Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 dicembre 2013, n. 28137 - Danno biologico e danno morale a seguito di infortunio sul lavoro


 

 

Presidente Stile – Relatore D’Antonio

Fatto



Con sentenza depositata il 27/1/2011 la Corte d'Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina nella parte in cui il primo giudice ha affermato la responsabilità dell'Enel, e per essa della soc Enel Distribuzioni, e dei dipendenti P.G. e D.M.P. per l'infortunio sul lavoro occorso a C.G. , dipendente dell'Enel con mansioni di operaio elettricista.
In parziale riforma della sentenza del Tribunale ha condannato al pagamento in favore del C. , in luogo delle somme liquidate nella sentenza impugnata per risarcimento del danno patrimoniale e morale, Euro 92.186,46, a titolo di risarcimento del danno differenziale ed Euro 150.000,00 a titolo di risarcimento del danno morale. Ha confermato, altresì la condanna al pagamento a favore del C. Euro 430.000,00 a titolo di risarcimento del danno biologico e della somma di Euro 150.000 a titolo di danno estetico e alla vita di relazione, oltre interessi legali sul capitale via via rivalutato secondo il suo valore al momento dell'illecito, oltre la rivalutazione monetaria dalla data della sentenza di primo grado. In riforma della sentenza del Tribunale ha dichiarato inammissibile l'intervento dell'Inail ex art. 105 cpc relativo all'azione di regresso ed ha confermato la pronuncia di condanna di Assitalia a manlevare l'Enel e per essa la soc Enel Distribuzione.
La Corte territoriale ha ricostruito la dinamica dell'incidente nel corso del quale il C. , aveva subito due scariche elettriche mentre effettuava lavori di riparazione,senza l'utilizzo della strumenti per la messa a terra, su un traliccio della linea elettrica in località (…) riportando gravissime lesioni.
La Corte ha affermato la responsabilità sia di P.G. , designato, prepostoci quale, ritenendo terminata l'esecuzione dei lavori sul traliccio sulla base di quanto comunicatogli dal D.M. , aveva riattivato la corrente elettrica senza assicurarsi che non vi fossero lavoratori impegnati sulla linea, e senza provvedere alla prescritta misura del concentramento di tutti gli addetti ai lavori prima di chiedere la riattivazione della corrente elettrica.
La Corte ha affermato, altresì, la responsabilità di D.M. , capo nucleo e preposto alla squadra a cui partecipava il C. , che avrebbe dovuto assicurare l'effettivo utilizzo degli strumenti idonei a realizzare la messa a terra durante l'esecuzione dei lavori e che, senza assicurarsi dell'effettiva conclusione di questi, aveva comunicato al P. l'avvenuto completamento dei lavori senza verificare l'allontanamento degli addetti ai lavori.
Circa la responsabilità dell'Enel,secondo la Corte, la mancata adozione di un piano dei lavori, misura necessaria a fronte della lunghezza del tratto di linea su cui si svolgevano le operazioni (dagli atti risulta che la lunghezza della derivazione era di qualche chilometro e saliva da circa 200 mt. s.l.rn. a circa 700 mt. lungo la dorsale della montagna), aveva comportato la suddivisione in loco dei lavoratori in due squadre, di cui una era mancante della designazione di un preposto, tra le quali vi fu in evidente difetto di coordinamento tanto nella fase preliminare di definizione delle modalità operative, quanto nella fase conclusiva delle operazioni.
La Corte ha affermato, quindi che la pianificazione preventiva delle modalità di esecuzione dell'intervento - il cui obbligo gravava sull'ENEL - avrebbe consentito: a) la previa designazione di più preposti per le diverse squadre, nelle quali necessariamente doveva scindersi nucleo operativo, stante la natura dei luoghi e la lunghezza della linea; b) la definizione dei compiti o delle modalità di esecuzione, con l'adozione degli accorgimenti opportuni affinché per ovviare alle evidenti difficoltà insite nel trasporto di materiali pesanti (come la cassetta contenente gli strumenti per la messa a terra) in luogo impervio e con un dislivello di circa 500 mt; c) di munire le diverse squadre di sufficienti mezzi di comunicazione apparecchi radio ricetrasmittenti laddove era del tutto pacifico che C. ed il collega, lasciati soli ad operare sul traliccio, ne erano privi.
