Cassazione Penale, Sez. 4, 11 febbraio 2013, n. 6769 - Infortunio mortale con una motopompa diesel per lo sbrinamento della serra agricola e inidoneità: organi lavoratori in movimento


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente -

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -

Dott. ESPOSITO Antonio - rel. Consigliere -

Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -

Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

T.F. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 8161/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del 26/09/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/01/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. STABILE Carmine che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore Avv. Manduche Carla che concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto



Con sentenza del 26/9/2011 la Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, resa a seguito di appello interposto dall'imputato, rideterminava la pena inflitta a T. F. in anni uno, mesi quattro di reclusione, confermando nel resto la sentenza. L'imputato era stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 2 perchè, in qualità di titolare dell'omonima azienda agricola e datore di lavoro, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonchè nell'inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1 mettendo a disposizione del lavoratore S.S. una motopompa diesel, munita di accensione elettrica e deputata allo sbrinamento della serra agricola, non idonea ai fini della sicurezza e non adeguata al lavoro da svolgere, in quanto presentava organi lavoratori in movimento completamente privi di qualsiasi dispositivo di protezione e/o segregazione, nonchè omettendo la dovuta formazione in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, con specifico riferimento alle mansioni assegnate e alle attrezzature utilizzate, cagionava la morte del lavoratore. Quest'ultimo, infatti, mentre procedeva ad avviare la menzionata motopompa, rimaneva impigliato con il lenzuolo, che teneva sulle spalle per coprirsi, nell'albero di trasmissione della macchina in movimento, così restando soffocato dal lenzuolo che gli avvolgeva e stringeva il collo (fatto dell'(Omissis)).

Con la sentenza di primo grado venivano concesse le attenuanti generiche, ritenute equivalenti all'aggravante, e veniva, altresì, dichiarata la nullità della costituzione di parte civile.

I giudici di merito avevano fondato il giudizio di responsabilità dell'imputato sul rilievo che le circostanze provate in atti avevano dimostrato che la vittima lavorava alle dipendenze dello stesso, tanto che era ospitata in un capannone adiacente alle serre, ove era installato un dispositivo luminoso che avvertiva quando la temperatura scendeva al di sotto dei tre gradi e, quindi, vi era pericolo di congelamento. In tal caso doveva essere accesa la pompa che, convogliando l'acqua sulla superficie della serra, ne impediva il congelamento. I giudici, inoltre, rilevavano che la motopompa non era dotata dei più semplici dispositivi di sicurezza e nemmeno di alcuna protezione delle parti in movimento e che il lavoratore non aveva ricevuto alcuna preparazione per l'uso della macchina.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, rilevando, in primo luogo, la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione. Osserva il ricorrente che, a fronte dei motivi d'appello fondati su risultanze dibattimentali puntualmente richiamate, la Corte non ha fatto altro che riproporre le argomentazioni del giudice di prime cure, senza dare conto delle ragioni poste a fondamento del rigetto delle censure. Deduce, ancora, il ricorrente l'inosservanza degli artt. 69, 133 e 589 c.p. e la mancanza di motivazione in rapporto all'entità della pena irrogata e al giudizio di equivalenza delle circostanze.

Diritto



Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'insufficienza e la manifesta illogicità della motivazione in punto di ricostruzione del quadro indiziario, che assume inidoneo ad integrare lo "standard probatorio minimo" necessario per pervenire a un giudizio di colpevolezza. Lamenta, inoltre, che i giudici di merito abbiano prospettato un'ipotesi subordinata di responsabilità che prescinde dalla qualità di dipendente della vittima, ancorchè una pronuncia di condanna non possa fondarsi su due ipotesi congetturali alternative, ma necessiti di una ricostruzione del fatto univoca e convincente al di là di ogni ragionevole dubbio. Il motivo è infondato.

Premesso che in sede di legittimità sono censurabili, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), esclusivamente i vizi di insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, restando preclusa la rilettura degli atti di causa (è da richiamare in proposito l'orientamento affermato dalla Suprema Corte anche a Sezioni Unite - v. Cass. S.U. 24-11-1999 - Spina; 31-5- 2000- Jakani; 24-9-2003 - Petrella - secondo cui esula dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura dei dati di fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al Giudice del merito, nonchè dell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti), va rilevato che i giudici di merito hanno fornito una ricostruzione degli accadimenti congrua e logica, idonea a fondare su basi certe l'affermazione di responsabilità dell'imputato in qualità di datore di lavoro della vittima. A tal fine le sentenze di primo e secondo grado, con motivazioni che si integrano a vicenda (in proposito vale il principio enunciato da Cass. n. 13926 del 1/12/2011: "Le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata"), hanno adeguatamente interpretato il quadro indiziario, deducendone la posizione di garanzia dell'imputato in qualità di datore di lavoro della vittima.

Il giudizio viene fondato su una serie si elementi, di seguito sommariamente indicati: la circostanza che S.S. fosse ospitato in un capannone adiacente alle serre; che nell'ambiente fosse presente un segnalatore acustico luminoso atto a indicare l'abbassamento della temperatura al di sotto della soglia richiedente la messa in funzione della pompa al fine di scongiurare il pericolo di congelamento; che la qualità di lavoratore della vittima fosse stata riferita da un altro lavoratore in sede di esame testimoniale;

che l'abilità richiesta per azionare la pompa portasse ad escludere l'ipotesi di compito svolto occasionalmente; che un lavoratore, pure presente nel capannone, avesse dichiarato di non essere in grado di azionare la pompa, mentre altro lavoratore, normalmente addetto all'avviamento della pompa, fosse in ferie. Si tratta di elementi che, tra loro opportunamente collegati nel ragionamento motivazionale, conducono a una ricostruzione logica degli accadimenti idonea a fondare il giudizio di responsabilità.

La motivazione della sentenza di appello, pertanto, è del tutto congrua, avendo il giudice confutato gli argomenti che costituiscono l'ossatura" dello schema difensivo dell'imputato, anche mediante richiamo ad alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado espressamente condivisi.

Nè rileva la mancata valutazione di alcune circostanze emergenti dagli atti. In proposito va ricordato che ai fini della congruità della motivazione non vi è necessità di un esame specifico di tutte le circostanze di prova offerte dal processo. Costituisce, infatti, principio costantemente affermato da questa Corte quello in forza del quale (Cass. n. 13151 del 10/11/2000). "Nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (nello stesso senso Cass. n. 26660 del 13/05/2011).

Quanto alla censura specificamente inerente alla giustificazione offerta in via subordinata dai giudici di merito, atta a significare la sussistenza della responsabilità dell'imputato anche in caso di ritenuta mancanza di prova del rapporto di lavoro, rileva la Corte che più che un'alternativa ricostruzione dei fatti, la stessa configura un'argomentazione aggiuntiva, inidonea a inficiare la coerenza del fondamentale iter argomentativo.

Quanto al secondo motivo d'impugnazione, se ne rileva l'infondatezza, posto che il giudizio di equivalenza tra le circostanze risulta adeguatamente motivato mediante il richiamo all'intensità del grado della colpa, mentre la determinazione della pena, che si colloca nell'ambito della fascia prossima al minimo edittale, non richiede, secondo costante affermazione di questa Corte, specifica motivazione (Cass. 36245 del 26/06/2009 Ud.: "La specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere").

In ragione di tutte le argomentazioni svolte il ricorso va interamente rigettato, con onere delle spese processuali a carico del ricorrente.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.