Tribunale di Bergamo, Sez. Civ., 08 marzo 2012, n. 220 - Amianto ed esclusione della responsabilità del datore di lavoro: nesso causale fra patologia ed esposizione


 

 

 

TRIBUNALE DI BERGAMO
Sez. monocratica del lavoro VERBALE EX ART. 429 C.P.C.


UDIENZA DEL 8 marzo 2012 avanti al Giudice, dott.ssa M. B., nella causa iscritta al N. 679/09 R.G. e promossa da R. V. (Avv. P. R.)
CONTRO s.p.a.
(Avv. V. P. e A. A.)
Sono comparsi: l’avv. F. in sostituzione dell’avv. R. per la parte ricorrente, presente personalmente, e l’avv. P. per la parte resistente.
I procuratori delle parti discutono la causa insistendo per l’accoglimento delle conclusioni di cui ai rispettivi atti. L’avv. F., in particolare, si riporta alle note difensive chiedendo, in via principale, la condanna della convenuta, in via subordinata la rinnovazione della c.t.u.. L’avv. P. si oppone alla richiesta di rinnovazione della c.t.u., insiste per il rigetto delle domande, deposita sentenza della Suprema Corte n. 20142/2010.

Repubblica Italiana
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Bergamo, visto l’art. 429 c.p.c., udite le conclusioni delle parti, nonché i motivi a sostegno, ritenuto di non dover procedere a rinnovazione di c.t.u., pronuncia la seguente di cui dà pubblica lettura
SENTENZA

Nel nome del popolo italiano
PARTE RICORRENTE: per l’accoglimento del ricorso;
PARTE RESISTENTE: per il rigetto del ricorso;

Fatto


Con ricorso regolarmente notificato V. R., conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bergamo in funzione di giudice del lavoro, la s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni subiti a seguito della malattia professionale contratta quantificati in complessivi € 532.810,50 o nella diversa somma accertata in corso di causa.
A fondamento di tale pretesa il ricorrente, premesso di aver lavorato dal 29.8.1960 al 29.2.1984 presso la centrale elettrica di V. di S. di proprietà di s.p.a., con varie mansioni (operaio, agganciatore), deduceva di essere stato esporto al contatto continuo e diretto con l’amianto, material utilizzato come coibente termico. Il ricorrente, nell’aggiungere di essere affetto da “mesotelioma pleurico”, affermava l’origine professionale della convenuta per conseguire il risarcimento del danno biologico e del danno morale. Rassegnava le sopra precisate conclusioni. Si costituiva regolarmente in giudizio la s.p.a., in proprio e quale procuratore di s.p.a., resistendo alla domanda di cui chiedeva il rigetto.
La convenuta evidenziava, innanzi tutto, come il ricorrente, prima degli anni ’60 avesse svolto altre attività lavorative che lo avevano esposto a contatti con l’amianto. In ordine alla centrale elettrica di V. di S., la convenuta rilevava come questa, dopo il 1963, fosse stata progressivamente smantellata, motivo per cui il R. aveva lavorato solo nella parte di impianto mantenuta in servizio, quella preposta alla distribuzione di energia elettrica. Concludeva pertanto per il rigetto del ricorso.
La causa, istruita testimonialmente e tramite CTA medico-legale, è stata discussa e decisa all’udienza odierna mediante sentenza di cui veniva data pubblica lettura.

