Giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, secondo comma, del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro) e 3, lett. a), e 4 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 41 Cost.
"È di tutta evidenza che, diversamente da quanto opina il giudice a quo, il legislatore bene può imporre limitazioni all'iniziativa economica privata in vista della tutela della salute, della sicurezza e della dignità umana dello stesso soggetto esercente l'attività (sent. n. 21 del 1964).
Ciò in considerazione del valore assoluto della persona umana sancito dall'art. 2 Cost., e tenuto conto della primaria rilevanza che l'art. 32 Cost. assegna alla salute, nonché dell'arbitrarietà di ogni discriminazione fra coloro che, esplicando, sia pure in posizione diversa (nella specie lavoratori associati e lavoratori subordinati) una medesima attività, siano esposti ai medesimi rischi quanto agli indicati valori costituzionali (cfr. ancora
sent. n. 21 del 1964)."


 


LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3, secondo comma, del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro) e 3, lett. a), e 4 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 10 dicembre 1980 dal Pretore di Legnano nel procedimento penale a carico di S.M.L. ed altra, iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 227 del 1981;
2) ordinanza emessa il 23 aprile 1985 dal Pretore di Adria nel procedimento penale a carico di G.R. ed altro, iscritta al n. 643 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54 - 1a serie speciale dell'anno 1986;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1987 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;
Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Fatto

1. Il Pretore di Legnano, con ordinanza emessa il 10 dicembre 1980 (R.O. n. 277/1981), nel procedimento penale a carico di S. M. L. ed altra - imputate del reato di cui agli artt. 8 e 39 del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), per avere svolto da sole, in società di fatto, attività produttiva di beni in un locale seminterrato privo di servizi igienici - ritenendo accertati i fatti contestati, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 41 Cost., dell'art. 3, secondo comma, del suindicato d.P.R. n. 303 del 1956, che equipara, ai fini dell'applicazione delle norme per l'igiene del lavoro, ai lavoratori subordinati i soci di società e di enti cooperativi, anche di fatto, i quali prestino la loro attività per conto della società o degli enti.
Ad avviso del pretore, la disposizione denunciata, in base alla quale dovrebbe essere affermata la responsabilità penale di ciascuna delle socie di fatto, sarebbe illegittima, poiché subordina la libertà di iniziativa economica di più persone che vogliono intraprendere, con lavoro proprio e associato, senza dipendenti, al rispetto di una normativa di igiene del lavoro, comportante oneri economici non indifferenti e il divieto di usare, per l'attività, locali non conformi alle prescrizioni di legge, senza che tale limitazione trovi ragione nella necessità di tutelare la sicurezza e la dignità umana, che, ai sensi dell'art. 41 Cost., devono intendersi come sicurezza e dignità altrui, non dei soggetti stessi che intraprendono l'attività economica.
Sussisterebbe, inoltre, disparità di trattamento tra i soci lavoratori di una società senza dipendenti e i soggetti che esercitano attività lavorativa da soli, senza soci né dipendenti, poiché questi ultimi non sono tenuti all'osservanza di alcuna norma di igiene, a differenza dei primi, senza che, in ambo i casi, esista alcun soggetto, diverso dagli esercenti l'attività, da tutelare.
La questione - secondo il giudice a quo - è rilevante, poiché la sussistenza o meno della disposizione denunciata decide l'alternativa tra l'emissione di decreto penale nei confronti delle imputate e l'archiviazione.

2. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha contestato la fondatezza della questione.
Circa l'asserita violazione dell'art. 41 Cost., osserva l'interveniente che il pretore muove da una inaccettabile nozione della "sicurezza e dignità umana" in termini di interessi liberamente disponibili dai loro titolari, mentre si tratta di esigenze che non possono non ricevere una tutela in forme generali alla stregua degli artt. 2 e 32 Cost.
D'altra parte, la lamentata inapplicabilità delle norme a tutela dell'igiene del lavoro all'ipotesi di persona che esercita la propria attività lavorativa da sola, senza dipendenti o senza forma associata, può, al più, costituire una carenza legislativa, non un argomento di incostituzionalità della norma denunciata nella parte in cui essa attua fondamentali precetti della Costituzione.

