Cassazione Penale Sez. 4, 01 settembre 2014, n. 36476 - Caduta dell'anta di un cancello in una scuola materna e morte una bambina di 4 anni: responsabilità



 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
1. COMUNE DI ZAGAROLO;
2. P.L. n. il (Omissis);
3. M.F. n. IL (Omissis);
4. Pe.FR. n. il (Omissis);
5. D.P.M.G. n. il (Omissis);
avverso la sentenza n. 1760/2012 della Corte d'appello di Roma del 28.02.2012;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
Udita all'udienza pubblica del 4 luglio 2014 la relazione fatta dal Consigliere dott. CLAUDIO D'ISA;
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Pietro Gaeta che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi e per
l'inammissibilità del ricorso presentato dal Comune di Zagarolo.
L'avv. Cardilli Raffaele, difensore della parte civile, si associa alle conclusioni del P.G.;
L'avv. Fortuna Francesco, difensore del P., chiede l'accoglimento del ricorso.
L'avv. Fuduli Cristiano, difensore del M., ed in sostituzione anche dell'avv. Naso Domenico, chiede l'accoglimento del ricorso.
L'avv. Valori Antonio, difensore della D.P., chiede l'accoglimento del ricorso.


Fatto


1. In data 6.10.2004, durante l'orario di attività scolastica, la minore R.I., di anni quattro, si trovava nel cortile della scuola materna "(Omissis)", sita in (Omissis) ((Omissis) Circolo Didattico), nel mentre giocava con altri bambini nel periodo di ricreazione, sotto la vigilanza della maestra L.C..

La bambina a seguito della caduta di un'anta del cancello, in ferro a due ante delle dimensioni di cm. 176 (altezza) cm. 185 (larghezza), del cortile - che separa il plesso scolastico da un passaggio perimetrale che a sua volta conduceva a un vicino insediamento abitativo - dove si trovava a giocare, riportava un trauma cranico da schiacciamento quindi, entrata subito in coma, nonostante il pronto intervento dei sanitari, decedeva il giorno successivo.

Sulla scorta del sopralluogo effettuato dai carabinieri e degli accertamenti tecnici disposti dal P.M. si evidenziava che le condizioni di manutenzione del cancello in questione, da quando era stato collocato, apparivano pressochè nulle, che il cancello risultava in condizioni statiche molto precarie, che l'ossidazione aveva bloccato le cerniere, e l'utilizzo improprio del cancello, quale varco di passaggio da parte di estranei, aveva aggravato la situazione. Si accertava che il cancello, nell'anno (Omissis), quando la recinzione del plesso scolastico fu sopraelevata di 50 cm. tramite una sovrastruttura saldata, fu sottoposto al medesimo intervento: a seguito del rialzo della quota di calpestio del giardino, le ante furono dissaldate per poi essere risaldate agli stessi piedritti ad una quota leggermente superiore (10 cm), tale sopraelevazione, come riferito dal C.T. del P.M., aveva determinato un aumento di peso del cancello stesso (in ordine alla descrizione delle condizioni del cancello si rimanda a pag. 5 della sentenza, evidenziandosi, come accertato dal C.T., che le saldature effettuate dal P. nel 1999, a seguito della Delib. comunale 30 dicembre 1998 relativa ai lavori di sistemazione del piazzale della scuola, non erano state eseguite a regola d'arte: esse erano di ridotte dimensioni e, dunque, avevano ceduto determinando il distacco dell'anta del cancello, causa del decesso della vittima).

Si procedeva, quindi, in ordine al delitto di cui all'art. 113 c.p. e art. 589 c.p., comma 2, nei confronti di P.L., M. F., Pe.Fr. e D.P.M.G., nonchè di L.C., in quanto, ciascuno, nella qualità appresso indicata, cooperava nel delitto per imprudenza negligenza ed imperizia, e con violazione sulle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Segnatamente, il Pe., nella qualità di responsabile dei Lavori Pubblici presso l'Ufficio tecnico del Comune di Zagarolo, non accertava la grave carenza strutturale del cancello; in particolare non si avvedeva della cattiva esecuzione della saldatura tra le cerniere effettuata in occasione dei lavori di rialzamento della recinzione stessa, di cui alla Delib. Consiglio Comunale 30 dicembre 1998, n. 628 e di successivi lavori di sistemazione del predetto cortile e spazi adiacenti.

Il Pe. e il M., quest'ultimo nella qualità di dirigente scolastico del (Omissis) circolo didattico e di datore di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, non procedevano, ciascuno nelle proprie specifiche competenze, ad alcuna opera di manutenzione ordinaria del cancello, permettendo, cosi, la formazione di un pesante strato di ruggine che corrodeva le già limitate superfici di saldatura, nonostante nel Documento di Valutazione Rischi D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 2 del settembre 2003 detta incombenza fosse indicata tra le misure di prevenzione e protezione da adottare (cap. 5.1 punto 25 "curare la manutenzione dei muretti e delle recinzioni" e punto 26 "riparare i muretti e le recinzioni che non risultano integri").

Il M., nella qualità sopra indicata, non segnalava, o, comunque, non comunicava, adeguatamente, all'Ufficio Tecnico del Comune di Zagarolo la situazione di degrado e di pericolo in cui versava il predetto cancello, al fine di far procedere l'Amministrazione ai lavori di manutenzione e/o sostituzione dello stesso.

Il Pe., il M. e la D.P., quest'ultima nella qualità di preposta al servizio di prevenzione e protezione D.Lgs. n. 626 del 1994, ex art. 4, comma 4, lett. B, non segnalavano il pericolo del cancello nonostante nel Documento di Valutazione Rischi D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 2 del settembre "2003 detta incombenza fosse indicata tra le misure sostitutive da adottare in caso di mancato intervento di riparazione (cap. 5.1 punto 25 e 26 di cui sopra, per entrambi la dicitura "segnalare il pericolo") nè interdicevano l'area antistante.

La L., nella qualità di insegnante della scuola materna statale "Colle dei Frati" del citato circolo didattico di Zagarolo, non vigilava con la dovuta diligenza sulla bambina R. I., che assieme agli altri bambini giocava nel cortile della scuola, non avvedendosi in alcun modo che la bimba si trovava aggrappata o, comunque, stazionava sotto il predetto cancello di ferro, la cui fatiscenza ed inadeguatezza era nota a tutto il personale della scuola.

Il P., incaricato dalla ditta appaltatrice dei lavori di Mi.Br., in occasione della sistemazione del piazzale della scuola di cui alla citata Delib. Consiglio Comunale 30 dicembre 1998, n. 628 eseguendo i lavori di rialzamento della recinzione laterale interveniva sul cancello in questione, effettuando il rialzo dello stesso e le conseguenti saldature non a regola d'arte (non rilevate, come già detto, dal responsabile del Comune Pe.F.) provocando cosi in epoca successiva il distacco dell'anta del cancello stesso.

2. Accertato, all'esito delle indagini preliminari, che la causa della morte della bambina inequivocabilmente era da ascriversi al trauma cranico determinato da schiacciamento, in punto di fatto, anche sulla base degli accertamenti investigativi urgenti effettuati sul luogo del sinistro dai Carabinieri di Zagarolo (verbale di sopralluogo dei Carabinieri di Zagarolo e rilievi fotografici allegati) e degli altri testi escussi nel corso del dibattimento, nonchè della consulenza tecnica espletata su incarico del P.M. dall'ing. G.P., il Tribunale di Tivoli - sezione distaccata di Palestrina - con sentenza del 16.09.2009 riteneva raggiunta la prova della penale responsabilità degli imputati, concludendo pertanto che, in conformità alle "condotte omissive" tenute e qualità ricoperte, con connesse rispettive "posizioni di garanzia" dai singoli imputati, meglio indicate e specificate nel capo di imputazione di cui in rubrica, l'evento tragico costituiva il risultato della condotta "omissiva" di più persone, tutte riferibili alla violazione del principio antinfortunistico, di natura "extrapenale", di cui all'art. 2087 cod. civ., dichiarava, altresì, non doversi procedere nei confronti della L. per essere il reato ascritto estinto per morte dell'imputata.

La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, adita dagli imputati e dalle costituite parti civili, facendo proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, e ritenendo infondati i motivi dei gravami di merito, ha confermato la penale responsabilità degli imputati riformando la sentenza quanto alle statuizioni civili.

3. Ricorrono per cassazione P.L., M.F., Pe.Fr., D.P.M.G. ed il COMUNE di Zagarolo, quale responsabile civile.

3.1. Pe.Fr..

Con il primo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata affermato la penale responsabilità dell'imputato, oltre il ragionevole dubbio, con carenza di motivazione, nonchè travisamento della prova, in ordine alla conoscenza della pericolosità del cancello da parte dell'imputato. In sostanza, si argomenta, la Corte d'appello basa l'assunto che il Pe. non poteva non essere a conoscenza dello stato di fatiscenza del cancello sulle testimonianze di C. O. e dell'insegnante Lo.Gi. che avevano dichiarato che il cancello non era praticabile e che qualcuno aveva messo un dondolo davanti ad esso per evitare che ci si potesse avvicinare. In contrapposizione all'assunto della sentenza, il ricorrente evidenzia che altri testi ( Ro.Am., redattore del documento sulla sicurezza e la valutazione dei rischi, N.R., che esercitava all'epoca servizio civile presso la scuola, Ca.

M., collaboratrice scolastica, S.G., segretario dell'associazione "Cittadinanza Attiva", I.T., collaboratrice della detta associazione, T.F., G. R., D.V.C., entrambe insegnanti), anch'essi frequentatori della scuola, a vario titolo, hanno riferito che il cancello non presentava alcun pericolo. Su tali deposizioni la sentenza ha omesso qualsiasi doverosa e logica motivazione.

Si evidenza, poi, che, in ordine alle dichiarazioni delle testimoni C. e Lo., la Corte del merito incorre in un travisamento della prova, laddove esse a specifica domanda circa la pericolosità del cancello hanno risposto che il pericolo consisteva solo nel fatto che il cancello, rimanendo aperto, consentiva ai bambini di uscire al di fuori dell'area scolastica, ne discende che da tali dichiarazioni non emerge affatto, come si sostiene in sentenza, che le testimoni abbiano riferito di una fatiscenza del cancello e perciò stesso pericoloso. Il denunciato travisamento si rileva, per il Pe., determinante ai fini della decisione, posto che se "la percezione di quanto riportato nell'atto istruttorie" fosse stata corretta, non si sarebbe pervenuti all'affermazione secondo cui tutti avevano percepito la pericolosità del cancello, nel senso che potesse crollare. E senz'alcun dubbio, rileva l'imputato, poichè i verbali delle dichiarazioni delle testi indicate sono stati esaminati anche dalla pronuncia di primo grado, ciò consente al giudice di legittimità di verificare come il senso probatorio attribuito a tali dichiarazioni, in contrasto, invece, con quello ritenuto nel provvedimento impugnato "presenti una inverosimiglianza non immediatamente smentibile e non imponga, per il suo apprezzamento, ulteriori valutazioni in relazione al contenuto complessivo dell'esame del dichiarante" (Sez. 6 sentenza del 24.05.2011).

Con il secondo motivo si denunciano altra violazione di legge e vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto che l'Istituto scolastico avesse trasmesso la segnalazione in ordine alla pericolosità del cancello. Si sostiene che la sentenza, con riferimento alla trasmissione del documento di valutazione dei rischi, abbia omesso di considerare alcuni elementi di fatto, desunti da acquisizioni probatorie (dichiarazioni del Segretario generale del Comune di Zagarolo, dott.ssa U.D., acquisizione dell'estratto giornale di trasmissione/ricezione del fax del Comune, dichiarazioni del m.llo dei CC. Se., del Ro., redattore del piano di sicurezza, del Ci., impiegato dell'Ufficio T.C. e dello stesso consulente del P.M., ing. G. che ha riferito:

"...risulta trasmesso ai sensi dell'art. 4 con una lettera che è agli atti, però mancava qualsiasi tipo di protocollo, di ricezione da parte del Comune di Zagarolo...questa è una lettera, protocollo interno del plesso, non del Comune", della teste Ce., collaboratrice del dirigente scolastico) dai quali non è risultato che siano pervenuti al Comune documenti provenienti dalla Direzione Didattica, registrati con la dicitura relativa alla riparazione o alla sostituzione di un cancello o di valutazione dei rischi in materia scolastica.

Sul punto si evidenzia, oltre il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza per non essere stati considerati i predetti elementi, anche quello sotto il profilo della contraddittorietà, laddove la Corte rileva che in quel documento redatto dal Ro., che si afferma essere stato trasmesso al Comune di Zagarolo, dal quale il Pe. avrebbe dovuto acquisire la consapevolezza della fatiscenza del cancello e, conseguentemente, di intervenire per eliminare lo stato di pericolo, l'imputato M. si era limitato a segnalare "a breve termine" di curare la manutenzione dei muretti e delle recinzioni senza nulla dire in ordine alla pericolosità del cancello.

La sentenza impugnata, cioè, dapprima afferma che il Pe., nonostante l'insussistenza della prova dell'avvenuta ricezione, aveva comunque avuto conoscenza del documento di valutazione dei rischi e quindi delle condizioni di pericolosità del cancello, per poi riconoscere che in tale documento, in ogni caso, non conteneva alcuna richiesta e/o segnalazione in ordine alla pericolosità del cancello.

Con il terzo motivo la violazione di legge ed il vizio di motivazione denunciati riguardano l'attribuzione al Pe. della qualifica di "datore di lavoro", nonchè al fatto che si è ritenuto che la manutenzione del cancello non spettasse alla scuola, nonostante l'autonomia finanziaria e gestionale della medesima.

Si argomenta che la sentenza impugnata afferma che "i soggetti direttamente ed effettivamente responsabili" sono i datori di lavoro e che nel caso in esame tale qualifica è ricoperta dal Dirigente scolastico e dall'Ente proprietario dell'istituto, cioè il Comune di Zagarolo, e per esso il Pe., giusta determina del sindaco, con cui il Pe. nel 2000 veniva nominato Capo Settore del Servizio di progettazione e direzione dei Lavori opere pubbliche, nonchè responsabile della sicurezza dei luoghi di lavoro. Si sostiene che tale interpretazione è frutto di erronea interpretazione della legge di settore, in quanto la normativa non consente di individuare due "datori di lavoro", poichè proprio in ragione della specificazione di cui al D.M. n. 392 del 1998, art. 1 si evince come il datore di lavoro sia unicamente il Dirigente scolastico, atteso che la normativa di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, nel disciplinare gli obblighi del datore di lavoro, si atteggia a norma di carattere generale, suscettibile nel caso di Istituti scolastici, di deroga, appunto da parte del richiamato D.M. n. 382 del 1998. Ciò posto, tale specificazione non consente di individuare nel Pe. la figura di un datore di lavoro concorrente, nè tale impostazione, a dire del ricorrente, può ritenersi superata dalla richiamata determina comunale del 2000, laddove tale funzione, proprio in virtù delle specifiche norme di cui al D.M. n. 382 del 1998, integrative del D.Lgs. n. 626 del 1996, art. 4, non può estendersi agli istituti scolastici. Si assume, peraltro, nell'ambito dell'istituto scolastico in questione, oltre al "datore di lavoro", ossia il Dirigente scolastico, esisteva anche la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, designato ai sensi del D.M. n. 382 del 1998, art. 2 dal datore di lavoro, ciò evidenzia, ancor più, l'assoluta autonomia degli istituti scolastici in ordine alla organizzazione della sicurezza sul lavoro rispetto all'Ente Pubblico posto che, se così non fosse, non avrebbe senso la previsione della possibilità di designare il responsabile del servizio di protezione e prevenzione da parte del datore di lavoro.

Prova ne è che il D.M. n. 382 del 1998, all'art. 5, comma 3, prevede che l'Autorità Scolastica competente per territorio debba promuovere ogni opportuna iniziativa di raccordo e coordinamento con gli enti locali al fine dell'attuazione delle norme contenute nel decreto medesimo, che, nel caso di specie, non ha fatto, non avendo provveduto ad informare il Comune delle carenze relative al cancello, così come riconosciuto dallo stesso provvedimento impugnato nella parte in cui si ammette che il documento di valutazione rischi comunque non conteneva indicazioni in ordine alla pericolosità del cancello.

Le considerazioni che precedono, pertanto, consentono di ritenere, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza oggetto di ricorso, che dall'interpretazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994 e D.M. n. 382 del 1998, non può trarsi la conclusione che il Pe. rivestisse la qualifica di "datore di lavoro" e, per l'effetto, che ricoprisse una "posizione di garanzia". Nè può obiettarsi che, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 12, "Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione", posto che, così come prosegue la norma, "In tal caso gli obblighi previsti dal presente decreto, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico".

In sostanza la lettura dell'intero comma 12 non consente alcuna estensione automatica della qualifica di "datore di lavoro" all'Ente pubblico di riferimento, posto che, come chiaramente previsto, ne subordina l'intervento all'assolvimento da parte del "datore di lavoro" della richiesta di intervenire.

Ancora, quanto ai provvedimenti comunali del 2000 e del 2002, con cui il Pe. veniva, rispettivamente, designato Capo Settore del Servizio Progettazione e Direzione Lavori ed Opere pubbliche, e responsabile della Sicurezza dei luoghi di lavoro, è illogico affermare, come si fa in sentenza, la responsabilità dell'imputato in ordine ad un episodio avvenuto nel 1998, ossia l'asserita verifica delle saldature del cancello, per il fatto di aver ricoperto due anni dopo la carica di Direttore dei Lavori e ben quattro anni dopo la saldatura quello di responsabile per la sicurezza dei luoghi di lavoro.

Altra erronea interpretazione della legge penale viene denunciata con riferimento alla questione dell'autonomia scolastica con riguardo all'obbligo di manutenzione ordinaria ricadente per la Corte romana sul Comune, atteso che in ragione della L. n. 23 del 1996, art. 3, comma 4, richiamato dalla sentenza, gli organi territoriali possono delegare alle singole istituzioni scolastiche anche le funzioni relative alla manutenzione ordinaria, delega che, nel caso di specie, era intervenuta mediante la Convenzione stipulata tra il Comune di Zagarolo e l'Istituto scolastico di cui trattasi nel 2001. Tale delega veniva resa effettiva dal regolare stanziamento delle necessarie risorse finanziarie da parte del Comune, così come accertato.

Il quarto motivo ha ad oggetto violazione di legge e vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la condotta omissiva ascritta al ricorrente e l'evento, nonchè ritenuto insussistenti cause sopravvenute idonee ad interrompere il detto nesso.

Premesso che la dimostrata insussistenza di una "posizione di garanzia" deve ritenersi assorbente, tuttavia la sentenza è incorsa nella violazione dell'art. 40, comma 1 e dell'art. 42 c.p., comma 2, evidenziandosi come l'omessa adozione di qualsivoglia misura sostitutiva da parte dell'unico titolare di una "posizione di garanzia", ossia il Dirigente scolastico, si ponga quale fattore interruttivo del nesso di causalità intercorrente tra la condotta omissiva asseritamente tenuta dal Pe. e l'evento verificatosi. Si espone che, applicando il cd. giudizio controfattuale, con riferimento alla condotta sopravvenuta a quella del Pe., deve concludersi in tali termini: se la Scuola avesse adottato le misure sostitutive a cui per legge era tenuta affinchè il pericolo fosse segnalato, a prescindere dalla condotta contestata al Pe., l'evento non si sarebbe verificato.

Il quinto motivo riguarda altra violazione di legge ed altro vizio di motivazione con riferimento all'elemento soggettivo nell'ambito della cooperazione colposa. Non si ritiene condivisibile la motivazione sul punto dell'impugnata sentenza laddove, considerata l'insussistenza di una posizione di garanzia in capo al Pe., nonchè l'ontologica incompatibilità tra la posizione del medesimo e quella degli altri imputati, non è possibile affermare alla sussistenza del detto legame psicologico e, quindi, dell'elemento soggettivo nell'ambito della cooperazione colposa.

Il sesto motivo riguarda la violazione di legge ed il vizio di motivazione determinati dall'applicabilità dell'aggravante contestata, ed il giudizio di equivalenza tra questa e le concesse attenuanti generiche con irrogazione di una pena eccessiva.

Il settimo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla statuizione civile della condanna al pagamento di una provvisionale.

3.2 M.F. con il primo motivo denuncia violazione di legge in riferimento alla eccezione di nullità del decreto di rinvio a giudizio innanzi al Tribunale per nullità dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p., tempestivamente sollevata innanzi al GUP, per incompletezza degli atti messi a disposizione della difesa, nonchè vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine alle ordinanze emesse rispettivamente dal GUP e dal Tribunale in data 15.02.2007 e 4.12.2007.

Si premette che la Corte d'Appello ha erroneamente ritenuto che l'udienza preliminare fosse stata tenuta per la prima volta in data 28/2/2007 e che, quindi, mai potevano essere state sollevate all'udienza del 15/2/2007 le doglianze che le venivano sottoposte dopo essere state ritualmente reiterate in sede di questioni preliminari dinanzi al Tribunale (cfr. verbale d'udienza del 4/12/2007).

In realtà, l'udienza preliminare fu effettivamente celebrata in data 15/2/2007 e che fu solo rinviata, per il prosieguo, al 28/2/2007.

E' evidente, quindi la dedotta nullità del giudizio d'appello per omessa completa trasmissione degli atti da parte del Tribunale.

Ne consegue, inoltre, che la Corte territoriale ha dichiaratamente ed erroneamente omesso di valutare le censure processuali relative alla incompletezza del fascicolo del Pm. sia al momento del deposito degli atti ex art. 415 bis c.p.p., sia al momento della stessa udienza preliminare, con ciò incorrendo nel vizio dell'omessa valutazione di una censura difensiva, con necessità di annullare la sentenza impugnata al fine di consentire alla difesa di fruire appieno del doppio grado di giudizio assicurato dalla legge. Peraltro, la spiegata eccezione di nullità dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p., tempestivamente avanzata e reiterata dalla difesa del M., fin dall'udienza preliminare del 15/2/2007, aveva ad oggetto l'esistenza di gravissime lacune evidenziate negli atti di indagine elencati a verbale dalla difesa, tra cui figura la nomina formale quale datore di lavoro del prof. M., asseritamente datata 2/9/2004.

Si era anche impugnata, espressamente, l'ordinanza di rigetto del 15/2/2007 resa dal GUP di Tivoli in ordine alla mancata trasmissione di documentazione rilevante ai fini della decisione le cui motivazioni erano illogiche e giuridicamente infondate, ma su di esse la Corte territoriale non ha espresso alcuna valutazione.

Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge per la nullità della declaratoria di contumacia del ricorrente ovvero omessa notifica del decreto di citazione.

All'udienza innanzi al Tribunale fissata per il 5.07.2007, il GOT designato, preso atto della astensione dei difensori dalle udienza per la dichiarazione in tal senso proclamata dagli organismi forensi, rinvia all'udienza del 4.12. 2012 disponendo nel contempo la notificazione del decreto di citazione per il M. e D. P.. Ma tale rinnovazione della notifica non è mai stata effettuata. La Corte d'Appello afferma, invece, che il Tribunale dichiarò la contumacia solo in data 4.12.2007 poichè il M., all'udienza del 5.07.2007 risultava assente e non contumace. Ma dal verbale dell'udienza del 5.07.2007 (allegato) emerge che la contumacia fu dichiarata proprio in quella sede, per cui: o la contumacia fu dichiarata in presenza di un'astensione dei difensori ed allora essa sarebbe nulla, oppure la contumacia è stata dichiarata all'udienza del 4.12.2007, ma in assenza della notifica per detta udienza come ordinata dal GOT. Con il terzo motivo si denuncia manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in ordine ai profili di colpa ritenuti sussistenti in capo al M..

Si espone che, fronte di plurimi originari profili di colpa, la sentenza impugnata ritiene di ascrivere al M. unicamente i seguenti profili di colpa specifica, asseritamente consistiti nel: a) non aver richiesto al Comune di Zagarolo la dovuta manutenzione e/o riparazione del cancello: b) nel non avere interdetto l'area prospiciente detto cancello.

La sentenza, pur accogliendo la tesi sostenuta dalla difesa secondo cui la manutenzione ordinaria e straordinaria del cancello spettava unicamente al Comune di Zagarolo e non alla Scuola, appare manifestamente illogica e palesemente travisante il risultato probatorio, laddove si afferma la responsabilità del M. per i due residui profili di colpa, i quali presuppongono tutti la conoscenza o la conoscibilità in capo al Preside della sussistenza di un rischio concreto in ordine al cedimento strutturale del cancello.

Tale consapevolezza in realtà non sussisteva e non era possibile perchè il pericolo era assolutamente latente, essendo stata la causa del crollo individuata dai giudici di merito in un cedimento strutturale dovuto ad una manutenzione non eseguita a regola d'arte nell'anno 1998. L'aver censurato la mancata segnalazione del pericolo si pone in logico ed insanabile contrasto con quanto affermato più volte dalla stessa sentenza nelle pagine da 71 a 73, in cui si afferma che - invece - il M. aveva segnalato un pericolo riguardante le recinzioni del plesso scolastico "e quindi del cancello in questione" (cfr. p.71), e che "una segnalazione sia pure generica e a lungo termine il M. aveva fatto anche con il documento di valutazione dei rischi" (cfr. p. 73). Evidente, quindi è la manifesta illogicità della motivazione: da un lato si dice, per supportare la colpa del M., che costui non aveva segnalato il pericolo, dall'altro si afferma, per supportare la colpa del Pe., responsabile del Comune di Zagarolo, che la segnalazione era stata effettuata.

E' evidente, quindi, che su questo punto la motivazione incorre in una grave ed insanabile contraddizione logica.

La sentenza, inoltre, incorre nel vizio motivazionale del travisamento della prova quando afferma che il ricorrente aveva la consapevolezza della situazione di fatiscenza e di pericolo in cui versava il cancello. Sul punto vengo articolate le stesse osservazioni già esposte nel ricorso del Pe., con riferimento alle travisate deposizioni testimoniali delle testi C. e Lo., l'omessa valutazione di tutti gli altri testi, anch'essi citati dal Pe., con particolare riferimento alla deposizione del Ro., il quale, sulla base di un sopralluogo presso il cancello da lui effettuato poco tempo prima dell'infortunio (un mese), pur affermando che il cancello si presentava arrugginito, ha concluso che non era fatiscente al punto da rappresentare un pericolo tale da crollare addosso a chicchessia. Invece, nell'impugnata sentenza, a pag. 85, si sostiene esattamente il contrario, ossia che il Ro.

avesse evidenziato al M., in sede di valutazione dei rischi, che il cancello era totalmente arrugginito e necessitava di manutenzione. Si riportano poi le dichiarazioni degli altri testi, secondo cui il cancello non era pericoloso per la sua fatiscenza, ma solo perchè, non essendo stato chiuso, poteva consentire l'allontanamento dall'area scolastica dei bambini. La convinzione del M. sulla sicurezza dei luoghi, peraltro, si fondava anche:

a) sull'esistenza di un certificato di agibilità della scuola rilasciato dal Comune proprietario, comprendente anche le aree esterne ad essa (cfr. pp. 76 e 77 della sentenza); b) sulla verifica di legge della scuola da parte dell'Ente comunale proprietario all'inizio di ogni anno scolastico; c) sulla verifica, pochi giorni prima dell'evento da parte dell'addetto al servizio di prevenzione e protezione, Ro., che aveva visionato proprio quel cancello e lo aveva ritenuto non pericoloso, rassicurando il M..

Pertanto, il dato probatorio acquisito ha dimostrato che non vi era alcun pericolo di incidente e specifico riferibile all'anta del cancello e non era possibile neppure immaginare ciò che sarebbe potuto accadere.

Peraltro, si argomenta, se come affermato da entrambe le sentenze la professoressa D.P., addetta alla prevenzione, non aveva informato il Preside del pericolo rappresentato dal cancello, emerge ancora una volta la illogicità della affermazione di responsabilità in capo al M.: se da un lato il rimprovero mosso alla D. P. presuppone proprio la necessità di un'informazione al Preside e quindi latenza del pericolo, la conseguenza è che non è giuridicamente rimproverabile al M. di non aver segnalato alcun pericolo non avvertito, nè comunicato e di conseguenza, anche per tali ragioni, la sentenza che ritiene sussistente i due profili di colpa che presuppongono la consapevolezza del pericolo è illogica. E' evidente, pertanto, per il ricorrente che la motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei due profili di colpa sia manifestamente illogica, palesemente travisante il dato probatorio acquisito, in contrasto logico con l'affermazione di responsabilità della D.P. ed in violazione del criterio della prevedibilità ex ante necessario a supportare un addebito colposo di cui all'art. 43 cod. pen..

Con il quarto motivo si censura l'impugnata sentenza in ordine alla ritenuta responsabilità del M.. La Corte del merito ha ritenuto che l'anta del cancello sia caduta a causa di un cedimento strutturale, dipeso dalla saldatura delle cerniere non a regola d'arte effettuata nel 1998 e dall'assenza di manutenzione ordinaria, ma tale affermazione, si rileva, in assenza di una qualsiasi analisi scientifica risulta meramente ipotetica anche perchè non si è individuato l'eventuale grado di indebolimento dei materiali delle cerniere dell'anta dovuto alla ruggine. In particolare, il C.T. del P.M., pur concordando che le cause del crollo erano da ascriversi a quelle ora indicate, tuttavia non aveva specificato se la ruggine fosse anche presente sulle saldature delle cerniere e, di conseguenza, se questa potesse ed in che misura avere inciso sulla resistenza delle stesse. Pertanto, la sentenza ha omesso di valutare e motivare in ordine all'intero compendio probatorio, per cui è stato ravvisato un profilo di colpa in capo al ricorrente nel fatto di non aver chiesto una manutenzione su una cerniera ipoteticamente arrugginita ma che non era in alcun modo visibile dall'esterno.

Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia violazione dell'art. 597 c.p.p., comma 3 del divieto di reformatio in pejus per essere stata concessa per la prima volta in appello una provvisionale alle parti civili, che era stata respinta dal Tribunale non richiesta nei motivi di appello.

3.3. P.L. denuncia violazione di legge e vizio di motivazione laddove la Corte d'appello non ha tenuto in nessun conto le dichiarazioni del teste Ma., datore di lavoro del ricorrente, il quale ha affermato che nel 1998 il cancello non era stato dissaldato, ma solamente rialzato apponendo sopra di esso una ringhiera, e che il P. non aveva lavorato alle cerniere.

Analoga versione è stata resa dalla teste C.O., già custode della scuola nel 1998, che pure ha fatto riferimento alla sola apposizione al di sopra del cancello di una ringhiera. Per altro, lo stesso consulente del P.M. non è stato in grado di chiarire se i lavori di distacco e nuova saldatura del cancello e quelli inerenti al rialzamento della recinzione fossero avvenuti in un solo contesto e quindi dalla stessa mano. Al ricorrente viene attribuito di avere eseguito nell'anno 1998, più di sei anni prima dell'infortunio, la dissaldatura e la nuova saldatura del cancello non a regola d'arte e, quindi, di avere colposamente cooperato con gli altri imputati secondo lo schema di cui all'art. 113 cod. pen. ciò in evidente erronea applicazione della norma, atteso che manca la consapevolezza del P. di aver partecipato con altri nello stesso reato senza conoscerne il contributo in termini di causalità e l'identità. Si riporta giurisprudenza di questa Corte sul tema della cooperazione colposa, si conclude che, anche se si ammette la rilevanza quale concausa dell'evento, la condotta del P. non potrà che essere qualificata come causa indipendente rispetto alle altre con esclusione dei canoni della cooperazione colposa. Ciò comporta che deve escludersi l'applicabilità della normativa antinfortunistica che è stata contestata solo per effetto della ritenuta posizione di cooperatore attribuita al P., per l'effetto verranno a cadere le aggravanti di cui all'art. 589 cod. pen., comma 2. Di poi, le sentenze incorrono nella violazione della disposizione di cui all'art. 521 c.p.p. risultando contestata e recepita un'ipotesi di reato diversa e più grave. Inoltre, il tempo del commesso reato deve essere collocato, quanto alla condotta del P. nel 1998, con la conseguente dichiarazione di prescrizione del reato.

Con il secondo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 41 e 43 cod. pen..

Si osserva che l'opera eseguita dal P. era stata controllata ed approvata dal suo datore di lavoro, imprenditore, Mi., appaltatore per la sistemazione del piazzale: solo su questo incombeva l'obbligo di protezione e garanzia. Premesso che il P. aveva munito il cancello di catena e lucchetto, se il cancello al momento dell' incidente ne fosse stato provvisto esso non sarebbe crollato. La totale mancanza di lubrificazione protrattasi per quasi sette anni ha procurato la formazione di uno spesso strato di ruggine sulle cerniere e sui cardini, se la manutenzione fosse stata attuata e fosse stata correttamente eseguita, è certo che il cedimento dell'anta non si sarebbe verificato.

3.4 La ricorrente D.P. denuncia, in via primaria, vizio di motivazione per illogicità e contraddittorietà. In particolare, esaminando le posizioni processuali del Pe. e del M. (per altro evidenziando macroscopiche contraddizioni come quella che inerisce ai profili di colpa del Preside laddove la Corte d'appello cade in una palese contraddizione, atteso che risulta logicamente incongruente sostenere da un lato che il M. aveva segnalato lo stato di fatiscenza del cancello nel documento di valutazione dei rischi, redatto nel settembre 2003 e trasmesso al Comune di Zagarolo, e dall'altro lo si ritiene responsabile di avere omesso la segnalazione del medesimo pericolo), a fronte del ragionamento logico giuridico adottato dalla Corte distrettuale per affermare la responsabilità del Pe. e del M., appare manifestamente illogica l'argomentazione utilizzata per affermare la responsabilità della D.P. che risulta del tutto inconciliabile con le argomentazioni riguardanti gli altri due imputati.

La ricorrente si sofferma su un ampio ed approfondito excursus della giurisprudenza di legittimità in tema di colpa omissiva impropria, segnatamente, con riguardo alla verifica dell'imputazione causale dell'evento, ed, in particolare, in materia di infortunistica sul lavoro, relativamente alla posizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per il quale può sussistere responsabilità penale, seppur privo di poteri decisionali e di spesa, quando l'evento lesivo sia riconducibile ad una situazione di pericolo che avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare. E, dunque, elemento essenziale per l'affermazione di responsabilità in capo al preposto al servizio di prevenzione e protezione D.Lgs. n. 626 del 1994, ex art. 4, comma 4, lett. B è la mancata consapevolezza in capo al datore di lavoro della situazione di pericolo e, conseguentemente, l'omessa segnalazione di esso dal preposto che, se prontamente segnalato, avrebbe evitato l'evento lesivo. Pertanto, richiamando l'accertamento controfattuale, si rileva che deve risultare positivo l'accertamento del nesso causale nei reati omissivi, ovvero la certezza che l'azione contestata, se posta in essere, avrebbe evitato l'evento. Tutto ciò premesso, si evidenzia la incongruità motivazionale della sentenza impugnata, laddove prima si afferma che pochi giorni prima dell'infortunio sia il Pe. che il M. erano al corrente della situazione di pericolo causata dal cancello, e poi si ritiene la D.P., mera addetta al servizio di prevenzione e protezione, responsabile, a titolo di cooperazione, dell'evento per non aver segnalato quel pericolo già a conoscenza di chi sarebbe dovuto intervenire per eliminarlo. Si aggiunge, poi, che il titolare del Servizio di prevenzione e protezione è il RSSP, nel caso il Ro. e solamente a lui compete l'effettività dei poteri e doveri in ordine all'attività di individuazione dei fattori di rischio e pericolo, tant'è che era proprio il Ro. e non la D.P. a partecipare, insieme ad altri soggetti, quali il RLS ed il RSPP alla riunione periodica di sicurezza. Del resto, si sottolinea, i giudici non indicano quale è la norma che sarebbe stata violata dalla ricorrente.

Con il secondo motivo si denuncia altro vizio di motivazione in riferimento alla valutazione della prova, in particolare delle deposizioni delle testi C. e Lo., circa la consapevolezza da parte della D.P. dello stato di fatiscenza del cancello, e, quindi, del pericolo da esso derivante; in sostanza si eccepisce un travisamento della prova. Sul punto si espongono le stesse osservazioni già poste dagli altri imputati in ordine al fatto che le suddette testimonianze, per altro contrapposte da quelle di altri testi, hanno fatto esclusivamente riferimento al pericolo determinato dalla apertura del cancello, per l'uso illegittimo quale varco di passaggio che ne facevano estranei alla scuola, ma non al pericolo di un probabile cedimento strutturale del medesimo.

L'esposizione del motivo si sofferma sull'analisi delle dette dichiarazioni testimoniali, laddove il termine non era "agibile" riferito al cancello, non riguardava la fatiscenza del medesimo, ma l'uso improprio che altri ne facevano, ed, a tal fine, si evidenzia che la circostanza dell'apposizione del dondolo davanti al cancello aveva l'unica finalità di impedire il passaggio, e che i bambini potessero uscire dall'area scolastica.

Si denuncia, inoltre, la mancata valutazione delle dichiarazioni di altri testi che hanno riferito circostanze che depongono in favore della ricorrente , quali quelle rese dall'ing. G. circa la prevedibilità dell'evento. Da tali risultanze emerge che la D. P. era una mera ausiliaria che doveva seguire le determinazioni adottate dal datore di lavoro e non rivestiva alcuna funzione di garanzia verso terzi. Si riportano le deposizioni di altri testi, quali quelle rese da T.F., I.T., G. R., D.V.C. M.. Ce.Ga., sempre con riferimento alla circostanza che la situazione di pericolo relativa al cancello era quella determinata dalla sua permanente apertura.

Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge con riferimento alla contestata posizione di garanzia in capo all'imputata D.Lgs. n. 626 del 1994, ex art. 4, comma 4, erroneamente interpretato ed applicato, atteso che la citata norma, con riferimento specifico alla figura dell'Addetto al servizio di prevenzione e protezione, non prevede, nè formalmente nè sostanzialmente, alcuna funzione di garanzia verso terzi intesa quale obbligo ex lege di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa. Si riportano le medesime considerazioni già svolte sul punto dal ricorrente Pe. relativamente alla individuazione delle posizioni di garanzie nell'ambito dell'ambiente scolastico in applicazione del D.M. n. 382 del 1998.

Il quarto motivo ha ad oggetto la violazione di legge dell'art. 43 cod. pen.. Premesso che alla ricorrente si addebita, sotto il profilo di colpa specifica, la violazione della D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 4, riallacciandosi al motivo che precede, laddove si è evidenziato che la ricorrente non ricopriva alcuna posizione di garanzia - trattandosi di una posizione ricoperta esclusivamente dal datore di lavoro - si ribadisce che la norma richiamata, asseritamente violata, non prevede in capo all'addetto al servizio di prevenzione e protezione, nè formalmente nè sostanzialmente, alcuna funzione di garanzia verso terzi. Anche l'art. 8 del medesimo D.Lgs. non prevede alcun obbligo giuridico per la figura dell'addetto, da cui emerge la impossibilità di subire pregiudizio dalla propria attività, da parte dell'addetto al servizio di prevenzione e protezione, con ciò volendo sancire il legislatore l'esclusione della sanzionabilità penale ed amministrativa per gli eventuali comportamenti inosservati posti in essere dal Responsabile del servizio sia dagli altri componenti.

Si censura, inoltre, la motivazione dell'impugnata sentenza in punto di ritenuta responsabilità della ricorrente in quanto, esclusa la colpa specifica, non può ritenersi provata e sussistente nemmeno la colpa generica, atteso che la ricorrente ha sempre informato il Preside ed il Rosari circa lo stato dei luoghi e non poteva certo prevedere che dall'omissione di un'ulteriore segnalazione della situazione di rischio rappresentata dal cancello potesse derivare l'evento morte della piccola vittima.

Il quinto motivo riguarda la violazione di legge dell'art. 40 cod. pen..

Fatte diffuse premesse in diritto in ordine alla verifica della causalità, con specifico riferimento al cd. giudizio controfattuale, si sostiene che non sussiste alcun nesso di causalità tra la condotta omissiva - ovvero l'ulteriore segnalazione - asseritamente posta in essere dalla D.P..

3.5 Il COMUNE di Zagarolo, responsabile civile, denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al ritenuto nesso di causalità tra le contestate omissioni all'Ente Comunale e l'evento, essendosi la Corte territoriale limitata, apoditticamente, ad affermare che la condizione pericolante del cancello sarebbe stata accertata in modo obiettivo. Si svolgono le stesse considerazioni già svolte sul punto dal ricorrente Pe. evidenziandosi che non vi è, diversamente da quanto sostenuto in motivazione, alcun motivo per ritenere che la causa del crollo sia dovuta ad una mancanza di manutenzione che avrebbe reso "pericolante" il cancello e, di conseguenza, non è possibile in alcun modo provare la sussistenza di un nesso di causalità tra l'evento e la condotta del responsabile dell'Ufficio teorico del Comune di Zagarolo che, rispetto ai fatti contestati, ha tenuto un comportamento esente da qualsiasi tipo di censura in quanto il cancello non era pericolante e alcuna segnalazione è era pervenuta al Comune.

E' stata erroneamente ascritta la responsabilità agli imputati e quindi ai responsabili civili sulla deduzione che il cancello è caduto perchè non era in buono stato, ciò senza alcun esame spettrografico sullo stato manutentivo dei materiali.

La Corte, incomprensibilmente, ha ritenuto "superfluo" un esame del genere, ritenendo, apoditticamente, sufficiente un test di tipo l'abduttivo".

Con il secondo motivo si denunciano altra violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla asserita legittimazione passiva del Comune di Zagarolo, atteso che la mera posizione di proprietario non può importare ipso facto la responsabilità in ordine ad eventuali omissioni. Il Comune di Zagarolo non ha mai ricevuto alcuna segnalazione da parte della scuola dello stato di pericolo determinato dal cancello. Inoltre, la scuola ha una propria autonomia gestionale ed il Comune destinava effettivamente i fondi all'istituto per la manutenzione, come previsto, oltre che da disposizioni normative specifiche, anche dalla convenzione approvata con Delib. del 13.07.2001 avente ad oggetto il reperimento dei fondi per la manutenzione degli istituti scolastici.


Diritto


4. Tutti i ricorsi, ad eccezione di quello presentato da D.P. M.G., vanno rigettati.

I motivi, posti a base dei ricorsi che il Collegio ritiene che non meritino accoglimento, di cui alcuni non consentiti in sede di legittimità, sono comunque, infondati, e tutti eccepiscono violazione e vizio di motivazione per travisamento delle prove, non tralasciando anche di osservare che le doglianze proposte da tutti i ricorrenti sono affidate a motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate persuasivamente dalla Corte di merito.

In ordine alla comune eccezione di travisamento della prova, prima di passare all'esame analitico dei ricorsi, vale ricordare che il compito del giudice di legittimità è quello di verificare se i giudici di merito abbiano logicamente giustificato la loro valutazione sulla sufficienza degli elementi di natura indiziaria acquisiti al processo al fine di pervenire all'affermazione che, nel caso di specie, i ricorrenti dovevano ritenersi responsabili del fatto ad essi addebitato e se abbiano correttamente applicato i criteri di valutazione della prova indiziaria previsti dall'art. 192 c.p.p..

Il vizio dedotto da ciascun ricorrente non è riconducibile al cd. "travisamento della prova" perchè, con i proposti ricorsi, si pone il problema dell'individuazione dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare l'idoneità indiziaria dei fatti accertati e l'efficacia probatoria di questi indizi nonchè la loro capacità individualizzante.

Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro probatorio ormai "fotografato" con la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito che sarebbe inammissibile in questa sede.

Compito del giudice di legittimità non è infatti quello di ricostruire e valutare i fatti diversamente da quanto compiuto dal giudice di merito ma di sindacare la correttezza del ragionamento di questi sulla valutazione relativa alla efficacia indiziaria dei fatti accertati.

Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al giudizio di attribuzione del fatto con l'utilizzazione di criteri di inferenza, o massime di esperienza, è diretto a verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili.

E, per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su deduzioni logicamente ineccepibili).

4.1.1 Ricorso presentato da Pe.Fr..

Il principale motivo del ricorso del Pe. pone un falso problema, vale a dire quello relativo alla dedotta non conoscenza da parte del ricorrente della pericolosità del cancello, tenuto conto della specifica contestazione in rubrica di condotte omissive che prescindono da tale circostanza.

La linea difensiva, in altre parole, si risolve nell'evidenziare che il Pe. non era stato messo al corrente della fatiscenza del cancello, della debolezza dei punti di saldatura, talchè, a prescindere dalla titolarità della contestata posizione di garanzia (di cui si tratterà), egli non ha potuto intervenire per porre rimedio al pericolo costituito dalla struttura di cui trattasi.

L'assunto difensivo non coglie nel segno. In effetti, la dedotta mancanza di prova circa la conoscenza da parte del Pe. della fatiscenza del cancello non rileva, poichè, in considerazione della qualità da lui ricoperta di responsabile dei Lavori Pubblici presso l'Ufficio tecnico del Comune di Zagarolo, e di rappresentante dell'Ente territoriale, proprietario dell'edificio scolastico, di responsabile della Sicurezza dei luoghi di lavoro, ed, ancor prima, nel periodo di esecuzione delle opere di sistemazione del piazzale della scuola, riguardanti anche il cancello, del ruolo di direttore dei lavori, era suo dovere verificare (innanzitutto) la bontà dell'esecuzione delle saldature delle cerniere del cancello, e curarne, poi, la manutenzione, e, quindi, indipendentemente dalla circostanza che le condizioni del cancello gli venissero portate a conoscenza da altri.

Tale considerazione è stata ben posta in evidenza dall'impugnata sentenza, laddove ha affermato che ciò che rileva della testimonianza delle teste C., con riferimento alla posizione del Pe., è l'aver dichiarato, non tanto che il cancello era fatiscente, quanto che, ad ogni apertura di anno scolastico, il geometra Pe. effettuava dei sopralluoghi presso il plesso scolastico, per conto del Comune, al fine di verificare che tutto fosse a posto, cosa che fece anche nel settembre 2004; aggiungendo anche che il Pe. costituiva, per la scuola, il referente in ordine alla soluzione di ogni questione attinente a lavori, anche minimi, da eseguire nell'edificio scolastico, tanto che egli aveva provveduto, su segnalazione della scuola, a munire il cancello di catena e lucchetto per evitare l'uso improprio che estranei alla scuola ne facevano quale scorciatoia per raggiungere un insediamento abitativo. Nella sentenza di primo grado, cui la Corte d'appello si è integralmente riportata, si legge: " Pe.Fr., quale tecnico comunale responsabile, eseguì i vari sopralluoghi.....si adoperò per impedire l'utilizzo improprio del cancello apponendovi la catena con lucchetto, ma trascurò il fatto che il cancello stesso era fatiscente e, perciò, costituiva pericolo per i dipendenti e gli alunni della scuola materna".

Sulla fatiscenza del cancello, sulla ossidazione delle cerniere che di per sè già erano deboli per i limitati punti di saldatura, effettuati a suo tempo dal P., non c'è da discutere in questa sede, è una situazione di fatto acclarata, oltre che dalle numerose testimonianze, in maniera eloquente dai risultati della consulenza tecnica redatta dall'ing. G.. Già si è fatto cenno nella parte narrativa ai risultati della consulenza tecnica: il C.T. aveva evidenziato che le saldature effettuate nel 1998 - in occasione della sopraelevazione del cancello - non erano state eseguite a regola d'arte, erano di ridotte dimensioni e, dunque, unitamente alla mancata manutenzione e per l'effetto della ruggine, avevano ceduto determinando il distacco dell'anta dal cancello. Per un tecnico (geometra), quale è l'imputato, non ci voleva molto per verificare lo stato del cancello e rendersi conto della sua fatiscenza e, quindi, della sua pericolosità; non può, di certo, a fronte delle dichiarazioni della C. e della Lo., scusarsi facendo ricorso alle testimonianze di altre persone, che non erano, comunque, dei tecnici, frequentatrici della scuola a vario titolo, che non avrebbero rilevato la pericolosità del cancello per la fatiscenza della relativa struttura, sebbene, comunque, abbiano affermato che era "inagibile". La Corte, come dato oggettivo processuale, rileva che l'evidenza della fatiscenza del cancello è stata verificata "ictu oculi", mediante l'esame delle fotografie allegate al verbale di sopralluogo dei Carabinieri e di quelle allegate alla relazioni dei C.T. G. e Co., e, dunque, la motivazione circa la evidente fatiscenza del cancello (V pagg. 68 e segg.), ancorata a dati fattuali e alle dichiarazioni testimoniali acquisite, logicamente sviluppata, non può essere, certo, rivista da questa Corte, sulla base dei rilievi difensivi che si riducono ad una mera rappresentazione di una diversa interpretazione delle stesse risultanze probatorie.

4.1.2 Le considerazioni svolte, nella sentenza impugnata (v. pag. 70), rendono del tutto superfluo l'esame del secondo motivo del ricorso del Pe., risultando residuale, infatti, l'accertamento se fosse effettivamente pervenuta al Comune di Zagarolo il documento di valutazione dei rischi inviato dalla Scuola e, quindi, le censure di carenza di motivazione circa la mancata considerazione da parte della Corte territoriale romana degli elementi probatori, indicati dalla Difesa (V. parte narrativa) vanno disattese.

Nè si evince un vizio motivazionale in punto di contraddittorietà, come dedotto con il secondo motivo, in quanto la Corte capitolina, dopo avere condiviso la motivazione della sentenza di primo grado, con cui si contestano i rilievi difensivi afferenti alla mancata ricezione da parte del Comune del "documento di prevenzione", rileva che in tale documento, sottoscritto oltre che dal Ro. anche dal preside M., non si fa specifico riferimento alla situazione di pericolo riguardante il cancello. In sostanza, la Corte, a conferma di quanto aveva già argomentato, ritiene del tutto irrilevante che tale documento non fosse stato portato a conoscenza del Pe., incombendo su questi l'obbligo, in ragione della sua posizione di garanzia, di accertare autonomamente le condizioni del cancello.

4.1.3 Passando all'esame del terzo motivo, con il quale si contesta la posizione di garanzia da parte del Pe., con esso si pone altro erroneo problema, laddove si censura la sentenza per avere attribuito al Pe. la qualifica di datore di lavoro, ritenuta incompatibile con la stessa qualifica già attribuita al M., preside della scuola (V. parte narrativa).

La Corte distrettuale, dopo aver fatto riferimento alla normativa che regola la materia (D.Lgs. n. 626 del 1994, L. n. 23 del 1996, D.M. 28 settembre 1998, n. 382 e circolare ministeriale del 29.04.1999) e che specifica in maniera più precisa le modalità di applicazione delle norme di sicurezza dei luoghi di lavoro e la prevenzione degli infortuni, con riferimento agli istituti scolastici, individua i soggetti cui incombe l'obbligo di garantire la sicurezza, definendone anche le rispettive competenze, nel Dirigente scolastico, quale "datore di lavoro", e nell'Ente proprietario dell'istituto, tenuto a curare la manutenzione ordinaria e straordinaria, come previsto dalla L. n. 23 del 1996, art. 3, commi 1 e 2 degli immobili adibiti ad istituti scolastici e delle strutture pertinenti.

Innanzitutto, in ragione della normativa ora richiamata, e della Convenzione tra il Comune e l'Istituto scolastico intervenuta nel 2001, alla scuola era riservata la sola "minuta manutenzione", come specificamente indicata nella convenzione all'art. 2, che rappresenta, ovviamente, un minus rispetto alla "manutenzione ordinaria", definizione questa, come correttamente rileva la Corte del merito, evincibile dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, commi 1 e 2. E, dunque, nella "minuta manutenzione", cui fa riferimento la Convenzione intercorsa tra il Comune e l'istituto scolastico, rientravano solo e soltanto quegli interventi "minimi" quali la pulizia quotidiana, la sostituzione di un vetro o di un lucchetto etc., ma certamente non la riparazione a livello strutturale del cancello de quo. Correttamente, ed in aderenza alla chiara interpretazione delle norme di riferimento ed alla convenzione intercorsa tra Comune ed Istituto scolastico, la Corte romana ha affermato che l'efficienza della recinzione e del cancello del cortile ove si è verificato l'evento mortale era a carico dell'Ente territoriale.

Nè, per altro, soccorre a sostegno della tesi difensiva, diversamente da come opina il ricorrente, la circostanza che, in ragione della richiamata convenzione, era stata riconosciuta all'Istituto scolastico una autonomia finanziaria, atteso che questa chiaramente non riguardava le opere di "manutenzione ordinaria" ma solo quelle relative alla gestione giornaliera della scuola. In fatto la Corte di appello (V. pag. 85) evidenzia che le somme stanziate erano del tutto insufficienti ed appena tali da assicurare la decenza igienica dei locali della scuola materna, e che per altro, stante la loro esiguità, in parte erano state anche stornate per pagare gli stipendi agli insegnanti di sostegno.

Ciò posto, non si riesce a comprendere la eccepita errata interpretazione ed applicazione della richiamata normativa; se poi ci si riferisce (V. pag. 72, 27 rigo) alla affermazione in sentenza che il Comune di Zagarolo, in quanto tenuto alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell'istituto scolastico in questione, era da considerarsi "datore di lavoro", ciò, con tutta evidenza, si riferisce, non alla posizione effettiva di "datore di lavoro", nel caso di specie attribuita al preside dell'istituto, ma a quegli obblighi, in materia di sicurezza e prevenzione, derivante da tale qualifica e previsti dal D.P.R. n. 626 del 1994, art. 4, comma 12 ("Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare ai sensi del presente decreto la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a uffici pubblici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione"). In sostanza, trattasi di un rafforzamento della prevenzione, attribuita dalla legge, su un piano paritario, a due soggetti: il datore di lavoro ed il proprietario dell'immobile, secondo il principio di "effettività della prevenzione".

Il ricorrente fa anche riferimento all'ultima parte del D.P.R. n. 626 del 1994, art. 4, richiamato comma 12 ("In tal caso gli obblighi previsti dal presente decreto, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico") quale esonero di responsabilità per l'Ente territoriale, e per esso chi lo rappresenta, non essendo stata effettuata da parte del "datore di lavoro" effettivo - il M. - alcuna richiesta di intervento per l'esecuzione di opere di manutenzione sul cancello.

L'osservazione cade a fronte di quanto già argomentato in ordine alla qualifica ricoperta dal Pe. di responsabile della "Sicurezza dei luoghi di lavoro" (nomina ribadita con Determina, a firma del Sindaco del Comune di Zagarolo del 18.11.2002), in ragione della quale su di lui incombeva l'obbligo di verificare l'efficienza della struttura scolastica e delle sue pertinenze. Comunque, sullo specifico punto, la Corte del merito ha precisato che la segnalazione al Comune, seppure generica ed "a lungo termine", era stata fatta dal preside M., ed era stata fatta anche con il "documento di valutazione dei rischi". Ma come dato di fatto, estremamente significativo, si rileva che il Pe. aveva effettuato "il sopralluogo nel settembre del 2004, un mese prima della tragica vicenda, per quanto di sua specifica competenza, avendone ricevuta richiesta, seppure generica dalla Scuola e, priva di alcuna segnalazione di pericolo, vedendo lo stato di degrado e fatiscenza in cui era stata lasciata la recinzione, e, quindi, il cancello del cortile, non aveva disposto la sostituzione o la manutenzione del cancello stesso, nonostante fosse percepito dalle stesse insegnanti come "non agibile", "arrugginito"....".

4.1.4 L'analisi della censura di cui al quarto motivo del ricorso è già stato oggetto di specifica motivazione da parte della Corte d'appello che si condivide pienamente in quanto conforme al dato normativo (art. 40 c.p., comma 1 e art. 42 c.p., comma 2). Si argomenta che l'omessa realizzazione, da parte del M. cioè di colui che, in ragione della qualifica di "datore di lavoro", era tenuto comunque ad intervenire per impedire l'evento, mediante l'adozione di misure sostitutive (quali ad es. l'interdizione ai dipendenti ed agli scolari della zona ove insisteva il cancello), costituisce un fattore alternativo che impedisce di affermare che la pretesa condotta omissiva del Pe. possa costituire con "alto o elevato grado di credibilità razionale" la condizione necessaria dell'evento lesivo. Per altro, si argomenta, appare innegabile come la ricostruzione del nesso causale tra la condotta del ricorrente e l'evento risulti caratterizzata da insufficienza contraddittorietà ed incertezza e, quindi, si presti ad ingenerare quel ragionevole dubbio in ordine alla "reale efficacia condizionante rispetto ad altri fattori interagenti" della medesima condotta, con la conseguente neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio. Si rileva ancora che sussistono altri fattori alternativi idonei ad impedire la ricostruzione del nesso causale, quali il difetto di organizzazione all'interno della scuola, e lo scardinamento del cancello avvenuto successivamente al 1998, che si atteggia anche come fattore assolutamente anomalo e quindi imprevedibile.

E' opportuno ricordare, anche in ragione del fatto che analoga prospettazione difensiva è stata avanzata dagli altri imputati, ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l'evento (art. 41 c.p., comma 2), il concetto di causa sopravvenuta (Sez. 4, Sentenza n. 1214 del 26/10/2005, Rv. 233173 Sez. 4, Sentenza n. 6215 del 10/12/2009 Rv. 246421) da sola sufficiente a determinare l'evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacchè, allora, la disposizione sarebbe pressochè inutile, in quanto all'esclusione del rapporto causale si perverrebbe, comunque, sulla base del principio condizionalistico o dell'equivalenza delle cause di cui all'art. 41 c.p., comma 1. La norma, invece, si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall'antecedente, ma "sufficiente" a determinare l'evento, nel senso che, in tal caso, la condotta dell'agente degrada da causa a mera occasione dell'evento: ciò che si verifica allorquando ci si trova in presenza di una causa sopravvenuta che, pur ricollegandosi causalmente all'azione o all'omissione dell'agente, si presenta con carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia come un fattore che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. L'apprezzamento sulla natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto è accertamento devoluto al giudice di merito che deve logicamente motivare il suo convincimento sul punto (v. Sezione 4, 11 luglio 2007, Tamborini, rv. 237659, e, di recente, Sezione 4, 20 settembre 2012, Montanaro, non massimata).

Resta, invece, ferma la rilevanza causale della condotta preesistente con la quale la causa sopravvenuta risulti in relazione di interdipendenza, sì che, disgiunta da essa ed isolatamente considerata, non si rivela capace di realizzare l'evento, stante il collegamento derivativo con la serie causale antecedente, di cui quella sopravvenuta appare uno sviluppo evolutivo.

Va da sè che se il Pe., nel corso del sopralluogo del settembre 2004, come era suo dovere, avesse rilevato la precarietà della struttura del cancello ed il pericolo che ne derivava ed avesse posto rimedio a tale situazione, l'evento, accaduto poi a distanza di un mese, non si sarebbe verificato, indipendentemente dalla contestuale condotta omissiva del M..

Ne consegue la correttezza della valutazione della Corte di merito quanto alla sussistenza del nesso causale tra le violazioni cautelari rispettivamente ascritte agli imputati Pe., M. e P. e l'evento.

4.1.5 La questione posta con il quinto motivo dal Pe. riguarda anche altre posizioni processuali (in particolare quella del P.), ed è quella relativa al denunciato vizio di motivazione con riferimento all'elemento soggettivo nell'ambito della cooperazione colposa, argomento, questo, ampiamente trattato in sentenza, con riferimento alla giurisprudenza di questa Corte.

La differenza tra questa e il concorso di condotte colpose tra loro indipendenti viene comunemente individuata nel fatto che in quest'ultimo caso più persone, pur avendo contemporaneamente violato una regola cautelare, pongono in essere un'autonoma condotta, che sfocia nella produzione dell'evento non voluto, in mancanza della reciproca consapevolezza di contribuire all'azione od omissione altrui (tra le molte, Sez. 4, n. 48318 del 12/11/2009, P.C. in proc. Gigli e altri, Rv. 245736).

Intorno all'esatta definizione dei contenuti del coefficiente psicologico che caratterizza la cooperazione colposa si coglie invece un progressivo distacco dalla tesi tradizionale, per la quale essa si verifica quando più persone pongono in essere una data autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all'azione od omissione altrui che sfocia nella produzione dell'evento non voluto (Sez. U, n. 5 del 25/11/1998, Loparco, Rv. 212576). Si afferma, infatti, che nell'ipotesi di cooperazione colposa il legame psicologico tra i partecipi è quello della coscienza in ciascuno della condotta degli altri, senza che sia richiesta la "specifica coscienza o conoscenza sia delle persone che cooperano sia delle specifiche condotte da ciascuno poste in essere". Ove si ritenesse diversamente, ovvero che sia necessaria la consapevolezza anche della natura colposa dell'altrui condotta, la cooperazione sarebbe configurabile solo nel caso di colpa cosciente.

Pertanto, si conclude, la cooperazione è ipotizzabile anche in tutti quelle ipotesi nelle quali un soggetto interviene essendo a conoscenza che la trattazione del caso o la sistemazione di un'opera non è a lui soltanto riservata perchè anche altri operanti ne sono investiti (Sez. 4, n. 26020 del 29/04/2009, Cipiccia e altri, Rv. 243932).

L'opzione interpretativa appena ricordata è stata ulteriormente approfondita in una coeva pronuncia che, preso atto che il campo delle opinioni è diviso tra coloro che ritengono costitutiva della cooperazione colposa la sola coscienza della partecipazione di altri e quanti sostengono la necessità della consapevolezza del carattere colposo della condotta altrui, ha ritenuto entrambe le tesi insoddisfacenti: l'una, quella della mera consapevolezza dell'altrui condotta, perchè "sembra implicare il rischio di creare un'indiscriminata estensione dell'imputazione"; l'altra, perchè "richiedere la consapevolezza del carattere colposo dell'altrui comportamento reca il rischio opposto di svuotare la norma e di renderla inutile, giacchè una tale consapevolezza ben potrebbe implicare un atteggiamento autonomamente rimproverabile".

Onde evitare l'eccessiva estensione della fattispecie di cooperazione connesse alla mera consapevolezza dell'altrui condotta concorrente si è quindi ritenuto necessario che "il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza. In tali situazioni, l'intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio giustifica la penale rilevanza di condotte che, come si è accennato, sebbene atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano, si compenetrano con altre condotte tipiche. In tutte tali situazioni ciascun agente dovrà agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui. Si genera così un legame ed un'integrazione tra le condotte che opera non solo sul piano dell'azione, ma anche sul regime cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto".

La Corte ha, quindi, individuato una "pretesa d'interazione prudente", quale canone per definire il fondamento ed i limiti della colpa di cooperazione.

Ed è in ragione di essa che troverebbe giustificazione "la deviazione rispetto al principio di affidamento e di auto responsabilità". Ciò consente di dire che la funzione della cooperazione è quella di fornire un "modello di doveroso accrescimento dell'efficienza delle cautele"; e così di giustificare il coinvolgimento anche di soggetti che, nell'ambito di una determinata organizzazione, svolgono un ruolo subalterno e meno qualificato e che, conseguentemente, facilmente svolgono nei fatti un ruolo meno significante. Subalterni che, hanno quindi il dovere di assumere un ruolo critico-dialettico e conseguentemente il dovere di manifestare l'eventuale dissenso rispetto alle scelte del sovraordinato (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1786 del 02/12/2008, Tomaccio e altri, Rv. 242566; Sez. 4, n. 1428 del 02/11/2011, Gallina, Rv. 252940).

Questo Collegio ritiene di condividere tale ultimo orientamento, dal quale si possono trarre i seguenti principi: 1) nell'ambito delle attività nelle quali la gestione del rischio è affidata a più soggetti ancorchè in ruoli diversi (gestione collettiva del rischio), perchè possa aversi cooperazione colposa è necessario, ma anche sufficiente, che alla violazione della regola cautelare (che può dar luogo anche a condotta atipica, avendo l'art. 113 cod. pen. funzione incriminatrice) si accompagni la consapevolezza della valenza sinergica del proprio comportamento; 2) in presenza dei due requisiti appena menzionati, si prospetta un'ulteriore regola cautelare di condotta, individuata in un particolare dovere di "interazione prudente", aggiuntiva rispetto alle regole di diligenza che contengono lo svolgimento dell'attività specifica entro i limiti del rischio consentito.

Orbene, alla stregua di tali considerazioni si ritiene legittimamente contestata e ritenuta la forma della cooperazione colposa essendo indubitabile, per quanto riguarda la posizione processuale del Pe., che egli fosse cosciente di essere inserito in un processo di attuazione di obblighi di garanzia di sicurezza facenti capo a più soggetti: era a conoscenza (essendo stato nominato direttore dei lavori di sistemazione del piazzale e della recinzione della scuola) dell'opera posta in essere dal fabbro P. nel momento in cui questi è intervenuto sul cancello eseguendo lavori non a regola d'arte, era a conoscenza degli obblighi gravanti sul Preside M. di individuazione dei rischi e di porvi rimedio, indipendentemente dal suo intervento.

4.1.6 Anche la censura posta a base del sesto motivo del ricorso del Pe. è destituita di fondamento, come correttamente rilevato dalla Corte romana (V. pag. 81), il richiamo del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 12, che prevede l'obbligo degli Enti Territoriali di provvedere alla manutenzione degli edifici di cui sono proprietari ed adibiti ad uso pubblico, tra i quali gli edifici scolastici, individua in capo ai rappresentanti di detti Enti una posizione di garanzia nell'ambito della sicurezza e prevenzione sul lavoro; per cui correttamente è stata contestata l'aggravante di cui all'art. 589 cod. pen., comma 2.

Questa Corte ha, d'altra parte, in più occasioni avuto modo di affermare che, in tema di lesioni e di omicidio colposi, perchè possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, "è sufficiente che sussista legame causale tra siffatta violazione e l'evento dannoso, legame che non può ritenersi escluso sol perchè il soggetto colpito da tale evento non sia un dipendente (o equiparato) dell'impresa obbligata al rispetto di dette norme, ma ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.c.. Ne consegue che deve ravvisarsi l'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2 e art. 590 c.p., comma 3, nonchè il requisito della perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590 c.p., u.c., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all'"attivita" e all'ambiente di lavoro, purchè la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purchè, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi" (Cass. n. 6025/1989).

A tali principi questa Corte intende uniformarsi, di guisa che, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, la fattispecie delittuosa contestata agli odierni imputati deve ritenersi aggravata ai sensi dell'art. 589 c.p., comma 2. Ferma restando la piena libertà del giudice di merito di verificare la concreta sussistenza, nei confronti di ciascun imputato, di responsabilità penali in ordine all'incidente patito dalla R..

4.1.7 Con lo stesso motivo si denuncia vizio di motivazione con riferimento al giudizio di equivalenza tra l'aggravante di cui ora si è discusso e le attenuanti generiche ed, in definitiva, ci si lamenta dell'eccessività della pena.

Si rammenta che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale, come pure la concessione delle attenuanti generiche ed il giudizio di equivalenza tra queste e le aggravanti contestate, rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p. (da ultimo, Cass., Sez. 4A, 13 gennaio 2004, Palumbo) A ciò dovendosi aggiungere che non è neppure è necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (di recente, Cass., Sez. 4^, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri).

Nella specie, risulta evidente che il potere discrezionale in punto di trattamento dosimetrico, alla luce della pena inflitta, è stato dal giudice correttamente esercitato, con riferimento allo stato di incensuratezza dell'imputato e con la concessione delle attenuanti generiche, così dimostrando di aver tenuto conto degli elementi indicati nell'art. 133 c.p..

4.2.1. Ricorso presentato da M.F..

In ordine alle censure riguardanti violazione di legge relative alle eccepite nullità dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e alla nullità della declaratoria di contumacia del ricorrente (motivi primo e secondo) si rileva, innanzitutto, che la dedotta carenza di motivazione è del tutto insussistente, visto che la Corte del merito si è senz'altro confrontata con i rilievi difensivi, proposti con l'appello, avendo esaminato l'ordinanza del Tribunale di rigetto delle dette eccezioni, indipendentemente dalla presa visione dei verbali di udienza e, quindi, le critiche non sono affatto condivisibili dovendosi ritenere la risposta fornita su tali punti dalla sentenza impugnata pienamente convincente e niente affatto evasiva rispetto alle prime.

In merito alla prima eccezione, per un caso analogo è intervenuta questa Corte (Sez. 4, Sentenza n. 7597 del 08/11/2013 Ud. Rv. 259121) affermando il principio secondo cui l'omissione del deposito di atti dell'indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell'avviso di conclusione prescritto dall'art. 415 bis cod. proc. pen., comporta l'inutilizzabilità degli atti stessi, ma non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio. In sostanza si è affermato che non esiste un'autonoma sanzione in tal senso di invalidità del decreto che dispone il giudizio ex art. 429 c.p.p.. Ricorre, invece, la inutilizzabilità degli atti, in possesso del P.M., ma non depositati contestualmente alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini.

Per il caso di specie, non ricorre, però, neanche quest'ultima sanzione, con l'eccezione si fa riferimento, in particolare, all'atto di nomina formale quale datore di lavoro del M., asseritamente datata 2.09.2004, ma tale circostanza, indipendentemente dal documento formale acquisito dal C.T. e non allegato alla consulenza o, comunque, non versato in atti dal P.M., è stata oggetto dei risultati di indagini del m.llo Se., e non risulta che essa sia stata contestata dalla Difesa (si rimanda alla approfondita motivazione a pag. 82, 83 ed 84 dell'impugnata sentenza).

Si rileva, comunque, che la Difesa ha posto a base della censura, allegandolo in copia al ricorso, il decreto di fissazione dell'udienza preliminare del 15.02.2007, ma non anche il relativo verbale di udienza, per cui non è data la possibilità a questa Corte di verificare l'assunto difensivo circa la tempestività dell'eccezione di nullità per violazione dell'art. 415 bis c.p.p..

Quanto all'altra eccezione essa parimenti è infondata. Invero, ciò che rileva per la Corte distrettuale, e trova pienamente concorde il Collegio, è che all'udienza del 4.12.2007, tenuta dal giudice monocratico (erroneamente indicato GUP), subentrato al GOT, che aveva celebrato l'udienza del 5.07.2007 rinviando la causa al 4.12.2007, è stata acquisita la notifica del decreto di citazione a giudizio agli imputati M. e D.P., per cui, essendo risultata perfezionata tale notifica, veniva dichiarata la contumacia dei predetti imputati stante la loro mancata comparizione. Che poi tale dichiarazione di contumacia, erroneamente era stata dichiarata dal GOT alla precedente udienza del 5.07.2007, non rileva sul piano processuale, dovendosi ritenere tamquam non esset, non avendo leso alcun diritto di difesa degli imputati. D'altra parte in sentenza si rileva anche che alla predetta udienza del 4.12.2007 presenti i difensori degli imputati nulla hanno eccepito in ordine alla dichiarazione di contumacia.

4.2.2. In ordine al terzo motivo del ricorso del M., acclarata la sua qualifica formale di dirigente scolastico dell'Istituto (si rimanda alle pagine su richiamate della sentenza), prima del verificarsi dell'evento, è indubitabile la titolarità della posizione di garanzia alla stregua delle disposizioni normative già indicate, essendo pacifico che al preside è attribuita la qualità di datore di lavoro nei confronti del personale della scuola, non essendo contestabile la qualificazione di quest'ultima come "luogo di lavoro", il comportamento dovuto per legge era pertanto rappresentato dal dovere di richiedere all'Ente territoriale, proprietario del plesso scolastico, un intervento risolutivo per la eliminazione del pericolo derivante dalla fatiscenza del cancello, e, nelle more dell'intervento del Comune, dell'adozione di misure di propria pertinenza e disponibilità per eliminare il pericolo mediante un ordine di interdizione, con l'apposizione di ostacoli fisici, di accedere a chicchessia all'area ove insisteva il cancello.

Si tratta di comportamenti la cui omissione è stata correttamente valutata, nell'ambito di un giudizio controfattuale, uno degli antecedenti necessari dell'evento dannoso prodottosi ai danni della bambina R., quindi legato a quest'ultimo da rapporto logico-giuridico di causalità, valutato in concreto dai giudici sulla base di un sapere scientifico che, in quanto sostanzialmente comune, non necessitava nel caso in esame di ulteriori dimostrazioni o spiegazioni (sull'argomento, cfr., in una più ampia prospettiva, Cass. S.U. 11 settembre 2002 n. 30328).

Ritiene il Collegio, quanto allo specifico rilievo difensivo in base al quale il M. non ha potuto intervenire in quanto non messo a conoscenza della situazione di pericolo derivante dal cancello, esso pone, come già evidenziato per il Pe., un falso problema.

A parte la considerazione che il rilievo involge una questione di mero fatto e, in quanto tale, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata inappuntabile dal punto di vista logico (V. pag. 85 e segg.), per la ricostruzione effettuata (circa la consapevolezza da parte del M. dello stato di fatiscenza del cancello e del pericolo che ne derivava) basata su dati di fatto oggettivi e corroborata dai risultati delle testimonianze (in principal modo quella del Ro., Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e della dipendente Lo.Gi.), è sottratta alla valutazione del Collegio, non ravvisandosi affatto, come già in precedenza sottolineato, un caso di travisamento della prova.

Ciò precisato, in ogni caso, si dimentica che, a carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al D.P.R. n. 547 del 1955 (artt. 391 e 392) e di quella generale in materia di sicurezza sul luogo di lavoro (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4) ed anche in riferimento alla norma cd. "di chiusura del sistema" ex art. 2087 cod. civ., puntualmente richiamata in sentenza, sussiste un obbligo di controllo dell'attuazione delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro, e di chiunque frequenti il luogo di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p.p., comma 2.

In ogni modo, la condotta omissiva contestata al M., anche a prescindere dalla avvenuta comunicazione o meno della situazione di pericolo al Comune, emerge, come rilevano i giudici del gravame di merito, in maniera incontrovertibile ove si tenga conto del comportamento rimproverato all'imputato e da lui esigibile, a prescindere dai possibili successivi interventi di manutenzione da parte del Comune, in particolare quanto alla interdizione di accesso all'area del cancello o nell'emanazione di un esplicito formale divieto in tal senso.

La chiarezza espositiva della motivazione censurata, correlata ad una analisi approfondita della condotta del ricorrente, appare inattaccabile dai rilievi difensivi, laddove ha ben rappresentato anche i profili della colpa circa la riconoscibilità del pericolo e la conseguente prevedibilità dell'evento. E' dato infatti leggere :" La condizione di "conclamata" fatiscenza ed inagibilità del cancello, e di tutta l'area di recinzione sono elementi certi, ed inequivocabili, di elevata capacità dimostrativa, della riconoscibilità del "pericolo" che il cancello costituiva per i piccoli alunni che frequentavano il cortile della scuola materna nelle ore scolastiche, non soltanto perchè "percepito" dalle insegnanti C. e Lo., le quali non erano certamente delle persone tecnicamente esperte, ma soprattutto perchè, quali indici rivelatori visibili ed oggettivi, inequivocabili, dello stato di degrado del cancello, fondano, "al di là di ogni ragionevole dubbio", il giudizio di "rappresentabilità" del pericolo, non solo su ciò che era quindi, facilmente riconoscibile a tutti - anche ai non esperti - ma anche su ciò che concretamente ed attualmente il M. personalmente e per il tramite del Ro., aveva conosciuto e, segnalato, seppure insufficientemente e non specificamente in violazione della norma cautelare di cui all'art. 2087 c.c.. Grave sottovalutazione quella effettuata dal M., del rischio e del pericolo del cancello, perfettamente riconoscibile e quindi prevedibile ed "evitabile", allorquando aveva omesso anche di adottare le misure di "segnalazione del pericolo" e/o "interdittive" dell'area cortilizia, che dovevano invece, essere adottate con la massima urgenza, e che, invece, non furono imprudentemente adottate, nonostante il notevolissimo ritardo (circa un anno) dell'Amministrazione Comunale di Zagarolo - rappresentata dal Pe., il quale anche lui consapevole , per le medesime ragioni, del rischio e del pericolo che il cancello in quelle "condizioni" rappresentava, nulla aveva fatto per evitarlo (art. 40 c.p.)".

Anche il rilievo di contraddittorietà della motivazione con riferimento alla posizione processuale della D.P. (V. parte narrativa, terzo motivo, ultima parte) va disatteso.

In effetti più che contraddittorietà della motivazione, per il Collegio, questione che sarà trattata più avanti quando verrà preso in esame il ricorso della D.P., si tratta di una errata valutazione, alla luce dei criteri di cui all'art. 192 c.p.p., delle acquisizioni probatorie in base alle quali la Corte romana ha ritenuto la responsabilità della D.P. in relazione al ruolo dalla medesima ricoperta di addetta alla prevenzione nell'ambito dell'istituto scolastico. Di conseguenza venendo meno nella causazione del tragico evento il contributo di costei non rileva, processualmente, il rapporto con il M..

Si ricorda, poi, sul punto che gli obblighi di vigilanza e controllo del datore di lavoro, di per sè delegabili ad altro responsabile (il che, peraltro, non risulta avvenuto nel caso di specie), vengono meno con la nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione al quale sono demandati compiti diversi (v. D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 8 e 9) intesi ad individuare i fattori a rischio, ad elaborare le misure preventive e protettive, le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali. Per contro, la vigilanza sull'applicazione delle misure disposte e sull'osservanza di queste da parte dei lavoratori rimane a carico del datore di lavoro, se non ritualmente delegate ad altri soggetti.

4.2.3 Del tutto infondato è il quarto motivo.

La Corte d'appello ha ritenuto, con motivazione appropriata, chiaramente acclarata la causa del distacco dell'anta del cancello sulla base dei rilievi tecnici dei consulenti, con la conseguente superfluità di un qualsiasi ulteriore accertamento tecnico.

In merito si osserva che l'istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti). La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cass. 4A, 10 giugno 2003, Vassallo).

E la Corte di merito - come si è detto - ha spiegato perchè si sia convinta della superfluità della assunzione delle prove richieste dalla difesa evidenziando la ricchezza dei dati dimostrativi della causa che ha determinato il distacco dell'anta del cancello, secondo un itinerario logico che non presenta smagliature o contraddizioni interne e che, in quanto tale, non può essere messo in discussione in questa sede.

A questo si aggiunga che il sindacato che la Corte di cassazione può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su una richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (v. Cass. S.U. 23 novembre 1995, P.G. in c. Fachini).

Ed in ogni caso va per completezza rivelato che il ricorrente, pur deducendo formalmente la mancata assunzione di prove decisive quale effetto di un immotivato diniego opposto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nella sostanza prospetta - come si diceva sopra - una ricostruzione dei fatti diversa da quella accolta nella sentenza impugnata o, quanto meno, un'interpretazione alternativa dei medesimi, indugiando in considerazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità.

4.3.1 Ricorso presentato dal P.L..

Le censure (V. parte narrativa) aventi ad oggetto la sussistenza della condotta colposa contestata al ricorrente, quale concausa efficiente del verificarsi dell'evento, si risolvono in una diversa lettura dei risultati delle acquisizioni probatorie ed, in ragione di tanto, sono sottratte alla valutazione del Collegio che ritiene la motivazione dell'impugnata sentenza, quanto alla posizione del P., esaustiva e del tutto congrua (V. pag. 89-90-91-92-93-94- 95). Dato certo è che era stato il fabbro P.L. ad eseguire i lavori di saldatura del cancello nel 1999, circostanza questa, diversamente da come si opina in ricorso, confermata da Mi.Br., suo datore di lavoro. Circa la esecuzione non a regola d'arte delle saldature del cancello che avrebbero, per altro, dovuto essere rinforzate in ragione della sovrapposizione di altra struttura metallica, che aveva aumentato il peso del cancello, si rimanda alla più che analitica ed esaustiva motivazione sul punto dell'impugnata sentenza.

Ci si riporta, poi, a quanto già argomentato nel corso dell'esame della posizione del Pe. relativamente alla censura del P. riguardante la insussistenza della cooperazione ex art. 113 cod. pen. ritenendosi del tutto puntuale e corretta l'osservazione della Corte distrettuale (V. pag. 99) secondo cui non era necessario che il P. conoscesse le persone che cooperavano nell'attività di risistemazione del cancello da lui svolta e, quindi, il Pe., suo Direttore dei lavori, il quale non aveva effettuato alcuna verifica o collaudo sui lavori da lui stesso eseguiti, o gli altri organi preposti alla sicurezza dei luoghi a tutela dei lavoratori e degli alunni, dove aveva prestato la sua attività lavorativa. Nè, per quanto ricordato in diritto in tema di cooperazione colposa, era necessario che il ricorrente conoscesse la condotta tenuta dai soggetti che hanno cooperato.

Parimenti ci si riporta a quanto già argomentato circa la sussistenza dell'aggravante contestata di cui all'art. 589 cod. pen., comma 2 estensibile, ovviamente, anche alla posizione processuale del P..

Destituita di fondamento è l'eccezione di estinzione del reato per prescrizione basata sul rilievo di fatto che l'intervento del ricorrente risale al 1998, vale a dire a distanza di ben sei anni dall'evento.

Invero, a parte la considerazione che, trattandosi di ipotesi aggravata, il termine prescrizionale ordinario di dieci anni, previsto dall' art. 157 cod. pen. nella sua formulazione antecedente alla entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, non è perento in quanto l'intervento del fabbro risale ai primi del 1999 (la Delib. comunale di effettuazione dei lavori è del 30 dicembre 1998), ciò che rileva non è il tempo in cui è stata realizzata la condotta quanto quello in cui si è verificato l'evento (Sez. 4, Sentenza n. 12472 del 15/06/2000 Ud. Rv. 217947).

4.4. Conclusivamente, la Corte territoriale, uniformandosi al giudizio espresso dal Tribunale, ha ritenuto le condotte attribuite al Pe., M. e P. legate da nesso causale con la morte della piccola scolara.

Il richiamo da parte di tutti i ricorrenti alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio", contenuta nella sentenza delle sezioni unite "Franzese" e poi in altre ed ora recepita nell'art. 533 c.p.p., per fondare la primaria censura dell'impossibilità di pervenire all'affermazione di colpevolezza degli imputati non potendosi ritenere accertato la sussistenza del nesso causale, come delineato, secondo quell'alto o elevato grado di credibilità razionale o "probabilità logica", impone di far notare, dopo l'esperienza giurisprudenziale applicativa di oltre dieci anni, che, al di là dell'icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale, sono a fondamento della stessa, sicchè esattamente è stato notato come detta frase ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacchè, in precedenza, il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava il proscioglimento a norma dell'art. 530 c.p.p., comma 2;

allora non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma si ribadisce un principio immanente nel nostro ordinamento, costituzionale ed ordinario, secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale della responsabilità dell'imputato (Cfr. Sez. 2, Sentenza n. 7035 del 09/11/2012 Ud. Rv. 254025; Sez. 2, Sentenza n. 16357 del 02/04/2008 Ud. Rv. 239795; Sez. 1, Sentenza n. 20371 del 11/05/2006 Ud; Cass. sez. 2 7 giugno 2006 n. 19575 rv.233785 cui adde Cass. sez. 1 13 settembre 2006 n. 30402 rv. 234374 e dello stesso estensore 14 giugno 2006 n. 20371 rv. 234111).

Detta acquisizione serve anche a valutare la portata della decisione delle sezioni unite (Cass. sez. un. 11 settembre 2002 n. 30328 rv.222138 e 222139), oggetto anche di differenti letture da parte della dottrina ed all'interno della quarta sezione, pur rimanendo inalterata l'interpretazione da essa data agli artt. 40 e 41 del codice penale (Sez. 4, Sentenza n. 9170 del 14/02/2013 Ud. Rv. 255397; Sez. 4, Sentenza n. 17758 del 06/03/2012 Ud. Rv. 253502; Sez. 4, Sentenza n. 17523 del 26/03/2008 Ud. Rv. 239542; Sez. 5, Sentenza n. 4941 del 18/12/2008 Ud. Rv. 242630; Sez. 4, Sentenza n. 35115 del 24/05/2007 Ud. Rv. 237452; Sez. 4, Sentenza n. 20560 del 02/03/2005 Ud. Rv. 231356; Sez. 4, Sentenza n. 4675 del 17/05/2006 Ud. Rv. 235658;Sez. 4, Sentenza n. 39062 del 26/05/2004 Ud. Rv. 229832; Sez. 4, Sentenza n. 40183 del 23/06/2004 Ud. L. Rv. 229834;Rv. 234111 Cass. sez. 4 13 febbraio 2003 n. 7026, Loi ed altri rv. 223749, Cass. sez. 4 21 maggio 2003 n. 19312, Merlin rv. 19312 e Cass. sez. 4 2 ottobre 2003 n. 37432, Monti ed altri rv. 225988; Sez. 4, Sentenza n. 4981 del 05/12/2003 Ud. Rv. 229668).

Infatti, secondo le pronunce di questa Corte ad essa succedutesi, corroborate da voci dottrinali più convincenti, è stata ribadita la perdurante validità della teoria condizionalistica e la necessità di procedere al giudizio controfattuale, non poste mai in dubbio, e riaffermato che il nesso di causalità non può essere accertato con criteri di valutazione diversi da quelli utilizzati per gli altri elementi costitutivi del reato, sostenendosi un'argomentazione ovvia, ma, purtroppo, non pacifica in tema di colpa professionale, in cui si faceva riferimento a criteri metagiuridici quali ad esempio il valore della vita umana, richiamandosi, altresì, un principio lampante, secondo cui per pronunciare una condanna sono necessarie le prove, che possono essere anche indiziarie e logiche, ed introducendo il criterio della probabilità logica rispetto a quella statistica in modo da ridimensionare "in modo equilibrato" quella teoria seguita da autorevole voce dottrinale della certezza e della probabilità prossima ad uno e l'altra della probabilità statistica e delle serie ed apprezzabili probabilità di successo.

