Cassazione Civile, Sez. Lav., 26 agosto 2013, n. 19572 - Tumore al colon di un dipendente della RFI e correlazione causale: due opposte consulenze tecniche d'ufficio




 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. TRIA Lucia - rel. Consigliere -
Dott. BLASUTTO Daniela - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 5766-2007 proposto da:
D.G., D.I., D.L., P. L., nella qualità di eredi di D.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell'avvocato LAURO MASSIMO, rappresentati e difesi dall'avvocato NEGRI MARIO, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (OMISSIS), (già FERROVIE DELLO STATO S.P.A. SOCIETA' DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DI RIPETTA 22, presso lo STUDIO LEGALE GERARDO VESCI & PARTNERS, rappresentata e difesa dall'avvocato VESCI GERARDO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 5162/2006 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/09/2006 R.G.N. 286/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio che ha concluso per il rigetto del ricorso.




Fatto


1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 5 settembre 2006) accoglie l'appello di RETE FERROVIARIA ITALIANA (d'ora in poi: RFI) s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 15265/2002, del 17 luglio 2992 e, in riforma di tale sentenza rigetta la domanda proposta in primo grado da P.L., D. L., D.I. e D.G. - in qualità di eredi di D.F. - onde ottenere: 1) la dichiarazione che il tumore del colon che aveva determinato il decesso del loro congiunto era avvenuto per "concausa efficiente e determinante" del servizio prestato come operaio-motorista-autista alle dipendenze dell'azienda ferroviaria dal 1969 al 30 dicembre 1993, data del collocamento in quiescenza; 2) la valutazione del danno come ascrivibile alla prima categoria di cui alla tabella A allegata al D.P.R. n. 843 del 1981, con conseguente condanna della datrice di lavoro alle somme di denaro corrispondenti.

La Corte d'appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:

a) come rilevato dalla società RFI, la consulenza tecnica sulla quale è basata la sentenza di primo grado appare "piuttosto evanescente", per tale ragione si è ritenuto opportuno nominare un nuovo CTU, che ha redatto una perizia particolarmente approfondita, basata su riscontri scientifici recentissimi e ineccepibili, ed ha concluso per l'esclusione della dipendenza da causa di servizio della grave malattia che ha determinato il decesso di D.F.;

b) il nuovo consulente ha esaminato le mansioni svolte dal lavoratore e la sua storia clinica ed ha anche effettuato una analitica disamina delle varie tipologie di idrocarburi cui il lavoratore stesso è stato esposto per lungo tempo;

c) su tali basi il CTU di appello - ponendo in relazione i dati della sua indagine con la neoplasia che ha colpito il D. e richiamando gli ultimi studi internazionali - è pervenuto alla conclusione della "assoluta mancanza di correlazione causale o concausale adeguata e preponderante" tra l'esposizione professionale alle sostanze e agli agenti esaminati e il tumore contratto, in quanto nessuna delle sostanze medesime era in grado di determinare quella specifica neoplasia o di avere una efficacia concausale qualificata sulla sua eziopatogenesi;

d) le conclusioni del CTU di appello sono assolutamente condivisibili e non sono scalfite dalle critiche espresse dagli appellati, dato il loro elevato rigore scientifico.

2.- Il ricorso di P.L., D.L., D. I. e D.G. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, RFI s.p.a., che deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ..


Diritto


1 - Profili preliminari.

1.- In primo luogo devono essere considerati infondati i profili di inammissibilità delle censure prospettati nel controricorso per: 1) violazione dell'art. 366-bis cod. proc. civ. (applicabile nella specie, ratione temporis); 2) violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione (c.d. di autosufficienza).

