PROVINCIA DI ANCONA

Assessorato al Sistema formativo e Politiche attive del lavoro

in collaborazione con OLYMPUS

Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza sul lavoro dell’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino

Convegno di studio

SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO. QUALE FORMAZIONE?

Ancona, Venerdì 19 settembre 2008 – ore 15,30- 19,30

Ridotto teatro delle Muse Piazza della Repubblica



Relazione

LA FORMAZIONE DEI LAVORATORI

di Luciano Angelini

Docente di diritto sindacale e del lavoro nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” - Condirettore di Olympus

 

Sommario: 1. Premessa. La rilevanza della formazione dei lavoratori nella disciplina di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. - 1.1. Su formazione ed informazione: piena autonomia concettuale o mera “endiadi” funzionale? – 2. I soggetti attivi e passivi della formazione. - 2.1. (segue:) La formazione per la sicurezza nei rapporti di lavoro flessibile. - 3. I contenuti della formazione in salute e sicurezza dei lavoratori. Il rinvio all’Accordo in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni – 4. Quando fare formazione per i lavoratori. – 5. La” novità” dell’addestramento in sicurezza. – 6. Il libretto formativo


 

  1. Premessa. La rilevanza della formazione dei lavoratori nella disciplina di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il d. lgs. n. 81/2008

 

Prima di entrare nel merito della specifica disciplina dettata dall’art. 37 del d. lgs. n. 81/2008 sulla formazione sulla sicurezza dei lavoratori, mi sia consentito un brevissimo cenno al ruolo davvero fondamentale che la formazione professionale riveste nella moderna realtà socio-economica. Non da oggi, la riconversione delle conoscenze e delle competenze/abilità dei lavoratori richieste all’interno degli specifici contesti produttivi in cui sono organicamente inseriti, si configura come un processo continuo ed inarrestabile di valorizzazione delle risorse umane. Una formazione professionale “permanente”, che per il lavoratore implica un impegno d’apprendimento che si snoda inesorabilmente lungo tutto l’arco della sua vita professionale.

Se ciò vale per la “formazione senza aggettivi”, vale ovviamente ancor di più per la formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Credo difficile riuscire a contestare che la formazione per la sicurezza rappresenti l’attività principale attraverso la quale è possibile realizzare l’attiva partecipazione di tutti i lavoratori al sistema prevenzionale aziendale, sistema che si costruisce soltanto grazie alla diffusione di conoscenza e consapevolezza dei rischi, alla circolazione delle informazioni e dei dati, al confronto e al dialogo tra tutti gli attori coinvolti.

Dell’assoluta centralità assunta dalla formazione in materia di salute e sicurezza, il legislatore del recente decreto legislativo n. 81/2008 dimostra di averne piena consapevolezza, confermando, e ulteriormente valorizzando, la scelta strategica già fatta propria dal d. lgs. n. 626/1994. La formazione dei lavoratori viene confermata tra le misure generali di tutela; per essa è prevista una regolamentazione generale nell’ambito dei principi generali del Titolo I. A ciò si aggiungono norme specifiche per aspetti meritevoli di distinta regolamentazione, riguardo l'uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale (art. 73), alla segnaletica di salute e sicurezza sul lavoro (art. 164), alla movimentazione manuale dei carichi (art. 169), alle attrezzature munite di videoterminali (art. 177), agli agenti fisici (art. 184), alla protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro (art. 195), alle sostanze pericolose (art. 277), all’esposizione ad agenti biologici (art. 278).

 

Oltre all’art. 37 del decreto n. 81/2008, ben più dettagliato rispetto all’art. 22 del d. lgs. 626/1994, così da rendere ora più espliciti i contenuti della formazione in sicurezza dei lavoratori, l’importanza assolutamente strategica attribuita alla formazione nell’ambito del decreto 81/2008 viene testimoniata anche da molte altre sue norme, tra le quali meritano segnalazione: l’art. 27 che disciplina il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, fondandolo sulla specifica esperienza, ovvero sulle competenze e conoscenze in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, acquisite attraverso percorsi formativi mirati; l’art. 11, sulle attività promozionali (della cultura della sicurezza attraverso il finanziamento di progetti formativi specificamente dedicati alle piccole, medie e micro-imprese); l’art. 19, sulla formazione del preposto; l’art 52, sul finanziamento della formazione dei datori di piccole e medie imprese, dei lavoratori autonomi; l’art. 34, che in caso di svolgimento diretto dei compiti di prevenzione e protezione, prevede l’obbligatoria frequenza di “corsi di formazione di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla natura dei rischi” e di corsi d’aggiornamento. Ovviamente, l’elenco non può considerarsi esaustivo.

 

 

1.1. Su formazione ed informazione: piena autonomia concettuale o mera “endiadi” funzionale?

 

Ancora un’annotazione in premessa. Diversamente da quello che accade di solito, nei convegni, ma anche nei commentari sul decreto 81/2008 già editi, che analizzano la disciplina della salute e sicurezza, questo nostro incontro di studio ha per oggetto esclusivamente la formazione, senza allargarsi anche alla tematica sicuramente affine relativa all’informazione dei lavoratori.

La correttezza e la piena condivisibilità della scelta operata dagli organizzatori è fuori discussione. Informazione e formazione sono attività distinte, come tali sono anche distintamente definite nell’art. 2, lett. aa) e bb)1; ed ancora, configurano obblighi distinti in capo dal datore di lavoro ed ai dirigenti, e ne è altrettanto distintamente sanzionata l’inosservanza.

Nessuno può avanzare dubbi sul fatto che mentre le informazioni agiscono su un piano d’arricchimento del livello di conoscenza delle persone cui sono destinate, la formazione opera su un livello più completo e complesso, quello dell’apprendimento, che influisce sulle capacità e sul cambiamento degli atteggiamenti individuali e collettivi, in ragione dell’assunzione di nuovi valori o di nuove disposizioni mentali. Tuttavia, altrettanto fuori discussione è che spesso il confine fra informazione e formazione diventa molto labile; né è possibile ragionevolmente escludere che un datore di lavoro possa organizzare attività indistinte che, contestualmente, siano in grado di adempiere sia gli obblighi informativi che quelli formativi. La conseguenza è che nella prospettiva prevenzionale in cui la nostra riflessione va correttamente collocata, formazione e informazione finiscono oggettivamente per costituire una sorta di “endiadi funzionale” necessaria. L’informazione, in particolare, è un indispensabile strumento di formazione, una specie di “fase propedeutica” rispetto alla formazione che non coincide con essa, né si sovrappone o si confonde, ma dalle quale nessun efficace processo formativo può concretamente prescindere.

 

 

2. I soggetti attivi e passivi della formazione.

 

Ai sensi dell’art. 37 del d. lgs. n. 81/2008, in capo al datore di lavoro – ma anche ai dirigenti, ai sensi dell’art. 18, lett. l) - è posto l’obbligo di assicurare a ciascun lavoratore una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Detto altrimenti, ogni lavoratore ha diritto di poter beneficiare di un’adeguata attività formativa che gli consenta di svolgere, in condizioni di sicurezza e tutela della propria salute, la prestazione lavorativa. A sua volta, il lavoratore è tenuto a partecipare ai programmi di formazione (e d’addestramento) organizzati dal datore di lavoro, come formalmente dispone l’art. 20, lett. h).

Il d. lgs. n. 81/2000 definisce il lavoratore come la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato (con esclusione degli addetti ai servizi domestici e familiari). Rispetto alla precedente nozione di lavoratore dettata dal decreto n. 626/1994 – secondo cui era considerato un lavoratore ogni “persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro… con rapporto di lavoro subordinato anche speciale” – il decreto 81/2008 compie un notevole ampliamento, poiché oggi devono considerarsi lavoratori tutti i soggetti che il datore di lavoro coinvolge funzionalmente nel proprio ambito organizzativo, utilizzandone le prestazioni lavorative per il perseguimento dei propri scopi.

Oltre alle varie tipologie di lavoratori subordinati, sono dunque da considerarsi lavoratori ai fini dell’applicazione della disciplina di tutela della salute e sicurezza tutti quelli che, pur non essendo dipendenti del datore di lavoro, siano in ogni caso assoggettati al suo potere direttivo (lavoratori somministrati), e i lavoratori che abbiano stipulato con il datore di lavoro un contratto di lavoro autonomo purché, la prestazione dedotta, in quanto inserita nell’organizzazione datoriale, li esponga potenzialmente ai rischi per la loro salute e sicurezza derivanti dall’attività svolta dal datore di lavoro. Ne consegue così che, da un lato, sono esclusi dalla nozione di “lavoratore”, gli autonomi che, pur prestando un’attività lavorativa a favore del datore di lavoro, tuttavia non si inseriscono minimamente nella sua organizzazione, mentre, da un altro lato, sono incluse le prestazioni lavorative che, pur non essendo materialmente o fisicamente svolte nel luogo di lavoro in cui si realizza l’attività del datore di lavoro, sono nondimeno inserite (a diverso titolo e più o meno stabilmente) nell’organizzazione dello stesso datore di lavoro, così da consentirgli il perseguimento degli scopi per i quali svolge la propria attività.

Dunque, con la nuova ampia nozione di lavoratore e tramite la tecnica delle equiparazioni, l’ambito di applicazione del decreto si estende a tutte le tipologie contrattuali autonome o subordinate, anche flessibili, nonché del c.d. lavoro “fuori mercato” compreso il “volontariato”. Ciò non significa che a tutti i lavoratori siano riconosciute le stesse tutele, come risulta indirettamente anche dal successivo art. 4, relativo al computo dei lavoratori.

Per quanto riguarda esplicitamente la formazione dei lavoratori che hanno comunque diritto di beneficiarne, occorre altresì doverosamente considerare che essa va ad assumere portata e significati distinti anche in ragione del ruolo assunto dal lavoratore come soggetto attivo del sistema di prevenzione aziendale. Intendo riferirmi alla formazione specifica riservata ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, ai preposti, agli addetti alla prevenzione degli incendi, al primo soccorso, ma anche al responsabile ed agli addetti al servizio di prevenzione e protezione interno all’azienda, su cui avremo modo di soffermarci ancora nel corso della relazione.

