Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 27 giugno 2014, n. 14615 - Morte di un lavoratore: amianto o altre concause


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -
Dott. TRIA Lucia - Consigliere -
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - rel. Consigliere -
Dott. GHINOY Paola - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 28377-2008 proposto da:
NUOVA S. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. VICO 1, presso lo studio dell'avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato LUCCHINI BRUNO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
C.L. C.F. (OMISSIS), CA.LO. C.F. (OMISSIS), CA.GI. C.F. (OMISSIS),
nella qualità di eredi di CA.PI., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell'avvocato AMOS ANDREONI, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato ONGARO LUCIANO, giusta delega in atti;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 129/2008 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 08/08/2008 R.G.N. 630/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito l'Avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO;
udito l'Avvocato AMOS ANDREONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo che ha concluso per il rigetto.

Fatto


Con sentenza 8 agosto 2008, la Corte d'appello di Brescia rigettava l'appello proposto da Nuova S. s.r.l. avverso la sentenza di primo grado, che l'aveva condannata al pagamento, in favore di C.L., Gi. e Ca.Lo., quali eredi di Ca.Pi., della somma di Euro 329.901,65, a titolo di risarcimento del danno biologico e morale sofferto dal loro congiunto, deceduto per insufficienza cardio-respiratoria determinata da neoplasia del carcinoma adenosquamoso associato a placche pleuriche calcificate, dipendente dall'omissione colposa di misure di sicurezza idonee alla prevenzione e diminuzione delle polveri di amianto, presenti sul luogo di lavoro in ragione dell'attività produttiva di manufatti in cemento amianto della società datrice, alle cui dipendenze egli aveva lavorato con mansioni varie dal 1 aprile 1946 al 30 luglio 1976.

In esito a diffusa illustrazione dell'evoluzione storica della conoscenza degli effetti dell'esposizione ad amianto nella disponibilità di Nuova S. s.r.l. già dalla seconda metà degli anni sessanta, nonchè a critico ed argomentato esame delle risultanze istruttorie e della C.t.u. medico - legale esperita nel giudizio di primo grado, la Corte territoriale riteneva la prova: dell'eziopatogenesi professionale della malattia contratta da Ca.Pi.; del nesso concausale tra sua insorgenza e durata e quantità di esposizione del lavoratore alle polveri di amianto, tenuto conto della sua condizione di fumatore (stimata dal C.t.u. in un'incidenza causale tra il 48,5% e l'80,5%), comportante un abbattimento del 65% dell'ammontare risarcibile per il danno biologico e morale patito dal lavoratore, liquidato in base alle tabelle del Tribunale di Milano; dell'omissione dalla società datrice delle misure di sicurezza all'epoca adottabili in base allo stato delle conoscenze tecniche (segregazione degli ambienti polverosi, installazione di impianti di aspirazione adeguati, abbattimento delle polveri con l'umidificazione), in violazione dell'art. 2087 c.c. e D.P.R. n. 303 del 1956, art. 21.

Nuova S. s.r.l. ricorre per cassazione con due motivi, cui resistono con controricorso C.L., Gi. e Ca.

L., nella qualità; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..


Diritto


Con il primo motivo la società ricorrente, illustrata la statuizione del tribunale sulla scorta delle risultanze di C.t.u. ampiamente riportate (con particolare riferimento alla valutazione di sussistenza del nesso causale tra l'esposizione ad amianto di Ca.Pi., per l'attività lavorativa prestata per dodici anni presso il reparto di produzione tubi e per nove presso il reparto lastre e la patologia insorta, tenuto conto della concorrente efficienza causale della sua abitudine al fumo), deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., anche in relazione agli artt. 40 e 41 c.p., per avere la Corte territoriale ravvisato la prova del nesso causale nell'aumento di rischio patogenetico per esposizione all'amianto, senza considerare la propria censura (con specifico motivo), riproposta, di esclusione della teoria interpretativa dal vigente sistema penale (come da autorevole arresto di legittimità richiamato).

Con il secondo, la società ricorrente deduce omessa motivazione sul fatto decisivo e controverso di addebitabilità della neoplasia polmonare all'abitudine al fumo di Ca.Pi., individuata (nell'impossibilità di certezza o quasi sull'efficienza eziologica della esposizione ad amianto) come causa determinante (anche per il C.t.u. da sola in grado di provocare il tumore polmonare), sulla scorta della relazione del C.t.p. prof. R.: essendosi la Corte bresciana limitata a condividere le risultanze di C.t.u., senza confutazione delle proprie specifiche critiche tecniche, idonee a fondare una decisione diversa da quella adottata. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., anche in relazione agli artt. 40 e 41 c.p., per erronea acquisizione di prova del nesso causale dall'aumento del rischio patogenetico per esposizione all'amianto, con omesso esame di censura (oggetto di specifico motivo di appello) di esclusione di tale teoria dal vigente sistema penale, è infondato.