La Corte, infine, ha escluso che il comportamento del C. potesse considerarsi anomalo ed imprevedibile per aver operato in assenza degli strumenti della messa a terra e di strumenti di comunicazione ed ha affermato la responsabilità dell'Enel per la mancata predisposizione di misure organizzative atte ad assicurare l'osservanza e vigilanza sull'effettiva adozione delle misure di sicurezza.
Circa la misura del risarcimento per lucro cessante la Corte, dato atto che il C. non aveva potuto più svolgere mansioni di elettricista o altri lavori confacenti alle sue attitudini e che era stato addetto a mansioni impiegatizie, ha affermato che il lavoratore aveva perso professionalità, gli emolumenti legati alla qualifica di elettricista, la progressione in carriera e che era risultato provato, anche con il ricorso a presunzioni semplici, in quale misura la menomazione fisica avesse inciso sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa e quindi sulla capacità di guadagno. La Corte, pertanto, ha determinato in Euro 490.000,00 il danno patrimoniale a cui ha detratto la somma che era stata corrisposta dall'Inail, residuando il danno differenziale pari ad Euro 92.186,46. La Corte ha, poi riconosciuto il danno biologico applicando le tabelle milanesi e confermandone l'entità stabilita dal Tribunale, il danno morale, ritenuto ontologicamente distinto dal danno biologico e determinato in Euro 150.000,00 e cioè in misura superiore a quanto riconosciuto dal Tribunale.
La Corte ha poi confermato il danno all'immagine ed il danno alla vita di relazione determinati dal Tribunale che ha ritenuto solo genericamente contestati dagli appellanti e in assenza di riproposizione in appello della questione della duplicazione di tale voce risarcitoria.
Avverso la sentenza propone ricorso in Cassazione Enel Distribuzioni formulando tre motivi. Si costituisce C.G. depositando controricorso con ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc. P.G. e D.M.P. sono rimasti intimati.

Diritto



1 ) Con il primo motivo Enel Distribuzioni denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1227, 2049, 2050 e 2087 c.c. nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione. Lamenta l'erronea applicazione delle norme in tema di responsabilità e concorso di colpa del creditore nonché l'omessa insufficiente motivazione.
In particolare lamenta che la Corte, dopo aver affermato che il C. doveva ritenersi responsabile in via diretta per l'adozione dei mezzi di protezione individuali, quali il casco la cintura di sicurezza e i guanti isolanti, al riconoscimento di tale responsabilità non aveva fatto seguire alcuna condanna in capo al lavoratore, il quale,eseguendo l'intervento senza gli indispensabili mezzi di protezione messi a disposizione del datore di lavoro, si era esposto in modo consapevole al pericolo di rimanere folgorato.
Ribadisce che l'Enel aveva pienamente assolto tutti gli obblighi di legge diretti a garantire la sicurezza e l'incolumità dei propri lavoratori dipendenti e aveva adottato ogni possibile cautela. Risultava, infatti, dimostrato, secondo la ricorrente, che i lavoratori disponessero di tutta l'attrezzatura di comunicazione e di sicurezza necessaria per eseguire gli interventi sulle linee elettriche e che pertanto in base a tali elementi di prova appariva del tutto ingiusta l'affermata responsabilità dell'Enel.
Eccepisce che gli obblighi su di essa incombenti non potevano giungere fin ad impedire il verificarsi di comportamenti imprevedibili ed abnormi del lavoratore dai quali era derivato l'infortunio.
Le censure sono infondate.
La Corte territoriale, all'esito di un'accurata analisi della situazione di fatto,ha accertato la responsabilità dell'Enel in ordine all'infortunio occorso al C. . Il giudice di merito ha rilevato, infatti, la mancata adozione da parte della società datrice di lavoro di un piano lavori, misura necessaria a fronte della lunghezza del tratto di linea su cui si svolgevano le operazioni (dagli atti risultava che la lunghezza della derivazione era di qualche chilometro e saliva da circa 200 mt. s.l.rn. a circa 700 mt. s.l.rn., lungo la dorsale della montagna) che aveva comportato la suddivisione in loco dei lavoratori in due squadre, tra le quali vi era stato un evidente difetto di coordinamento tanto nella fase preliminare di definizione delle modalità operative, quanto nella fase conclusiva delle operazioni.