La riflessione sui soggetti della formazione non può dirsi compiuta, nell’ottica pur semplificata che qui stiamo illustrando, se non segnalando il ruolo, confermato e valorizzato attraverso un significativo ampliamento di compiti e funzioni, degli organismi paritetici disciplinati dall’art. 51. L’orientamento e la promozione d’iniziative formative nei confronti dei lavoratori (e dei loro rappresentanti), compito storicamente svolto dagli organismi paritetici in materia di salute e sicurezza dei lavoratori istituiti dal d. lgs. 626/94, trova dunque conferma nelle disposizioni del decreto n. 81/2008. La loro collaborazione in campo formativo, espressamente richiamata anche nell’art. 37, comma 12, si arricchisce grazie ad un ampio insieme di strumenti di supporto per le imprese, quali l’individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, la possibilità di compiere sopralluoghi nei territori e nei comparti produttivi di competenza, qualora dispongano di personale con specifiche competenze tecniche.

Per organizzare un’efficace formazione dei lavoratori, l’azione di supporto svolto dagli organismi paritetici potrà ora contare, nel sistema delineato dal decreto n. 81/2008, anche sul fondo di sostegno alla piccola e media impresa, costituito presso l’INAIL, che annovera tra i suoi obiettivi, il finanziamento delle attività formative delle rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza territoriali, dei datori di lavoro delle piccole e medie imprese, dei piccoli imprenditori, dei lavoratori stagionali del settore agricolo e dei lavoratori autonomi2.

 

 

2.1. (segue:) La formazione per la sicurezza nei rapporti di lavoro flessibile

 

Un aspetto che merita particolare attenzione, soprattutto nella nostra prospettiva d’indagine sulla formazione, è quello che riguarda l’assunzione di lavoratori flessibili. Infatti, sono diversi e sicuramente maggiori i rischi sulla salute e sicurezza che i lavoratori flessibili, in forme ovviamente differenti, corrono rispetto ai lavoratori a tempo pieno ed indeterminato che svolgono le stesse mansioni, in ragione soltanto della particolare natura del loro rapporto di lavoro, e ciò indipendentemente dall’oggettiva pericolosità della prestazione da rendere.

Ora, posto che i rischi specifici connessi all’assunzione dei lavoratori flessibili coinvolgono più o meno indirettamente tutti i lavoratori e che le forme di contratto flessibile sono molto aumentate negli ultimi decenni, occorre intervenire strategicamente per assicurare a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto mediante il quale sono stati assunti, le stesse condizioni di sicurezza nello svolgimento della prestazione, come impone di fare lo stesso decreto n. 81/2008. Affermare il rispetto del principio di parità di trattamento con i lavoratori stabilmente occupati non basta: è, infatti, indispensabile definire misure specifiche, destinate a far fronte alla condizione di maggior rischio in cui i lavoratori flessibili vengono a trovarsi a causa della natura temporanea del loro rapporto.

Della necessità di dettare disposizioni di tutela specifica per i lavoratori flessibili, il legislatore comunitario si era reso ben conto fin dal 1991, quando ha approvato la CE n. 383/91, in funzione di “normativa complementare” rispetto alle disposizioni della direttiva-quadro CE n. 391/89 (per i lavoratori interinali ed a termine). E, circostanza ancora più significativa, i contenuti di tutela differenziata indicati dal legislatore comunitario per la tutela specifica della salute e sicurezza dei lavoratori flessibili consistono quasi esclusivamente nell’individuazione di misure integrative di informazione e formazione.

La direttiva CE n. 383/91 è stata formalmente recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 242 del 1996; soltanto con le disposizioni del d.lgs. n. 276 del 2003, tuttavia, sono state indicate vere misure di tutela differenziata della salute e sicurezza dei lavoratori flessibili, consistenti per lo più in attività di formazione aggiuntiva e specifica.

Purtroppo, il d. lgs. 81/2008 non è stato capace di valorizzare adeguatamente quest’importante prospettiva d’intervento sui lavoratori flessibili; si è mosso, piuttosto, secondo una prospettiva più “tradizionalista”, essenzialmente estendendo (e non sempre integralmente) le tutele previste per il lavoro subordinato a tempo indeterminato e full time, invece di prevedere specifiche misure di protezione in ragione della discontinuità e frammentazione dei cosiddetti nuovi lavori, non riuscendo a sviluppare coerentemente le giuste premesse poste con la nuova ampia definizione di lavoratore.

Alle indubbie carenze dell’intervento legislativo potrebbe almeno in parte supplire il ricorso al pilastro cardine d’ogni sistema di prevenzionale aziendale, rappresentato dalla valutazione dei rischi, di tutti i rischi presenti in azienda, compresi quelli connessi all’assunzione dei lavoratori flessibili, valutazione che dovrà ben distinguere contratto flessibile da contratto flessibile, alla luce delle caratteristiche dimensionali ed organizzative dell’ambiente di lavoro e del tipo d’attività produttiva che vi si svolge.

Anche per la questione della tutela dei lavoratori flessibili resta dunque perfettamente valido e disponibile l’ancoraggio alla valutazione dei rischi; una valutazione attraverso la quale individuare le concrete misure di prevenzione e protezione necessarie. E non credo si possa ragionevolmente dubitare che, rispetto alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori flessibili, saranno individuate, seppur non esclusivamente, nell’ambito di programmi di informazione e formazione mirata, come chiaramente indicato dal legislatore comunitario. Sulla natura e sulla tipologia delle misure di protezione specifica per la tutela “integrativa” dei lavoratori flessibili, il dato normativo mi sembra chiaramente indicare come assolutamente decisivo il ricorso alla formazione.