Ed infatti, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi regolanti l'onere della prova, a carico del lavoratore, sul nesso causale tra esposizione all'amianto e insorgenza della patologia (in particolare, a pgg. 10 e 11 della sentenza impugnata) e sull'efficienza concausale dell'abitudine al fumo (a pg. 17 sentenza), coerente con l'insegnamento giurisprudenziale di legittimità. In base ad esso, anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo il temperamento previsto nello stesso art. 41 c.p., in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni. Sicchè, in caso di accertata esposizione al rischio ambientale costituito dalle polveri, in soggetto dedito ad attività esposta alle polveri di amianto, di piombo ed altro, è legittimo il riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio, senza che rilevi in contrario la circostanza che la consulenza tecnica abbia evidenziato il tabagismo del dipendente quale concausa della patologia (Cass. 9 settembre 2005, n. 17959; Cass. 3 maggio 2003, n. 6722).

La corte bresciana ha così accertato l'esposizione del lavoratore al rischio ambientale quale fattore causale della patologia contratta, senza rilevanza della pur considerata efficienza causale di altri fattori cancerogeni, quale in particolare l'abitudine al fumo di sigarette, quale autonomo fattore interruttivo del nesso causale (Cass. 30 luglio 2013, n. 18267). E tali principi sono coerenti con quello di regolarità causale vigente in materia civile e di probabilità qualificata nel caso di malattia professionale ad eziologia multifattoriale, necessitante di una concreta e specifica dimostrazione ancora ribadito da questa Corte in analoga controversia in cui parte proprio Nuova S. s.r.l. (sentenza 24 gennaio 2014, n. 1477): senza alcuna pertinenza della critica alla teoria dell'aumento del rischio formulata dalla predetta società, sulla base dei principi enunciati, in materia di reato colposo omissivo improprio, da Cass. s.u. pen. 10 luglio 2002, n. 30328 (a pgg. 6 e 7 del suo ricorso). Il secondo motivo, relativo ad omessa motivazione sul fatto decisivo e controverso della addebitabilità della neoplasia polmonare all'abitudine al fumo di Ca.Pi., senza confutazione delle specifiche critiche tecniche di Nuova S. s.p.a., è inammissibile. La Corte territoriale ha, infatti, dato adeguato e motivato conto della valutazione delle risultanze istruttorie, attentamente valutate (in riferimento al concorso dell'abitudine al fumo, a pg. 17 della sentenza impugnata): sicchè, il mezzo si risolve nella contrapposizione della tesi della parte all'apprezzamento probatorio del giudice.

Ed è evidente l'inammissibilità di una tale censura, qualora con essa si intenda contrapporre la ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte, in particolare prospettante un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, posto che tali aspetti del giudizio, interni alla discrezionalità valutativa degli elementi di prova e all'apprezzamento dei fatti, riguardano il libero convincimento del giudice e non i possibili vizi del suo percorso formativo rilevanti ai fini in oggetto; diversamente risolvendosi tale motivo di ricorso in un'istanza inammissibile di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e quindi nella richiesta di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394). Occorre poi ribadire come valutazione delle risultanze delle prove, giudizio sull'attendibilità dei testi e così scelta, tra le varie, delle risultanze probatorie ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgano apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, libero di attingere il proprio convincimento dalle prove che gli paiano più attendibili, senza alcun obbligo di esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412). Ed ancora sottolineare come, qualora il convincimento del giudice di merito si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso, il ricorso per cassazione debba evidenziare l'inadeguatezza, l'incongruenza e l'illogicità della motivazione, alla stregua degli elementi complessivamente utilizzati dal giudice e di eventuali altri di cui dimostri la decisività, onde consentire l'apprezzamento dell'incidenza causale del vizio di motivazione sul decisum, non potendo limitarsi, in particolare, ad inficiare uno solo degli elementi della complessiva valutazione (Cass. 11 luglio 2011, n. 15156, in riferimento ad analoga fattispecie relativa ad azione risarcitoria promossa dagli eredi di un lavoratore deceduto per mesotelioma pleurico, che, nel rigettare il ricorso, ha rilevato la corretta individuazione dalla corte territoriale dell'efficienza causale dell'esposizione a fibre di amianto, cui il lavoratore era stato soggetto in funzione delle proprie mansioni e comprovata dalla presenza di una cospicua quantità di fibre nei polmoni: senza interruzione del nesso eziologico, in applicazione dell'art. 41 c.p., dal tabagismo del dipendente medesimo).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente la reiezione del ricorso, con la condanna di Nuova S. s.r.l. alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo, a parti resistenti, secondo il regime di soccombenza.




P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna Nuova S. s.r.l. alla rifusione, in favore dei resistenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 7.000,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2014