Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 marzo 2013, n. 6659 - Attività lavorativa e risarcimento del danno da infortunio


 

 

 

Fatto



1. Con sentenza del 30 agosto 2007, la Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata e in parziale accoglimento degli appelli svolti, condannava l'A. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e L. F., in solido tra loro, al pagamento, in favore di M. R., della somma complessiva di euro 342.863,70, oltre interessi legali dal 22.4.2004 sino al saldo, e dichiarava Le Assicurazioni di Roma Mutua Assicuratrice romana tenute a manlevare l'ACEA s.p.a. anche di tutte le somme che la predetta società era stata condannata a pagare in forza della sentenza d'appello. Rigettava, per il resto, l'appello principale e gli appelli incidentali.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

M. R., infortunatosi il 10 marzo 1992 mentre svolgeva attività lavorativa per conto dell'Acca s.p.a., si era costituito parte civile nel processo penale conclusosi con sentenza, passata in giudicato, di condanna generica di L. F. in solido con il responsabile civile A.., ex art. 539 c.p.p., al risarcimento del danno in suo favore, nella misura percentuale del 70 per cento;

in accoglimento della domanda per la quantificazione del risarcimento del danno, introdotta in sede civile dal M., erano stati condannati, in solido, il datore di lavoro (A. s.p.a.), L. F. e Le Assicurazioni di Roma Mutua Assicuratrice romana (di seguito, semplicemente mutua assicuratrice) al pagamento della somma complessiva di euro 251,142,33, oltre accessori ai sensi dell'art. 429, terzo comma, c.p.c; il primo Giudice aveva, inoltre, dichiarato la stessa mutua assicuratrice tenuta a manlevare la società Acea di quanto dovuto al lavoratore sulla base della medesima sentenza;

la sentenza di prime cure era gravata dalla mutua assicuratrice che lamentava l'erroneità per profili attinenti: a) la falsa applicazione dell'art. 1917 cc, in relazione all'articolato delle condizioni generali di contratto della polizza conclusa con l'Acea e il mancato rilievo della carenza di legittimazione passiva della società assicuratrice; b) la violazione dell'art. 1911 cc, sul presupposto che avrebbe potuto essere evocata in giudizio solo per il 20 per cento alla stregua della polizza stipulata, nella forma della coassicurazione diretta, con altre compagnie; c) infine, per l'omessa indicazione del dies a quo per la decorrenza degli accessori; il lavoratore, resistendo al gravame della mutua assicuratrice, proponeva gravame incidentale lamentando l'erroneità della statuizione: a) per il mancato riconoscimento del risarcimento del danno morale conseguente all'infortunio occorsogli; d) per 1' insufficiente liquidazione, a suo favore, del danno non patrimoniale per inabilità permanente; e) infine, per l'ammontare delle spese legali di primo grado che assumeva essere inferiori alle tariffe di legge;

l'ACEA s.p.a. e L., proponendo, a loro volta, gravame incidentale, censuravano l'accoglimento della domanda del lavoratore sebbene egli non avesse assolto, in alcun modo, l'onere probatorio ex art. 2697 c.c.; l'ACEA s.p.a. lamentava, in particolare, che il primo giudice, nel liquidare il danno in favore del lavoratore, non avesse tenuto conto di quanto già liquidato dall'INAIL e che, comunque, non avesse indicato la data di decorrenza degli accessori.

3. La Corte territoriale a sostegno del decisimi riteneva, per quanto qui rileva:

fondati gli appelli svolti da L. F., l'ACEA s.p.a. e Le Assicurazioni di Roma limitatamente al profilo relativo alla decorrenza degli accessori e al loro cumulo, muovendo dalla natura risarcitoria del credito vantato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento dei danni, biologico e morale, e facendo applicazione della disciplina del danno da ritardo, ex art. 1224 ce, con esclusione, pertanto, del cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria;

quanto al gravame della mutua assicuratrice, la richiesta di autorizzazione alla chiamata in garanzia, formulata dall'Acea, trovava riscontro documentale nella polizza comunque prodotta in giudizio dalla mutua assicuratrice e fondamento nell'accertata sussistenza della polizza che copriva gli infortuni dei dipendenti Acea senza limitazione della garanzia dell'impresa assicuratrice;