1.1.- Quanto al primo profilo di inammissibilità, va ricordato che, in base ad un condiviso orientamento di questa Corte, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione, ove la censura della parte, pur formalmente diretta a denunciare la violazione delle norme di diritto, sia intesa a contestare la motivazione della sentenza, valutata come carente per non aver tratto dalle risultanze istruttorie i significati ritenuti evidenti o, comunque, desumibili, la formulazione del quesito di diritto - che si riduca alla mera istanza di una decisione in ordine all'esistenza di una regula iuris da applicare nel caso concreto - non si traduce nell'inammissibilità del motivo di ricorso per violazione dell'art. 366-bis cod. proc. civ. per mancata indicazione dell'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e correlata omessa prospettazione, da parte del ricorrente, della regola da applicare, appuntandosi la contestazione esclusivamente sui modi con i quali il giudice di merito ha proceduto alla valutazione del fatto e delle prove (vedi, per tutte: Cass. 21 aprile 2009, n. 9477).

Nella specie, i ricorrenti, con separati profili e motivi, contestano il difetto di motivazione e la violazione e falsa applicazione dell'art. 437 cod. proc. civ. nonchè delle altre disposizioni richiamate, ma sostanzialmente lamentano, con tutte le censure, il vizio di motivazione derivante dall'accoglimento delle conclusioni del CTU di appello effettuato dalla Corte territoriale, senza adeguata giustificazione e in modo contraddittorio e quindi dalla valutazione ed utilizzazione della suindicata consulenza, sicchè, in applicazione al su riportato principio, la formulazione dei quesiti appare congrua alle censure proposte.

1.2.- Quanto al secondo profilo di inammissibilità, va rilevato che, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, i motivi del ricorso, come si è detto, fanno principale riferimento alle relazioni dei CTU dei due gradi di merito del giudizio. Ne consegue che si deve considerare rispettato il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in quanto si tratta di atti presenti nel fascicolo di ufficio del giudizio di merito - del quale i ricorrenti hanno domandato la trasmissione alla Corte di cassazione ex art. 369 c.p.c., comma 3, - e nel ricorso sono riportati passi salienti delle suindicate relazioni, con l'indicazione degli estremi per il relativo reperimento (vedi, fra le altre: Cass. 1 marzo 2010, n. 4898; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

2 - Sintesi dei motivi di ricorso.

2- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 437 cod. proc. civ. nonchè del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 64 e del D.P.R. n. 384 del 1981 (recte: D.P.R. n. 834 del 1981).

Si sottolinea che la Corte d'appello ha deciso di nominare un terzo consulente tecnico, giustificando tale scelta attraverso la sola affermazione secondo cui la relazione del c.t.u. di primo grado appariva piuttosto "evanescente", senza attribuire alcuna considerazione alle seguenti circostanze: 1) la mancata allegazione di fatti patologici ulteriori rispetto a quelli già esaminati nelle precedenti CTU; 2) la formulazione dell'atto di appello di RFI in termini di mera riproposizione delle note tecniche di parte già esaminate dai precedenti CTU; 3) la valutazione delle conclusioni della precedente perizia, nella sentenza di primo grado, come "complete, precise, persuasive e condotte con validi criteri tecnici".

Peraltro, il CTU nominato in appello, pur seguendo lo stesso percorso valutativo del precedente CTU per quanto riguarda il contatto del D., nello svolgimento delle mansioni, con prodotti che, secondo le tabelle dello IARC (International Agency for Research on Cancer, n.d.r.) presentano coefficienti di rischio cancerogeno, tuttavia è pervenuto a conclusioni opposte, unicamente in virtù del concetto astratto della non dipendenza diretta del tumore del colon dai fattori cancerogeni, non in base ad "una logica e scientifica esclusione di concausalità".

3.- Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 64 e del D.P.R. n. 384 del 1991 (recte: D.P.R. n. 834 del 1981); b) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si sostiene che la motivazione della sentenza attualmente impugnata è illogica e viziata, in quanto è fondata unicamente sulla CTU di appello, altrettanto viziata.

Si rileva che il tumore al colon - come tutti i tumori - ha una eziopatogenesi multifattoriale e che, in questo quadro, come dimostrato dal CTU di primo grado, l'esposizione prolungata ad una serie di agenti di tipo IPA (idrocarburi policiclici aromatici o idrocarburi alifatici) nell'ambiente di lavoro - subita dal D. - ha svolto il ruolo di concausa efficiente e determinante nell'origine e/o nella evoluzione sfavorevole della malattia neoplastica che ha determinato il decesso del lavoratore.

In effetti, entrambi i CTU sono pervenuti alla conclusione che nessuna delle sostanze cancerogene con le quali è venuto in contatto il D. possa essere individuata come causa diretta dell'insorgenza del K del colon, tuttavia: 1) il primo CTU ha affermato che l'esposizione alle suddette sostanze, quale rischio generico aggravato nell'ambiente di lavoro, ha avuto un ruolo concausale dell'insorgenza e dell'evoluzione del tumore, negli anzidetti termini; 2) il secondo CTU, pur dopo aver confermato che le sostanze in oggetto hanno una altissima percentuale di cancerogenicità secondo le tabelle IARC, ha però concluso nel senso che, nella specie, la concausalità non trova alcun conforto nelle medesime tabelle.

L'illogicità di tale seconda CTU risiederebbe nel fatto di essere pervenuta ad una conclusione certa, pur partendo da una premessa non certa.

3 - Esame delle censure.

4.- I due motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione -sono da accogliere, nei limiti e per le ragioni di seguito precisati.

4.1.- Il perno attorno al quale ruota tutta la motivazione della sentenza impugnata è rappresentato dalla adesione totale alle conclusioni del CTU di appello, nominato dalla Corte partenopea in accoglimento di una specifica censura della RFI, sul rilievo che la consulenza di primo grado era "piuttosto evanescente".

D'altra parte, il fulcro delle censure degli attuali ricorrenti è rappresentato, come si è detto, dalla contestazione della impostazione logica della relazione dell'indicato CTU, nonchè delle conclusioni cui tale impostazione ha portato prima il consulente tecnico e poi il Giudice del merito, che ad esse ha aderito, senza minimamente giustificare tale scelta, secondo cui è da escludere che l'attività lavorativa svolta da D.F. abbia avuto un ruolo causale o concausale - come sostenuto dal CTU di primo grado, alle cui conclusioni ha aderito la sentenza del Tribunale di Napoli, riformata in appello - nell'insorgenza del carcinoma del colon con metastasi epatiche, cerebrali e polmonari che ha determinato il decesso del D..

In particolare, si sottolinea, nel ricorso, che la Corte d'appello, pur dando rilievo alle osservazioni del perito di appello secondo cui il lavoratore - che ha svolto mansioni di operaio-motorista-autista alle dipendenze delle Ferrovie dal 1969 al 30 dicembre 1993 - è stato esposto anche ad oli minerali e ad amianto, all'interno delle autorimesse dove venivano provati i motori, per la cui lubrificazione erano utilizzati solventi chimici, ha poi acriticamente aderito alle conclusioni dello stesso perito (espresse nei suddetti termini), senza minimamente dare conto della diversità tra la suindicata soluzione e quella adottata dal primo CTU, le cui conclusioni nella sentenza di primo grado, sono state considerate "complete, precise, persuasive e condotte con validi criteri tecnici".

4.2.- Va rilevato al riguardo che - essendo pacifico che, in materia di procedimento civile, la consulenza tecnica d'ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all'acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, sicchè la nomina del consulente rientra nel potere discrezionale del giudice, che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti (Cass. 21 aprile 2010, n. 9461; Cass. 2 marzo 2006, n. 4660; Cass. 15 aprile 2002, n. 5422) - non si può, in questa sede, mettere in discussione, nella specie, la scelta della Corte d'appello di nominare un altro perito. Tale scelta, infatti, risulta, sia pure sinteticamente, motivata e, in base alla giurisprudenza di questa Corte, il controllo, in sede di legittimità, in materia è principalmente orientato alla valutazione della adeguatezza della motivazione sulla scelta del Giudice del merito di non esercitare il potere discrezionale di nomina del CTU e quindi di adottare la decisione su una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, sulla base di elementi istruttori e di cognizioni proprie del giudice, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza ritenuti sufficienti a dar conto della decisione stessa (Cass. 3 marzo 2011, n. 5148; Cass. 3 gennaio 2011, n. 72; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063; Cass. 16 aprile 2008, n. 10007; Cass. 27 ottobre 2004, n. 20814).

