T.A.R. Catanzaro Calabria, Sez. 1, 15 maggio 2013, n. 578 - Provvedimento di distacco e mobbing


 

 

Per dedurre un'ipotesi di mobbing non è sufficiente che l'interessato sia stato oggetto di un trasferimento di sede e di sanzioni disciplinari, come nel caso di specie, o comunque di un altro fatto soggettivamente avvertito come ingiusto e dannoso, ma occorre che tali vicende, oltre che essersi ripetute per un apprezzabile lasso di tempo, siano anche legate da un preciso intento del datore di lavoro diretto a vessare e perseguitare il dipendente con lo scopo di demolirne la personalità e la professionalità, il che deve essere poi dimostrato in giudizio dal ricorrente, secondo l'ordinaria regola dell'onere della prova.

Ai fini della deduzione del mobbing, insomma, non è sufficiente la prospettazione di un mero distacco per incompatibilità ambientale, con trasferimento ad altra sede, ancorché illegittimo, occorrendo, invece, anche l'allegazione di una preordinazione finalizzata all'emarginazione del dipendente.






REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 568 del 2008, proposto da:
Ma. Do., rappresentato e difeso dall'avv. Saverio Destito, con domicilio eletto presso lo studio di Saverio Destito in Soverato, corso Umberto I° , N. 102;
contro
Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Dipart.Amm/Ne Penit.-Provveditorato Reg.Calabria Catanzaro; Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le
Catanzaro, domiciliata in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;
per l'accertamento e riconoscimento del danno di mobbing
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2013 il dott. Lucia Gizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FattoDiritto




1. Con ricorso notificato in data 5.5.2008, Ma. Do. - premesso di essere assistente capo della Polizia penitenziaria in servizio presso la Casa circondariale di Catanzaro - deduceva che: nel luglio 2003, si vedeva distaccato presso la Casa circondariale di Reggio Calabria per incompatibilità ambientale, dovendo allontanarsi dalla famiglia e in particolare dal figlio di due anni; il distacco era stato disposto per costringerlo a rendere dichiarazioni false nei confronti di colleghi in ordine a un procedimento penale, poi archiviato dal Gip di Catanzaro; a seguito del trasferimento, aveva cominciato a soffrire di un disturbo di adattamento con ansia e depressione, subendo così un grave danno alla salute; il provvedimento di distacco veniva revocato, in quanto il procedimento penale nei confronti degli altri appartenenti alla polizia penitenziaria in servizio presso la Casa circondariale di Catanzaro veniva archiviato; tuttavia, veniva irrogata al ricorrente una sanzione disciplinare pecuniaria per gli illeciti di cui alle lett. o) dell'art. 4 del d.lgs. n. 449 del 1992 e ff) dell'art. 3 del medesimo testo normativo.

Ciò premesso in fatto, il ricorrente, da un lato, impugnava, chiedendo che ne venisse dichiarata la nullità, il provvedimento disciplinare adottato ad aprile 2005 per violazione degli artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 449 del 1992 e 120 del t.u. n. 3 del 1957, essendo passati oltre 19 mesi dall'inizio del procedimento disciplinare (luglio 2003); dall'altro, chiedeva al Tribunale di accertare che era stato oggetto di mobbing da parte dell'Amministrazione resistente e di condannare il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno fisico e morale subito, quantificato in euro 100.000,00.

Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia, eccependo in via preliminare l'inammissibilità del ricorso proposto contro il provvedimento disciplinare, sia per omessa notifica della decisione sul ricorso gerarchico, sia per proposizione di motivi nuovi rispetto a quelli proposti in sede di ricorso gerarchico. Nel merito, si deduceva l'infondatezza del ricorso.

Alla pubblica udienza del 18.4.2013, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. In via preliminare, rileva il Collegio che è fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa erariale, nella parte in cui si impugna, per violazione degli artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 449 del 1992, il decreto del 1.3.2005, con cui è stata irrogata la sanzione disciplinare pecuniaria.

Ed invero, contro il suddetto decreto - adottato dal Provveditorato regionale del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria - parte ricorrente ha proposto ricorso gerarchico al Ministero della Giustizia, deducendo quale vizio di legittimità dell'atto gravato difetto assoluto di motivazione, eccesso di potere per irragionevolezza, ingiustizia manifesta, contraddittorietà, illogicità, mancanza ed erroneità dei presupposti. Si lamentava, in particolare, che il provvedimento sanzionatorio fosse privo di qualsivoglia motivazione, mentre nessuna censura è stata mossa contro l'iter procedimentale e, in particolare, non è stato lamentato il superamento del termine di conclusione del procedimento disciplinare.

