Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 luglio 2014, n. 17006 - Infortunio sul lavoro e perdita di un fratello: per il risarcimento del danno non patrimoniale non basta il mero rapporto di parentela


 

Presidente Lamorgese– Relatore Tria

 

Fatto



1.- La sentenza attualmente impugnata: 1) respinge l'appello principale proposto da M.B. e Mu.Bi. avverso la sentenza del Tribunale di Forlì n. 573 del 2002, di rigetto delle domande dei M. volte ad ottenere il risarcimento di tutti i danni da essi subiti, jure hereditatis e jure proprio (danno morale, biologico o esistenziale), in conseguenza del decesso del proprio comune fratello M.L. , avvenuto in seguito ad un infortunio sul lavoro; 2) dichiara assorbiti gli appelli incidentali proposti in via subordinata da Unipol Assicurazioni s.p.a., Mulazzani Italino s.p.a. e Sol et Salus s.p.a..
La Corte d'appello di Bologna, per quel che qui interessa, precisa che:
a) nel presente giudizio si è, fra l'altro, costituita la N.S. s.r.l. che, in via principale, ha chiesto la riduzione delle pretese dei ricorrenti a quanto effettivamente dovuto, previa declaratoria del concorso di colpa di M.L. nella causazione dell'infortunio che ne ha cagionato la morte e, in subordine, in caso di accertamento della propria responsabilità, ha domandato la condanna della Unipol s.p.a., tenuta a tenerla indenne da qualsiasi domanda proposta nei suoi confronti;
b) quanto al merito delle censure, dalla sentenza di primo grado - che deve essere confermata - risulta che il Tribunale di Forlì ha, con chiarezza, escluso che gli attuali ricorrenti possano agire jure hereditatis per la presente vicenda, in quanto hanno già agito - al medesimo titolo - la moglie e il figlio del defunto, in qualità di eredi legittimi;
c) tale statuizione, oltre a non essere stata specificamente censurata, consente di desumere che, con la succinta espressione secondo cui nei confronti degli attuali ricorrenti non è rilevabile "nessun altro danno", il Tribunale abbia inteso riferirsi proprio ai danni rivendicati jure proprio, cioè al danno morale e biologico (ovvero esistenziale);
d) quest'ultima affermazione è da condividere in quanto non vi è la benché minima allegazione in punto di fatto dell'esistenza di tali danni, come è facile rilevare dalla lettura dell'atto di appello, ove i danni vengono soltanto assertivamente affermati, evidentemente muovendosi dal presupposto che essi sarebbero sussistenti in re ipsa per effetto del puro e semplice legame di parentela che univa i ricorrenti al defunto;
e) la suddetta prospettazione non può essere accolta, sulla base del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il danno morale (anche a volerne affermare, pur dopo le sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 26972 e ss. del 2008, l'autonomia ontologica nell'ambito della categoria del danno non patrimoniale) deve formare oggetto di allegazione prima e prova poi e non può essere considerato esistente in re ipsa;
f) l'assenza, nel caso di specie, di qualsiasi allegazione fattuale al riguardo rende impossibile il ricorso a presunzioni, perché secondo la giurisprudenza di legittimità che in fattispecie analoghe alla presente ha ritenuto utilizzabili le presunzioni, tale utilizzabilità attiene al momento probatorio, cui si può accedere solo dopo che sia stata effettuata la preliminare ed essenziale allegazione fattuale dell'esistenza del c.d. danno morale, che qui manca;
g) quanto al danno biologico - al cui proposito, nel ricorso in appello, si afferma che esso sarebbe "più correttamente qualificabile come danno esistenziale" - deve essere precisato sia che le due suddette figure di danno sono del tutto distinte, perché il danno biologico riguarda l'integrità psico-fisica, mentre il danno esistenziale afferisce al c.d. "fare a-redittuale" sia che, comunque, agli atti mancano allegazioni e prove al riguardo.