 

 

3. I contenuti della formazione per la salute e sicurezza. Il rinvio all’Accordo in sede di Conferenza permanente Stato - Regioni

 

Ma quali sono i possibili contenuti di un’adeguata formazione in salute e sicurezza dei lavoratori negli ambienti di lavoro?

Per rispondere a questa domanda, è necessario partire da quanto dispone l’art. 37 del d. lgs. n. 81/2008, secondo cui il datore di lavoro deve assicurare a ciascun lavoratore una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche. Il decreto ribadisce il principio di una formazione sufficiente ed adeguata rispetto alla singola realtà produttiva ed alla singola posizione lavorativa; com’è ovvio, per poter essere tale, dovrà preliminarmente garantire una sufficiente conoscenza della lingua con la quale s’intende comunicarne i contenuti.

Peraltro, considerando che, come molti altri obblighi concernenti la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, quello alla formazione rientra tra le c.d. obbligazioni di risultato - che comportano la verifica ed il controllo che le nozioni siano state effettivamente apprese ed assimilate dai lavoratori – ed anche che non è semplice valutare i molti rischi che si corrono e definire le misure di prevenzione per tutti i lavoratori impiegati, il legislatore del 2008 ha deciso di non sottrarsi dall’indicare alcuni contenuti minimi cui i datori di lavoro dovranno attenersi nell’adempimento del loro obbligo formativo verso i lavoratori.

Ai sensi dell’art. 37, comma 1, lett. a), i lavoratori dovranno ricevere adeguata formazione, prevalentemente di tipo teorico, sui concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, e sull’apprendimento di alcune fondamentali nozioni riguardanti l’organizzazione predisposta dall’azienda ai fini della prevenzione, ai diritti e doveri dei vari soggetti aziendali che svolgono ruoli di vigilanza, di controllo ed assistenza.

Accanto all’acquisizione di questi contenuti di tipo più culturale/generale, ai sensi della successiva lett. b), i lavoratori dovranno ricevere anche della formazione mirata sui rischi specifici connessi alle mansioni da loro svolte, dei danni che ne possono derivare e delle conseguenti misure di protezione e prevenzione da attivare, sempre con riferimento al settore o comparto d’appartenenza dell’azienda. Un’attività d’informazione e di formazione che deve essere dagli stessi lavoratori ben compresa, commisurata alle mansioni svolte ed al grado di cultura di chi dovrà beneficiarne, non trascurando, com’è stato già detto, l’effettiva padronanza linguistica da parte dei lavoratori stranieri.

Chiaro lo scopo perseguito dal legislatore: fare in modo che la formazione impartita al lavoratore, pur non rinunciando a comunicare valori, principi e concetti fondamentali, non rimanga nel vago e nel generico, ma sia mirata alla situazione concreta in cui lo stesso lavoratore opera consentendogli realmente di conoscere ed adottare comportamenti corretti e consapevoli. Si consolida, pertanto, un processo oramai avanzato d’individualizzazione e di commisurazione dei percorsi formativi rispetto a ciascuna posizione lavorativa, in considerazione delle mansioni espletate e dei relativi rischi specifici, e della tipologia contrattuale adottata.

Rispetto ai descritti contenuti formativi, il legislatore detta regole specifiche per gli addetti alla prevenzione degli incendi, al primo soccorso e più in generale per tutti quelli che gestiscono le situazioni d’emergenza e di pericolo grave ed immediato.

Premesso che la designazione degli addetti alle emergenze dovrà essere fatta tenendo conto delle capacità e delle condizioni degli stessi (art. 18, comma 1, lett. c), il decreto precisa che gli incaricati di tali servizi, che dovranno essere in numero sufficiente e avere attrezzature idonee, tenuto conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda e dell’unità produttiva, siano adeguatamente formati.

Diversamente dalla normativa precedente che non specificava il tipo di formazione di cui dovessero beneficiare, l’art. 37, comma 9, d.lgs. n. 81/2008 ora precisa che deve trattarsi di una formazione adeguata e specifica, integrata da un aggiornamento periodico che, per quanto concerne gli incaricati alla prevenzione incendi, dovrà essere meglio definita attraverso i criteri che saranno indicati in uno o più decreti emanati in attuazione del rinvio previsto nell’art. 46, comma 33.

Va ricordato che, in particolare per questi lavoratori, l’adeguatezza della formazione e delle istruzioni effettivamente impartite, assume rilievo decisivo in sede di accertamento delle responsabilità cui possono andare incontro. Non si tratta, infatti, di “semplici” lavoratori (cfr.: art. 20, comma 2, lett. e); art. 44) ma bensì di addetti specificamente incaricati di una funzione di garanzia, e che, come tali, hanno l’obbligo di intervenire, potendo in mancanza configurarsi una responsabilità penale di tipo omissivo (ad es. vedi art. 593 c.p.); peraltro, essi rispondono anche a titolo di colpa se, pur essendosi attivati, per negligenza o imprudenza – più difficile è infatti ipotizzare profili di colpa per imperizia – arrechino all’infortunato un maggior danno.

