Tribunale di Como, Sez. Erba, 30 luglio 2013, n. 129 - Infortunio e assoluzione di un coordinatore per l'esecuzione


 

IL TRIBUNALE ORDINARIO di COMO
SEZIONE DISTACCATA di ERBA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
REPUBBLICA ITALIANA

In Nome del Popolo Italiano



Il Giudice di Como Sezione distaccata di ERBA Dott. C.C. all'udienza del 13 GIUGNO 2013 ha pronunciato e pubblicato la seguente


SENTENZA CONTRO




C.I. nato a Erba (CO) il Omissis, residente in Omissis, domicilio dichiarato.
- Difeso di fiducia Avv.ti ... entrambi del foro di Como, con studio in Como Via Mugiasca n. 9.
LIBERO PRESENTE
IMPUTATO In concorso con P.F. - giudicato separatamente
- p. e p. dagli artt. 113 e 589 com. 2° c.p.,
perché, cooperando tra loro e con P.E. (giudicato separatamente) per negligenza, imperizia, imprudenza ed in violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 7 com. 2 e 3, 6 com. 3 D.Lgs 626/94, 20 com. 6 D.P.R. 164/56, art. 5 com. 1 let. A e C del D.Lgs 494/96), cagionavano a P.M.: "trauma cranico produttivo di frattura frontale sinistra, di ematoma sottodurale franto-temporale destro, di stato di coma, trauma toracico con frattura della clavicola sinistra e contusione polmonare ed un trauma addominale con ematoma della parete sinistra e del grande gluteo di sinistra", malattia da cui è conseguita la morte del P.M., ed in particolare:
P.F.: in qualità di titolare dell'omonima impresa, in tale veste appaltatore dei lavori di realizzazione della struttura polivalente sita in località Alpe del Viceré nel Comune di Albavilia (CO), nonché di sub committente dei lavori di costruzione del tetto in legno della predetta struttura, affidati alla "B.


B.Legnami S.r.l.", in violazione:
- dell'art. 7 com. 2 D.Lgs 626/94: per non aver cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e per non aver coordinato gli interventi di protezione dei rischi cui erano esposti i lavoratori,  trattandosi di lavori eseguiti sia da lavoratori della ditta P.F. che dalla ditta P.E.;
- art. 7 com. 3 D.Lgs 626/94: per non aver promosso la cooperazione all'attuazione delle misure di protezione e prevenzione dai rischi sul lavoro, nonché il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui erano esposti i lavoratori, incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto;
- art. 6 com. 3 D.Lgs 626/94 in relazione all' art. 20 com. 6 D.P.R. 164/56: per avere installato il ponteggio metallico utilizzato dal lavoratore P.M. senza attenersi alle norme di sicurezza, ed in particolare senza ancorarlo efficacemente alla costruzione in corrispondenza di ogni due piani ed ad ogni due montanti;

C.I.: in qualità di responsabile dell'area tecnica lavori pubblici del Comune di Albavilla e coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori della costruzione, in violazione:
- dell'art. 5 com. 1 let. A del D.Lgs 494/96: per non aver verificato, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici (P.F. e P.E.) delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento in relazione ai lavori di copertura della struttura in costruzione e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
- dell'art. 5 com. 1 let. C del D.Lgs 494/96: per non aver organizzato tra i datori di lavoro la cooperazione e il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione;

pertanto, mentre il lavoratore P.M., si trovava sul citato ponteggio metallico, ad un'altezza di circa 3-3,5 mt. dal suolo, intento a guidare il corretto posizionamento di una trave in legno lunga circa 6 mt., dando altresì indicazioni a Pu.R. che era alla guida del mezzo che sollevava la trave, precipitava dall'alto a causa del ribaltamento del ponteggio, procurandosi così le lesioni sopra descritte da cui è conseguita la morte. In Albavilla (CO) il 28.11.2005, decesso del 30.03.2009

PARTI CIVILI:
1 - INAIL in persona del Dott. Marco Fabio S. nato a Busto Arsizio (VA) il 31/05/1963, domiciliato per la carica in Roma via IV Novembre n. 144 nella sua qualità di Presidente dell'Istituto Nazionale contro gli Infortuni sul Lavoro - elettivamente domiciliato in Lecco via Bruno Buozzi, 15 c/o lo studio dell'avv. Giuseppe POLLIERE in servizio presso INAIL.
2 - Bo. STEFANIA - (per sé e per il figlio minore P.L.) e P.S. - elettivamente domiciliati in Inverigo (Como) Via General Cantore n. 4 - presso lo studio dell'avv. Nadia ANZANI
3 - P.E. - elettivamente domiciliato in Lecco Viale Turati n. 71 - presso il procuratore speciale avv. Marco Rigamonti.
RESPONSABILE CIVILE:
COMUNE DI ALBAVILLA - in persona del Sindaco Alessandro Fermi, assistito e rappresentato dall'avv. Andrea ORLANDONI con studio in Como Piazza Volta n. 28.

Con l'intervento del Pubblico Ministero Dr. SPANO', delegato
Le parti hanno concluso come segue:
Il PM: concesse le attenuanti generiche, condanna ad anni 1 e mesi 6 di reclusione.
I difensori delle parti civili:
- Avv. Anzani per Bo. Stefania e P.S.
- Avv. Polliere per l'Inail
- Avv. Rigamonti per P.E.
si riportano alle conclusioni scritte che depositano unitamente alla nota spese.
Il difensore del responsabile civile: Avv. Orlandoni per il Comune di Albavilla si riporta ai motivi indicati nella memoria di costituzione del responsabile civile.
I difensori dell'imputato:
- in principalità assoluzione con la formula che il Tribunale riterrà di giustizia;
- in subordine minimo della pena, attenuanti generiche e doppi benefici ed estinzione della pena perché gravata da indulto; chiede inoltre che vengano respinte tutte le richieste di p.c. e che le domande risarcitorie vengano demandate alla sede civile.

Fatto


Con decreto di rinnovazione della citazione a giudizio in data 8 aprile 2011 veniva nuovamente disposta la citazione a giudizio degli imputati P.F. e C.I. per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica (in danno del lavoratore dipendente P.M.); l'originario processo aveva visto quale imputato anche il datore di lavoro della vittima, e cioè P.E.; P.E., tuttavia, definiva la propria posizione processuale con un patteggiamento e gli atti relativi agli odierni imputati P.F. e C.I. venivano separati per la formazione di un nuovo fascicolo assegnato a questo giudice (per tale ragione veniva emesso il decreto di rinnovazione della citazione a giudizio sopra citato; in origine gli imputati erano stati rinviati a giudizio con decreto del GUP presso il Tribunale di Como del 7 ottobre 2010).
Fin dall'udienza preliminare si costituivano parte civile l'INAIL, gli eredi e familiari del lavoratore deceduto (la moglie e i due figli) e, distintamente, anche il signor P.E.; quest'ultimo, infatti, pur essendo stato datore di lavoro del signor P.M. e quindi coimputato (la cui posizione era stata definita con patteggiamento), si era costituito parte civile per ottenere il risarcimento del danno subito in qualità di fratello della vittima; le questioni relative all'ammissibilità di una così singolare costituzione di parte civile (costituzione ammessa dal GUP ma che vedeva coincidere nella stessa persona il ruolo di imputato e quello di parte civile (sia pure nei confronti di altri coimputati) risultano assorbite nel merito con la decisione di assoluzione dell'unico imputato rimasto presente nel processo, cioè l'ing. C.I..
In giudizio è stato altresì presente, quale responsabile civile, il Comune di Albavilla, committente dei lavori, proprietario dell'area e datore di lavoro pubblico dell'imputato C.I.. Nelle more del processo l'imputato P.F. (titolare dell'omonima impresa che operava insieme con la ditta P.E. presso il medesimo cantiere) decedeva; il processo, quindi, continuava nei confronti del solo C.I., nella sua qualità di responsabile dell'area tecnica dei lavori pubblici del Comune di Albavilla e, più concretamente e correttamente, nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva.
All'udienza del 3 aprile 2012, presente l'imputato C.I. (che ha partecipato a tutte le udienze e si è successivamente sottoposto all'esame), aperto il dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti, come da relativa ordinanza in atti, venivano sentiti i testimoni indicati dal Pubblico Ministero: l'operante della Asl Giovanna M.; i fornitori del materiale in legno per la costruzione che si stava edificando, i Sig.ri B.; il Sig. Pu.R., fratello dell'imputato P.F. e "artigiano" che collaborava stabilmente con la ditta del fratello. All'udienza del 15 ottobre 2012 veniva sentito P.E. (che, come si è già avuto modo di evidenziare, ha ricoperto contemporaneamente la posizione processuale di parte civile e coimputato; il testimone P.E. - avendo egli patteggiato per i medesimi fatti - è stato sentito con l'assistenza del difensore che lo aveva assistito nel suo processo penale e che era diverso dal difensore indicato come parte civile. All'udienza del 19 marzo 2013 veniva ascoltato il medico (Dott. G.) consulente della moglie e dei figli del lavoratore infortunato; veniva poi ascoltato il Dott. L.R., nella qualità di consulente medico del PM; alla stessa udienza del 19 marzo 2013 venivano ascoltati gli ulteriori testimoni indicati dalla difesa dell'imputato: l'ing. B., responsabile dell'Area tecnica del Comune di Albavilla; l'ing. Renato B., collaudatore delle strutture in cemento armato; il Geometra Marco Be., impiegato tecnico dell'ufficio comunale di Albavilla; il consulente della difesa, Architetto Mauro M., esperto in materia di sicurezza sul lavoro. All'esito dell'audizione dei testimoni e dei consulenti - secondo l'ordine concordato tra le parti - l'imputato C.I. si sottoponeva all'esame.
Al termine, dichiarata l'utilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, la discussione veniva effettuata all'udienza dei 13 giugno 2013.
A quell'udienza il P.M., i difensori delle tre parti civili, il difensore del responsabile civile e i difensori dell'imputato formulavano le conclusioni sopra riportate, sicché, all'esito della deliberazione, questo Giudice pronunciava sentenza.