la novità dei motivi di impugnazione della mutua assicuratrice, concernenti la natura del rischio assicurato, giacché involgevano censure non sollevate tempestivamente in primo grado, al pari del motivo di gravame relativo alla coassicurazione;

quanto ai motivi del gravame incidentale proposto da Acea e L., incentrati sull'accertamento della responsabilità in ordine alle lesioni subite dal lavoratore infortunato, questi, con la costituzione di parte civile nel processo penale, aveva assolto l'onere probatorio a suo carico in fattispecie precedente l'entrata in vigore dell'art. 13 d.lgs. 38/2000; con riferimento all'appello incidentale del M., le doglianze relative al mancato riconoscimento del danno morale erano risultate fondate atteso l'accertamento dei fatti, astrattamente costituenti reato, con sentenza della Corte d'appello di Roma conclusasi con pronuncia ex art. 539, c.p.p.; quanto al danno morale, alla stregua della percentuale di responsabilità dell'Acea e del L., fissata dal giudice penale nel 70 per cento, la liquidazione in via equitativa ammontava ad euro 90.024,87, tenuto conto le natura delle sofferenze patite dal lavoratore e conseguenti alle ravissime lesioni riportate; infine, l'appello incidentale, relativo alla liquidazione del danno per invalidità temporanea, era risultato fondato atteso l'evidente errore materiale in cui era incorso il C.T.UJ. tra quanto indicato nell'elaborato (un periodo di tre mesi) e quanto indicato nelle conclusione (tre giorni), sicché il danno per invalidità temporanea andava liquidato in euro 1.755,00 (euto 19,50x90 giorni).

4. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, Le Assicurazioni di Roma Mutua Assicuratrice Romana hanno proposto ricorso per cassazione fondato su due articolati motivi. M. R. si è costituito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato a due motivi. L'ACEA s.p.a. e L. F. si sono costituiti con controricorsi e hanno proposto ricorsi incidentali affidati a tre motivi, cui ha resistito M. con controricorso eccependo l'inammissibilità del secondo ricorso incidentale separatamente proposto dalla società e da L. e notificati il 18 gennaio 2008, per mera duplicazione degli atti già notificati il 18 dicembre 2007. M. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.





Diritto





5. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ex art. 335 c.p.c. , perché proposti avverso la medesima sentenza.

Esame del ricorso principale della mutua assicuratrice

6. Con il primo articolato motivo è denunciata violazione dell'art. 1917 c.c.. in relazione all'intero articolato della polizza n.741, erronea individuazione del rischio assicurato ed insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Assume la ricorrente di aver contestato, fin dal primo grado, la carenza dei presupposti contrattuali per la chiamata in causa e la carenza di legittimazione passiva in ordine alle spiegate domande di manleva e garanzia rispetto alla pretesa risarcitoria del lavoratore invocando l'oggetto della polizza assicurativa concernente l'assicurazione del solo rischio infortuni dei dipendenti e non anche quello della responsabilità civile del contraente, mai assunto in garanzia dalla mutua assicuratrice che non garante, pertanto, la società Acea rispetto alle pretese risarcitone dei propri dipendenti.

7 Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell'art. 431 c.p.c. in relazione all'omessa valutazione della coassicurazione, da parte della Corte di merito, per asserita novità del motivo incentrato sulla sussistenza del riparto del rischio in quote percentuali (del 20 per cento a carico delle Assicurazioni di Roma e dell'80 per cento a carico delle restanti coassicuratrici).

8. I motivi sono entrambi inammissibili.

9. Osserva il Collegio che secondo la giurisprudenza, anche a Sezioni Unte, di questa Corte, a seguito della riforma ad opera del d.lgs. n. 40/06, il novellato art. 366, n. 6, c.p.c, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell'art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (cfr., explunmis, Cass., SU, n. 28547/2008; Cass., n. 20535/2009).

10. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha ulteriormente ritenuto che la previsione di cui al ricordato art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c, deve ritenersi soddisfatta, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale siano contenuti gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda, ferma in ogni caso l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ai sensi dell'art. 366, n. 6, c.p.c, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr., Cass., SLT, n. 22726/2011).