2.- Il ricorso di M.B. e Mu.Bi. - espressamente proposto soltanto nei confronti della società N.S. e dell'Azienda Ospedaliera Umberto I di (…) - domanda la cassazione della sentenza per sette motivi; resistono, con controricorso, Assicurazioni Generali s.p.a., Unipol Assicurazioni s.p.a., N.S. s.p.a. (già s.r.l.) e quest'ultima propone, a sua volta, ricorso incidentale per un motivo.
Le altre parti del giudizio non svolgono, in questa sede, attività difensiva.
Tutte le parti costituite nel presente giudizio depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc.civ..

Diritto



Deve essere, in primo luogo disposta la riunione dei ricorsi, perché proposti avverso la medesima sentenza.
1 - Profili preliminari.
1.- Il Collegio rileva, in via preliminare, la nullità della procura conferita dai ricorrenti principali, M.B. e Mu.Bi. , al nuovo difensore avvocato Fabrizio Gizzi, mediante un atto denominato "comparsa di costituzione di nuovo difensore - Avv. Fabrizio Gizzi del foro di Roma - in aggiunta al difensore originariamente designato Avv. Carlo Zauli e con revoca della nomina dell'Avv. Guido Pottino nell'interesse dei ricorrenti", depositato per l'udienza di discussione orale.
Invero, la facoltà di apporre la procura speciale al difensore iscritto nell'apposito albo - richiesta, ai fini dell'ammissibilità del ricorso e del controricorso per cassazione, dagli artt. 365 e 370 cod. proc. civ. - in calce o a margine anche degli atti diversi dal ricorso o dal controricorso indicati nel testo attualmente vigente dell'art. 83, terzo comma, cod. proc. civ., è stata introdotta dall'art. 45, comma 9, lett. c), della legge 18 giugno 2009, n. 69, in sede di modifica di tale ultima disposizione del codice di rito.
In base alla costante giurisprudenza di questa Corte, la norma transitoria, contenuta nell'art. 58, comma 1, della stessa legge n. 69 del 2009 - secondo cui le modifiche del codice di procedura civile e delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile introdotte dalla nuova legge si applicano ai "giudizi instaurati" dopo la data della entrata in vigore della legge stessa (4 luglio 2009) - deve essere intesa nel senso che tali innovazioni si applicano ai giudizi proposti in primo grado a decorrere dalla data suddetta, poiché il riferimento ai "giudizi instaurati", e non alle "impugnazioni proposte", rivela l'intento del Legislatore di riferire - secondo un principio di portata assolutamente generale già accolto per la disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, ove non espressamente derogato (Cass. 17 gennaio 2013, n. 1026) - le modifiche in argomento ai giudizi di nuova introduzione, eccettuate quelle per le quali la stessa normativa transitoria ha esplicitamente previsto l'applicabilità anche ai giudizi pendenti, con le modalità ivi indicate (vedi, tra le tante: Cass. 26 marzo 2010, n. 7241; Cass. 28 luglio 2010, n. 17604; Cass. 24 novembre 2010, n. 23816; Cass. 24 gennaio 2012, n. 929; Cass. 7 gennaio 2013, n. 177 ; Cass. 11 gennaio 2013, n. 589; Cass. 17 gennaio 2013, n. 1026; Cass. 23 gennaio 2013, n. 1571 ; Cass. 5 febbraio 2013, n. 2648).
Ne consegue che nei procedimenti instaurati anteriormente alla data suindicata (4 luglio 2009) - quale è il presente - se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e ai controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall'art. 83, secondo comma, vecchio testo, cod. proc. civ. (vedi, tra le altre: Cass. 26 marzo 2010, n. 7241; Cass. 28 luglio 2010, n..17604; Cass. 2 febbraio 2012 n. 4476; Cass. 23 gennaio 2013, n. 1571 cit.).
Ciò vale anche in riferimento all'ipotesi in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore nominato con il ricorso (o controricorso), non rispondendo alla disciplina del giudizio di cassazione il deposito di un atto redatto dal nuovo difensore - denominato "atto di costituzione" oppure "comparsa di costituzione", come nella specie - su cui possa essere apposta la procura speciale, visto che il giudizio di cassazione è dominato dall'impulso d'ufficio a seguito della sua instaurazione con la notifica e il deposito del ricorso (o controricorso) e non è soggetto agli eventi di cui all'art. 299 e seguenti cod. proc. civ. (vedi, ex multis: Cass. 13 febbraio 2013, n. 3554; Cass. 5 giugno 2007, n. 13086).
Alla nullità della procura consegue, per derivazione, che quanto contenuto nell'atto formato dal nuovo difensore non può neppure essere preso in considerazione e che deve considerarsi irrituale anche la sua partecipazione alla discussione in udienza pubblica (vedi, per tutte: Cass. 17 gennaio 2013, n. 1026; Cass. 5 febbraio 2013, n. 2648; Cass. 26 marzo 2010, n. 7241).
II - Sintesi dei motivi del ricorso principale.
2.- Il ricorso principale è articolato in sette motivi.
2.1.- Con il primo motivo si denunciano, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., lesione del rapporto parentale, violazione di un diritto costituzionale e degli artt. 2, 3 e 30 Cost..
Si sostiene che la Corte d'appello avrebbe violato le suddette norme costituzionali laddove ha negato, per difetto di allegazioni e prove al riguardo, il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale derivante ai fratelli (attuali ricorrenti) dalla morte di un fratello a causa di un infortunio sul lavoro, quando peraltro gli interessati avevano allegato la sussistenza del danno morale, come tale.
2.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 33 (sulla vita familiare) e 7 (rispetto della vita privata e familiare) della Carta dei diritti fondamentali della UE (c.d. Carta di Nizza) e dell'art. 115 cod. proc. civ..
Si sostiene che la statuizione già contestata con il primo motivo rappresenterebbe altresì una violazione dei suindicati diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta UE, che lo Stato italiano si è impegnato a tutelare riconoscendo un indennizzo per la relativa lesione.
2.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., motivazione contraddittoria in ordine al danno morale dei fratelli di una persona defunta a seguito di un infortunio sul lavoro, con particolare riferimento agli oneri di allegazione.
Si sostiene che la suddetta contraddittorietà sarebbe rappresentata dal fatto che la Corte territoriale ha considerato insussistente l'allegazione del danno morale in oggetto, nonostante che dagli atti di causa emerga come gli interessati avessero fatto riferimento ai seguenti elementi: stato di parentela con il defunto, danno morale rappresentato dalle sofferenze psicologiche subite dai fratelli a causa del decesso del congiunto, gravità dell'illecito penale che ha causato la morte.
2.4.- Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell'art. 185 cod. proc. civ. nonché degli artt. 2056 e 2059 cod. civ. sulla affermata genericità delle allegazioni fattuali concernenti il fatto emotivo ed interiore rappresentato dal turbamento morale subito per effetto di un grave reato che ha causato la morte di un loro fratello, dimostrabile anche per presunzioni, come riconosce la stessa Corte felsinea.
2.5.- Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per omessa pronuncia sul danno esistenziale da lesione del rapporto parentale e dei diritti fondamentali dei ricorrenti.
2.6.- Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali della UE (c.d. Carta di Nizza) "sul danno psichico".
Si sostiene che la Corte bolognese non ha considerato che la Carta UE distingue tra danno fisico e danno psichico (cioè biologico o psico-biologico) e che, quindi, in base alla Carta, tale ultimo danno, nelle situazioni quale quella di cui si tratta nel presente giudizio, è in re ipsa o comunque è facilmente presumibile in base alle caratteristiche della fattispecie, sicché deve essere a carico di chi ne nega l'esistenza l'onere di fornire la prova contraria.
2.7.- Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 1226 e 2056 cod. civ.
Si sottolinea che, nella sentenza impugnata, non si fa cenno ai criteri di liquidazione del danno. Si soggiunge che sono sopravvenute le c.d. tabelle milanesi per la quantificazione del risarcimento del danno - ove è inclusa anche la voce del danno da perdita del rapporto parentale - e se ne chiede l'applicazione.
III - Sintesi dei motivi del ricorso incidentale della N.S. s.p.a..