Secondo la Corte la pianificazione preventiva delle modalità di esecuzione dell'intervento - il cui obbligo gravava sull'ENEL - avrebbe consentito: a) la previa designazione di più preposti per le diverse squadre, nelle quali necessariamente doveva scindersi il nucleo operativo, stante la natura dei luoghi e la lunghezza della linea; b) la definizione dei compiti o delle modalità di esecuzione, con l'adozione degli accorgimenti opportuni anche per ovviare alle evidenti difficoltà insite nel trasporto di materiali pesanti (come la cassetta contenente gli strumenti per la messa a terra) in luogo impervio e con un dislivello di circa 500 mt; c) munire le diverse squadre di sufficienti mezzi di comunicazione (apparecchi radio ricetrasmittenti) essendo del tutto pacifico che C. e il collega M. , lasciati soli ad operare sul traliccio, ne erano privi. La Corte ha, quindi, sottolineato che "non è sufficiente opporre di avere fornito i mezzi di protezione (rimasti poi nel veicolo in dotazione) o di avere impartito corsi di formazione, facendo capo all'imprenditore l'obbligo di organizzare il lavoro in modo che sia distribuita la responsabilità di sicurezza e sia assicurata l'osservanza e la vigilanza mediante delega a persona munita di una formale investitura in tal senso (nella specie mancata) oltre che di adeguata formazione". La responsabilità dell'ENEL è ravvisata, dunque, nella mancata predisposizione di misure organizzative atte ad assicurare l’osservanza e vigilanza sulla effettiva adozione delle misure di sicurezza stante la peculiarità del lavoro che doveva essere eseguito.
A fronte di tali precise affermazioni della Corte territoriale con il motivo in esame l'Enel si limita a ribadire di aver fornito tutti i mezzi di protezione necessari, ma nessuna censura risulta formulata con riferimento alla responsabilità per difetto di organizzazione, come accertata dal giudice di merito. Né l'Enel indica le misure di sicurezza adottate atte in concreto a tutelare il lavoratore. La ricorrente eccepisce, anche in questa sede, che la sua responsabilità non poteva giungere fino al punto di impedire il verificarsi di comportamenti imprevedibili ed abnormi posti in essere dall'infortunato, ma non censura in modo specifico l'affermazione della Corte territoriale secondo cui il comportamento del C. non poteva considerarsi anomalo ed imprevedibile per aver operato in assenza degli strumenti della messa a terra e di comunicazione e nell'esecuzione delle mansioni sue proprie, considerato, inoltre, che l'addetto ai lavori, quale era l'infortunato, secondo le disposizioni interne dell'Enel, è colui che esegue materialmente i lavori secondo le istruzioni impartitegli ed è responsabile dell'osservanza delle misure individuali di sicurezza,e cioè l'obbligo di portare cinture, casco e guanti isolanti, dovendo per il resto eseguire le disposizioni impartite dal preposto, responsabile dell'osservanza delle misure di sicurezza, che nella specie non era stato formalmente designato per la seconda squadra operativa, cui partecipava il C. .
Le censure dell'Enel non valgono, pertanto, ad invalidare la decisione impugnata sia con riferimento alle specifiche responsabilità dell'Enel, sia in relazione al comportamento del C. ed all'eventuale concorso dello stesso nella causazione dell'evento.
2) Con il secondo motivo l'Enel Distribuzioni denuncia falsa applicazione dell'articolo 2697 cc nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione.
