Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 giugno 2014, n. 13863 - Malattia professionale e onere della prova


 

 

Presidente Stile – Relatore Venuti

Fatto


La Corte d'appello di Napoli, con sentenza depositata il 17 maggio 2012, ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da C.M. nei confronti della Banca della Campania S.p.A., volta ad ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti per l'eccessivo carico di lavoro cui era stato sottoposto, con conseguente aggravamento della patologia cardiaca da cui era affetto, nonché il risarcimento dei danni per la mancata progressione in carriera, quale funzionario, ed il supplemento di retribuzione per l'attività lavorativa svolta.
La Corte di merito, nel rilevare che la domanda risarcitoria era da inquadrare nella disciplina di cui all'art. 2087 cod. civ., avendo il lavoratore lamentato che la patologia cardiaca - per la quale si rese necessario un intervento chirurgico per sostituzione della valvola mitrale e l'impianto di quella meccanica - era ascrivibile alla condotta della società, la quale aveva asseritamente sottoposto il dipendente ad un eccessivo carico di lavoro, protrattosi nel tempo, per giunta in una filiale particolarmente esposta ad ambienti malavitosi, ha osservato, in sintesi, che, ammesso che vi fosse stato uno stress lavorativo, non era stato provato che questo fosse stato causa o concausa di accelerazione della patologia già latente, né la prova del collegamento tra lavoro usurante ed evento poteva essere ritenuta sulla base delle mere possibilità.
Al riguardo il difetto di allegazioni e di prova da parte del lavoratore era determinante per escludere qualsiasi responsabilità a carico del datore di lavoro. Avrebbe dovuto il lavoratore fornire la prova rigorosa dell'attività lavorativa svolta, del numero di ore eccedenti il normale orario di lavoro nonché dei mancati riposi settimanali, anziché dedurre genericamente di avere svolto attività lavorativa usurante, senza precisare le relative modalità e cadenze.
Ha aggiunto la Corte che, parimenti, non era stata fornita la prova - anche attraverso presunzioni - dell'effettivo danno psicofisico subito e che, peraltro, anche la consulenza tecnica espletata in primo grado e contestata solo con formule di stile, aveva escluso il rapporto causale tra l'attività lavorativa e la stenosi mitralica da cui il lavoratore era stato colpito.
Era da escludere, inoltre, il danno per la mancata promozione a funzionario, essendo rimessa al datore di lavoro la relativa valutazione discrezionale e non potendo il giudice sostituirsi al datore di lavoro nel compimento delle operazioni di scelta.
Infine era infondata anche la domanda per perdita di chance, non risultando che il datore di lavoro, nella nomina dei funzionali, avesse violato i principi di buona fede e correttezza.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione il dipendente sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. La Banca resiste con controricorso. La Società Reale Mutua Assicurazioni - chiamata in garanzia dalla Banca - è rimasta intimata.