3.- Con l'unico motivo di ricorso incidentale si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., nullità parziale della sentenza per omessa pronuncia, ex artt. 112, 113 e 342 cod. proc. civ., su due motivi di censura prospettati dalla N.S. s.p.a. nel proprio appello incidentale, riguardanti, rispettivamente: 1) la inesistenza della responsabilità della N.S.; 2) la carenza di prova del nesso eziologico tra supposte omissioni della stessa N.S. e l'evento dannoso.
Premesso che l'istruttoria svolta non avrebbe consentito di ricostruire con precisione la dinamica dell'infortunio occorso a M.L. , non essendo stato possibile provare se l'evento dannoso si sia verificato nello svolgimento della prestazione lavorativa e soprattutto se sia stato determinato da omissioni della N.S., la ricorrente incidentale sottolinea che la Corte bolognese, nel respingere l'appello principale, sia in motivazione sia nel dispositivo, ha dichiarato assorbiti "gli appelli incidentali proposti in via subordinata da UNIPOL, Mulazzani Italino s.p.a. e Sol et Salus s.p.a.", mentre non ha fatto alcuna menzione dell'appello incidentale della N.S. (pur richiamato nella intestazione della sentenza).
Conseguentemente, l'assenza di una espressa dichiarazione di assorbimento al riguardo configurerebbe il vizio di omessa pronuncia in oggetto.
IV - Esame del ricorso principale.
4.- Il ricorso principale non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
5.- Dal punto di vista dell'impianto generale del ricorso va rilevato che tutte le numerose censure - a volte ridondanti e apodittiche, come si dirà più avanti - anche se risultano prospettate, nella maggior parte dei casi, attraverso il formale richiamo, nella intestazione dei motivi, alla violazione di norme di legge, in realtà si risolvono, prevalentemente, nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata, ma non per errori di logica giuridica - che renderebbero la motivazione stessa incongrua o incoerente e quindi emendabile in sede di giudizio di cassazione - bensì per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicché la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).
Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l'iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione, quindi i prospettati vizi di motivazione non sono configurabili.
6.- Alle suddette considerazioni va aggiunto, sempre con riguardo alla formulazione del ricorso, che il quinto motivo - con il quale, come si è detto, si denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul danno esistenziale da lesione del rapporto parentale e dei diritti fondamentali dei ricorrenti - è inammissibile.
In base al consolidato orientamento di questa Corte, tale, infatti, si deve considerare il motivo di ricorso con il quale si deduca il vizio di omessa pronuncia - oltretutto, come qui accade, senza il doveroso rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, che comporta l'indicazione degli elementi che possano consentire alla Corte di cassazione di verificare la ritualità e tempestività della proposizione della questione di cui si lamenta l'omesso esame e quindi la decisività della questione stessa (vedi, per tutte: Cass. 17 gennaio 2007, n. 978; Cass. SU 14 maggio 2010, n. 11730) - nella cui argomentazione, anziché farsi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla denunciata omissione, si sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o ci si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (vedi, per tutte: Cass. SU 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 31 ottobre 2013, n. 24553).
Nella specie non solo non è stato fatto alcuno specifico riferimento alla prospettata nullità della decisione, ma l'argomentazione delle cénsure risulta del tutto mancante, essendosi i ricorrenti limitati a riprodurre parti della motivazione della sentenza di questa Corte 7 giugno 2011, n. 12273, oltretutto neppure conferenti rispetto alla denuncia dell'omessa pronuncia.
7.- Per quel che riguarda, poi, i motivi con i quali si denunciano come violazioni di legge presunte violazioni degli artt. 33, 7 (secondo motivo) e 3 (sesto motivo) della Carta dei diritti fondamentali della UE (c.d. Carta di Nizza), va rilevato che nelle relative argomentazioni - che, nell'insieme risultano poco conferenti e soprattutto non congruenti con il testo delle disposizioni della Carta che vengono richiamate - comunque non si tiene neppure conto dell'orientamento consolidato sia della Corte di giustizia UE (vedi, per tutte: sentenza della Grande Sezione della CGUE sul caso Aklagaren resa il 26 febbraio 2013) sia della Corte costituzionale (vedi, per tutte, Corte cost. sentenze n. 80 e n. 303 del 2011.; n. 210 del 2013) secondo cui le tutele offerte dalla Carta dei diritti fondamentali possono venire in considerazione soltanto in fattispecie nelle quali è applicabile il diritto dell'Unione Europea, mentre la presente fattispecie non è riconducibile al diritto comunitario, sicché non vi è spazio per il richiamo della Carta UE.
