della salute e della sicurezza richiamate nella seduta del 28 marzo, sia perché il gruppo FIAT ha sempre dimostrato grande attenzione a questi temi, sia perché molti degli stabilimenti interessati erano chiusi o comunque lavoravano a livello ridotto, mentre in altri (Termoli e Bologna) l’organizzazione del lavoro adottata con il nuovo contratto esisteva già da anni e non erano mai emersi problemi.
Ha poi fatto presente che all’interno del gruppo Fiat nel 2011 è stato elaborato il progetto «Health & Safety First» al quale, con un accordo unitario sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali, si è convenuto di destinare risorse per la formazione in sicurezza (assegnate anche a quella continua), non solo per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) preposti, ma per tutto il personale. Malgrado dopo il nuovo contratto alcuni sindacati fossero usciti dall’accordo, il progetto stava però andando avanti e, con ulteriori risorse appostate direttamente dall’azienda, la formazione in materia di salute e sicurezza sarebbe stata estesa a tutti i dipendenti. Conclusivamente, il dottor Panicali ha ribadito come a suo avviso il nuovo contratto non contenga aspetti che possano introdurre discriminazioni di genere o peggiorare le condizioni di lavoro e i rischi per la salute e la sicurezza dei dipendenti. Per quanto riguarda la flessibilità, ha poi chiarito che il precedente contratto prevedeva 104 ore di flessibilità (e non 40), articolate in modo diverso, a fronte delle 120 attuali, con la possibilità riconosciuta al 20 per cento di scegliere se lavorare il sabato, che precedentemente era negata.
È stato quindi il turno del dottor Paolo Varesi, segretario confederale dell’UGL, che dopo aver ringraziato il presidente Tofani e la Commissione per l’invito e per l’importante azione a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro svolta nel corso del mandato, ha ricordato la grande attenzione riservata dal suo sindacato nonché il notevole impegno profuso all’interno della Commissione consultiva permanente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per l’attuazione e lo sviluppo della normativa e delle buone prassi in questo settore, anche per quanto concerne la tutela delle differenze di genere.
In merito ai problemi segnalati per le condizioni di lavoro in alcuni stabilimenti del gruppo FIAT legati all’applicazione del nuovo contratto, ha poi manifestato perplessità in quanto Pomigliano d’Arco era interessato da una profonda ristrutturazione ed era stato oggetto di un forte investimento per migliorare gli impianti. Analogamente stava avvenendo per Mirafiori, i cui dipendenti erano in cassa integrazione straordinaria per un anno. Lo stabilimento Irisbus di Avellino dal 31 dicembre era praticamente chiuso, mentre a Pratola Serra i lavoratori erano attivi una volta a settimana.
Il nuovo contratto collettivo specifico di lavoro di 1º livello a suo avviso non apporta modificazioni significative ai turni e all’organizzazione del lavoro, giacché le stesse modalità venivano già applicate anche prima in alcune realtà produttive come Termoli e Pratola Serra. Viceversa l’accordo, sottoscritto con convinzione dall’UGL, introduce forti miglioramenti economici e professionali per i dipendenti e, relativamente agli aspetti della salute e della sicurezza sul lavoro, prevede nuovi istituti che rafforzano le tutele, come il diritto dei lavoratori di verificare, mediante il rappresentante per la sicurezza, l’applicazione delle misure di prevenzione e il diritto di ricevere un’adeguata informazione e formazione in materia di salute e sicurezza, con particolare riguardo al proprio posto di lavoro, alle proprie mansioni, alla propria condizione di lavoratore. A tale esigenza concorre anche uno specifico progetto chiamato «Health & Safety First», attraverso lo sviluppo di azioni concrete di formazione orientate a favorire comportamenti effettivi, secondo logiche e metodologie all’avanguardia.
In merito alle denunce pervenute alla Commissione, da una ricognizione effettuata dall’UGL non risultano elementi che possano rivelare possibili violazioni o compressioni dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici in materia di salute e sicurezza. Parimenti, non si ritiene che l’assegnazione in via transitoria del premio straordinario di 600 euro ai lavoratori con una presenza annua pari o superiore a 870 ore possa avere carattere discriminatorio per le lavoratrici assenti per maternità, allattamento o altre situazioni dovute alla propria condizione di donne, trattandosi di un emolumento transitorio e aggiuntivo alla retribuzione ordinaria, volto esclusivamente ad incrementare la produttività da lavoro.