Censura la sentenza nella parte in cui, pur riconoscendo astrattamente l'efficacia protettiva dei guanti da lavoro nonché il fatto che questi erano nella disponibilità del lavoratore, aveva affermato che con i guanti in dotazione non sarebbe stato possibile svolgere le attività cui il lavoratore era adibito e che in ogni caso non sarebbe stato possibile quantificare di quanto il loro corretto utilizzo avrebbe potuto ridurre le conseguenze dannose dell'incidente pur avendo ammesso che le avrebbe comunque attenuate anche se in misura presumibilmente non rilevante. L'uso dei guanti, secondo l'Enel, avrebbe comunque contribuito se non ad evitare le lesioni quantomeno a contenerle.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha ben chiarito, richiamando le conclusioni del CTU,che l'esecuzione del lavoro cui era stato adibito il C. non rendeva possibile l'uso dei guanti per operare su linee ad alta tensione trattandosi di operazioni a delicata manualità quali la legatura e slegatura di fili intorno ad un conduttore o isolante. La Corte territoriale ha poi riferito che il CTU aveva concluso rilevando che il verosimile mancato uso dei guanti di protezione non aveva avuto incidenza causale sull'evento e la scarica elettrica non sarebbe stata evitata: l'uso dei guanti "avrebbe al massimo potuto attenuare la consistenza delle lesioni, ma in misura non quantificabile e presumibilmente non rilevante".
La ricorrente ha solo parzialmente riportato le conclusioni del CTU omettendo di valutare che il CTU aveva osservato che l'uso dei guanti avrebbe influito comunque in misura non quantificabile e non rilevante ad attenuare la consistenza delle lesioni.
Le censure svolte avverso le conclusioni del CTU, accolte dal Tribunale, sono del tutto generiche e prive di qualsiasi riscontro scientifico risolvendosi in una mera richiesta di accoglimento della diversa tesi sostenuta dall'Enel.
3) Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 2059 c.c. e 185 c.p. nonché omessa insufficiente motivazione.
Contesta la quantificazione del danno non patrimoniale effettuata dalla Corte distinguendo tre sottocategorie del medesimo : danno morale, biologico, estetico e alla vita di relazione. Tale liquidazione è in contrasto con i principi richiamati dalla stessa Corte ed ormai consolidati nella giurisprudenza sull'interpretazione dell'articolo 2059 cc. Osserva che il danno non patrimoniale da lesioni della salute costituisce una categoria ampia e onnicomprensiva nella cui liquidazione il giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di diverse categorie autonomamente valutabili per pregiudizi identici, ciò che invece era avvenuto.nella fattispecie.
Le censure sono infondate.
La Corte territoriale non ha violato i principi affermati da questa Corte circa il divieto di duplicazione del risarcimento. La Corte di merito,infatti, richiamati i principi enunciati dalle SSUU di questa Corte (n. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008), che hanno ricondotto ad unità il composito universo dei danni risarcibili, ha sottolineato sia la necessità di non dar luogo ad inammissibili duplicazioni atteso che la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cc non costituiva occasione di incremento delle poste di danno, sia quella realizzare un'integrale risarcimento del danno alla persona.
In tal senso la Corte dopo aver accertato il danno biologico in senso stretto inteso come lesione dell'interesse costituzionalmente garantito all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente all'accertamento medico svolto dal tecnico, ha affermato, quale danno ontologicamente distinto ed ulteriore, il danno morale soggettivo inteso come turbamento dello stato d'animo che il soggetto vittima di una lesione medicalmente accettabile subisce e di cui legittimamente avanza pretese risarcitorie, danno, quindi, dotato di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all'integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall'art. 2 della Costituzione in relazione all'art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190.
In fatto la Corte di merito ha accertato, circa la sussistenza ed entità del danno morale, che "...elementi di apprezzamento della sofferenza psicologica sono desumibili dalle modalità dell'infortunio sopra descritto. Il C. subì in sequenza due folgorazioni, rimanendo appeso al traliccio; venne soccorso dal M. e in mancanza di mezzi di trasporto e di comunicazione, fu trasportato fisicamente dal collega fino al raggiungimento di un utile mezzo di locomozione ; dopo circa un'ora dal verificarsi del fatto...venne medicato. Le modalità del fatto appaiono particolarmente traumatizzanti e tali da giustificare un risarcimento...."La Corte territoriale, quindi, senza procedere ad una liquidazione di tipo automatico, ha quantificato tale voce di danno tenendo conto della situazione concreta e degli elementi di fatto emersi nel corso del giudizio. Con riferimento alla distinzione del danno morale, quale voce di danno integrante la più ampia categoria del danno morale, rispetto al danno biologico devono richiamarsi le pronunce di questa Corte (n. 18641/2011; n. 20292/2012) le quali hanno richiamato un "preciso indirizzo legislativo, manifestatosi in epoca successiva alle sentenze del 2008 di queste sezioni unite, dal quale il giudice, di legittimità e non, non può in alcun modo prescindere, in una disciplina (e in una armonia) di sistema che, nella gerarchia delle fonti del diritto, privilegia ancora la disposizione normativa rispetto alla produzione giurisprudenziale. L'indirizzo di cui si discorre si è espressamente manifestato attraverso la emanazione di due successivi D.P.R. n. 37 del 2009 e il D.P.R. n. 191 del 2009, in seno ai quali una specifica disposizione normativa (l'art. 5) ha inequivocamente resa manifesta la volontà del legislatore di distinguere, morfologicamente prima ancora che funzionalmente, all'indomani delle pronunce delle sezioni unite di questa corte (che, in realtà, ad una più attenta lettura, non hanno mai predicato un principio di diritto volto alla soppressione per assorbimento, ipso facto, del danno morale nel danno biologico, avendo esse viceversa indicato al giudice del merito soltanto la necessità di evitare, attraverso una rigorosa analisi dell'evidenza probatoria, duplicazioni risarcitorie) tra la "voce" di danno c.d. biologico da un canto, e la "voce" di danno morale dall'altro: si legge difatti alle lettere a) e b) del citato art. 5, nel primo dei due provvedimenti normativi citati: - che "la percentuale di danno biologico è determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi criteri di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni; -che "la determinazione della percentuale di danno morale viene effettuata, caso per caso, tenendo conto dell'entità della sofferenza e del turbamento dello stato d'animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in rapporto all'evento dannoso, in misura fino a un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico".
La sentenza impugnata non risulta, dunque censurabile per aver riconosciuto l'autonomia del danno morale rispetto a quello biologico dopo averne evidenziato, nella fattispecie in esame, le caratteristiche dell'uno e dell'altro.
Quanto, invece, al danno all'immagine ed alla vita di relazione la Corte territoriale ha confermato la pronuncia del Tribunale evidenziando che l'Enel non aveva proposto specifici motivi di censura senza, in particolare, riproporre in appello la questione della duplicazione di tale voce risarcitoria. Nel presente giudizio, sul punto, Enel Distribuzioni si è limitata a riferire di aver sempre contestato le statuizioni di primo grado in merito alla qualificazione e quantificazione del diritto al risarcimento del danno ma non ha formulato una specifica censura circa l'affermazione della Corte territoriale relativa alla mancata riproposizione della questione della duplicazione. Era onere degli appellanti contestare in appello non solo la quantificazione ma la stessa sussistenza del diritto e, dunque, la censura sotto tale profilo è inammissibile.
In conclusione il ricorso principale va respinto.

Ricorso incidentale

1) Con il primo motivo il C. denuncia violazione dell'articolo 112 c.p.c. sotto il profilo dell'articolo 360 n. quattro c.p.c. nonché violazione falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c. e insufficiente e contraddittoria motivazione.
a) Lamenta che la Corte,tenuto conto della riforma di alcuni capi della sentenza di primo grado, aveva compensato le spese di causa per un terzo.
Osserva che se in appello la sentenza era stata in parte riformata, ciò era avvenuto a favore dell'una e dell'altra parte,senza considerare, inoltre, che il C. era largamente vincitore e parzialmente soccombente per un aspetto marginale.
b) Lamenta inoltre che erroneamente il giudice aveva ridotto la somma concessa a titolo di spese del giudice di primo grado sebbene nessuna delle parti avesse proposto uno specifico gravame sul punto.
e) Contesta, inoltre, la liquidazione delle spese del grado di appello avendo la Corte territoriale ridotto senza alcuna motivazione la nota spese dell'avvocato. Le censure sono infondate.