8.- Quanto alle censure con le quali i ricorrenti prefigurano violazioni di legge (primo, secondo, quarto motivo) e vizi di motivazione (terzo motivo) con riguardo alle statuizioni della Corte d'appello in ordine alla assenza di allegazioni, da parte dei M. , in merito ai danni rivendicati jure proprio in conseguenza del decesso del fratello, va osservato che si tratta di doglianze che attengono al governo e alla valutazione del materiale probatorio che competono al giudice del merito, le cui deliberazioni al riguardo non sono censurabili in sede di legittimità ove correttamente e congruamente motivate, come accade nella specie.
Pertanto le suddette censure sono quelle nelle quali maggiormente si manifesta il suindicato difetto del ricorso consistente nella formulazione di un puro e semplice, quanto inammissibile, dissenso rispetto alla ben motivata valutazione di merito delle risultanze probatorie di causa effettuata dalla Corte territoriale.
9.- Deve essere, peraltro, precisato che non solo la anzidetta valutazione della Corte bolognese è ineccepibile, ma ne è anche condivisibile la premessa logico-giuridica, rappresentata dal mancato accoglimento della tesi dei M. - riproposta nel ricorso per cassazione - sulla sussistenza in re ipsa dei danni di cui si discute, per effetto del puro e semplice rapporto di parentela che univa i ricorrenti al defunto, ovvero sulla sua facile presumibilità dalle caratteristiche della fattispecie, con conseguente onere di fornire la prova contraria a carico di chi nega l'esistenza dei danni stessi.
Tale tesi, infatti, non trova conforto nella giurisprudenza di questa Corte, nella quale, come esattamente rileva il Giudice di appello, a seguito di Cass. SU 11 novembre 2008, n. 26972 e ss. si sono consolidati i seguenti indirizzi, cui il Collegio intende dare continuità:
a) il danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria, sicché le tradizionali sottocategorie del "danno biologico" e del "danno morale" non possono essere invocate singolarmente per un aumento della relativa liquidazione, anche se continuano a svolgere una funzione solo descrittiva del contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice, al fine di parametrare la liquidazione del danno risarcibile (vedi, per tutte: Cass. 15 gennaio 2014, n. 687; Cass. 20 novembre 2012, n. 20292);
b) ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno subito a causa della uccisione di un prossimo congiunto non hanno rilievo le qualificazioni adoperate dagli interessati, ma è necessario che il pregiudizio prospettato venga compiutamente descritto e che ne vengano comunque allegati e provati gli elementi costitutivi (vedi, fra le altre: Cass. SU 16 febbraio 2009, n. 3677; Cass. 17 luglio 2012, n. 12236);
c) in particolare, nella liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d'un familiare deve tenersi conto dell'intensità del relativo vincolo e di ogni ulteriore circostanza - allegata e provata dagli interessati - quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita e di frequentazione, la situazione di convivenza, l'età della vittima e dei singoli superstiti, nonché, laddove si tratti di soggetti non appartenenti alla c.d. famiglia nucleare, anche la sussistenza di una situazione di convivenza, da intendere come connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità delle relazioni di parentela, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, caratteristica della famiglia come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell'art. 2 Cost. (Cass. 22 ottobre 2013, n. 23917; Cass. 17 gennaio 2013, n. 1025; Cass. 12 novembre 2013, n. 25415; Cass. 21 gennaio 2011, n. 1410; Cass. 16 marzo 2012, n. 4253);
d) solo in presenza di una adeguata allegazione fattuale dei suddetti elementi - o, almeno, di alcuni di essi - si può eventualmente utilizzare la prova presuntiva per affermare l'esistenza del menzionato danno non patrimoniale (vedi: Cass. 19 gennaio 2007, n. 1203; Cass. 19 novembre 2009, n. 24435).