È poi intervenuto il dottor Maurizio Landini, segretario generale della FIOM-CGIL, il quale ha anzitutto espresso il proprio rammarico per il fatto che la FIOM-CGIL non avesse potuto aderire all’invito, rivolto dalla Commissione ai sindacati nella lettera di convocazione, a far partecipare all’audizione anche rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza degli stabilimenti interessati dall’inchiesta. Ciò in quanto, in violazione delle leggi vigenti, il nuovo contratto del gruppo FIAT impedirebbe a chi, come la sua organizzazione, non ha firmato il contratto stesso di svolgere attività sindacale e quindi di fruire del relativo permesso.
Sui temi dell’audizione, ha quindi richiamato una lettera aperta al Governo sottoscritta da 250 lavoratrici di tutto il gruppo FIAT (e dunque non solo dei sei siti richiamati dall’indagine della Commissione), nella quale si denuncia non solo un disagio ulteriore ed una condizione di lavoro pesante in particolare per le donne, ma anche che l’ultimo contratto di lavoro, sostitutivo del contratto nazionale, contiene norme discriminatorie per le lavoratrici. Ad esempio, alcuni istituti salariali sono legati alla presenza oraria e non sono riconosciuti quando la lavoratrice o il lavoratore si assenta per maternità o chiede un permesso per la cura del figlio, ovvero è in congedo parentale per assistenza al figlio o ex legge n. 104. In realtà, i problemi per la salute e la sicurezza derivanti dalle condizioni di lavoro negli stabilimenti del gruppo FIAT sono precedenti al nuovo contratto, come dimostra una vasta indagine fatta in tutta Italia dalla FIOM nel 2008, che ha riguardato ben 100.000 lavoratori del gruppo.
Dopo un invito della Commissione ad attenersi al tema dell’audizione, riguardante gli effetti del nuovo contratto, ha sottolineato come il nuovo accordo abbia aggravato una situazione di per sé già pesante, come avvenuto ad esempio nello stabilimento di Menfi. Si tratta di uno stabilimento giovane della FIAT perché è nato nel 1994, quindi chi vi lavora ha mediamente quarant’anni e non ha lavorato più di vent’anni nello stabilimento. Ciò nonostante, già adesso ci sono 2.500 persone su 5.700 dipendenti che sono state definite, dagli stessi medici dell’azienda, «lavoratori con ridotte capacità lavorative». Inoltre, da un lavoro svolto assieme ai patronati risulta che nel 2010, in un solo anno, più di 300.000 lavoratori hanno avuto riconosciute malattie professionali. Si aggiunga che, malgrado le norme vigenti, in FIAT non esistono statistiche di genere che stimino il rischio da lavoro in modo distinto per gli uomini e per le donne, producendo di fatto una sottostima del rischio complessivo, in quanto nei sistemi di lavoro la tutela delle persone implica anche la necessità di tenere conto anche del fatto che sia una donna o un uomo a svolgere determinate mansioni.
Il nuovo contratto introduce inoltre una nuova metrica di valutazione dei carichi di lavoro che i sindacati, con una procedura inedita, hanno dovuto espressamente accettare, come a dover riconoscere che il sistema è di per sé corretto e che tutti gli eventuali problemi sono da imputare ad errori dei lavoratori nell’applicarlo. Ad avviso della FIOM ciò è ingiusto e introduce una grave distorsione: il nuovo sistema di valutazione infatti non considera alcuni fattori di affaticamento e i conseguenti periodi di riposo, con il risultato che, a parità di tempo, la saturazione, cioè il carico di lavoro effettivamente svolto, è molto più alto. Inoltre l’accordo riduce una serie di tutele: è stata ridotta la pausa giornaliera di dieci minuti e aggiunte 120 ore annuali di straordinario obbligatorio, per cui l’orario di lavoro effettivo della singola persona passa da 40 a 43 ore alla settimana, con l’aggravante che l’azienda può comandare al lavoratore di effettuare le 120 ore in più quando vuole a seconda delle esigenze.
Il dottor Landini ha poi segnalato l’impossibilità per gli RLS della sua organizzazione di poter svolgere la loro funzione, pur essendo stati regolarmente eletti, ciò che egli ritiene una violazione delle norme vigenti, a cominciare dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori sulla rappresentanza sindacale. Si è soffermato quindi sui rischi per la salute e in particolare per la capacità riproduttiva segnalati da molte lavoratrici nell’ambito della ricerca, sottolineando che, sebbene la FIAT non consideri tali rischi, numerosi studi a livello internazionale li evidenziano. Per questa ragione ha infine chiesto alla Commissione di promuovere un’indagine su tali aspetti e, più in generale, al Parlamento di non consentire alcune palesi violazioni delle libertà sindacali nelle aziende del gruppo FIAT.