Il merito, unanimemente riconosciuto, della decisione delle sezioni unite "Franzese" è quello di aver rimosso l'equivoco di una diversità di accertamento della causalità omissiva e soprattutto, proprio sotto questo profilo, di aver ritenuto non accettabile la teoria della certezza o della quasi certezza, prossima ad uno, quasi che in questi casi fosse possibile prevedere un differente modo di accertamento del fatto e del rapporto eziologico e fosse possibile una certezza assoluta, contrastata, persino, dalla filosofia della scienza, che, secondo quanto sostenuto dai più accreditati filosofi del ramo, si fonda sulla cd. "causa probabile", giacchè appartiene "all'innocenza del pensiero scientifico del passato" il riferimento alla certezza assoluta.

Peraltro, senza addentrarsi in un esame minuto della predetta decisione ed in un'analisi della sua struttura, la pronuncia assume particolare rilevanza per l'attenzione riservata al momento dell'accertamento processuale, che assume importanza fondamentale per il caso che ci occupa, attese le censure mosse con i ricorsi alla sentenza della Corte catanzarese.

Infatti, si può fare questione di modalità di accertamento della sussistenza del nesso causale tra omissione ed evento solo qualora esistano, come nel caso di specie, condotte eterogenee ed interagenti.

La sentenza a SS.UU. chiarisce che "nulla esclude che (coefficienti medio - bassi di probabilità cd. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica) se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico - legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento".

Pertanto, escluso che "si elevino a schemi di spiegazione del condizionamento necessario solo leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico "prossimo al" cioè alla "certezza", giacchè si tratterrebbe di assicurare un "garantismo nichilista", occorre riferirsi al ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall'art. 192 c.p.p., comma 2 ed alla regola generale in tema di valutazione della prova di cui al comma 1 della medesima disposizione ed alla ponderazione, ma non all'acritico accoglimento, delle ipotesi antagoniste, in modo che, "esclusa l'interferenza di decorsi alternativi, la condotta omissiva dell'imputato, (risulti) condizione "necessaria" dell'evento, attribuibile per ciò all'agente come fatto proprio", sicchè è ben presente nella citata pronuncia la consapevolezza del carattere probabilistico delle leggi scientifiche, ma le stesse servono, in uno con quelle statistiche e le massime generalizzate di comune esperienza, a dare credibilità razionale all'accertamento del nesso eziologico.

Infatti, interessa al diritto l'individuazione della condizione necessaria dell'evento e non di quella sufficiente cioè dell'insieme delle condizioni che rendono inevitabile un determinato risultato, condizione che nemmeno le leggi scientifiche sono in molte ipotesi in grado di esprimere, senza che per questo si dubiti della loro intrinseca razionalità.

Le leggi statistiche ed i correlati studi costituiscono uno strumento revisionale utile ai fini della prevenzione dei rischi ed ipotizzano un rapporto causale tra fenomeni senza che provino di per sè un nesso di causalità tra fenomeni cioè costituiscono un indizio da poter valorizzare, insieme ad altri, nell'accertamento di detto rapporto "ex post".

Dunque, la Corte distrettuale, uniformandosi a questi principi, ha fatto ricorso ad un giudizio controfattuale con riferimento alle condotte delineate, per altro esperibile anche in caso di condotta commissiva (quella riferita al P.), si può, comunque, concordare nell'affermazione che, se il Pe., in osservanza degli obblighi derivanti dalla sua posizione, avesse diligentemente accertato la fatiscenza del cancello ed il pericolo che ne derivava provvedendo alla sua ristrutturazione, se il M., quale datore di lavoro, avesse controllato la sicurezza del luogo di lavoro ed, una volta venuto a conoscenza dello stato del cancello avesse specificamente richiesto l'intervento del Comune e, comunque, nelle more avesse interdetto l'accesso all'area in questione, se il P. avesse svolto a regola d'arte il lavoro commissionatogli, l'anta del cancello non si sarebbe mai distaccata e l'evento mortale non si sarebbe verificato.

Non vi può essere alcun dubbio quindi, che la grave condotta omissiva del M. - al pari di quella del Pe. e quella commissiva del P., nella loro rispettiva "posizione di garanzia" - è stata correttamente valutata dai giudici del merito non solo sotto il profilo della violazione della regola cautelare specificamente violata, ma anche sotto il profilo della cd.

"concretizzazione" del rischio che si pone appunto sotto il versante oggettivo della colpevolezza, come la "prevedibilità" dell'evento dannoso e si pone anche sotto quello soggettivo, dove la relativa valutazione deve prendere in considerazione l'evento in "concreto" verificatosi per accertare se, questa conseguenza dell'agire, rientrava tra gli eventi che la regola cautelare inosservata, come nel caso in esame, mirava certamente a "prevenire" (cfr. Cass. Sez. 4, n. 43996 del 6.11.2009 (dep. 17.11.2009)

4.5 Ricorso presentato da D.P.M.G..

Come premesso il ricorso della D.P. va accolto per non avere la Corte distrettuale, pur ben delineando le funzioni ed il ruolo di "addetto al Servizio di prevenzione e protezione", ricoperto dalla ricorrente nell'ambito della struttura scolastica, e le conseguenze derivanti dalla posizione di garanzia ad essi collegati, ha trascurato un dato di fatto, che ha reso processualmente irrilevante la contestata condotta omissiva dell'imputata alla luce del doveroso giudizio controfattuale.

E' opportuno premettere alcune considerazioni in merito al ruolo ed ai compiti assegnati dalla legge all'addetto al servizio di prevenzione e protezione.

Il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 4, stabilisce che il datore di lavoro designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all'azienda nonchè gli addetti al servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all'azienda.

Al successivo art. 8 fissa le modalità della designazione, ed all'art. 9 ne specifica i ruoli.

Questa Corte ha costantemente affermato che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto cui siano stati affidati i compiti del servizio di prevenzione e protezione, quali previsti dall'art. 9 D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, ancorchè sia privo di poteri decisionali e di spesa, può, tuttavia, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio (nella specie, mortale) ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (Sez. 4, Sentenza n. 21242 del 12/02/2014 Ud. Rv. 259219, Sez. 4, Sentenza n. 49402 del 13/11/2013 Ud Rv. 257673; Sez. 4, Sentenza n. 44977 del 12/06/2013 Ud Rv. 257168 Sez. 4, Sentenza n. 10702 del 01/02/2012 Ud. Rv. 252675, sez. 4, Sentenza n. 27420 del 20/05/2008 Ud. Rv. 240886, Sez. 4, Sentenza n. 15226 del 15/02/2007 Ud. Rv. 236170).

Per quanto interessa questa vicenda, si è affermato, con particolare riguardo alle funzioni che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 9, riserva al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l'inottemperanza alle stesse - e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonchè di informazione e formazione dei lavoratori - possa integrare un'omissione "sensibile" tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio. Per altro verso, considerata la particolare conformazione concepita dal legislatore per il sistema antinfortunistico, con la individuazione di un soggetto incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro, deve presumersi che, ove una situazione di rischio venga dal primo segnalata, il secondo assuma le iniziative idonee a neutralizzarla.

Posto dunque che il giudice di merito si è mosso nell'ambito di tale pista interpretativa, che è l'unica aderente alla lettera e allo spirito della norma, oltre che compatibile con le linee generali dell'ordinamento, non resta che verificare se sussistano i vuoti e le illogicità motivazionali denunziati dall'impugnante. Orbene, il sindacato sulla motivazione della sentenza impugnata, condotta in base ai criteri innanzi enunciati, impone di non ritenerla esente da vizi.

Ed invero, atteso, come emerge dalle norme su richiamate, che "l'addetto alla prevenzione e protezione" è un collaboratore del "responsabile della prevenzione e protezione" ed insieme, nella esplicazione dei compiti ad essi demandati dal richiamato art. 9, concorrono alla attuazione ed efficienza del servizio di prevenzione e protezione, il dato di fatto cui si fa riferimento, trascurato dalla Corte di appello, è che il datore di lavoro, per quanto logicamente ed esaustivamente esposto in sentenza, era bene a conoscenza della situazione di pericolo determinata dalla fatiscenza del cancello, quanto meno dal settembre del 2003, all'esito della redazione e della spedizione al Comune del Documento di valutazione dei rischi, e, comunque, sulla scorta del dato probatorio costituito dalle numerose testimonianze; lo stato del cancello ed il pericolo che ne derivava era noto a tutti già da diverso tempo anche a seguito di "passaparola" e, per altro, in sentenza si fa riferimento ad una diretta e reiterata visione dello stato dei luoghi da parte del M. in ragione dei continui sopralluoghi effettuati di persona, anche in occasione del passaggio improprio di ignoti e di ladri attraverso il varco delimitato dal cancello.

Si aggiunga che il Ro., Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che si avvaleva per l'espletamento dei suoi compiti anche della collaborazione della D.P., era a conoscenza della situazione ed egli era in continuo contatto con il Preside M..

Ciò posto è del tutto condivisibile la censura della ricorrente: se la Corte di Appello di Roma giunge a ritenere che il Pe. ed il M. hanno posto in essere una condotta colpevolmente omissiva sebbene fossero pienamente e perfettamente a conoscenza della situazione di potenziale pericolo derivante dal cancello de quo, appare poi del tutto illogico ed incongruente - e radicalmente in contrasto con tale affermazione - sostenere che l'odierna imputata sia colpevole di non aver effettuato un'ulteriore segnalazione del pericolo, atteso altresì che, anche ove fosse stata effettuata, la citata comunicazione non avrebbe assolutamente evitato l'evento e/o mutato la situazione di fatto esistente, perchè riguardava un pericolo già a conoscenza del datore di lavoro ed ancor prima dal Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione, i quali, pur a fronte di un proprio potere-dovere di intervento - potere di cui invece era priva la ricorrente - erano rimasti consapevolmente inerti. Tutto ciò precisato la Corte d'appello, in applicazione del corretto accertamento controfattuale, avrebbe dovuto ritenere che la condotta omissiva contestata alla D.P. - ovvero l'ulteriore segnalazione (quella a lei comunicata nel giugno del 2004 dalla maestra C., V. pag. 97 della sentenza) - non avrebbe con ragionevole certezza e/o elevato grado di probabilità evitato l'evento mortale e ciò in quanto riguardava un pericolo perfettamente a conosciuto ai soggetti che erano rimasti inerti e che erano detentori del potere-dovere di intervento.

Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza senza rinvio perchè il fatto addebitato alla D.P.M.G. non sussiste.

4.6 Ricorso del Comune di Zagarolo.

Le censure poste a base di tale ricorso sono quelle che, sostanzialmente, ha prospettato la Difesa del Pe. sia per quanto riguarda il dato di fatto della non conoscenza da parte del rappresentante del Comune dello stato di fatiscenza e di pericolo del cancello, sia per quanto riguarda la eccepita carenza di motivazione in ordine all'accertamento della effettiva causa che ha determinato il distacco dell'anta del cancello, e sia in riferimento alla posizione di garanzia in capo al rappresentante del Comune quale proprietario dell'immobile adibito a scuola materna.

Pertanto riportandoci a quanto già esposto su tali punti il ricorso del responsabile civile va rigettato.

4.7. Da ultimo i ricorrenti Pe. e M. hanno censurato la sentenza per vizio di motivazione in ordine alle statuizioni civili con riferimento alla concessione della provvisionale da parte della Corte in favore delle costituite parti civili, si eccepisce sia una carenza di motivazione sull'an, che una reformatio in pejus in quanto, si assume, la provvisionale non è stata richiesta con il gravame di merito.

Le censure sono del tutto non specifiche consistendo nella generica esposizione della doglianza senza alcun contenuto di effettiva critica alla decisione impugnata, essendosi fatto ricorso a formule di stile, a fronte di una motivazione puntuale, esaustiva e perfettamente rapportata alle richieste delle parti civili appellanti ivi compresa quella della concessione di una provvisionale.

5 Al rigetto dei ricorsi del Pe., del M. e del P. segue la loro condanna al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio le statuizioni relative a D.P.M. G. perchè il fatto a lei addebitato non sussiste.

Rigetta i ricorsi del Comune di Zagarolo, di P.L., M.F. e Pe.Fr. che condanna anche al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, nella udienza, il 4 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2014