Circa la modifica della disciplina delle spese e della loro quantificazione relativa al giudizio del Tribunale va rilevato che il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, dato che l'onere di esse va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite. (cfr Cass. n 18837/2010). Il giudice d'appello, invece, non può modificare la pronuncia del primo giudice sulle spese allorché confermi la sentenza del Tribunale, a meno che detta pronuncia non sia stata oggetto di uno specifico motivo di impugnazione. Nella specie la Corte d'Appello di Roma ha riformato la sentenza del Tribunale sia con riferimento al danno da lucro cessante sia con riferimento al danno morale, con la conseguenza che ha correttamente proceduto anche ad una nuova liquidazione delle spese del primo grado sulla base del diverso esito finale del giudizio ("Il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l'onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole" ord. n. 6369/2013). Non è poi, censurabile in cassazione, rientrando tra i poteri discrezionali del giudice di merito, la decisione di disporre la compensazione per un terzo delle spese processuali considerato un parziale accoglimento delle richieste della parte ricorrente. Non sussiste, pertanto, nessuna violazione del criterio della soccombenza che va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata al pagamento delle spese,mentre qualora ricorra la soccombenza reciproca è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito quale parte debba essere condannata e se in quale misura debba farsi luogo a compensazione (cfr. Cass. n. 19158/2013). Nella specie, inoltre, non risulta neppure denunciata la violazione delle tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (cfr. Cass. n. 14542/2011), né il ricorrente riporta la nota spese presentata in Tribunale.
Quanto alle censure relative alla quantificazione delle spese relative al giudizio d'appello deve rilevarsi che, anche con riferimento a detta liquidazione, non risulta denunciata alcuna violazione delle tariffe,né risulta riportata o ridepositata la nota spese, mentre per quanto attiene alla parziale compensazione disposta dalla Corte territoriale deve richiamarsi quanto sopra esposto con riferimento alla liquidazione delle spese in considerazione dell'esito finale del giudizio.
2) Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia violazione degli artt. 2056 e 1223 c.c., nonché omessa insufficiente motivazione.
a) Rileva con riferimento al danno patrimoniale che la Corte aveva del tutto omesso di comprendere nel danno patrimoniale anche tutti gli esborsi sostenuti dal lavoratore per cure mediche e spese connesse, medicine, terapia fisica, diagnostica documentate ed ammontanti ad Euro 6901,75. A dette spese vanno aggiunte, secondo il C. , le spese di trasferimento da (OMISSIS) sostenute dai familiari per l’assistenza,quantificate in Euro 1148, 00 come da biglietti allegati (totale Euro 8.049,75).
Il motivo sul punto difetta di autosufficienza. Deve, infatti, rilevarsi che la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento a detta voce. Il C. ha omesso da un lato di indicare quale fosse stata la decisione del Tribunale sul punto. Dall'altro lato ha omesso anche di indicare l'atto processuale in cui aveva formulata tale richiesta di rimborso. Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, invero, qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, come nella specie, non risulti trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).
b) Circa il danno patrimoniale il C. lamenta che la sentenza, riconoscendo il danno differenziale, non aveva tenuto conto che nella liquidazione effettuata dal Tribunale si era tenuto conto della perdita di chances non avendo potuto maturare e percepire tutte quelle spettanze che, invece, avevano maturato i suoi colleghi. Osserva che la somma liquidata dall'Inail garantiva soltanto il reddito che il C. già percepiva al momento dell'infortunio, ma in tal modo nessuna somma aveva ricevuto sulla possibilità futura di ottenere occasioni di lavoro migliori e che pertanto era giusto tenere distinta la somma liquidata dall'Inail riconoscendo al lavoratore l'intero importo di Euro 490.000.
La censura è infondata oltre che generica. La Corte d'Appello,con riferimento alla determinazione del danno da lucro cessante, ha analiticamente indicato gli elementi di cui ha tenuto conto nella quantificazione e in particolare: perdita della professionalità, mancata progressione in carriera.., perdita di emolumenti legati all'esercizio delle mansioni di elettricista, minore trattamento pensionistico. La Corte territoriale ha, pertanto, valutato tutti gli elementi concreti atti a giustificare la liquidazione nella misura accolta, restando le censure del controricorrente del tutto generiche.
c) Il C. lamenta, inoltre, che nella liquidazione dell'Inail erano compresi Euro 42.478 che non avrebbero dovuto essere sottratti, quali indennità temporanea, visite, accertamento postumi, accertamento medico-legale, visita collegiale, interessi grattandosi di spese per l'Inail che non incidevano sulla formazione della rendita a favore del C. che non le avrebbe mai incassate.
