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Cassazione Penale, Sez. 4, 25 ottobre 2013, n. 43730 - Tutela dei lavoratori distaccati



Il datore di lavoro è inderogabilmente destinatario di tutti gli obblighi di protezione e di prevenzione nei confronti di tutti i propri lavoratori dipendenti, pur quando adibiti allo svolgimento di attività lavorativa presso luoghi o cantieri appartenenti a soggetti terzi





 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo G. - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco M. - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
R.L. n. il (Omissis);
R.G. n. il (Omissis);
avverso la sentenza n. 1433/2011 pronunciata dalla Corte d'appello di Catanzaro il 18.6.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell'udienza pubblica del 17.10.2013 la relazione fatta dal Cons. dott. Marco Dell'Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. V. Geraci, che ha concluso per la dichiarazione d'inammissibilità del ricorso di R.L. e per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione a R.G. per essere il reato a lui ascritto estinto per prescrizione;
udito, per gli imputati, l'avv.to. R. Bova che ha concluso per l'accoglimento di entrambi i ricorsi.



Fatto


1. - Con sentenza resa in data 18.6.2012, la corte d'appello di Catanzaro ha integralmente confermato la sentenza in data 9.2.2011 con la quale il tribunale di Lamezia Terme ha condannato R. L. e R.G. alla pena di due anni di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, in relazione al reato di omicidio colposo commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di P.L., in (Omissis).

Con la sentenza d'appello, la corte territoriale ha confermato la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice, ribadendo i profili di colpevolezza rimproverabili nei confronti degli imputati in relazione all'infortunio sul lavoro occorso ai danni del P., il quale, lavoratore alle dipendenze di R.G., era stato da quest'ultimo avviato all'esecuzione di prestazioni lavorative presso l'impresa di R.L. e, in questo contesto, impegnato in lavorazioni su un'impalcatura priva di parapetti e sprovvisto del casco di protezione, era precipitato al suolo, così perdendo la vita per arresto cardiocircolatorio da grave trauma cranio encefalico.

Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.

2.1. - Con il proprio ricorso, R.L. censura la sentenza impugnata per violazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione agli artt. 546 e 192 c.p.p., nonchè vizio di motivazione.

In particolare, l'imputato si duole che il giudice d'appello, sulla scia delle valutazioni espresse dal giudice di primo grado, abbia confermato la responsabilità del ricorrente senza tener conto dell'imprevedibilità dell'evento (nella specie determinato dallo scoppio di una betoniera appartenente a un'impresa diversa da quella dell'imputato) e senza neppure procedere alla verifica del carattere causalmente autonomo e determinante di tale ultimo fattore eziologico, suscettibile di escludere ogni possibile rilevanza al comportamento colposo rimproverabile all'imputato.

Sotto altro profilo, l'imputato censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio allo stesso inflitto, immotivatamente determinato dal giudice del merito in misura sproporzionata.

2.2. - Con l'impugnazione proposta nell'interesse di R. G., il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione agli artt. 2087 e 2089 c.c., al D.P.R. n. 547 del 1955, nonchè vizio di motivazione.

In particolare, si duole il ricorrente che il giudice d'appello abbia immotivatamente trascurato la circostanza che l'incidente de quo si fosse verificato nell'ambito dell'impresa edile di R.L. sicchè nessuna responsabilità concorsuale poteva essere ascritta a R.G., titolare di un'impresa del tutto autonoma, non potendo quest'ultimo rispondere di eventi verificatisi nel corso dell'esecuzione dell'occasionale rapporto venutosi a creare tra la vittima, proprio dipendente, e l'impresa di R.L., dovendo escludersi nella specie la sussistenza di alcuno degli elementi essenziali integrativi della fattispecie del "distacco" (eventualmente suscettibile di configurare la persistenza dei vincoli di responsabilità in capo all'imprenditore distaccante), non sussistendo nella specie alcun interesse produttivo da parte del preteso imprenditore distaccante; interesse neppure desumibile, in ipotesi, dalle dichiarazioni meramente formali trasmesse dall'imputato all'Inail.

Sotto altro profilo, l'imputato ribadisce le medesime censure già illustrate dal coimputato R.L. avverso la sentenza impugnata, in relazione alla ricostruzione del nesso eziologico relativo all'evento mortale oggetto di giudizio, segnatamente riconducibile alle conseguenze ricollegabili allo scoppio della betoniera appartenente a terzi.

Da ultimo, l'imputato censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio allo stesso inflitto, determinato in misura eccessiva e sproporzionata, avuto particolare riguardo all'incensuratezza dell'imputato e all'assoluta marginalità della relativa posizione concorsuale nel quadro complessivo della vicenda oggetto di giudizio.

Diritto


3. - Osserva preliminarmente la Corte che il reato per il quale gli imputati sono stati tratti a giudizio è prescritto, trattandosi di fatti commessi alla data del (Omissis), in relazione ai quali trova applicazione (quanto al regime della prescrizione) la disciplina previgente alla L. n. 251 del 2005, siccome più favorevole agli imputati, ai sensi dell'art. 2 c.p. e L. n. 251 cit., art. 10; con la conseguenza che, riconosciute e concesse in favore degli imputati le circostanze attenuanti generiche (cfr., sul punto, la sentenza di primo grado), il termine di prescrizione per il reato di omicidio colposo loro ascritto deve ritenersi stabilito in sette anni e sei mesi.

Al riguardo, rilevato che i due ricorsi proposti non appaiono manifestamente infondati, nè risultano affetti da profili d'inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una "constatazione", che a un atto di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274).

E invero, il concetto di "evidenza", richiesto dall'art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).

Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell'imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui "positivamente" deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l'assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).

Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte - anche tenendo conto degli elementi evidenziati nelle motivazioni delle sentenze di merito e di quanto si sottolineerà più avanti - non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2.

Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato agli imputati estinto per prescrizione.

Ciò premesso - pervenendo all'esame dell'impugnazione ai fini delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, ai sensi dell'art. 578 c.p.p. -, rileva la corte come del tutto infondatamente gli odierni ricorrenti ripropongono in questa sede l'ipotesi di un'alternativa causalità del decesso della vittima, rispetto a quella ricostruita da entrambi i giudici del merito, avendo la corte territoriale adeguatamente specificato - sulla base di una motivazione esauriente e del tutto immune da vizi di indole logica giuridica, sì da sottrarsi alle censure sul punto sollevate da entrambi gli imputati - come l'ipotesi dello scoppio della betoniera, sostenuta dalla difesa, era già stata esclusa dalle indicazioni fornite dal responsabile del servizio prevenzione infortuni dell'ASL di Lamezia Terme, il quale aveva specificato come, là dove si fosse verificato detto scoppio, quest'ultimo avrebbe determinato la presenza di schizzi di calcestruzzo, tanto sulla vittima che sui tavoloni del ponteggio: evenienza del tutto assente nel caso di specie.

Sotto altro profilo, lo stesso teste aveva tecnicamente escluso l'ipotizzabilità dello scoppio, atteso che la beton-pompa spingeva il cemento dalla betoniera verso l'apice del braccio posto più in alto, mentre dal punto di partenza il cemento scendeva per caduta inerziale nel tubo senza alcuna pressione che potesse, in ipotesi, determinarne lo scoppio all'altezza del punto in cui si trovava il lavoratore deceduto, nè alcuna nube di polvere avrebbe potuto accompagnare un'eventuale esplosione, stante la natura semiliquida del cemento.

La stessa consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero sulle condizioni della beton-pompa aveva, inoltre, dissipato ogni dubbio, non essendosi rilevato alcuna manomissione o anomalia di funzionamento della stessa; là dove, infine, la consulenza medico- legale ha fornito la definitiva conferma dell'infondatezza della prospettazione della difesa attestando che dall'esame esterno, autoptico e istologico del cadavere e degli indumenti indossati dalla vittima al momento dell'evento, era da escludere la presenza di lesività da scoppio e/o tracce di cemento fresco rapportabili a un'eventuale esplosione del braccio mobile di una betoniera (v. pag. 2 della sentenza d'appello).

Del tutto priva di fondamento deve infine ritenersi la censura sollevata da R.G. in relazione all'estraneità dell'evento lesivo de quo all'ambito della relativa responsabilità, atteso che - a fronte del carattere astratto e meramente argomentativo della circostanza costituita dalla pretesa riconducibilità, dello svolgimento della prestazione lavorativa che condusse al decesso del P., a un'arbitraria iniziativa di quest'ultimo, asseritamente intesa ad arrotondare i propri guadagni nel relativo tempo libero - del tutto correttamente i giudici del merito hanno valorizzato il carattere decisivo rivestito dal ruolo dell'imputato, quale datore di lavoro del P., inderogabilmente destinatario di tutti gli obblighi di protezione e di prevenzione nei confronti di tutti i propri lavoratori dipendenti, pur quando adibiti allo svolgimento di attività lavorativa presso luoghi o cantieri appartenenti a soggetti terzi (cfr. Cass., Sez. 4, n. 37079/2008, Rv. 241021; Cass., Sez. 4, n. 10043/1994, Rv. 200149).

Sulla base di tali premesse, dichiarata l'estinzione del reato ascritto agli imputati per l'intervenuta prescrizione dello stesso, devono trovare viceversa integrale conferma le statuizioni civili contenute nelle sentenze di merito, stante l'infondatezza dei motivi di ricorso sul punto avanzati dagli imputati.


P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali, perchè il reato è estinto per prescrizione.

Conferma le statuizioni civili.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2013