Ne deriva che, anche dal suddetto punto di vista, la sentenza impugnata non merita alcuna censura, essendo stata in essa rilevata, in modo congruo e logico, l'assenza di qualsiasi allegazione fattuale, con riguardo sia al c.d. "danno morale", sia al c.d., "danno biologico", non risultando, peraltro, tale affermazione specificamente contestata dagli attuali ricorrenti, che ribadiscono la tesi del danno in re ipsa.
10.- Deve essere, infine, dichiarato inammissibile il settimo motivo del ricorso, con il quale ci si lamenta della mancata menzione, nella sentenza impugnata, dei criteri di liquidazione del danno e si aggiunge che sono sopravvenute le c.d. tabelle milanesi per la quantificazione del risarcimento del danno - ove è inclusa anche la voce del danno da perdita del rapporto parentale - di cui, del tutto inammissibilmente, si chiede l'applicazione in questa sede.
Come facilmente si deduce anche da Cass. 7 giugno 2011, n. 12408 (richiamata nel ricorso) nelle suddette "tabelle milanesi" sono indicati alcuni criteri di liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di un congiunto, è pertanto evidente che esse non possono venire in considerazione in un giudizio in cui non vi è da liquidare alcun danno, salva restando, in ogni caso, l'inapplicabilità diretta di simili tabelle nel giudizio di cassazione.
11.- Alle esposte considerazioni consegue il rigetto del ricorso principale.
V - Esame del ricorso incidentale.
12.- Anche il ricorso incidentale deve essere respinto.
13.- Va osservato al riguardo che, pur essendo esatto che, nella sentenza impugnata, non vi è menzione dell'appello incidentale della società N.S. né alla fine della motivazione (p. 16), né nel dispositivo, tuttavia le relative censure risultano essere state ampiamente riassunte all'inizio della sentenza (alle pagine 8 e 9 nello "svolgimento del processo") e comunque, data l'affermata infondatezza delle pretese, non avrebbero comunque potuto trovare ingresso le censure qui riproposte.
Pertanto può trovare applicazione il seguente principio di diritto: "la figura dell'assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l'assorbimento non comporta un'omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell'assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l'unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa" (vedi, per tutte: Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 16 maggio 2012, n. 7663).
L'applicazione del su riportato principio comporta il rigetto delle censure della ricorrente incidentale, per il fatto che la mancata menzione dei due indicati motivi dell'appello incidentale della società N.S. nel corpo della motivazione e nel dispositivo si è tradotta in una omissione di pronuncia soltanto in senso formale, potendosi desumere dalla lettura complessiva della motivazione che tale appello incidentale sia stato implicitamente assorbito (al pari di tutti gli altri appelli incidentali).
VI – Conclusioni.
14.- In sintesi sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale vanno respinti.
15.- Quanto alle spese del presente giudizio di cassazione: a) la reciproca soccombenza giustifica la compensazione integrale delle spese tra i ricorrenti principali, da un lato, e la N.S. s.p.a. (già s.r.l.), dall'altro lato; b) nulla si dispone per le spese dell'Azienda Ospedaliera Umberto I di (…), perché, sebbene regolarmente citata, non ha svolto attività difensiva in questa sede; e) nulla si dispone per le spese di Assicurazioni Generali s.p.a. e Unipol Assicurazioni s.p.a., in quanto il ricorso - come espressamente ivi indicato - è stato loro notificato ai soli fini della litis denuntiatio, sicché il relativo svolgimento di attività difensiva in questa sede risultato è superfluo; d) nulla di dispone per le altre parti del giudizio che sono rimaste intimate.

P.Q.M.


La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese del presente giudizio di cassazione tra i ricorrenti principali, da un lato, e la società N.S., dall'altro lato. Nulla per le spese del presente giudizio nei confronti di tutte le altre parti del giudizio stesso.