Ha poi preso la parola il dottor Bruno Vitali, segretario nazionale e responsabile auto della FIM-CISL, che ha fatto presente che il nuovo contratto del gruppo FIAT sottoscritto dalla sua e da altre organizzazioni è perfettamente legittimo e rispettoso di tutte le leggi vigenti. Ha pertanto ritenuto che le segnalazioni pervenute alla Commissione sui rischi per la salute negli stabilimenti del gruppo si inquadrassero in una rivendicazione politico-sindacale e avessero carattere strumentale. Le lavoratrici che hanno posto il problema hanno fatto riferimento al sistema di valutazione dei carichi di lavoro del WCM (World class manufacturing) e al metodo ERGO-UAS. Il primo era già stato introdotto nel 2006-2007 in via sperimentale in alcuni stabilimenti, e nel 2009-2010 (quando l’attività di vigilanza sindacale era unitaria e totale) è stato esteso a tutti gli impianti della FIAT.
Il dottor Vitali ha però sottolineato che nel periodo in questione gli infortuni, come già ricordato, si sono ridotti notevolmente, anche nei sei stabilimenti oggetto dell’inchiesta, alcuni dei quali peraltro chiusi da tempo. Esistono invece altre aziende dove i problemi segnalati per le lavoratrici sono più concreti e preoccupanti: a titolo di esempio ha citato il caso di un delegato della propria organizzazione sindacale denunciato dalla multinazionale presso cui lavora – dove vi è manodopera prevalentemente femminile su catene di montaggio con tempi assai più corti di quelli dell’auto – poiché aveva avviato delle iniziative a difesa della salute delle lavoratrici.
Rispetto al passato, il nuovo contratto collettivo FIAT, il cosiddetto CCSL richiamato nelle segnalazioni, in realtà rafforza le garanzie dei lavoratori, che possono ora rivolgersi ad un’apposita commissione interna per segnalare problemi o disfunzioni per la sicurezza e chiedere interventi correttivi. Lo stesso sistema del WCM è usato del resto anche dal gruppo Volkswagen. Per quanto riguarda il premio straordinario, il dottor Vitali ha poi ricordato che i sistemi di erogazione previsti sono fondamentalmente di due tipi: il primo è esteso a tutti i lavoratori, anche a quelli in cassa integrazione, quindi non è legato alla presenza sul luogo di lavoro in quel determinato momento; il secondo tipo, mutuato dall’indennità di disagio linea, che in FIAT è prevista dagli anni Settanta, è legato alla presenza effettiva del lavoratore o della lavoratrice presso la catena. Se il lavoratore o la lavoratrice non è presente, a vario titolo, per ferie o per altre motivazioni (ad esempio perché in permesso per maternità), l’indennità di disagio linea non viene erogata e così pure il premio straordinario.
Il dottor Alberto Cipriani, responsabile nazionale organizzazione del lavoro in FIAT della FIM-CISL, ha quindi analizzato da un punto di vista tecnico la questione dei sistemi di metrica del lavoro, che hanno una lunga storia: in passato la FIAT utilizzava un proprio sistema (il cosiddetto TMC2), per così dire «autocertificato», come fa ancora oggi ad esempio la Toyota. Con il nuovo contratto, si è invece scelto di avvalersi di un sistema più moderno, il WCM appunto, da cui deriva il metodo ERGOUAS. Si tratta di una metodologia di origine tedesca, messa a punto dalla società MTM International e adottata da varie case automobilistiche: l’elemento innovativo è l’introduzione dell’ergonomia nella progettazione del processo produttivo, per tenere conto anche delle condizioni di lavoro di chi opera sulla catena di montaggio.
In risposta ad un quesito della Commissione, il dottor Cipriani ha sottolineato che le condizioni di salute e sicurezza del lavoro non sono cambiate in conseguenza del modello organizzativo adottato con il nuovo contratto. Quello che è cambiato è appunto il fatto che ora si deve progettare il processo produttivo in modo da garantire anche la salute e la sicurezza degli operatori, attraverso la gestione dei singoli micromovimenti che compongono le operazioni di lavoro. Questo però non ha cambiato i ritmi di lavoro: del resto il nuovo modello fu sperimentato a lungo a Mirafiori, con il concorso di tutti i sindacati inclusa la FIOM, e non vi furono problemi.
Avendo il dottor Landini evidenziato che nella sperimentazione si facevano pause giornaliere di 40 minuti, mentre ora si è scesi a 30, il dottor Cipriani ha poi osservato che i 10 minuti in meno di pausa derivano dal fatto che il sistema ERGO-UAS calcola in modo diverso alcuni fattori del processo lavorativo. In ogni caso il modello organizzativo FIAT è migliore di quello adottato in altre aziende che pure usano il sistema ERGO-UAS come la Volkswagen o la Daimler. A quanto dicono i medici del lavoro, per tutelare la salute dei lavoratori è molto importante non solo il tempo totale della pausa, che certamente ha una propria rilevanza, ma la sua distribuzione. Si tratta però di un sistema troppo recente per poter fare una valutazione complessiva. Il sindacato europeo dei metalmeccanici sta infatti avviando una ricerca sul punto, cercando di fare anche confronti internazionali.