Diritto



1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Deduce che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto di escludere la responsabilità del datore di lavoro sul presupposto del "difetto di allegazioni". Ed infatti nel ricorso introduttivo erano state specificamente indicate le "allegazioni di fatto" a sostegno della domanda risarcitoria, e cioè: la sottoposizione nel 1966 ad un intervento di "commissurotomia mitralica"; il suo stato di invalidità pari al 40%; la sua destinazione, quale preposto, ad una filiale già oggetto di quattro precedenti rapine; la rapina a mano armata, con minaccia di morte, subita nel 1991 con conseguente insonnia, stress, tachicardia e ansia; l'aggravamento, dello stato di invalidità e della patologia cardiaca; il cumulo degli incarichi di rilevante responsabilità; la sottoposizione nel 1997 ad intervento chirurgico per la sostituzione della valvola mitralica e l'impianto di quella meccanica. La Corte di merito, aggiunge il ricorrente, non ha chiarito le ragioni per cui le suddette allegazioni erano insufficienti né, tanto meno, le ha esaminate, "con conseguente impossibilità di individuare il procedimento logico-giuridico posto a base della valutazione di insufficienza".
2. Con il secondo motivo la ricorrente, nel denunziare omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, critica la sentenza impugnata per avere prestato adesione alla consulenza tecnica espletata in primo grado, del tutto lacunosa ed erronea. Ed infatti il c.t.u., nell'escludere il rapporto di causalità tra attività lavorativa e peggioramento della patologia cardiaca, ha ritenuto che il carico di lavoro svolto da esso ricorrente fosse ordinario e non particolarmente gravoso, non considerando che la patologia cardiaca si era nuovamente manifestata subito dopo la rapina e che si era ulteriormente aggravata nel periodo in cui era stato sottoposto a tre incarichi di direzione generale, normalmente attribuiti a tre diversi funzionali, con sottoposizione dunque ad un carico di lavoro tutt'altro che normale.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., rilevando che con il ricorso introduttivo aveva chiesto il risarcimento dei danni per usura psico fisica conseguente all'eccessivo carico di lavoro effettuato anche nelle giornate di sabato, ed in ogni caso un supplemento di retribuzione ex art. 2099 cod. civ. e 36 Cost., per avere speso maggiore impegno quantitativo e qualitativo per effetto del cumulo di responsabilità e mansioni, domande entrambe rigettate dal primo giudice. Avverso tale decisione, aggiunge, ha proposto impugnazione limitatamente alla seconda di dette domande, ma la Corte di merito ha totalmente omesso di esaminarla e di pronunziarsi al riguardo, dilungandosi nel motivare il rigetto della prima domanda, relativa al ristoro dei danni da usura psico fisica in ordine alla quale non era stata proposta impugnazione.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione circa la domanda risarcitoria relativa alla mancata promozione a funzionario a decorrere dal gennaio 1993. Nel rilevare che, diversamente da quanto affermato dalla sentenza impugnata, il ricorrente non ha invocato un suo automatico diritto alla promozione, il C. lamenta che la Corte di merito non ha accertato il rispetto da parte della Banca dei criteri di selezione dettati dalla normativa contrattuale, la cui corretta applicazione avrebbe senz'altro condotto alla sua promozione, essendo egli in possesso dei requisiti attitudinali e di capacità professionali, oltre che dei precedenti di carriera richiesti dall'art. 61 del contratto collettivo. Lamenta ancora che la Banca, nel procedere alle promozioni, ha omesso di effettuare la dovuta attività di comparazione tra gli aspiranti, attribuendo la qualifica di funzionario non già nell'esercizio di un potere discrezionale, bensì in totale arbitrio. La sentenza impugnata ha omesso di controllare il rispetto, da parte della Banca, delle regole procedurali nelle varie tornate promotive.
5. I primi due motivi, che in ragione della loro connessione vanno trattati congiuntamente, non sono fondati. La motivazione della sentenza impugnata, con riguardo a tali motivi, va però parzialmente corretta, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ..