Di fronte ad uno spettro così variegato di bisogni ed esigenze formative per la migliore tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – condizionati come sono dalla dimensione dell’azienda, dalla rischiosità dell’attività lavorativa, dalla natura del contratto di lavoro, dalla condizione soggettiva di particolari categorie di lavoratori, dal modello organizzativo, dalla tipologia del contratto di lavoro - è comprensibile che il legislatore non abbia voluto dare indicazioni troppo stringenti sulla durata, sui contenuti minimi e sugli strumenti da utilizzare per la formazione in sicurezza. Una più puntuale determinazione delle opportune misure formative è stata, infatti, rinviata ad un Accordo da raggiungere in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, previa consultazione delle parti sociali, entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto stesso.

Purtroppo, la condivisibile scelta di rinviare al citato Accordo la definizione specifica dei contenuti della formazione, ha causato molte incertezze sia sui comportamenti che devono tenere i datori di lavoro, sia sulle pretese che possono essere avanzate dai lavoratori in materia di formazione professionale, in attesa dell’emanazione del citato Accordo. Non è infatti stata prevista alcuna disciplina transitoria destinata a chiarire i tempi d’entrata in vigore della normativa o comunque a regolare la gestione di tutta questa materia nel periodo di “vacanza”. Né, ad una prima lettura, sembra soccorrerci l’ambigua disposizione di chiusura del citato comma 3, quando in relazione ai contenuti ed alla durata della formazione prevista per i rischi relativi ai titoli successivi al primo, fa espressamente “salve le disposizioni già in vigore in materia”; a meno che non si voglia, come credo si dovrebbe, interpretare la disposizione nel senso che faccia salve, fino all’emanazione dell’Accordo, le norme già vigenti in materia di contenuti formativi.

Soltanto alcuni brevi cenni agli obblighi formativi imposti in capo ai responsabili e agli addetti dei servizi di prevenzione e protezione. Le novità rispetto al precedente d. lgs. n. 195/2003, ora implicitamente superato, sono davvero poche.

Mi limito a ricordare che, data la delicatezza del ruolo assegnato, responsabili e addetti devono possedere un titolo di studio non inferiore al diploma di scuola secondaria superiore e frequentare specifici corsi di formazione, adeguati alla natura dei rischi ed all’attività lavorativa svolta. In particolare, si dovranno trattare tematiche relative alla prevenzione dai rischi anche di natura ergonomia, all’organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative, alle tecniche della comunicazione in azienda e delle relazioni industriali, alla riduzione dello stress lavoro-correlato. L’attività di formazione dovrà essere periodicamente aggiornata, ogni cinque anni.

Resta, purtroppo, la lacuna riguardante i rischi connessi al mutamento dei modelli organizzativi e all’utilizzo delle forme di lavoro atipico e/o temporaneo, rispetto ai quali nessun obbligo di formazione specifica è contemplato. Né, a tal fine, sembrano essere di qualche utilità i contenuti dell’Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006, la cui integrale validità è stata peraltro formalmente confermata: l’Accordo, infatti, si limita a regolare la metodologia di organizzazione e di apprendimento dei corsi e la loro articolazione4.

 

 

  1. Quando fare la formazione per i lavoratori.

 

L’art. 37 del decreto n. 81/2008 conferma quanto era già previsto dall’art. 22 riguardo i momenti nei quali deve avvenire la formazione in sicurezza dei lavoratori. I tre momenti fondamentali sono quelli dell’assunzione, del trasferimento o cambiamento di mansioni, dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, nuove sostanze e preparati pericolosi. Inoltre, si afferma che la formazione dei lavoratori deve avvenire durante lo svolgimento del normale orario di lavoro, senza gravare economicamente sui lavoratori che ne beneficiano; nel caso fosse necessario per motivi aziendali stendere l’attività formativa oltre detto orario, è dunque necessario che il datore di lavoro preveda l’erogazione di adeguati corrispettivi economici o di riposi compensativi.

L’unica rilevante precisazione voluta dal legislatore del decreto n. 81/2008 rispetto alla disciplina precedente riguarda il contratto di somministrazione di lavoro, rispetto al quale si dispone che la formazione deve prendere avvio non già dal momento dell’assunzione, come solitamente accade, bensì dall’inizio dell’utilizzazione del lavoratore da parte dell’impresa “utilizzatrice”. Ciò si spiega in quanto nella somministrazione di lavoro vi è una scissione tra il datore che assume, che nella fattispecie è l’agenzia di somministrazione, e l’impresa che utilizza la manodopera all’interno della propria organizzazione.

Ma, allora, nella somministrazione di lavoro, a chi spetta l’obbligo della formazione dei lavoratori, al somministratore o all’utilizzatore?

Il comma 5 dell’art. 3 del d. lgs. n. 81/2008, dopo aver fatto salvo quanto specificamente previsto dall’art. 23, comma 5, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, stabilisce che tutti gli obblighi di prevenzione e protezione previsti dal d.lgs. n. 81 siano a carico dell’utilizzatore.