Nel successivo intervento, il dottor Roberto Di Maulo, segretario generale nazionale della FISMIC-CONFSAL, ha sottolineato come i dati sulla riduzione sugli infortuni sul lavoro forniti da altri auditi siano stati ingiustamente sottovalutati nel dibattito, pur testimoniando una grande attenzione alla sicurezza sul lavoro all’interno del gruppo FIAT. Le organizzazioni sindacali e l’azienda stanno inoltre portando avanti in modo congiunto un importante programma di formazione (il progetto «Health & Safety First») che riguarderà in prima battuta gli RLS e sarà poi esteso a preposti, RSPP e a tutti i dipendenti. In tutti i contratti di lavoro firmati nel passato si regolamentava minuziosamente l’organizzazione del lavoro: il sistema ERGO-UAS del nuovo contratto non fa eccezione, ma introduce, come spiegato puntualmente dal dottor Cipriani, miglioramenti significativi perché tiene conto anche dell’ergonomia dei processi produttivi, nella cui progettazione vengono ridotti i movimenti e i carichi di lavoro di ciascun operatore, abbassando così i fattori di affaticamento e, quindi, anche la necessità di pause più lunghe.
Il nuovo CCSL introduce inoltre la possibilità per i lavoratori di contestare non la saturazione dei tempi di lavoro, ma l’adeguatezza complessiva della postazione di lavoro: la procedura prevede che il caposquadra e i servizi competenti abbiano 5 giorni di tempo per fornire una risposta alle segnalazioni. Se la risposta non è soddisfacente, il lavoratore può poi richiedere l’intervento dell’RLS. Inoltre, occorre ricordare che il sistema WCM è elaborato e monitorato da una società esterna, che ne valuta la corretta applicazione.
Per quanto riguarda le condizioni di genere, il dottor Di Maulo ha riconosciuto che si tratta purtroppo di un aspetto che non viene adeguatamente valutato nei contratti di lavoro: ad esempio ha convenuto sul carattere problematico del premio straordinario rispetto ai problemi delle lavoratrici, assicurando l’impegno della FISMIC-CONFSAL per cercare una soluzione. Infine ha auspicato che analoga attenzione di quella manifestata per il gruppo FIAT sia riservata dalle Istituzioni a più concreti rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, come quelli legati all’economia sommersa.
La Commissione ha invitato ad evitare inutili polemiche, ribadendo che essa ha, secondo il suo mandato istituzionale, il compito di approfondire sia i problemi legati agli infortuni che quelli relativi alle malattie professionali, che erano appunto l’oggetto principale dell’inchiesta avviata sugli stabilimenti del gruppo FIAT. In proposito si è ricordato il rilievo crescente che il problema delle malattie professionali sta assumendo nel mondo moderno, anche in conseguenza dei lunghi tempi di latenza di alcune patologie come quelle dell’amianto. La Commissione è sempre stata attivamente impegnata su questi fronti e ha pertanto auspicato la collaborazione di tutti i soggetti, a cominciare dai sindacati.
Oggetto della sua inchiesta non sono infatti le questioni sindacali o contrattuali, ma la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, anche rispetto all’adeguatezza delle norme vigenti, così come essa si interessa anche del lavoro sommerso, spesso in situazioni dove le organizzazioni sindacali non sono neanche presenti, come confermato dalle numerose relazioni sull’attività svolta presentate al Parlamento. Per questo motivo, la Commissione ha invitato ad evitare in quella audizione polemiche sulla rappresentanza sindacale, anche se le forze politiche non hanno mancato di affrontare l’argomento in altra sede.
Per quanto attiene all’oggetto dell’audizione, è stato sottolineato che esistono precise leggi dello Stato che tutelano la salute delle lavoratrici e la maternità, come pure il ruolo degli RLS, e che non possono essere derogate da nessun accordo contrattuale. Sul tema della malattie di genere vi era del resto un preciso richiamo nella terza relazione intermedia della Commissione e nella relativa risoluzione approvata in Assemblea, per cui la Commissione ha confermato la sua intenzione di proseguire con l’inchiesta, ascoltando in un secondo momento anche i vertici del gruppo FIAT.