Questa Corte ha più volte affermato che l'art. 2087 cod. civ., non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v., ex plurimis, da ultimo, Cass. 29 gennaio 2013 n. 2038) e che, in tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell'art. 2087 cod. civ., la parte che subisce l'inadempimento non deve dimostrare la colpa dell'altra parte - dato che ai sensi dell'ari. 1218 cod. civ. è il debitore - datore di lavoro che deve provare che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile - ma è comunque soggetta all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l'asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell'esercizio dell'impresa, debbono essere adottate per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (Cass. 11 aprile 2013 n. 8855; Cass. 12 marzo 2003 n. 3622; Cass. 5 marzo 2002 n. 3162; Cass. 7 novembre 2000 n. 14469).
La prima e l'ultima sentenza dianzi indicate sono state emesse in fattispecie che hanno attinenza con la presente, relative alla pretesa del dipendente di un istituto di credito di ottenere il risarcimento dei danni permanenti alla salute derivati da una serie di rapine compiute presso l'agenzia ove il lavoratore aveva prestato attività di addetto allo sportello bancario e dal trasferimento disposto dall'istituto in altra sede "notoriamente" soggetta a rapine. Le sentenze di merito avevano respinto le domande, sul presupposto che il lavoratore si fosse limitato ad allegare l'esistenza e l'entità del danno e il nesso causale fra questo e i fatti dedotti, senza porre a fondamento della domanda né la negligenza della banca circa la mancata adozione di misure di sicurezza idonee ad evitare le rapine, né l'illegittimità del trasferimento. La S.C., nel confermare le sentenze impugnate, ha affermato il principio su esteso.
Nella specie, come risulta dalla sentenza impugnata e dagli scritti difensivi delle parti, il ricorrente ha dedotto l'esistenza del pregiudizio nonché il nesso causale fra la condotta del datore di lavoro e i danni, ma non già, con riguardo alle rapine subite, l'omessa predisposizione da parte della Banca di misure minime di sicurezza e di prevenzione atte a scongiurare, nei limiti del possibile, la commissione di fatti delittuosi.
6. Quanto all'eccessivo carico di lavoro che avrebbe concorso ad aggravare la patologia cardiaca, la Corte di merito, nel rigettare la domanda relativa ai lamentati danni da usura psico fisica, ha affermato che, ancor prima della prova di tali danni e del collegamento causale con la condotta del datore di lavoro, il dipendente avrebbe dovuto fornire la prova rigorosa dell'attività lavorativa svolta, del numero di ore lavorative eccedenti l'orario normale di lavoro, dei mancati riposi settimanali per effetto dello svolgimento dell'attività lavorativa.
Tenuto conto di tutto quanto precede e dei principi come sopra enunciati da questa Corte, è irrilevante che il giudice d'appello, al fine di escludere la responsabilità a carico del datore di lavoro, abbia fatto riferimento al "difetto di allegazioni” da parte del dipendente, locuzione questa che, in mancanza di ulteriori specificazioni (v. pag. 5 sentenza: "Nel caso di specie il difetto di allegazioni è stato determinante nell'escludere qualunque responsabilità a carico del datore di lavoro....."), pare si riferisca non già alle "allegazioni di fatto", come assume il ricorrente, bensì - letta tale frase in connessione con le affermazioni immediatamente precedenti e successive contenute nella sentenza - alle allegazioni circa il nesso causale tra il comportamento datoriale e il danno.
Parimenti irrilevanti sono le critiche rivolte dal ricorrente alla consulenza tecnica d'ufficio - che ha accertato la insussistenza di un nesso causale tra l'attività lavorativa svolta dal C. e l'aggravamento della patologia cardiaca - in mancanza di prova, in base ai principi di diritto sopra enunciati, della violazione, da parte del datore di lavoro, di clausole contrattuali, di norme inderogabili di legge, di regole generali di correttezza e buona fede, ed in particolare delle norme relative all'orario di lavoro.
7. Anche il terzo motivo è infondato.
Deduce il ricorrente che la Corte di merito ha omesso di pronunziarsi sulla censura relativa al mancato accoglimento della domanda volta ad ottenere il supplemento di retribuzione, ex art. 2099 cod. civ. e 36 Cost., per avere il medesimo speso maggiore impegno quantitativo e qualitativo per effetto di cumulo di incarichi, con relative rilevanti responsabilità.
Ma, se è vero che tale censura non è stata specificamente esaminata, tuttavia in ordine alla stessa la Corte di merito, nel rigettare il gravame, si è implicitamente pronunciata, affermando, come più sopra osservato, con riguardo alla censura relativa ai danni per usura psico fisica derivante da eccessivo carico di lavoro, che il "lavoratore avrebbe dovuto fornire una prova rigorosa relativa all'attività lavorativa svolta, al numero di ore lavorative eccedenti l'orario normale svolte mese per mese, ai mancati riposi derivanti dalla prosecuzione dell'attività lavorativa per più di 6 giorni consecutivi".
