Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 14 novembre 2005, n. 22929 - Pulizia degli abiti da lavoro


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Guglielmo SCIARELLI - Presidente -
Dott. Alberto SPANÒ - Consigliere -
Dott. Fernando LUPI - Rel. Consigliere -
Dott. Donato FIGURELLI - Consigliere -
Dott. Natale CAPITANIO - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


sul ricorso proposto da:
C.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TACITO 70, presso lo studio dell'avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CARLO CIMINELLI, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
AMIU - AZIENDA MULTISERVIZI E D'IGIENE URBANA S.P.A.;
- intimato -
e sul 2° ricorso n° 09907/04 proposto da:
AMIU - AZIENDA MULTISERVIZI E D'IGIENE URBANA S.P.A.; in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14/7 SC. B, presso lo studio dell'avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIUSEPPE FERRARIS, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
nonché contro
C.P.F.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 287/03 della Corte d'Appello di GENOVA,depositata il 10/04/03 r.g.n. 1151/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/05 dal Consigliere Dott. Fernando LUPI;
udito l'Avvocato COSSU;
udito l'Avvocato FERRARIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Orazio FRAZZINI che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del ricorso principale e rigetto dell'incidentale.




Fatto


Con sentenza del 25.3.2003 la Corte di Appello di Genova rigettava gli appelli riuniti proposti dai ricorrenti in epigrafe nei confronti dell'AMIU s.p.a.- Azienda Multiservizi d'Igiene Urbana- ed avverso sentenza del Tribunale di Genova.

Osservava in motivazione che, pur sussistendo la denunciata nullità della clausola del contratto collettivo che pone a carico dei dipendenti la pulizia degli abiti di lavoro, anche perché il lavaggio domestico comporta pericoli alla salute dei familiari e non è idoneo alla disinfezione dei capi, la domanda risarcitoria non poteva essere accolta perché i ricorrenti non avevano prospettato danni alla salute. Riteneva poi che l'esecuzione di una prestazione in base ad un contratto nullo comportava l'esperibilità di una azione di indebito arricchimento, azione che non era stata proposta e della quale non erano stati dedotti e provati i presupposti di fatto, essendosi limitati i ricorrenti a chiedere un compenso per l'attività svolta, un petitum ed una causa petendi diverse da quelle previste dall'art. 2041 c.c..

I lavoratori propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, resiste con controricorso l'AMIU e propone ricorso incidentale affidato a tre motivi, le parti hanno depositato memorie.


Diritto


Precede logicamente l'esame dei tre motivi del ricorso incidentale, con il primo dei quali si contesta che sussista un obbligo legale dell'azienda di provvedere anche al lavaggio degli abiti da lavoro previsto dagli artt. 32 Cost, dal DPR 547 del 1955 o dal d.l.vo n. 626 del 1994, con il secondo che il CCNL non delegasse all'art. 20 il lavaggio ai dipendenti, con il terzo che siffatta delega fosse illegittima. I motivi sono infondati.

Quanto al primo questa Corte ha affermato, ed il Collegio condivide la decisione, che: "L'idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori - a norma dell'art. 379 del d.P.R. n. 547 del 1955 fino alla data di entrata in vigore del d.lg. n. 626 del 1994 e ai sensi degli art. 40, 43, commi 3 e 4, di tale decreto, per il periodo successivo - deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa. Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l'insorgenza e il diffondersi d'infezioni. Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell'obbligo previsto dalle citate disposizioni. (Fattispecie relativa ai dipendenti dell'azienda municipalizzata nettezza igiene urbana di Padova)." Cass n. 11139 del 1998.

Il secondo motivo è inammissibile perché carente di interesse in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che il contratto collettivo delegasse il lavaggio, ma ha ritenuto la nullità di tale pattuizione.

In ordine alla nullità di detta clausola la sentenza impugnata ha accertato in fatto in base a consulenze tecniche che l'operazione del lavaggio non poteva essere delegata ai dipendenti perché l'operazione era pericolosa per la salute dei dipendenti e dei loro familiari ed, inoltre, il lavaggio domestico è inidoneo alla completa disinfezione degli abiti. Questi accertamenti, non contestati dalla ricorrente, legittimano il giudizio di nullità della clausola perché in contrasto con le norme che tutelano la salute in generale, art. 32 Cost., e quella dei dipendenti in particolare art. 2087 c.c..

Passando all'esame del ricorso principale con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1227, secondo comma, c.c. i ricorrenti lamentano, che pur avendo la sentenza accertato l'inadempimento dell'azienda di provvedere al lavaggio degli abiti da lavoro, non l'abbia condannata al risarcimento del danno derivante dall'inadempimento costituito dalla mancata remunerazione del lavoro necessario per il lavaggio e del rimborso dalle spese per esso.

La censure sono fondate. Dalla nullità della clausola che poneva a carico dei lavoratori il lavaggio la sentenza impugnata ritiene che consegua una situazione di esecuzione di un contratto nullo, con la conseguente applicazione delle regole dell'indebito soggettivo o dell'indebito arricchimento. Tale ricostruzione oblitera che tra le parti sussistono contratti che hanno istituito rapporti di lavoro subordinato regolati da essi, dalla contrattazione collettiva e da norme di legge. La materia in questione è regolata, come affermato dalla citata sentenza di questa Corte, dalla legge che pone a carico del datore di lavoro anche il lavaggio degli abiti di lavoro che costituiscono protezione del lavoratore. Ritenuta la nullità della clausola che addossava l'onere al lavoratore, la materia restava regolata dalla legge. Essendo pacifico che il datore di lavoro non ha provveduto all'adempimento di questa obbligazione conseguiva il suo obbligo ex art. 1218 c.c. di risarcire il danno. Questa è la norma che regola la fattispecie e non quella sull'indebito arricchimento, atteso anche il carattere sussidiario di questa azione fissato dall'art. 2042 c.c..

L'accoglimento di questo motivo assorbe gli altri.

La sentenza impugnata che ha erroneamente qualificato l'azione proposta va, pertanto, cassata e la causa va rinviata ad altro giudice, che nel decidere si atterrà al seguente principio di diritto.

L'azione del lavoratore, diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento di un obbligo nei suoi confronti imposto dalla legge al datore di lavoro, è azione contrattuale regolata dagli artt. 1218 e segg. cod.civ.

Allo stesso giudice si demanda anche di provvedere sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.






P.Q.M.


La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri, cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

Cosi deciso in Roma il 6 ottobre 2005

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 14 NOV. 2005