11. La parte ricorrente non ha adempiuto a tali oneri poiché non ha fornito nel ricorso la specifica indicazione dei dati necessari al reperimento dei contratti di assicurazione su cui si fondano entrambi i motivi e dei quali, peraltro, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, neppure è stato ivi riprodotto il contenuto.

12. Peraltro, pur superando l'evidente inidoneità, per genericità, del quesito di diritto che correda l'illustrazione delle denunciate violazioni di legge, va anche rimarcato, con riferimento al secondo mezzo d'impugnazione, che l'autosufficienza del ricorso per cassazione impone che la critica alla statuizione di novità della Corte di merito sia svolta nel ricorso per cassazione esattamente riportando sia i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio, sia quelli del ricorso d'appello con cui le censure ritenute inammissibili, per la loro novità, sono state formulate.

13. Tali oneri non sono stati ottemperati, nel caso di specie, dalla parte ricorrente che si è limitata a rappresentare genericamente l'oggetto delle proprie originarie domande e delle proprie successive doglianze, senza trascriverle negli esatti termini del loro svolgimento, conseguendone l'inammissibilità della doglianza anche per tale profilo.

14. Il ricorso principale va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Esame del ricorso incidentale di M. R..

15. M. denuncia, con il primo motivo, violazione degli artt. 112, 329, 342 c.p.c, error in procedendo e vizio di ultrapetizione, dolendosi che la Corte di merito si sia pronunciata sul danno da ritardo nel pagamento del credito risarcitorio pur in difetto di specifica censura, in sede di gravame, del capo della sentenza di prime cure che ha riconosciuto la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata in primo grado, secondo il disposto dell'art. 429, terzo comma, c.p.c. e in mancanza di diversa indicazione da parte del Giudice. Assume, in sintesi, che l'Acea e L., unici obbligati e condannati dal Giudice di prime cure, hanno investito, con il gravame incidentale, esclusivamente l'obbligazione risarcitoria, e non gli accessori, allegando di non essere tenuti al pagamento delle somme come quantificate in sentenza a titolo di risarcimento del danno biologico, da invalidità temporanea e per spese mediche o, in subordine, di portare comunque in detrazione, dal quantum ritenuto dovuto, quanto dal lavoratore percepito a titolo di indennizzo INAIL.

16. Il motivo è meritevole di accoglimento.

17. La pronuncia di primo grado sul danno da ritardo nel pagamento del credito risarcitorio, con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto a norma dell'art. 429 c.p.c, non è stata oggetto di specifica doglianza, in appello, delle parti soccombenti in primo grado (Acea e L.) e va, al riguardo, riaffermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nel caso di sentenza di condanna al pagamento di un debito pecuniario con interessi e rivalutazione, qualora l'appello del soccombente, pur investendo la pronuncia nella sua interezza, contenga specifici motivi solo sulla sussistenza del credito pecuniario e nessuno, neppure subordinato, sul danno causato dal ritardo nell'adempimento, al giudice di appello è inibito il riesame delle statuizioni accessorie relative agli interessi ed alla rivalutazione monetaria, rispetto ai quali vi è stata acquiescenza dell'appellante per effetto dell' indicata delimitazione delle ragioni della impugnazione (v., fra le altre, Cass.1502/2000).

18. Invero, gli effetti del ritardato adempimento e la regola di liquidazione del danno da ritardo applicata dal primo Giudice, invocando l'art. 429 c.p.c. piuttosto che quella dettata dall'art. 1224 cc, norma che esclude il cumulo tra interessi e rivalutazione, diventano irretrattabili in difetto di specifica impugnazione sul punto comporta sicché l'esistenza del giudicato interno preclude al Giudice di appello l'applicazione di regole risarcitone del ritardato adempimento diverse da quelle già statuite in prime cure.

19. Ciò perché non si verte nella specialità del risarcimento del danno causato dal ritardo nell'adempimento dei crediti di lavoro (si rinvia., al riguardo, alla trattazione diffusa di Cass. 5525/1995), nel qual caso ove la sentenza di primo grado avesse ritenuto la materia disciplinata dall'art. 1224 c.c., benché non impugnata relativamente a tale specifica questione, in sede di gravame avrebbe trovato applicazione, ex officio, la diversa regola ex art. 429 c.p.c. (v. Cass. 2145/1994; Cass. 16531/2006).