La senatrice Carloni, in qualità di proponente dell’inchiesta, ha espresso la propria soddisfazione per l’incontro e per gli elementi emersi nel dibattito, che avevano confermato l’utilità di questa indagine, da lei richiesta al Presidente con una apposita lettera e deliberata poi dalla Commissione in modo condiviso. Nel rifiutare letture strumentali dell’iniziativa, ha ricordato ai sindacati che essa era nata dalle segnalazioni raccolte durante un incontro con una folta delegazione di lavoratrici del gruppo FIAT, che lamentavano appunto vari problemi relativi alle condizioni di lavoro. Ha ribadito poi l’importanza degli aspetti di genere per le questioni della salute e della sicurezza sul lavoro, di cui la Commissione si è interessata grazie soprattutto alle sollecitazioni della senatrice Donaggio: purtroppo si tratta di questioni alle quali le aziende, compresa la FIAT, danno scarsa importanza, ma che sono tutelate da leggi europee e nazionali. Le stesse organizzazioni sindacali hanno dedicato poca attenzione al riguardo, ma non si può prescinderne, anche nei sistemi di valutazione dei carichi di lavoro, ad esempio quando questo incide sulla durata delle pause.
La Commissione ha quindi il dovere istituzionale di verificare questi aspetti, anche in un grande gruppo globale come la FIAT, per cui ha auspicato che questa verifica possa essere fatta anche con il contributo dei sindacati, al fine di migliorare la situazione nell’interesse di tutti.
Nel dibattito si è ribadito l’impegno della Commissione per prevenire qualsiasi problema o rischio per la salute dei lavoratori, incluso quello declinato in funzione del genere, al quale fa preciso riferimento, come più volte ricordato, anche la terza relazione intermedia della Commissione e la relativa risoluzione approvata all’unanimità in Assemblea. Già in passato nel mondo del lavoro vi erano stati casi in cui erano emersi questi aspetti inerenti alla tutela della capacità riproduttiva dei lavoratori e delle lavoratrici, messa a rischio proprio dalle mansioni lavorative svolte. In quei casi i dipendenti ottennero condizioni di lavoro più sicure, rifiutando la soluzione, spesso proposta da talune aziende, di compensare il rischio per la salute con vantaggi di tipo economico, essendo questo scambio assolutamente inaccettabile, malgrado talvolta anche nei contratti di lavoro sembri proporsi una soluzione di questo tipo.
Infine, come ulteriore fase dell’inchiesta, il 23 maggio 2012 la Commissione ha proceduto all’audizione dei rappresentanti del gruppo FIAT.
Il primo ad intervenire è stato il dottor Paolo Rebaudengo, di Industrial Relations FIAT S.p.A., il quale, sottolineando la più ampia disponibilità del gruppo FIAT per l’audizione, ha assicurato il forte impegno di FIAT S.p.A. e di FIAT Industrial a garantire la salute e la sicurezza dei propri lavoratori. Anche in condizioni economiche difficili, il gruppo si è sforzato di mantenere elevati gli investimenti per assicurare l’occupazione e il benessere degli addetti, come testimoniano anche i bassissimi indici relativi agli infortuni.
La Commissione ha espresso apprezzamento per la disponibilità manifestata da subito e senza riserve per l’audizione da parte dei vertici del gruppo FIAT. Ha quindi precisato ancora una volta che lo scopo dell’incontro, che seguiva quello già avuto il 24 aprile con i sindacati, era di verificare, in modo obiettivo e scevro da qualunque pregiudizio, la fondatezza di alcune segnalazioni pervenute circa possibili rischi per la salute dei lavoratori – e in particolare delle lavoratrici – di alcuni stabilimenti del gruppo FIAT, che potrebbero derivare dall’organizzazione del lavoro adottata in seguito al nuovo contratto collettivo recentemente firmato.
È stata quindi la volta dell’intervento dell’ingegner Nevio Di Giusto, consigliere delegato in materia di sicurezza e salute dei lavoratori di FIAT Group Automobiles S.p.A., che ha sottolineato i positivi risultati raggiunti dal gruppo FIAT sul fronte della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, grazie all’introduzione del sistema gestionale del World Class Manifacturing (WCM). Tra il 2009 e il 2011 gli infortuni sono infatti calati sia come indice di frequenza (-60 per cento in FIAT S.p.A. e -50,4 per cento in FIAT Industrial), sia come indice di gravità (-51 per cento in FIAT S.p.A. e -15 per cento in FIAT Industrial). Anche rispetto ai dati INAIL disponibili per i settori di riferimento (industria e mezzi di trasporto e industria e servizi), il numero degli infortuni in FIAT è mediamente di 5 volte inferiore. Ulteriore conferma è data dagli alti sconti per i tassi assicurativi INAIL che FIAT S.p.A. e FIAT Industrial ottengono ogni anno.