Diritto

Il ricorso non può essere accolto. Secondo quanto emerso dalle dichiarazioni dei testi, il R., all’interno della centrale elettrica, era “manutentore” e “motorista” (v. dep. O., E.).
Le tubazioni erano coibentate con amianto e quando veniva svolta la manutenzione il “materiale usato per la coibentazione era smontato per accedere alla “tubazione” e poi ripristinato una volta terminato l’intervento manutentivo (v. dep. P., E.). Il teste O. ha chiarito che “per tubazioni meno importanti c’erano delle coppette di amianto poste sopra e poi avvolte da un lamierino”, mentre “per tubazioni più importanti c’erano invece dei cuscinetti sempre di amianto” (v. dep. O.). In ogni caso la “manutenzione più importante” veniva fatta “una volta all’anno
quando la centrale era chiusa, mentre la  manutenzione ordinaria avveniva settimanalmente” (v. dep. O.). Infine, il personale non disponeva né di guanti, né di mascherine (v. dep. O., E.). L’istruttoria testimoniale ha quindi dimostrato che presso la centrale elettrica di V. di S. il ricorrente fu effettivamente esposto all’amianto.
Tuttavia, non può prescindersi da un aspetto importante rappresentato dalle pregresse attività lavorative del R.. Costui, dal 1949, ha svolto per sette anni il servizio militare in ferma volontaria presso la M. M. I. con mansioni di macchinista navale (capoturno turbini sta abilitato alla conduzione di generatori di vapore di I grado) per cui ha lavorato “in ambienti in cui era diffusamente presente amianto per la coibentazione di parti di motore, raccordi, tubazioni, paratie e quadri elettrici, che veniva frequentemente rimosso/sostituito per eseguire lavori di manutenzione” (v. relazione c.t.u.). Successivamente, dal 1956, il ricorrente, per quasi quattro anni, ha lavorato presso la S. B. per l’I C. di S. dove “si occupava sia della conduzione degli impianti che della manutenzione, rimuovendo e sostituendo l’amianto utilizzato per la coibentazione di varie parti dell’impianto”. (v. relazione c.t.u.)
Preso atto di tutti i suddetti elementi, il C.T.U., dott. S. di C., ha innanzi tutto analizzato dettagliatamente i rapporti tra l’amianto ed il mesotelioma pleurico, nonché tra l’amianto ed il tumore polmonare (v. relazione c.t.u.). In ordine al mesotelioma pleurico il c.t.u. ha evidenziato come l’amianto rappresenti il più importante fattore di rischio accertato, mentre, rispetto al tumore polmonare, tutti i tipo di amianto si sono dimostrati capaci di causarne l’insorgenza, anche se gli anfiboli sembrano essere più attivi del crisolito (v. relazione c.t.u.).
In ordine al periodo di latenza, tra inizio dell’esposizione ad amianto ed insorgenza della neoplasia, “esso è pari a circa 10-15 anni nel minimo e può estendersi sino a 30-40 anni” (v. relazione c.t.u.). Tuttavia, per il caso specifico del mesotelioma pleurico, da cui il ricorrente è affetto, il periodo di latenza minimo tra la prima esposizione e la malattia è di almeno
10 anni, ma è in media di 30-40 anni, “anche se possono evidenziarsi casi di latenze più brevi o molto più lunghe ed una latenza breve appare pure correlabile ad elevata esposizioni ad amianto” (v. relazione c.t.u.).
11 C.T.U. ha quindi dato conto dell’esistenza di due testi contrapposte, entrambe egualmente accreditate, in ordine alla rilevanza (nella genesi della malattia) delle esposizioni successive (v. relazione c.t.u.).
Secondo una prima tesi, risulterebbe ben documentata la letteratura “la mancanza di apprezzabili influenze peggiorative delle ulteriori eventuali esposizioni successive alla prima”, per cui la malattia non viene accelerata o aggravata da esposizioni successive (v. relazione c.t.u.). Secondo una contrapposta tesi, sarebbe invece ben documentato in letteratura l’incremento di incidenza del mesotelioma in relazione all’incremento del consumo dell’amianto e dell’esposizione cumulative (v. relazione c.t.u.).
Si tratta di un aspetto “strettamente connesso a quello relativo alla possibilità di identificare una soglia minima di esposizione ad amianto, al di sotto della quale escludere un rischio di tumore polmonare”, per cui il rischio di mesotelioma aumenterebbe con l’aumentare sia della intensità che della durata dell’esposizione e dunque con la quantità di fibre complessivamente inalata (v. relazione c.t.u.).
In ogni caso, per la definizione del caso specifico, non può prescindersi da un esame dell’entità dell’esposizione (v. relazione c.t.u.).
Infatti, è ormai noto alla letteratura scientifica che “nei cantieri navali si è fatto massiccio e diffuso uso di amianto per la coibentazione di paratie e porte tagliafuoco, cabine e alloggi, soffitti, pavimenti, sale macchine, guarnizioni, caldaie” (v. relazione c.t.u.).
Di tutt’altra entità può invece essere stimata l’esposizione “subita dal ricorrente nel periodo successivo a quello svolto in M.” (v. relazione c.t.u.).
Ciò in quanto, secondo i dati presenti nella letteratura scientifica, “nelle centrali termoelettriche l’amianto, oltre ad essere presente nelle guarnizioni di alcune valvole e nelle tratte rompi fiamma dei passaggi cavi, era impiegato, in forma di coppelle e materassini, come isolante termico e utilizzato principalmente per la coibentazione di tubazioni, turbine, giunti delle condotte aria/gas, generatori di vapore, serbatoi, riscaldatori” (v. relazione c.t.u.).
Tale utilizzo è continuato fino alla fine degli anni ’70, tuttavia “in tali impianti la piccola manutenzione, comportante operazioni saltuarie e di modeste entità, non generava una esposizione significativa” (v. relazione c.t.u.).
Tali elementi consentono di ritenere “non rilevante” l’esposizione subita dal ricorrente presso la centrale di V. di S., sia per la saltuarietà delle operazioni sulle coibentazioni, sia per la chiusura della stessa poco dopo l’inizio del rapporto di lavoro (v. relazione c.t.u.). Del resto, è quanto emerso nel corso dell’istruttoria testimoniale, laddove il teste O. ha precisato appunto che si trattava di “coppette di amianto” (v. dep. O.). Lo stesso O. ha poi confermato che la “grossa” manutenzione veniva svolta una volta all’anno, durante il periodo di chiusura della centrale (v. dep. O.). Oltretutto, poco dopo l’acquisto delle centrale da parte dell’E. s.p.a., questa è stata smantellata ed era il 1962 (appena un paio d’anni dopo l’assunzione del R.), secondo quanto risulta dal racconto del teste C. per il quale, peraltro, “a quell’epoca rotoli di amianto non ce n’erano” (v. dep. C.).
Pertanto, “è indiscutibile che l’esposizione subita durante il servizio in M., per l’intensità e durata, possa da sola essere considerata, come elevato grado di probabilità, come causa efficiente e sufficiente nell’insorgenza del mesotelioma pleurico manifestatosi, non potendo sim al contrario, riconoscere, con altrettanto grado di probabilità, un ruolo accelerante nell’esposizione subita presso l’E., stante la bassissima esposizione subita” (v. relazione c.t.u.).
I risultati peritali, raggiunti previo scrupoloso esame del caso ed adeguata discussione, possono essere posti a base dell’odierna decisione. Quanto alle sentenze citate da parte ricorrente, occorre ricordare che esse pervengono a soluzioni diverse a seconda della teoria scientifica cui aderiscono. Nella situazione in esame, il C.T.U., ha dato esauriente conto dell’esistenza di contrapposte teorie, entrambe peraltro ben documentate, in ordine al ruolo che possono svolgere esposizioni successive all’amianto.
Tuttavia, e indubitabile, per le ragioni esposte dal c.t.u., oltretutto pienamente confermate anche dall’istruttoria testimoniale, la scarsa esposizione subita dal R. presso la centrale di V. di S.. Quanto, invece, alle considerazioni critiche svolte dal c.t.p. di parte ricorrente, deve rimandarsi a quanto esposto dal c.t.u. in ordine al periodo di latenza, per cui, a prescindere da una media di 30-40 anni, non può escludersi un periodo maggiore (v. relazione c.t.u.).
Pertanto, il solo fatto che siano passati 59 anni tra l’esposizione subite presso la M. M. e la comparsa delle “placche pleuriche” non è di per sé fatto idoneo ad escludere il nesso di causalità.
Il ricorso, pertanto, non può esser accolto, sussistendo tuttavia comprovate ragioni, avuto riguardo alle emergenze istruttorie ed alle questioni trattate, per disporre la compensazione delle spese di lite, ponendo a carico del ricorrente le spese di c.t.u. liquidate con separato provvedimento.

P.Q.M.


Il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica ed in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando sulla causa n. 679/09 R.G.
1. Rigetta il ricorso;
2. Compensa le spese di lite, ponendo definitivamente a carico del ricorrente le spese di CTU liquidate con separato provvedimento.