Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, 19 giugno 2014, n. 13959 - Comportamenti mobbizzanti




 

Fatto





1. Il Tribunale di Verona, in parziale accoglimento del ricorso proposto da M.M. quale direttore generale dell’Aeroporto V. di Verona-Villafranca, dichiarava l’illegittimità del licenziamento da questo subito in data 17 marzo 2004 e condannava la società datrice di lavoro al pagamento di oltre 460 mila euro, con accessori, a titolo di risarcimento del danno per l’anticipata risoluzione del rapporto di lavoro nonché a titolo di indennità supplementare e di indennità sostitutiva del preavviso.

Il M.M. interponeva appello per le domande che non erano state accolte e precisamente per quella avente ad oggetto il risarcimento del danno a lui arrecato dal demansionamento e dai comportamenti definiti "mobbizzanti" asseritamente diretti contro di lui, nonché per quella tendente a risarcire la mancata indicazione degli obiettivi da parte della società per l’anno 2003 come contrattualmente previsto; impugnava altresì la liquidazione dell’indennità supplementare nella misura minima di due mensilità.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza dell’8 marzo 2012, ha respinto l’appello. Ha ritenuto che il primo giudice legittimamente avesse disatteso le richieste di prova testimoniale formulate dall’attore per dimostrare la condotta illecita denunciata in quanto irrilevanti, generiche ed inammissibili; ha condiviso pure l’assunto per il quale era stata rigettata la domanda relativa alla mancata indicazione degli obiettivi per l’anno 2003, in quanto il M.M. avrebbe dovuto offrire ulteriori elementi a sostegno del diritto al risarcimento del danno, in modo che si potesse ritenere che, ove prefissati, sarebbero stati raggiunti; infine ha giudicato adeguata la liquidazione dell’indennità supplementare nella misura minima, in quanto il licenziamento era stato irrogato in epoca in cui esisteva serio contrasto giurisprudenziale in ordine all’applicabilità dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 ai dirigenti.

2.— Il ricorso del M.M. ha domandato la cassazione della sentenza per tre motivi.

Ha resistito la società intimata con controricorso, illustrato da memoria.



Diritto





1. — Con il primo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione riguardo alle prove del cd. mobbing, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., contestando sia l’istanza di reiezione di prove orali, sia l’omesso esame di "36 documenti (importantissimi)".

Con il secondo mezzo si sostiene omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione riguardo alla quantificazione dell’indennità supplementare nella misura minima, visto che il licenziamento era da considerare illegittimo anche per motivi sostanziali oltre che per quelli formali riscontrati dalla Corte.

Con l’ultima critica si denuncia ancora omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione riguardo il mancato riconoscimento del risarcimento del danno per violazione dell’impegno contrattuale di fissare annualmente gli obiettivi aziendali.

2. — Il ricorso è infondato.

2.1. — Avuto riguardo alla prima censura, occorre ribadire il principio espresso da questa Corte secondo cui il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011).

Nella specie alcuno dei capitoli di prova testimoniale non ammessi dai giudici di merito si riferisce a fatti dotati di tale carattere di decisività.

Quanto poi ai "36 documenti (importantissimi)" di cui pure si lamenta l’omesso esame — a taluni dei quali ci si riferisce nel capitolato di prova testimoniale - è appena il caso di rilevare che, ove si denunci ai giudici di legittimità il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento, si ha l'onere di indicare nel ricorso il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. (a pena di inammissibilità) e dall'art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c. (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (vedi, per tutte: Cass. SS.UU. 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SS.UU. 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952).

Onere completamente trascurato nel ricorso all’attenzione di questa Corte.

2.2. — Con il secondo mezzo di impugnazione si invoca il vizio di difetto di motivazione perché la Corte territoriale avrebbe confermato la quantificazione dell’indennità supplementare nella misura minima, nonostante il licenziamento fosse da considerare illegittimo anche per motivi sostanziali, oltre che per quelli formali riscontrati dai giudici di merito.