La normativa del 2003, pur accollando all’utilizzatore tutti gli obblighi di protezione previsti per i propri dipendenti, lascia però in capo al somministratore, oltre a quello di informazione sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive in generale, anche quelli relativi alla formazione e all’addestramento all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa. Tali obblighi potranno in ogni caso essere adempiuti dall’utilizzatore soltanto per espressa disposizione contrattuale. Peraltro, anche se il contratto di somministrazione non dovesse disporre alcunché in merito all’imputazione dell’obbligo di formazione e di addestramento a carico dell’utilizzatore, sembra ragionevole continuare a sostenere che l’attività formativa e di addestramento svolta dal somministratore non possa che soddisfare esigenze di formazione generale. Inoltre, posto che la formazione è sicuramente più effettiva se impartita dall’utilizzatore, la sua effettuazione da parte del somministratore non potrà mai arrivare ad esonerare totalmente l’utilizzatore dagli obblighi scaturenti dal descritto art 37 del d. lgs. n. 81/2008.

Si potrebbe forse arrivare a ritenere che gli obblighi che l’art. 23, comma 5 del d.lgs. n. 276 del 2003 configura in capo al somministratore non siano altro che obblighi di sicurezza che si aggiungono a quelli propri relativi al rapporto tra lavoratore somministrato ed utilizzatore. Se così è, il coinvolgimento dell’Agenzia di somministrazione non può mai arrivare a sovvertire la posizione debitoria costruita in capo all’utilizzatore, ma soltanto supportarla in ragione delle specificità della fattispecie.

 

 

5. La “novità” dell’addestramento in sicurezza

 

Accanto alla formazione, l’art. 37, comma 4 e 5, prevede che il lavoratore, nei casi previsti dalla normativa – ad esempio, per l’uso dei DPI o per la movimentazione manuale dei carichi - oltre a ricevere una adeguata formazione, venga anche specificamente addestrato da una persona esperta e sul luogo di lavoro5, così da fargli apprendere sia l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, sia le procedure di lavoro. L’addestramento deve essere ripetuto fino a quando non è accertata la completa padronanza del lavoratore, la correzione degli atti e dei comportamenti in precedenza da lui tenuti, e un miglioramento di quanto in precedenza appreso.

È altresì necessario che l’addestramento avvenga sul luogo dove dovrà essere compiuta l’attività lavorativa o in luogo ad esso del tutto assimilabile, e che esso sia accompagnato da momenti di accertamento e verifica sul campo degli effetti che abbia prodotto sui lavoratori, anche attraverso l’esercizio pratico di quanto acquisito grazie all’informazione e alla formazione. Pare del tutto coerente con lo spirito della norma ritenere che l’addestramento possa essere effettuato anche tramite il sistema dell’affiancamento a lavoratore esperto.

Occorre rilevare che il dubbio, che si è cercato di fugare in merito a chi debba competere la formazione nel contratto di somministrazione, non riguarda anche l’addestramento. La disciplina dettata dall’art. 37 del d. lgs. n. 81/2008, è sul punto molto chiara: l’addestramento deve essere effettuato da persona esperta (che certamente non può essere il somministratore) e sul luogo di lavoro (dunque, sui luoghi in disponibilità dell’utilizzatore); inoltre, per il comma 4, lett. a), seconda parte, in caso di somministrazione di lavoro, la formazione e l’addestramento specifico (ove previsto) devono avvenire in occasione dell’inizio dell’utilizzazione. Dalla lettura combinata delle due norme si evince che soltanto all’utilizzatore potrà competere l’effettuazione dell’addestramento all’uso delle attrezzature, delle macchine, degli impianti, delle sostanze, dei dispositivi di protezione (individuale e non ) e delle procedure di lavoro.

 

 

6. Il libretto formativo

 

Una delle novità che i primi commentatori del decreto n. 81/2008 hanno rilevato come tra le più significative - ma anche tra le più controverse sotto il profilo applicativo - è data dall’obbligo – imposto al comma 14° dell’art. 37 - di registrare le competenze acquisite alla fine dei percorsi formativi nel libretto formativo del cittadino.

Il libretto formativo è lo strumento attraverso il quale si vuole costruire un modello per documentare le attività formative finalizzato a garantire la tracciabilità delle competenze acquisite da parte di ciascun lavoratore durante l’intera sua vita professionale. A dirla altrimenti, il libretto formativo è stato pensato per raccogliere, sintetizzare e documentare le diverse esperienze d’apprendimento dei cittadini lavoratori nonché le competenze da loro acquisite nella scuola, nella formazione, nel lavoro e nella vita quotidiana, al fine di migliorare la leggibilità e la spendibilità delle competenze e l’occupabilità delle persone, a vantaggio delle stesse persone che lavorano, delle imprese che li occupano e di quelle che li occuperanno.

L’obiettivo delle annotazioni sul libretto sembra essere duplice: dare al datore una visione chiara del livello di formazione del singolo lavoratore in modo da programmare i successivi percorsi formativi da attivare; consentire agli organi di vigilanza di monitorare e verificare che gli obblighi di informazione-formazione previsti dalla normativa vigente siano stati realmente adempiuti dal datore di lavoro.

E’ ben noto come il libretto formativo non sia nato oggi. Esso era stato originariamente previsto nell’Accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 20006, regolamentato dal d. m. n. 174/2001, successivamente ripreso dal decreto legislativo n. 276/2003 (art. 2, co. 1, lett. i)7, dal quale ha ricevuto la prima vera concreta spinta applicativa. Il format ufficiale del libretto formativo è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni del 14 luglio 2005, che è stato in seguito recepito dal decreto interministeriale lavoro ed istruzione del 10 ottobre 2005. Si tratta, tuttavia, di un “format minimo comune”: ogni Regione predisporrà la propria organizzazione per la gestione del libretto, che potrà essere arricchito ed adeguato. Ad oggi, ci si muove ancora in una fase embrionale e sperimentale, in cui sono coinvolte soltanto poche Regioni.