Il dirigente ha quindi illustrato l’impostazione del metodo del World Class Manifacturing in termini di riduzione degli infortuni, essendo la sicurezza il primo pilastro del sistema: in particolare, oltre all’analisi degli infortuni accaduti, il metodo punta molto sulla prevenzione e sulla proattività, attraverso l’analisi dei cosiddetti «quasi infortuni» o near misses e delle cosiddette «azioni insicure» o unsafe acts. Introdotto in FIAT nel 2006, il WCM a fine 2011 è stato esteso in tutti i 160 stabilimenti FIAT a livello mondiale, con vari gradi di sviluppo. L’obiettivo del WCM è consentire il miglioramento continuo delle prestazioni, al fine di portare a zero qualsiasi problema produttivo. Il sistema è basato sull’analisi sistematica e sul miglioramento progressivo di tutte le prestazioni aziendali, attraverso metodi e strumenti standardizzati, che agiscono su dieci pilastri tecnici e dieci pilastri manageriali. Il suo successo si fonda soprattutto sulla partecipazione delle persone, periodicamente coinvolte in specifiche iniziative di formazione. Applicando tale metodo alla tutela della salute e della sicurezza, gli infortuni nel 2009-2011 sono scesi sia come indice di frequenza che come indice di gravità del 25 per cento in molti stabilimenti italiani e si sono addirittura azzerati in altri.
Il dottor Franco Modaffari, Human Resources-Health, Safety & Environment Director FIAT Industrial, si è successivamente soffermato sul Sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro (SGSSL) adottato da FIAT: si tratta di un metodo standardizzato e certificato da organismi internazionali secondo lo standard OHSAS 18001 30, che ha consentito di curare attentamente gli aspetti della salute e della sicurezza sul lavoro, fino ad avere, a fine 2011, ben 160 stabilimenti certificati, di cui 54 in Italia. L’obiettivo è quello di estendere tra il 2012 e il 2014 la certificazione a tutti gli stabilimenti a livello mondiale. Il sistema è applicato da specialisti della prevenzione, per un totale di più di 300 addetti in Italia, articolati in ogni settore con una struttura centrale, cui si affiancano poi strutture locali per ogni stabilimento. Esistono inoltre scambi ed integrazioni tra i responsabili di salute e sicurezza dei vari settori, con l’ausilio di avanzate tecnologie informatiche. Infine, il dirigente ha richiamato i forti investimenti sostenuti da FIAT per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori (oltre 100 milioni di euro l’anno nel triennio 2009-2011 solo in Italia).
La Commissione ha precisato che non si intendeva mettere in dubbio l’impegno del gruppo FIAT a favore della salute e della sicurezza sul lavoro, ma capire se vi fossero o meno organizzazioni del lavoro che potessero mettere a rischio la salute degli addetti e in particolare delle lavoratrici. Inoltre, come ricordato dalla senatrice Carloni, anche dalle informazioni desumibili dal sito ufficiale della FIAT, non sembrava esservi quella attenzione specifica alle condizioni di genere prevista dalla legislazione internazionale e nazionale (ad esempio dall’articolo 28 del Testo unico).
Il dottor Simone Cencetti, responsabile ambiente, salute e sicurezza sul lavoro Area europea, Medio Oriente e Africa (EMEA), ha replicato al riguardo che la FIAT ha una procedura specifica per valutare i rischi in tutte le postazioni di lavoro, che prevede, in particolare, un’attenzione all’analisi di tutte le mansioni che possano risultare potenzialmente critiche in un’ottica di genere, anche attraverso il coinvolgimento degli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) e, dove possibile, direttamente delle donne. Inoltre in sede di sorveglianza sanitaria, sia periodica che straordinaria, e su richiesta dei lavoratori, i medici competenti, nel formulare i giudizi di idoneità, tengono conto della specificità di genere.
Ad esempio, nel rispetto del decreto legislativo n. 151 del 2001, quando una lavoratrice segnala il suo stato di gravidanza, il medico competente verifica la compatibilità con le mansioni a lei attribuite e un’analoga valutazione avviene quando la lavoratrice rientra dopo il parto. Si tratta di una procedura standardizzata, applicata in tutti i siti della FIAT.