Secondo la costante giurisprudenza amministrativa, che questo Collegio condivide, in caso di proposizione di ricorso gerarchico, risulta preclusa la possibilità di far valere, nella sede giurisdizionale, successivamente adita, motivi di gravame diversi da quelli formulati con l'impugnazione amministrativa, salvo il caso di motivi che attengano a vizi inerenti solamente alla decisione pronunciata dall'autorità gerarchica. Il divieto di proporre motivi nuovi e diversi da quelli dedotti in via amministrativa si ricollega alla necessità di scongiurare surrettizie violazioni della perentorietà del termine di proposizione del ricorso (Tar Lombardia, Milano, n. 3201 del 2011; Tar Campobasso n. 119 del 2009; Tar Lazio, Roma, n. 2380 del 2006).

Nel caso di specie, invece, il ricorrente ha fatto valere, nei confronti del provvedimento disciplinare impugnato in sede giurisdizionale, motivi di gravame diversi e nuovi, rispetto a quelli proposti in sede amministrativa, deducendo solamente il vizio di violazione di legge per mancato rispetto del termine finale di conclusione del procedimento disciplinare, che, come si è detto, non era stato dedotto in sede amministrativa.

Ne consegue che il ricorso, limitatamente all'impugnativa del decreto disciplinare del 1.3.2005, è inammissibile.

3. Con il ricorso introduttivo, Ma. Do., oltre ad impugnare la sanzione disciplinare irrogatagli, ha chiesto al Tribunale adito di accertare che è stato oggetto di mobbing da parte dell'Amministrazione resistente e di condannare il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno, quantificato in euro 100.000,00.

Parte ricorrente ha posto a fondamento della propria domanda un presunto illegittimo distacco presso la Casa circondariale di Reggio Calabria, disposto dall'Amministrazione di appartenenza in data 2.7.2003 per ragioni di incompatibilità ambientale. Secondo la prospettazione del ricorrente, questo trasferimento, che l'avrebbe costretto ad allontanarsi dalla famiglia e in particolare dal figlio di due anni, era stato disposto per costringerlo a rendere dichiarazioni false nei confronti di colleghi in ordine a un procedimento penale, poi archiviato dal Gip di Catanzaro, e comunque con intento persecutorio e vessatorio. Peraltro, egli aveva conseguentemente subito rilevanti danni alla salute, come comprovato dalla certificazione medica allegata.

Ciò premesso, ritiene il Collegio che il ricorso, con riferimento alla domanda risarcitoria, sia infondato e, pertanto, vada rigettato.

Come è noto, per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (per tutte, Cass., sez. lav., n. 3785 del 2009; Tar Lombardia, Milano, n. 403 del 2007).

Per dedurre un'ipotesi di mobbing, quindi, non è sufficiente che l'interessato sia stato oggetto di un trasferimento di sede e di sanzioni disciplinari, come nel caso di specie, o comunque di un altro fatto soggettivamente avvertito come ingiusto e dannoso, ma occorre che tali vicende, oltre che essersi ripetute per un apprezzabile lasso di tempo, siano anche legate da un preciso intento del datore di lavoro diretto a vessare e perseguitare il dipendente con lo scopo di demolirne la personalità e la professionalità, il che deve essere poi dimostrato in giudizio dal ricorrente, secondo l'ordinaria regola dell'onere della prova.

Ai fini della deduzione del mobbing, insomma, non è sufficiente la prospettazione di un mero distacco per incompatibilità ambientale, con trasferimento ad altra sede, ancorché illegittimo, occorrendo, invece, anche l'allegazione di una preordinazione finalizzata all'emarginazione del dipendente.

Nel caso di specie, invece, come si è visto, il ricorrente si è limitato a dedurre il carattere presuntivamente illegittimo, persecutorio, vessatorio e gravemente lesivo del provvedimento di distacco disposto dall'Amministrazione penitenziaria nei suoi confronti. Si tratta dell'allegazione di un episodio isolato, ancorché sicuramente spiacevole e percepito come ingiusto dal suo destinatario, che non è però sufficiente a integrare la fattispecie del mobbing, perché non può essersi tradotto, atteso appunto il suo carattere isolato, in un comportamento continuativo costantemente e pervicacemente tenuto dal soggetto nei confronti della vittima, proprio al fine specifico di isolare (o addirittura espellere dalla comunità di lavoro il dipendente.

Ne consegue che il ricorso, in quanto infondato, va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.




P.Q.M.

 



Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in euro 1200,00, oltre via e cpa come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giovanni Iannini, Presidente FF

Anna Corrado, Primo Referendario

Lucia Gizzi, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 15 MAG. 2013.