La censura non può essere accolta.

Anche a non voler considerare che l’istante, in palese violazione del principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, non ha riportato il contenuto della clausola della contrattazione collettiva su cui fonda la pretesa all’indennità in diversa misura, è sufficiente rammentare che il giudizio sull’ammontare dell'indennità supplementare spettante ai dirigenti è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione (Cass. n. 389 del 1998).

Come in tutti i casi in cui si tratta di stabilire la misura di una indennità tra un minimo ed un massimo predeterminati, il potere discrezionale affidato al giudice di merito è censurabile in sede di legittimità solo ove la motivazione sia assente, illogica o contraddittoria (da ultimo, con riferimento all'art. 32, co. 5, della legge n. 183 del 2010, v. Cass. n. 6122 del 2014; in precedenza, avuto riguardo all’art. 8 della legge n. 604 del 1966, tra le altre: Cass., n. 107 del 2001; n. 11107 del 2006; n. 13380 del 2006).

Nel caso di specie, con una valutazione che non appare né illogica né contraddittoria, la Corte di Appello di Venezia, in conformità con il giudizio di prime cure, ha concluso per il minimo della indennità supplementare, considerando che il licenziamento era stato dichiarato illegittimo per un motivo formale su cui, al momento dell’adozione del recesso, sussisteva serio contrasto giurisprudenziale.

Il ricorrente opina che il licenziamento era altresì ingiustificato dal punto di vista sostanziale, ma si tratta di asserzione processualmente indimostrata e se il M.M. avesse avuto interesse all’accertamento esclusivo di tale profilo era sufficiente rinunciare a far valere il vizio formale.

2.3. — Con il terzo motivo si lamenta ancora omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione riguardo il mancato riconoscimento del risarcimento del danno per violazione dell’impegno contrattuale di fissare annualmente gli obiettivi aziendali.

Il ricorrente ritiene che, poiché per previsione del contatto individuale di lavoro, gli obiettivi andavano concordati entro il 31 marzo di ogni anno, "il non avervi provveduto di per sé solo giustificherebbe la legittimità della richiesta" risarcitoria.

L’assunto non ha pregio.

Per acquisito principio di diritto (Cass. SS. UU. n. 6572 del 2006) l’inadempimento del datore di lavoro per violazione di obblighi derivanti dal contratto è regolato dall'art. 1218 e dall’art. 1223 del cod. civ., valendo anche in questo caso la distinzione tra "inadempimento" e "danno risarcibile" secondo gli ordinari principi civilistici per i quali i danni attengono alla perdita o al mancato guadagno che siano "conseguenza immediata e diretta" dell’inadempimento, lasciando così chiaramente distinti il momento della violazione degli obblighi da quello, solo eventuale, della produzione del pregiudizio. Dall'inadempimento datoriale non deriva perciò automaticamente l'esistenza del danno, ossia questo non è, immancabilmente, ravvisabile a causa della potenzialità lesiva dell’atto illegittimo. Compete a chi se ne duole allegare e provare effettività ed entità del pregiudizio.

Dunque il motivo radicato sulla tesi che la violazione dell’obbligo contrattuale giustificherebbe di per sé il risarcimento del danno, attribuendo una somma di denaro in considerazione del mero accertamento dell’inadempimento e configurandosi come una sanzione civile punitiva estranea al nostro ordinamento, è infondato.

3. — Alla stregua delle osservazioni esposte il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, L. n. 228 del 2012, "Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso". L’art. 1 comma 18 della L. n. 228 del 2012 ha disposto che "Le disposizioni di cui al comma 17 si applicano ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge." Poiché il ricorso per cassazione, poi respinto, risulta nella specie notificato in data 8 marzo 2013 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui innanzi.



P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 100,00 per esborsi, oltre accessori. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso medesimo a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.