Anche su tale punto la censura difetta di autosufficienza. La questione di cui al motivo in esame non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata. Deve, pertanto, essere richiamato quanto affermato in ordine al punto a) che precede rilevando che anche con riferimento a detta censura il C. ha omesso di indicare la decisione sul punto del Tribunale, nonché l'atto processuale in cui aveva sollevato tale questione.
d) Circa il danno biologico il C. rileva che la Corte d'Appello non aveva risposto all'appello incidentale con il quale aveva chiesto la liquidazione di detto danno come previsto dal contratto collettivo e cioè come se l'invalidità subita ammontasse al 100% e non al 80% perché appunto da tale misura il contratto collettivo prevedeva l'equiparazione alla misura massima. La censura, sotto tale profilo, risulta inammissibile.
Premesso che lo stralcio del CCNL non è rinvenibile nel fascicolo di cassazione va, comunque, sul punto richiamata la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. SSUU n. 20075/2010) secondo cui "il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l'estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l'integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell'esercizio del sindacato di legittimità sull'interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale". Il motivo, sotto il profilo denunciato, è, pertanto, inammissibile -.
e) Infine il contro ricorrente lamenta la quantificazione effettuata dalla Corte del danno morale nella misura di un terzo invece che nella metà tenuto conto della gravità delle lesioni. La censura è infondata. La Corte territoriale ha adeguatamente motivato le ragioni della sua decisione effettuata in via equitativa ma tenendo conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto.
Le censure del C. per ottenere una liquidazione più elevata del danno morale implicano esame degli atti e valutazioni di merito non consentite nel giudizio di legittimità. Il ricorso incidentale deve, pertanto, essere respinto.
Infine, per completezza deve rilevarsi circa l'eccezione di inammissibilità del ricorso e di intervenuto giudicato nel confronti di Enel per la mancata proposizione del ricorso in cassazione anche da parte di quest'ultima che,da un lato, detta mancata partecipazione dell'originario debitore non si risolve nell'affermazione del formarsi del giudicato nei confronti dell'Enel o di inammissibilità del ricorso proposto da Enel Distribuzioni, soggetto cessionario, ponendosi soltanto un problema di integrazione del contraddittorio nei confronti dell'originario debitore, litisconsorte necessario ex art. 111 cpc (cfr. Cass. n. 1535/2010). Nella specie, tuttavia, può affermarsi che a seguito dell'intervento di Enel Distribuzioni, quale successore di Enel ex art. 111 cpc, quest'ultima può ritenersi tacitamente estromessa per effetto del comportamento delle parti, pur in assenza di un esplicito provvedimento di estromissione del giudice ma anche al fine di garantire una maggiore celerità nella definizione del giudizio (cfr. Cass. SSUU n. 26373/2010). Ed invero,deve essere valutato che la cedente non ha,a sua volta, impugnato la decisione manifestando disinteresse per la gestione diretta delle sorti del processo; né è stata proposta alcuna domanda nei suoi confronti ma anzi lo stesso C. ha notificato il ricorso incidentale nei soli confronti di Enel Distribuzioni e che,pertanto, in assenza di alcuna concreta violazione del contraddittorio, Enel può essere ritenuta estromessa dal giudizio.
Le spese processuali relative al presente giudizio, considerato il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale, ma valutato che il rigetto del ricorso principale ha determinato la conferma delle responsabilità del datore di lavoro e dei conseguenti obblighi risarcitori mentre il ricorso incidentale ha riguardato aspetti meno rilevanti della decisione, stimasi equo compensare per la metà le spese processuali ponendo a carico della ricorrente la restante parte di dette spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.


Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e quello incidentale; condanna la ricorrente Enel Distribuzioni a pagare al C. la metà delle spese processuali liquidate per questa parte in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 7.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, compensa le spese processuali per la restante parte.
Nulla per spese per le parti rimaste intimate.