Statuizione questa, peraltro non impugnata dal lavoratore, che implicitamente esclude il fondamento della domanda di supplemento di retribuzione, ove si consideri che tale domanda e quella di danni da usura psico fisica erano fondate sugli stessi presupposti (lavoro effettuato anche nelle giornate di sabato "al fine di fronteggiare lo smisurato carico di lavoro"; maggiore impegno qualitativo e quantitativo per effetto del cumulo di responsabilità e mansioni).
8. Privo di fondamento è infine il quarto motivo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte il diritto soggettivo del lavoratore ad essere promosso ad una categoria, grado o classe superiori presuppone una disciplina collettiva che garantisca l'avanzamento come effetto immediato di determinate condizioni di fatto, delle quali sia accertata l'esistenza prescindendo da ogni indagine valutativa del datore di lavoro; pertanto, nell'ipotesi in cui la disciplina collettiva in tema di promozioni rimetta il giudizio di merito, sulle attitudini e le capacità professionali, esclusivamente al datore di lavoro, il giudice, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost., non può sostituirsi al datore medesimo, potendo sindacarne l'operato solo se la mancata promozione sia espressione di una deliberata violazione delle regole di buona fede e correttezza che presiedono allo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass. 5 aprile 2012 n. 5477; Cass. 26 maggio 2003 n. 8350; Cass. 1 agosto 2001 n. 10514; Cass. 30 maggio 1990 n. 5062).
Nella specie la Corte di merito ha osservato che alcun diritto soggettivo vantava il ricorrente alla promozione, atteso che, a norma dell'art. 61 CCNL delle aziende di credito del 22 giugno 1995, le promozioni dei funzionari venivano effettuate dall'azienda in relazione alle proprie esigenze organizzative e funzionali, tenendo presenti le attitudini a ricoprire il grado superiore, la capacità professionale e le particolari attitudini del dipendente; che il diritto alla promozione non poteva discendere dal fatto che il ricorrente aveva asseritamente svolto attività particolarmente qualificata, conseguendo sempre la qualifica di ottimo, ovvero dalla circostanza di avere svolto una eccessiva mole di lavoro; che il ricorrente, ai fini risarcitoli, non aveva allegato e dimostrato di possedere concrete ed effettive probabilità di conseguire la promozione rispetto ad altri dipendenti.
In replica a tali affermazioni il ricorrente rileva che il rispetto, da parte della Banca, delle "regole procedurali avrebbe reso altamente probabile la sua promozione", ma non indica quali regole il datore di lavoro abbia violato. Aggiunge che se la Banca avesse applicato "i criteri di selezione" previsti dall'art. 61 del CCNL sopra citato, con elevato grado di probabilità sarebbe
stato promosso, ma non precisa quali criteri il datore di lavoro abbia omesso di osservare. Assume che la Banca non ha effettuato "quella doverosa attività di comparazione tra più posizioni", ma omette di precisare le posizioni degli altri dipendenti che hanno ottenuto la promozione. Deduce di essere stato immotivamente escluso dalle tornate promotive degli anni 1991, 1994 e 1996, "tenuto conto della sua fulminante carriera e della notevole capacità professionale dimostrata", non considerando che per la promozione a funzionario, secondo la indicata disposizione contrattuale, il giudizio sulle attitudini a ricoprire il grado, sulla capacità professionale e i precedenti di carriera e di lavoro è attribuita all'imprenditore, al quale, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost., non può sostituirsi il giudice, e che l'operato del datore di lavoro può essere sindacato solo se la mancata promozione sia espressione di deliberata violazione delle regole di buona fede e correttezza, evenienza questa non ricorrente nella specie.
Anche questo motivo va pertanto rigettato.
9. Avuto riguardo alla complessità e alla oggettiva incertezza delle questioni trattate, vanno compensate tra le parti costituite le spese del presente giudizio.
Nulla per le spese nei confronti della Reale Mutua Assicurazioni, rimasta intimata.


P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti costituite le spese del presente giudizio.
Nulla per le spese nei confronti della Società Reale Mutua Assicurazioni.