Sul piano tecnico, il libretto formativo, predisposto dalle singole Regioni in formato cartaceo e/o elettronico8, si articola in due Sezioni: la prima riguarda le principali informazioni personali connesse ai dati anagrafici e alle diverse tipologie di esperienze lavorative e ai titoli di studio e di formazione professionale; la seconda sezione è dedicata alla persona, alle sue competenze di base, sia a quelle di tipo professionale e trasversale, comunque acquisiste.

Esistono diverse criticità gestionali relative al libretto formativo, che non possono essere imputabili al decreto 81/2008. Ad esempio, non è dato di sapere se è il datore di lavoro a doverlo istituire e aggiornare, né chi sia tenuto a compiere la registrazione (l’art. 2, comma 1, lett. i) del d. lgs. n. 276/03 aveva previsto che le registrazioni avrebbero dovuto essere effettuate da operatori abilitati nell’ambito di ciascuna Regione), né ci sono indicazioni su come disciplinare le situazioni, assai comuni, di imprese con unità dislocate in Regioni diverse, dunque con modelli di libretto formativo possibilmente non coincidenti.

In punto di stretto diritto, le annotazioni effettuate nel libretto costituiscono piena prova della formazione compiuta e consentono di non incorrere nella sanzione penale prevista dall’art. 55, comma 4, lett. e) del d. lgs. n. 81/2008, che comporta l’arresto da quattro a otto mesi o dell’ammenda da 2.000 a 4.000 euro. Se il libretto costituisce piena prova dell’attività formativa svolta dal lavoratore, tuttavia esso non è l’unico strumento con cui se ne può certificarne l’effettuazione; infatti, si possono continuare ad utilizzare i verbali di formazione o le altre annotazioni su non meglio precisati registri. Nel decreto n. 81/2008 si afferma soltanto che gli organi di vigilanza devono tenere conto del libretto formativo per verificare l’adempimento degli obblighi in materia, rafforzando così la sua funzione di certificazione, ma senza escludere la possibilità di ricorrere anche ad altri strumenti. Il che, pur criticabile, rende peraltro meno problematica questa lunga fase di mera sperimentazione del Libretto formativo nelle diverse Regioni, che non è allo stato possibile preventivare quanto ancora si protrarrà.

Ad onor del vero, l’istituzione a regime del libretto formativo si delinea essenziale anche ai fini della piena applicazione della disciplina introdotta dall’art. 30 del decreto 81/2008 in materia di modelli organizzativi e gestionali che, ove adottati, avranno come conseguenza quella di sterilizzare gli effetti della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per quanto concerne le sanzioni previste dall’art. 25-septies del d. lgs. n. 231/2001 e dall’art. 300 del d.lgs. n. 81/2008. Infatti, l’art. 30 ha disposto che nel modello organizzativo prescelto occorresse prevedere anche idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività in materia di salute e sicurezza, tra cui ovviamente anche quelle formative, così da monitorare quale sia il reale bagaglio formativo del lavoratore valutabile anche ai fini dell’attestazione del possesso delle competenze necessarie a ricoprire i vari ruoli organizzativi e gestionali nell’ambito dell’azienda.

 

 

 

 

 

 

Riferimenti bibliografici per approfondire

 

 

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AMORIELLO, Il servizio di prevenzione e protezione: i requisiti dei responsabili e degli addetti al servizio di prevenzione e protezione, in TIRABOSCHI (a cura di), Il Testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 2008, 449

 

ANGELINI, Lavori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro: una criticità da governare, in PASCUCCI (a cura di), Il Testo Unico sulla sicurezza del lavoro, Atti del Convegno di Urbino (4 maggio 2007), Roma 2007, 103-109

 

ANGELINI, Sicurezza sul lavoro e nuove figure del mercato del lavoro, Relazione al convegno di studi “La nuova disciplina della salute e sicurezza dei lavoratori. Aspetti generali e aspetti specifici nel settore edile” Rimini, 23 maggio 2008, in Olympus (olympus.uniurb.it);

 

ARGANESE, Riflessioni sul diritto/dovere di informazione e formazione dei lavoratori nella prospettiva del nuovo testo unico ed alcune proposte di intervento, in PASCUCCI (a cura di), Il Testo Unico sulla sicurezza del lavoro, Atti del Convegno di Urbino (4 maggio 2007), Roma 2007, 111- 117

 

ARGANESE, Le attribuzioni agli organismi paritetici: dai nuovi impulsi della legge n. 123/07 al Testo Unico, Intervento al Convegno “ Sicurezza sul lavoro. I nuovi compiti e “poteri” degli organismi paritetici” (Fano, 31/3/2008), in Olympus (olympus.uniurb.it);

 

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DI MONTE, L’informazione e la formazione dei lavoratori, in RICCI (a cura di), La sicurezza sul lavoro, Bari, 1999, 179 ss.