L’ingegner Di Giusto ha altresì evidenziato che la FIAT ha sviluppato una serie di procedure per misurare i carichi di lavoro e i livelli di affaticamento, così da progettare postazioni di lavoro ottimali. Tale aspetto si inserisce in una impostazione basata sulla produttività e sulla qualità del processo: poiché infatti il risultato di una produzione è basato sulla corretta ripetizione di un’operazione nell’arco dell’intero turno lavorativo, è interesse della FIAT assicurare che le operazioni svolte nella catena di montaggio non generino problemi che poi si ripercuotono nel prodotto finale. Pertanto, la progettazione della postazione di lavoro non è valutata solo attraverso il sistema OCRA, che misura gli affaticamenti degli arti superiori, ma attraverso altri sistemi, sviluppati in collaborazione con il Politecnico di Torino e l’Università di Darmstadt: il metodo ERGO UAS consente di calcolare il carico ergonomico associato a ciascuna operazione in tutte le parti del corpo (arti superiori e inferiori sollecitati da pesi), così da progettare postazioni di lavoro e attrezzi che non affatichino le persone assegnate alla catena di montaggio, quale che sia la loro struttura fisica, migliorando la prevenzione e la protezione anche per quanto riguarda le condizioni di genere. Alcune soluzioni innovative sviluppate sono state poi condivise anche con i soggetti territoriali e sindacali, oltre che con il sistema delle piccole e medie imprese. Particolarmente importante è il coinvolgimento dei lavoratori e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, da cui vengono raccolte segnalazioni e indicazioni per migliorare le condizioni di lavoro.
La Commissione ha ricordato che l’iniziativa dell’inchiesta era partita da una lettera della senatrice Carloni, nella quale si chiedeva di verificare le segnalazioni di alcune lavoratrici aderenti alla FIOM da lei incontrate, che hanno evidenziato una serie di disagi e problemi concreti legati alla propria condizione di lavoratrici donne. Si trattava però di situazioni precedenti alla firma del nuovo contratto: anche se la FIOM non ha firmato, questo non ha alcuna attinenza con i problemi segnalati dalle lavoratrici e la Commissione ha ritenuto opportuno approfondire questi aspetti, senza alcun riferimento alle questioni contrattuali che sono estranee all’inchiesta. In particolare, secondo quanto riferito dalla senatrice Carloni, le lavoratrici da lei incontrate hanno lamentato una particolare sofferenza per l’allungamento dei tempi di lavoro e la riduzione di quelli delle pause. Poiché questi aspetti sono vissuti diversamente a seconda del genere, anche in relazione a particolari condizioni fisiologiche, si è posta la questione se la FIAT abbia valutato adeguatamente queste situazioni.
Il dottor Cencetti ha ribadito che in FIAT l’attenzione alla salute e alla sicurezza dei lavoratori è massima anche per quanto riguarda gli aspetti legati al genere. Il sistema di rilevazione e verifica è totalmente aperto alla collaborazione con i lavoratori e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, come testimoniato anche dall’attivazione del progetto «Health & Safety First». Di conseguenza, i problemi lamentati cozzano con la realtà dei fatti e con i dati empirici, che non evidenziano una maggiore criticità per le donne rispetto agli uomini: anzi, la situazione è piuttosto quella opposta, perché di solito le lavoratrici svolgono mansioni meno pesanti. Il medico competente inoltre, nel valutare l’idoneità di ogni lavoratore alle diverse mansioni, tiene conto delle caratteristiche specifiche di ciascuno: rispondendo ad un’obiezione fatta da alcuni sindacati nella precedente audizione circa la presenza di lavoratori con limitazioni di capacità, il dottor Cencetti ha chiarito che la valutazione serve appunto a consentire ad una persona che ha limitazioni di un certo tipo di svolgere le mansioni per le quali è idonea e rispetto alle quali quelle limitazioni sono «generiche», cioè ininfluenti. Tuttavia il medico competente le annota nella sua cartella in modo che, se la persona dovesse poi essere assegnata ad altre mansioni, si possa verificare se le limitazioni possono in quel caso essere «specifiche» e quindi rilevanti.
In merito alla presunta riduzione dei tempi di pausa, è poi intervenuto l’ingegner Di Giusto, che ha illustrato in dettaglio l’articolazione dell’orario di lavoro presente nel nuovo contratto. A fronte di 40 ore medie settimanali di lavoro, occorre considerare le 2,5 ore settimanali di pausa pranzo, nonché le pause collettive, ugualmente di 2,5 ore, che portano a 35 le ore effettive di lavoro settimanale. La riduzione delle pause pranzo da 40 minuti a 30 minuti è stata resa possibile dal miglioramento del processo produttivo e dalla riduzione dei carichi di lavoro, nel rispetto della legislazione vigente e in linea con le scelte organizzative applicate dai principali costruttori europei. Infine, se si considerano i vari permessi retribuiti, le ore effettive di lavoro settimanale si riducono ulteriormente da 35 a 31,67.