3. Il Pretore di Adria, con ordinanza emessa il 23 aprile 1985 (R.O. n. 643/1986), nel procedimento penale contro G.R. ed altro - imputati del reato di cui agli artt. 70 e 77, lett.b), del d.P.R. 7 maggio 1956, n. 164 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni), per aver fatto eseguire ad altro componente della società di fatto tra essi esistente lavori edili senza aver adottato le necessarie cautele idonee a salvaguardare l'incolumità del lavoratore, che era rimasto ferito ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dell'art. 3, lett. a), e dell'art. 4 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), nella parte in cui equiparano, ai fini dell'applicazione della normativa antinfortunistica, i soci della società di fatto ai lavoratori subordinati, con conseguente responsabilità, nel caso di mancata adozione di misure di prevenzione, degli altri soci di fatto, come datori di lavoro.
Ad avviso del pretore, la normativa denunciata si appalesa giustificata per le società munite di personalità giuridica, ma è invece in contrasto con principi di eguaglianza, ragionevolezza e della responsabilità penale per fatto proprio di cui all'art. 27 della Costituzione relativamente alle società di fatto, in quanto non si può, in un'identica situazione di lavoro a cui sono addette due persone non gerarchicamente subordinate l'una all'altra, bensì soci di fatto con eguali diritti e doveri, far dipendere da un evento estraneo alla loro volontà e cioè il verificarsi di un infortunio ad uno dei due, il sorgere della responsabilità penale dell'altro; con l'ulteriore assurda conseguenza che, nel caso in cui anche l'altro socio possa lamentare lievi inconvenienti fisici conseguenti all'infortunio, nessuno sarebbe penalmente responsabile.

4. È intervenuto il Presidente del consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Rileva infatti l'interveniente che:
a) l'equiparazione di cui all'art. 3 lett. a) del d.P.R. n. 547/1955, denunziata con riguardo esclusivo ai soci della società di fatto, non viola per alcun profilo l'art. 3 Cost. perché i rapporti tra soci versanti nella medesima situazione vengono assoggettati ad uguale equilibrata disciplina; invero, nella considerata "identità" (di ruoli e) di condizioni di lavoro svolto per conto della società di fatto, i soci di essa, in forza della equiparazione di cui all'art. 3, lett. a), sono tutti da considerare lavoratori subordinati per la propria attività e datori di lavoro per l'attività degli altri e quindi reciprocamente obbligati al rispetto delle norme antinfortunistiche e destinatari della protezione inerente all'obbligo altrui;
b) del pari nessuna violazione dell'art. 27 Cost. appare configurabile ad opera della norma censurata, in quanto la responsabilità penale per il reato d'inosservanza della norma antinfortunistica scaturisce dalla condotta omissiva tenuta dal socio nella sua veste di datore di lavoro, che lo obbliga all'osservanza delle prescrizioni di sicurezza a tutela degli altri soci prestatori di lavoro.





Diritto

1. Le due ordinanze sollevano questioni tra loro connesse, ed i relativi giudizi vanno pertanto riuniti e definiti con unica sentenza.

2. Il Pretore di Legnano (R.O. n. 277/1981) pone in dubbio la legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 41 Cost., dell'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), in quanto equipara, ai fini dell'applicazione delle norme sull'igiene del lavoro, ai lavoratori subordinati i soci di società, anche di fatto, i quali prestino la loro attività per conto della società, così determinando la sottoposizione dei soggetti associati alle prescrizioni sull'igiene del lavoro e sui requisiti dei locali.
Ciò importerebbe, secondo il giudice a quo:
a) una limitazione della libertà di iniziativa economica per gli associati, non giustificata dalla esigenza di tutelare la sicurezza e la dignità umana, avendo l'art. 41 Cost. riguardo a tali valori rispetto ai terzi, non già rispetto agli stessi soggetti che intraprendono una attività economica;
b) una ingiustificata discriminazione sfavorevole per i soci lavoratori di una società di fatto senza dipendenti rispetto ai soggetti che svolgono un'attività economica da soli (senza soci né dipendenti), per essere tali soggetti esonerati dall'osservanza delle norme sull'igiene del lavoro.