20. La questione che ne occupa si adagia, invece, sul terreno generale del ristoro del danno da ritardato adempimento di un normale credito risarcitorio che nel rapporto di lavoro trova soltanto l'occasione di contatto sociale che ne ha determinato l'insorgenza (v., diffusamente, Cass. 11704/2003).

21. Il giudicato interno formatosi sulla detta statuizione per mancata impugnazione della medesima comprende il decisum e la ratio deciderteli perché riguarda non solo l'attribuzione del bene della vita (il ristoro del danno da ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria), ma anche le premesse in fatto e in diritto poste a fondamento della pronuncia, nella specie evocate in sintesi nel richiamo all'art. 429, terzo comma, c.p.c, con la conseguenza che, divenuto incontestabile l'accertamento di tali premesse, lo stesso non può più essere rimesso in discussione con l'impugnazione degli altri capi di condanna, essendo al riguardo ogni questione preclusa.

22. Ne consegue che, in difetto di impugnazione della parte soccombente, si è formato il giudicato, per acquiescenza, sul debito relativo agli accessori da ritardata corresponsione della prestazione risarcitoria riconosciuta dal primo Giudice e la relativa statuizione, presupponendo un accertamento positivo sulla sussistenza del maggior danno, non è suscettibile di esame nelle successive fasi processuali. In particolare, la preclusione da giudicato copre solo l'importo riconosciuto con la sentenza di primo grado non impugnata, indipendentemente dall'ammontare del credito riconosciuto dal Giudice del gravame.

23. Né si appalesa condivisibile la deduzione svolta, sul punto, dall'Acea e dal L. volta ad inferire la tempestiva introduzione della doglianza, nel giudizio di gravame, in esito alla totale adesione, delle predette parti appellanti, alle censure svolte, in quella sede, dal terzo chiamato in garanzia (la mutua assicuratrice) involgenti, tra i motivi di gravame, critiche al predetto capo di sentenza.

24. Al riguardo è sufficiente riaffermato il principio consolidato secondo cui la veste di interveniente adesivo dipendente del terzo chiamato in garanzia (impropria) implica che questi possa impugnare la statuizione principale solo limitatamente alla causa di garanzia (ex multis, Cass. 9439/2010), principio dal quale il Collegio trae la conclusione che, afortiori, le parti principali non possono sostenere le ragioni del predetto interveniente adesivo esorbitanti dall'ambito della causa di garanzia e giovarsi o spendere poteri processuali volti a supplire ad un'inerzia processuale o a vanificare l'acquiescenza alla sentenza.

25. Per quanto sin qui detto, rimane assorbito il secondo motivo subordinato incentrato sulla violazione dell'art. 429 terzo comma, c.p.c. e sulla nullità della sentenza impugnata per insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione, per aver la Corte di merito implicitamente riconosciuto il diritto del lavoratore al cumulo di interessi e rivalutazione monetaria dal sinistro alla lettura del dispositivo, salvo poi disconoscerlo in dispositivo.

Usarne dei ricorsi incidentali di Acea s.p.a. e Uberi F..

26. I ricorsi incidentali, di identico contenuto, di Acea s.p.a. e L. censurano il capo di sentenza relativo al riconoscimento e alla liquidazione, in favore del M., del danno biologico e morale deducendo i motivi di seguito, in sintesi, riprodotti:

violazione e falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. in relazione all'art. 185 c.p.p. Assumono che la Corte di merito ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno morale in fattispecie in cui il giudice penale aveva escluso la sussistenza di un reato assolvendo gli imputati con formula piena; rimarcano che, nella specie, non si versa in ipotesi di responsabilità dell'autore del fatto per effetto di presunzione di legge e si dolgono, inoltre, della motivazione del tutto insufficiente con la quale la Corte di merito ha ritenuto accertata l'astratta configurabilità di fatti costituenti reato, esclusa, invece, proprio all'esito del giudizio penale (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell'art. 2056 c.c.. in relazione agli artt. 1226,1227 c.c., per aver la Corte di merito liquidato il risarcimento del danno morale in via equitativa anziché alla stregua delle disposizioni di cui agli artt. 1226,1227 c.c., omettendo di valutare il concorso di colpa del danneggiato, come riconosciuto dalla sentenza penale (secondo motivo); violazione dell'art. 2697 c.c., per aver i Giudici del gravame liquidato il risarcimento del danno biologico e morale in assenza di prova in ordine ai presupposti dell'asserito diritto al risarcimento e ritenuto assolto l'onere probatorio in ragione dell'intervenuto processo penale. Assumono che il lavoratore infortunato avrebbe dovuto, quanto al risarcimento del danno biologico, dimostrare il fatto costituente l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza e il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento e il danno e, quanto al risarcimento del danno morale, anche dar prova della colpa del datore di lavoro (terzo motivo).

27. Il Collegio rileva che si appalesa inconferente la censura svolta con il secondo motivo, incentrata sulla limitazione di colpa, atteso che, all'evidenza, la Corte merito ha tenuto conto del concorso di colpa del lavoratore nella percentuale riconosciuta dalla sentenza penale, per l'appunto del 30 per cento, onde l'inammissibilità del motivo di censura.

28. Passando all'esame congiunto, per l'evidente intima connessione, delle doglianze enunciate nel primo motivo e riprodotte nel terzo, giova ribadire che il giudicato penale di condanna generica al risarcimento del danno preclude, nel giudizio civile finalizzato alla quantificazione del danno, ogni disamina ulteriore dei presupposti del risarcimento stante la costituzione di parte civile che comporta la traslazione dell'azione civile nel processo penale.

29. Invero, la sentenza penale che rechi condanna al risarcimento dei danni a favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede, spiega autorità vincolante in ordine alla responsabilità dell'imputato nel giudizio civile instaurato dal danneggiato (ex multis, Cass. nn.3914/1996; 12767/1998) che, pur prosciolto dal reato, non può più contestare la declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ma soltanto la sussistenza e l'entità, in concreto, di un pregiudizio risarcibile (Cass. 15557/2002).

30. Ne risulta che l'illiceità ormai definitivamente stabilita in sede penale con la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile diventa irretrattabile nel giudizio civile sulle conseguenze risarcitone derivanti dal fatto (v., per le conseguenze anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, Cass. 14921/2010), e non può più essere messa in discussione.

31. In altre parole, la pronuncia di condanna generica, pur difettando dell'attitudine all'esecuzione forzata, costituisce una statuizione autonoma contenente l'accertamento dell'obbligo risarcitorio in via strumentale rispetto alla successiva determinazione del quantum (v. Cass. 4054/2009).

32. Del tutto inconferente è, infine, il richiamo a Cass. 1095/2007 che, in fattispecie affatto diversa, ha predicato la quasi completa autonomia e separazione tra giudizio civile e penale nel sistema instaurato con il nuovo codice di procedura penale, ritenendo il giudice civile non vincolato a sospendere il giudizio, avanti a lui pendente, in attesa della definizione del giudizio penale correlato in cui si sia proceduto ad una valutazione di risultanze probatorie in senso parzialmente difforme.

33. Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha fondato la sua pronuncia sulla sentenza penale richiamata, considerando il fatto materiale accertato dal giudice penale come fonte di responsabilità, procedendo, poi, su tale base.

34. Per tutte le esposte considerazioni la Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale di M., dichiarato assorbito il secondo; dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta i ricorsi incidentali di Acea e L..

35. Ne consegue la cassazione della decisione impugnata limitatamente al primo motivo del ricorso incidentale, accolto quanto alla decorrenza degli accessori sul danno da ritardato pagamento liquidato in euro 251,142,33 e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, dichiara il diritto di M. R. alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali sulla predetta somma.

36. La sostanziale reciproca soccombenza e la peculiarità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese fra le parti.

P.Q.M.


Riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale di M. e dichiara assorbito il secondo; dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta i ricorsi incidentali di Acea e L.; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara il diritto di M. alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali sulla somma di euro 251,142,33. Compensa le spese di lite.