Il dottor Rebaudengo ha contestato il presupposto secondo il quale il nuovo contratto del gruppo FIAT avrebbe velocizzato e appesantito i tempi e i ritmi di lavoro. Rispetto alla questione delle condizioni di genere, questa in passato è sempre stata gestita, mentre in quella circostanza sembrava essere «esplosa» solo per iniziativa di un sindacato che non ha accettato il nuovo contratto. Pur non essendo naturalmente l’audizione la sede per affrontare questioni contrattuali, il dottor Rebaudengo ha rilevato che nello stabilimento di Melfi, dove il nuovo modello organizzativo è implementato già da tempo su base sperimentale, non vi sono mai stati problemi particolari relativi alla salute delle lavoratrici, anche per le numerose addette che in questi anni hanno avuto gravidanze.
Infine ha concluso sottolineando come il gruppo FIAT abbia implementato con successo questo modello di organizzazione del lavoro nello stabilimento di Pomigliano d’Arco, che è il più moderno ed efficiente in Italia, che poteva essere visitato direttamente per rendersi conto della situazione. Ha quindi confermato lo sforzo della FIAT per mantenere alti i livelli di investimento, malgrado la crisi, al fine di garantire l’occupazione e le migliori condizioni di lavoro possibili anche sotto l’aspetto della salute e della sicurezza.
La Commissione ha preso atto dell’impegno concreto del gruppo FIAT per la riduzione degli infortuni e delle malattie professionali all’interno dei propri stabilimenti e per il miglioramento delle condizioni di tutto il personale.
Al tempo stesso, le audizioni con i sindacati e i rappresentanti del gruppo hanno confermato l’importanza di prendere in adeguata considerazione anche gli aspetti di genere nella valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici, come previsto d’altronde dalle disposizioni vigenti. Uomini e donne infatti, in ragione delle specifiche condizioni lavorative o fisiologiche, possono essere esposti a un diverso tipo o livello di rischio, il che impone anche un diverso approccio per la prevenzione. In questo ambito, una speciale tutela deve essere accordata alla paternità e alla maternità, intesa sotto il profilo biologico come salvaguardia della fertilità e della possibilità di avere figli, un tema di particolare rilevanza anche dal punto di vista psicologico e sociale.
Purtroppo tali aspetti non sono ancora tenuti nella dovuta considerazione da tutte le imprese, anche se – come si è visto nel caso della FIAT – esistono oggi metodi di analisi molto sofisticati che consentono di valutare e gestire in maniera ottimale anche questi profili, all’interno della complessiva organizzazione delle attività aziendali. Tuttavia, come per altre questioni legate al tema della sicurezza, il problema principale non è di tipo metodologico, ma piuttosto culturale: occorre accrescere la consapevolezza e la sensibilità dei datori di lavoro, degli stessi lavoratori e dei loro rappresentanti sulle differenti esigenze che uomini e donne possono presentare nei luoghi di lavoro anche dal punto di vista della tutela della salute e della sicurezza, attraverso campagne mirate di informazione/formazione.
Il passo successivo è poi quello di assumere le concrete iniziative di prevenzione per assicurare, ove necessario, questa tutela differenziata, garantendo un ambiente lavorativo salubre e adeguato. Tutto ciò ha anche un costo, richiedendo necessariamente degli investimenti, ma questa operazione, oltre ad assolvere ad un obbligo di legge e ad una essenziale regola di civiltà, può a ben guardare produrre benefici importanti per le stesse imprese, in quanto consente un affidamento più mirato delle mansioni lavorative in rapporto alle caratteristiche delle singole persone, con un miglioramento del loro benessere e del loro rendimento lavorativo.
Un contributo importante su questa strada può senz’altro venire dal documento sulla presentazione, ai fini della loro validazione, delle «buone prassi» a tutela delle differenze di genere in materia di salute e sicurezza, approvato dalla Commissione consultiva permanente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella riunione del 21 settembre 2011 e di cui si è già accennato nel paragrafo 2.3. Con tale documento la Commissione consultiva, come espressamente previsto tra i suoi compiti dall’articolo 6, comma 8, lettera l), del Testo unico, intende promuovere la considerazione delle differenze di genere nella predisposizione e realizzazione delle attività di prevenzione e fornisce indicazioni su come richiedere la validazione di buone prassi che riguardino le differenze in questione. A tal fine si dovrà descrivere nel modello di segnalazione quali aspetti della buona prassi abbiano riflessi sulle differenze di genere, declinando per sesso i dati relativi alla soluzione organizzativa adottata, valutandone quindi gli effetti su lavoratori di genere femminile e di genere maschile.
In linea con l’indicazione già avanzata nella precedente relazione intermedia e nella relativa risoluzione approvata dal Senato, la Commissione auspica quindi nuovamente una maggiore e più consapevole attenzione agli aspetti di genere nell’ambito della prevenzione e del contrasto agli infortuni e alle malattie professionali da parte delle istituzioni e delle forze sociali, per una sempre più efficace tutela di tutti i lavoratori e le lavoratrici.