 

FAVARANO, SORIANI BELLAVISTA, Manuale per la formazione alla salute e alla sicurezza. Strumenti per attuare e gestire la preparazione dei lavoratori in conformità al d. lgs, n. 626/1994, Il Sole24 Ore, Milano 2003

 

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PASCUCCI, Dopo la legge n. 123 del 2007. Prime osservazioni sul Titolo I del decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT - 73/2008, ora anche in Quaderni dell’Osservatorio Olympus, n. 1/2008

 

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STOLFA, Obblighi e diritti dei lavoratori, in RUSCIANO – NATULLO (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da CARINCI F., Torino, 2007

 

TIRABOSCHI, Lavoro atipico e ambiente di lavoro: la trasposizione in Italia della Direttiva n. 91/383/CEE, in Diritto delle relazioni industriali, 1996, 3, 35

 

 

TIRABOSCHI, Campo di applicazione e tipologie contrattuali, in TIRABOSCHI (a cura di), Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Commentario al d.lgs9 aprile 2008, n. 81, Milano, 2008, 65 ss.

 

 

 

 

 

Allegato

 

Art. 37 d. lgs. n. 81/2008

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    Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti

1. Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a:

concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza;

rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.

2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.

3. Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del presente decreto successivi al I.

Ferme restando le disposizioni già in vigore in materia, la formazione di cui al periodo che precede è definita mediante l’accordo di cui al comma 2.

4. La formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico devono avvenire in occasione:

della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro;

del trasferimento o cambiamento di mansioni;

della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.

5. L’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro.

6. La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi.

7. I preposti ricevono a cura del datore di lavoro e in azienda, un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro. I contenuti della formazione di cui al presente comma comprendono:

  1. principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;

  2. definizione e individuazione dei fattori di rischio;

  3. valutazione dei rischi;

  4. individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione.

8. I soggetti di cui all’articolo 21, comma 1, possono avvalersi dei percorsi formativi appositamente definiti, tramite l’accordo di cui al comma 2, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

9. I lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza devono ricevere un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico; in attesa dell’emanazione delle disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 46, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo 1998, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, attuativo dell’articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.

10. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi.

11. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti minimi:

  1. principi giuridici comunitari e nazionali;

  2. legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro;

  3. principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;

  4. definizione e individuazione dei fattori di rischio;

  5. valutazione dei rischi;

  6. individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione;

  7. aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori;

  8. nozioni di tecnica della comunicazione.

La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, con verifica di apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.

12. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici di cui all’articolo 50 ove presenti, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori.

13. Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.

14. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione di cui al presente decreto sono registrate nel libretto formativo del cittadino di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Il contenuto del libretto formativo è considerato dal datore di lavoro ai fini della programmazione della formazione e di esso gli organi di vigilanza tengono conto ai fini della verifica degli obblighi di cui al presente decreto.

 

1 Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. aa), la formazione è “il processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori e agli altri soggetti del sistema di prevenzione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi. Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. bb), l’informazione è “il complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione ed alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro”.

2 Il fondo è finanziato: a) da un contributo delle aziende nel cui ambito non sia stato eletto o designato il RLS in misura pari a due ore lavorative annue per ogni lavoratore occupato presso l’azienda o l’unità produttiva; b) dalle entrate derivanti dall’irrogazione delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 81 del 2008 per la parte eccedente quanto riscosso a seguito dell’irrogazione delle sanzioni previste dalla previgente normativa abrogata dallo stesso decreto nel corso dell’anno 2007, incrementato del 10%; c) con una quota parte delle risorse di cui all’art. 9, comma 3; d) relativamente all’attività formativa per le piccole e medie imprese di cui al comma 1, lett. b, anche dalle risorse di cui all’art. 11, comma 2.

3 In attesa di tali provvedimenti, restano ovviamente in vigore le norme del d.m. 10 marzo 1998, che attualmente prevedono programmi formativi razionali ed incisivi rispetto ai diversi standard di rischio, corredati di addestramento pratico e certificati dal rilascio di un’idoneità, dopo il superamento di una prova tecnica.

4 Peraltro, non appare di facile interpretazione il contenuto del comma 5 dell’art. 32 del decreto 81/2008, là dove si prevede l’esonero dei corsi di formazione per coloro che siano in possesso di titolo di studio, elencati non in modo specifico, come sarebbe stato auspicabile, ma attraverso un rinvio a tre decreti interministeriali, particolarmente complessi.

5 Secondo la definizione data dal legislatore all’art. 2, comma 1, lettera cc), del decreto 81/2008, l’addestramento è “il complesso delle attività dirette a far apprendere ai lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanza, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro”

6 Secondo tale Accordo “sono competenze professionali certificabili quelle che costituiscono patrimonio conoscitivo ed operativo degli individui ed il cui insieme organico costituisce una qualifica o figura professionale”.

7 I libretto formativo è “il libretto personale del lavoratore definito, ai sensi dell’Accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 2000, di concerto tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, previa intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni e sentite le parti sociali, in cui vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle Regioni, nonché le competenze acquisiste in modo non formale e informale secondo gli indirizzi dell’Unione europea in materia di apprendimento permanente purché riconosciute e certificate”.

8 Esso è allegato alla scheda anagrafico-professionale del lavoratore nell’ambito della Borsa Continua Nazionale del lavoro, ex decreti 273/2003 e 297/2002.