Cassazione Civile, 21 giugno 2013, n. 15663 - Tardiva attuazione di direttive comunitarie relative alla protezione dei lavoratori dall'amianto


 

 

 

Fatto



M. B. e altri, pensionati della Nuovo P. S.p.A., propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova che, rigettando il loro gravame, ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Genova che aveva rigettato la domanda da essi proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per la tardiva attuazione di direttive comunitarie relative alla protezione dei lavoratori dall'amianto.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri non si è costituita.

All'udienza del 9/10/12 il Collegio, rilevato che il ricorso era stato notificato presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, concedeva ai ricorrenti termine di gg. 30 per la notifica presso l'Avvocatura Generale dello Stato in Roma.



Diritto




1.- Con il primo motivo, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, i ricorrenti si dolgono che sia stata dichiarata inammissibile, siccome nuova, la domanda di risarcimento del danno per il non corretto recepimento delle direttive.

1.1.- Il mezzo è infondato. La domanda risarcitoria per "maldestra attuazione" delle direttive comunitarie può comprendere quella per la tardiva trasposizione nell'ordinamento interno delle direttive stesse, ma comprende anche le istanze risarcitone per molti altri casi di inadempimento dello Stato. La Corte di Appello la ha dunque esattamente considerata nuova e perciò inammissibile in appello.

2.- con il secondo motivo, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, i ricorrenti si dolgono che la Corte di Appello abbia ritenuto non contestata la responsabilità per atto illecito, ed il conseguente termine prescrizionale quinquennale, ritenuti dal giudice di primo grado.

2.1.- Anche il secondo motivo è infondato. Premesso che l'eccezione di prescrizione è stata accolta solo relativamente al diritto al risarcimento del danno indicato dagli attori come subito per non avere usufruito delle misure di prevenzione e protezione previste dalla normativa comunitaria, si legge in sentenza che "quand'anche fosse stato applicabile il termine prescrizionale decennale, sarebbe, comunque, ampiamente maturato dal 1991, momento dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 277 del 1991, alla notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, 20/10/2005".

3.- Con il terzo motivo, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, i ricorrenti individuano una contraddizione nella sentenza, quanto all'individuazione del dies a quo della prescrizione, e comunque assumono che unico dovrebbe essere il suddetto dies a quo in relazione alle diverse domande risarcitorie svolte.

3.1.- Il mezzo è infondato. Non vi è contraddizione alcuna in sentenza in quanto i diversi dies a quo sono identificati in relazione alle diverse domande risarcitorie svolte dagli attori (quella per non aver potuto usufruire delle misure di prevenzione e protezione previste dalla normativa comunitaria e quella per non aver potuto usufruire dei benefici pensionistici introdotti dallo Stato italiano con la legge n. 257 del 1992). Che d'altro canto le due (diverse) domande debbano avere lo stesso dies a quo e che questo debba identificarsi con la data di emanazione, nel 2001, del provvedimento del Ministero del Lavoro che inserisce la Nuovo P. nel novero delle imprese soggette alla normativa in tema di amianto è un mero assunto dei ricorrenti, in quanto la prima delle due domande risarcitorie ben poteva essere esercitata sulla scorta del D.Lgs. n. 277 del 1991, di attuazione, come ricordano gli stessi ricorrenti, "delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro", che prescrive "misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esposizione durante il lavoro agli agenti chimici e fisici di cui ai capi II, III e IV" (art. 1, comma 1), pur tenuto conto della pacifica giurisprudenza secondo cui la prescrizione inizia a decorrere nel momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, in difetto di prova circa un momento successivo di percezione del rischio.

4.- Con il quarto motivo, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, i ricorrenti si dolgono del rigetto della domanda di risarcimento danni sostitutiva del mancato ottenimento dei benefici pensionistici, motivata dalla Corte di Appello sotto il profilo che tali benefici non sarebbero previsti dalle direttive comunitarie e dunque sarebbero estranei alla domanda risarcitoria proposta dagli attori.

4.1.- Anche il quarto motivo è infondato. Non si rinviene né violazione di legge né vizio di motivazione nell'affermazione, rinvenibile nella sentenza impugnata, secondo cui i benefici pensionistici non erano previsti dalle direttive comunitarie. Né può sostenersi che "la direttiva impone allo Stato membro il raggiungimento di un determinato risultato e nel raggiungerlo lo Stato destinatario è libero di scegliere le forme e gli strumenti che meglio si prestano al recepimento del contenuto della direttiva", in quanto ciò equivale ad ammettere che i benefici pensionistici sono stati introdotti dal legislatore italiano, a ciò non obbligato dalle direttive comunitarie.

5.- Il ricorso va dunque rigettato.

Non vi è luogo a regolamento delle spese, non essendosi costituita l'Avvocatura, nemmeno a seguito del rinnovo della notificazione del ricorso.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso.