Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 maggio 2014, n. 12203  - Infortunio e natura del rapporto di lavoro


 

 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente -
Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - rel. Consigliere -
Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere -
Dott. BUFFA Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 26117-2011 proposto da:
P.E. C.F (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell'avvocato BERNETTI MARIA, rappresentato e difeso dall'avvocato CASCIANI GIUSEPPE, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati ROSSI ANDREA, RASPANTI RITA, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 6984/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 26/10/2010 R.G.N. 10754/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/04/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;
udito l'Avvocato DEL GUERCIO MARIA ADELAIDE per delega CASCIANI GIUSEPPE;
udito l'Avvocato PUGLISI LUCIA per delega ROSSI ANDREA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.





FattoDiritto


1- Con sentenza resa in data 26 ottobre 2010, la Corte d'appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto dall'Inail, condannava P.E. al pagamento in favore dell'istituto assicuratore della somma di Euro 73.149,18, oltre agli interessi legali.

1.1.- La Corte di merito, dopo aver confermato la statuizione del primo giudice di rigetto dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'appellato, sul presupposto che la sentenza di condanna per il reato di lesioni colpose, commesso in danno di G. B., era divenuta definitiva in data 10 maggio 1991 e che la costituzione in mora del P. era avvenuta con lettera raccomandata ricevuta nel marzo 1994, riteneva che la sentenza penale non avesse escluso l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il P. e il lavoratore, ma anzi aveva ritenuto che, a prescindere dalla natura del rapporto, sussisteva la responsabilità dell'imprenditore per gli infortuni accaduti, in violazione delle norme di sicurezza, sia al lavoratore autonomo sia al lavoratore subordinato, dei quali egli si sia avvalso nell'organizzazione del lavoro.

1.2.- Ciò premesso, riteneva che la subordinazione fosse stata comprovata dal rapporto dell'ispettorato del lavoro del 23 luglio 1984, in cui si attestava che il G. "era stato regolarmente assunto come è risultato dalle scritturazioni e dai libri paga e matricola". Tale circostanza, verificata in via diretta dall'ispettore, era assistita da fede privilegiata fino a querela di falso.

1.3. - Inoltre, tale emergenza era stata confermata dallo stesso lavoratore il quale aveva dichiarato ai verbalizzanti di aver "preso accordi" con il P. perchè fosse assunto, con la normale iscrizione nei libri paga e matricola.

2. - Contro la sentenza il P. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L'Inail resiste con controricorso, illustrato da memoria.

3.1.- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La censura è suddivisa in tre profili.

1.a) Sotto il primo profilo, reitera l'eccezione di prescrizione, sul presupposto che la lettera raccomandata che l'INAIL assume di aver inviato in data 16 marzo 1994 non era mai stata da lui ricevuta, come emergeva dalla firma apposta sull'avviso di ricevimento. Inoltre, come da certificazione anagrafica allegata ai fascicoli dei gradi precedenti, egli aveva sempre avuto una residenza diversa da quella a cui era stata spedita la lettera e che era onere dell'Inail provare l'effettivo ricevimento della stessa, ai fini della interruzione della prescrizione.

1.b). Sotto il secondo profilo, ribadisce le precedenti doglianze in ordine all'ordinanza della Cassazione penale, che gli sarebbe stata notificata il 7 gennaio 1991 (ed il 4 gennaio al suo difensore), mentre l'azione di regresso era stata avviata il 5 maggio 1994, oltre il triennio di prescrizione, 1.c). Sotto il terzo profilo, ripropone l'eccezione di improcedibilità dell'appello per il mancato rispetto del termine di notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza, essendo stato notificato il 3 novembre 2005 a fronte del decreto presidenziale emesso il 18 marzo 2005.

3.2. - La censura, nella sua intera articolazione, è inammissibile per difetto di autosufficienza.

a) In tema di giudizio per cassazione, l'onere del ricorrente, di cui all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 3, "ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi" (Cass., 3 novembre 2011, n. 22726; v. da ultimo, Cass., ord. 16 marzo 2012, n. 4220 e Cass., 9 aprile 2013, n. 8569). Nella specie, il ricorrente ha omesso di indicare dove e quando sarebbe avvenuta la produzione dei documenti atti a sostenere la suddetta censura, nè ha provveduto a trascrivere la documentazione postale da cui risulterebbe che la lettera raccomandata dell'INAIL sarebbe stata inviata ad un indirizzo diverso da quello di residenza; parimenti, non risulta trascritto l'avviso di ricevimento della raccomandata spedita dall'Inail, in cui si attesterebbe la consegna dell'atto ad un soggetto diverso da quelli indicati nell'art. 139 c.p.c.. Non risulta neppure indicato dove e quando sarebbe stato prodotto il certificato di residenza anagrafica del ricorrente.

Ora, è ormai principio consolidato di questa Corte quello secondo cui "qualora si denunci la nullità di una notifica perchè dalla relata non risulta il rinvenimento delle persone indicate dall'art. 139 cod. proc. civ., non è sufficiente per attivare il potere-dovere del giudice di esame degli atti, per accertare la sussistenza o meno della dedotta violazione, un generico richiamo alla mancanza dell'attestazione predetta, bensì, per il principio dell'autosufficienza del ricorso, è necessaria la trascrizione integrale della relata, recante anche l'indicazione della data della stessa, onde consentire al giudice il preventivo esame della rilevanza del vizio denunziato" (Cass., 29 agosto 2005, n. 17424).

b) Altrettanto è a dirsi per quanto riguarda l'ordinanza della Cassazione penale e la data in cui la pronuncia di condanna sarebbe divenuta irrevocabile, non avendo il ricorrente indicato la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione di tale documentazione è avvenuta, nonchè la sede in cui nel fascicolo d'ufficio o in quelli di parte essa è rinvenibile, nè avendo provveduto a riprodurne il contenuto nel ricorso. L'esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell'autosufficienza, si giustifica con la necessità di consentire a questa Corte l'immediata valutazione ex actis circa la veridicità delle asserzioni, prima del loro esame nel merito (Cass., Sez. un. 3 novembre 2011, n. 22726, cit). Tutto ciò a fronte di una motivazione della Corte territoriale completa ed esauriente, in cui si afferma che il ricorso è stato dichiarato inammissibile in data 10 maggio 1991 e che le diverse date riportate dall'appellato "non trovano riscontro negli atti depositati".

c) Per la stessa violazione del principio di autosufficienza, valido oltre che per il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anche per quello previsto dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa, anche l'eccezione di improcedibilità dell'appello è inammissibile.

In tal senso si è espressa questa Corte, da ultimo con la sentenza 20 luglio 2012, n. 12.664 (v. pure Cass., 19 aprile 2006, n. 9076), secondo cui: "Anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l'ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali.

Ad ogni buono conto, è pacifico che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il termine per la notificazione del ricorso in appello e del decreto di fissazione d'udienza ai sensi dell'art. 435 c.p.c., comma 2 è un termine non perentorio e la sua inosservanza non comporta alcuna decadenza, sempre che, come precisato dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 60 del 2010, resti garantito all'appellato uno "spatium deliberando non inferiore a quello legale prima dell'udienza di discussione, affinchè questi possa approntare le sue difese, e purchè non vi sia incidenza alcuna del comportamento della parte, in mancanza di differimento dell'udienza, sulla ragionevole durata del processo" (v. Cass., 31 maggio 2012, n. 8685). Evenienze, queste ultime, neppure dedotte dal ricorrente.

4.- Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza per falsa applicazione di norme di diritto e insufficiente motivazione.

Deduce che l'assunto del giudice del merito circa l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con l'infortunato non trova alcun sostegno probatorio e che lo stesso lavoratore aveva dichiarato agli ispettori di essere alle dipendenze di un'altra impresa e di aver lavorato nel cantiere del ricorrente solo qualche giorno prima dell'infortunio, per eseguire lavori di saldatura con la saldatrice di proprietà dello stesso infortunato.

4.1.- Deduce che aveva provveduto ad iscrivere il lavoratore sul libro paga non appena accaduto l'infortunio, ma da ciò non poteva desumersi l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato.

4.2. - Anche questo motivo è inammissibile.

Il ricorrente non indica quali degli argomenti addotti dal giudice del merito sarebbe inficiato da insufficiente motivazione o illogicità o contraddittorietà, bensì rivolge a questa Corte un'impropria istanza di revisione delle valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal Giudice di merito, al fine di ottenere una valutazione delle prove che risulti conforme alle sue aspettative.

4.3. E' altresì inammissibile nella parte in cui, facendo riferimento al documento sottoscritto dall'infortunato, non indica dove e quando tale documento sarebbe stato introdotto nel giudizio, sì da non consentire a questa Corte di valutarne la ritualità della produzione oltre che la sua decisività.

5. Nel terzo motivo si denuncia la falsa applicazione di norme di diritto. Si assume che la somma a cui è stato condannato era stata computata erroneamente su una percentuale di invalidità del 40%, attribuita in fase di prima definizione e non su quella successiva, conseguente alla stabilizzazione dei postumi, di gran lunga inferiore, tanto che il lavoratore aveva quasi del tutto acquisito la capacità lavorativa; che, trattandosi di ristoro all'INAIL per gli esborsi effettivamente effettuati a favore dell'infortunato, la somma doveva essere meglio determinata sulla base di quanto effettivamente erogato.

5.1. - Anche questo motivo è inammissibile.

Nel ricorso per cassazione, il vizio della violazione e falsa applicazione di legge di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto non solo con l'indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumono in contrasto con le norme regolatici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., 26 giugno 2013, n. 16038).

5.2.- Nella specie, la parte si è limitata a riprodurre tesi già sostenute dinanzi al giudice del merito e da questi disattese, sul rilievo che la somma posta a carico dell'odierno ricorrente corrisponde a quanto effettivamente corrisposto dall'INAIL all'infortunato per le indennità di temporanea, spese mediche e rendita fino al 1 luglio 1992, "senza che sul punto vi siano contestazioni da parte dell'appellato", e che i miglioramenti di cui all'odierna censura rimontano ad epoche successive al 1992, sicchè sono ininfluenti ai fini della determinazione del quantum. Le censure appaiono dunque generiche e ripetitive di argomenti già disattesi dal primo giudice e che il ricorrente non prende affatto in considerazione.

6. - Con il quarto motivo si denuncia la falsa applicazione di norme di diritto in ordine alla condanna dell'appellato alle spese del giudizio, dovendo invece trovare applicazione, trattandosi di un giudizio previdenziale, l'art. 152 disp. att. c.p.c.. Quest'ultimo motivo è infondato.

6.1. - L'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente all'epoca di presentazione del ricorso giudiziario (5 maggio 1994), dispone che "il lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali non è assoggettato al pagamento di spese, competenze ed onorari a favore degli istituti di assistenza e previdenza, a meno che la pretesa non sia manifestamente infondata e temeraria".

La formulazione della norma non lascia margini di dubbio. L'esonero del lavoratore dall'obbligo di rifusione delle spese è subordinato al fatto che questi abbia chiesto ad istituti di assistenza e previdenza prestazioni previdenziali; e che tale pretesa non sia manifestamente infondata e temeraria.

6.2. - L'azione promossa dall'INAIL nei confronti del datore di lavoro a titolo di regresso per ottenere il rimborso di quanto erogato in favore del lavoratore è sì una causa previdenziale ma non rientra fra quelle per le quali è previsto, nel concorso della assenza di temerarietà e manifesta infondatezza, il mancato assoggettamento alle regole dettate dall'art. 91 c.p.c. (Cass., 24 ottobre 2008, n. 25759).

7. - Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.



P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2014