3. La questione va dichiarata non fondata sotto entrambi gli aspetti.
È di tutta evidenza che, diversamente da quanto opina il giudice a quo, il legislatore bene può imporre limitazioni all'iniziativa economica privata in vista della tutela della salute, della sicurezza e della dignità umana dello stesso soggetto esercente l'attività (sent. n. 21 del 1964). Ciò in considerazione del valore assoluto della persona umana sancito dall'art. 2 Cost., e tenuto conto della primaria rilevanza che l'art. 32 Cost. assegna alla salute, nonché dell'arbitrarietà di ogni discriminazione fra coloro che, esplicando, sia pure in posizione diversa (nella specie lavoratori associati e lavoratori subordinati) una medesima attività, siano esposti ai medesimi rischi quanto agli indicati valori costituzionali (cfr. ancora sent. n. 21 del 1964).
Per quel che concerne, poi, la disparità di trattamento che deriverebbe dalla dedotta inoperatività della legislazione sull'igiene del lavoro nei confronti dei lavoratori autonomi (quelli appunto senza soci né dipendenti), è sufficiente osservare che un'omissione irragionevole (o non sicuramente ragionevole) del legislatore non può condurre alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di altra norma per sè ragionevole (cfr. sentt. n. 297 del 1986; n. 168 del 1982; ordinanza n. 303 del 1984).

4. Il Pretore di Adria (R.O. n. 643/1986) censura, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., gli artt. 3, lett. a), e 4 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), in quanto equiparano, ai fini dell'applicazione della normativa antinfortunistica, i soci delle società di fatto ai lavoratori subordinati, con conseguente responsabilità, nel caso di mancata adozione di misure di prevenzione, degli altri soci di fatto.
Secondo il giudice a quo la normativa impugnata violerebbe il principio della responsabilità penale per fatto proprio (art. 27, primo comma, Cost.), in quanto, nell'espletamento paritario, da parte di soci di fatto, della stessa attività lavorativa, verrebbe fatto dipendere da un evento estraneo alla loro volontà, qual è il verificarsi dell'infortunio in danno di uno dei soci, il sorgere della responsabilità penale dell'altro. Sotto altro aspetto, sarebbe manifesta l'irragionevolezza di una disciplina in base alla quale, nell'eventualità di infortunio di tutti i soci, nessuno sarebbe penalmente responsabile.

5. La questione va dichiarata non fondata sotto entrambi gli aspetti.
Quanto all'asserita lesione del principio della personalità della responsabilità penale (art. 27, primo comma, Cost.), è sufficiente notare come tale principio sia pienamente rispettato dalla normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, poiché la responsabilità penale dei soci di fatto, lungi dal dipendere da un evento estraneo alla loro volontà, è ricollegata ad una omissione ai medesimi direttamente riferibile, e cioè alla mancata adozione delle misure antinfortunistiche.
È innegabile che tali misure tutti i soci di fatto sono tenuti ad adottare o a far adottare in ragione dei poteri di organizzazione e di gestione che ad essi spettano in ordine all'attività produttiva costituente l'oggetto sociale, e, correlativamente, di quei doveri che ad essi individualmente incombono (cfr.artt. 2291, 2297, 2293, 2257 cod. civ. concernenti le società in nome collettivo ed applicabili alle società di fatto).
È inesatto, poi, il presupposto della dedotta irrazionalità della normativa, e, cioè, che in relazione all'eventualità di infortunio coinvolgente tutti i soci, nessuno sarebbe tenuto all'osservanza delle norme antinfortunistiche, per l'impossibilità di ravvisare il concorso nella stessa persona della qualità di soggetto beneficiario della tutela antinfortunistica e di quella di soggetto obbligato alla adozione delle misure relative.
Infatti tale impossibilità, già opinabile in quanto le cautele antinfortunistiche siano considerate come dirette a favore dello stesso soggetto che è tenuto ad adottarle, non ricorre certamente in quanto le dette cautele siano considerate come dirette alla salvaguardia degli altri soci, ponendosi sotto tale aspetto ogni socio come tutore dell'incolumità degli altri.




PQM
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dal Pretore di Legnano, con ordinanza emessa il 10 dicembre 1980;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, lett. a), e 4 del d.P.R. 27 aprile 1955,
n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dal Pretore di Adria, con ordinanza emessa il 23 aprile 1985.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1987.
Depositata in cancelleria il 10 DIC. 1987.