Quando, invece, come accade nella specie, il Giudice del merito decida di disporre un'ulteriore CTU non si pongono simili problemi e, anzi, tale decisione si deve considerare, di per sè, finalizzata a dare al giudice un ulteriore mezzo di ausilio, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnico-scientifiche (come sono quelle medico-legal), anche attraverso un confronto tra le conclusioni della precedente CTU e quelle della nuova consulenza, purchè ciò avvenga senza snaturare la funzione assegnata dal codice alla CTU e senza violare i principi del giusto processo, presidiato dall'art. 111 Cost., sotto il profilo della posizione paritaria delle parti e della ragionevole durata (vedi, per tutte: Cass. 19 aprile 2011, n. 8989).

4.3.- Tuttavia, va anche ricordato che, in base ad altrettanto consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) se la consulenza tecnica d'ufficio si risolve nell'accertamento di situazioni rilevabili solo con l'ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche - come avviene con la consulenza medico- legale - il giudice può aderire alle conclusioni del consulente senza essere tenuto a motivare esplicitamente l'adesione, ma se le affermazioni contenute nell'elaborato peritale siano oggetto, nella impostazione difensiva della parte, di critiche precise e circostanziate idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica, allora non adempie all'obbligo di motivazione il giudice che, per confutare le suddette critiche, si limita a generiche affermazioni di adesione al parere del consulente (Cass. 4 marzo 1983, n. 1628; Cass. 23 giugno 1995, n. 7150; Cass. 24 novembre 1997, n. 11711; Cass. 22 febbraio 2000, n. 1975; Cass. 1 marzo 2007, n. 4797; Cass. 24 aprile 2008, n. 10688; Cass. 19 gennaio 2011, n. 1149);

b) inoltre, qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento; in particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione (vedi, per tutte: Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063; Cass. 3 marzo 2011, n. 5148; Cass. 29 agosto 2011, n. 17720; Cass. 15 marzo 2001, n. 3787).

4.4.- Nella specie la Corte partenopea ha acriticamente recepito le risultanze della CTU di secondo grado, senza fornire adeguata motivazione sulle ragioni che l'hanno portata ad escludere la fondatezza delle conclusioni raggiunte dalla consulenza espletata in primo grado, cui viceversa aveva motivatamente aderito il Tribunale.

In particolare, la Corte territoriale non ha minimamente spiegato perchè:

a) nonostante la pacifica prolungata esposizione nell'ambiente di lavoro del D. a sostanze chimiche che, secondo le tabelle dello IARC (International Agency for Research on Cancer, n.d.r.) presentano coefficienti di rischio cancerogeno, riconosciuta da entrambi i CTU, tuttavia il secondo consulente sia pervenuto alla conclusione della "assoluta mancanza di correlazione causale o concausale adeguata e preponderante" tra l'esposizione professionale alle sostanze e agli agenti esaminati e il tumore contratto, in quanto nessuna delle sostanze medesime sarebbe stata in grado di determinare quella specifica neoplasia o di avere una efficacia concausale qualificata sulla sua eziopatogenesi;

b) nella sentenza si è deciso di aderire in foto a tali conclusioni, opposte rispetto a quelle del CTU di primo grado, che ha attribuito un ruolo causale alla suindicata esposizione.

Nè possono considerarsi, sufficienti al riguardo le sintetiche giustificazioni della suddetta adesione alle conclusioni del CTU di appello limitate - oltretutto a fronte di specifiche contestazioni degli interessati - alle seguenti parole di stile: "le conclusioni del CTU sono assolutamente condivisibili e non sono scalfite dalle critiche espresse dagli appellati, perchè è basata su riscontri scientifici recentissimi e ineccepibili".

4 - Conclusioni.

5.- Il ricorso deve essere, pertanto, accolto, nei limiti indicati e con assorbimento di ogni altro profilo di censura.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà, nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:

"qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento; in particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione e sempre che non siano state formulate dalle parti interessate critiche precise e circostanziate al riguardo idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica (vedi, per tutte: Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063; Cass. 3 marzo 2011, n. 5148; Cass. 29 agosto 2011, n. 17720; Cass. 15 marzo 2001, n. 3787)".


P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 8 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2013