Diritto


Il punto di partenza della presente motivazione deve, necessariamente, prendere le mosse dal capo di imputazione formulato nei confronti dell'unico imputato rimasto presente nel processo (l'Ing. C.I.), il quale è stato chiamato a rispondere della morte del lavoratore P.M. in virtù di una posizione di garanzia e, più concretamente, nella sua qualità di responsabile dell'area tecnica dei lavori pubblici del Comune di Albavilla e di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori della struttura polivalente. Leggendo il capo di imputazione emerge che i profili di responsabilità ascritti all'imputato C.I. riguardano esclusivamente la sua funzione di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori; in particolare, viene rimproverato all'imputato di non aver verificato, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento da parte delle due imprese (la P.F. e la P.E.) che stavano lavorando al cantiere dell'Alpe del Viceré; inoltre, il capo di imputazione rimprovera all'imputato di non aver organizzato tra i datori di lavoro la cooperazione e il coordinamento delle attività, nonché la loro reciproca informazione; tali mancanze avrebbero fatto sì che P.M. precipitava dall'alto a causa del ribaltamento di un ponteggio, procurandosi lesioni che ne determinavano prima un lunghissimo e gravissimo periodo di coma in stato vegetativo e, successivamente, la morte (il coma in gravi condizioni si è instaurato fin dalla data dell'infortunio, cioè dal 28 novembre 2005; il decesso è avvenuto a distanza di tre anni e mezzo e, più esattamente, il 30 marzo 2009). Un'ulteriore precisazione di portata generale che deve essere fatta immediatamente è che la normativa antinfortunistica vigente al momento dei fatti (nel novembre 2005) era il Decreto legislativo n. 494/96 (Decreto sostituito e modificato solo 12 anni dopo dal Testo Unico dei 2008, poi ulteriormente "corretto" con il Decreto legislativo del 2009). Prevede testualmente l'intero - articolo 5 del Decreto legislativo citato:
"Obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori 1. Durante la realizzazione dell'opera, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori provvede a: a) assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli articoli 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro; b) adeguare i piani di cui agli articoli 12 e 13 e il fascicolo di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute; e) organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione; d) verificare l'attuazione di quanto previsto all'articolo 15; e) proporre al committente, in caso di gravi inosservanze delle norme del presente decreto, la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere o la risoluzione del contratto; f) sospendere in caso di pericolo grave ed imminente le singole lavorazioni fino alla comunicazione scritta degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. 2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente Decreto legislativo, con Decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato, della sanità' e dei lavori pubblici, sentita la commissione prevenzione infortuni e' emanato l'elenco delle inosservanze da ritenersi gravi agli effetti dell'applicazione di quanto previsto al comma 1, lettera e). 3. Fino all'emanazione del Decreto di cui al comma 2, la proposta di cui al comma 1, lettera e), e' comunque obbligatoria in caso di reiterata inosservanza di norme la cui violazione e' punita con la sanzione dell'arresto fino a sei mesi",
La giurisprudenza di legittimità, innovando nel 2008 un orientamento precedentemente sconosciuto in tema di colpa, ha avuto modo di precisare (partendo proprio dalla materia della violazione delle norme antinfortunistiche) che il giudice penale può e deve affrontare anche profili di colpa (intesi come condotte che determinano una forma di responsabilità per colpa) diversi da quelli indicati nel capo di imputazione ("Non viola il principio di correlazione con l'accusa la sentenza di condanna per il recito dì omicidio colposo a seguito dì infortunio sul lavoro che, a fronte di una contestazione di colpa generica per omesso controllo dello stato di efficienza dì una macchina per la tutela della sicurezza dei lavoratori, affermi la responsabilità a titolo di colpa specifica, riconducibile all'addebito di colpa generica, [...]). (Cassazione, Sezione III, Sentenza n. 19741 del 08/04/2010 Ud. (dep. 25/05/2010 ) Rv. 247171 e numerose altre precedenti).
Rimane fermo, tuttavia, il profilo soggettivo ben determinato che qualifica la posizione ed il ruolo di garanzia proprio dell'imputato, e cioè quello di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione.
Questa precisazione non è superflua perché deve essere chiaramente collegata all'altra questione processualmente fondamentale, e cioè che i due responsabili delle imprese presenti in cantiere (P.E., il datore di lavoro dell'infortunato P.M. e P.F., titolare dell'altra impresa presente) sono rimasti fuori da questo specifico dibattimento; il primo per aver patteggiato e il secondo per essere deceduto. Non si può, quindi, dimenticare che in origine erano imputati, con posizioni di garanzia e con condotte ben precise e concrete, anche il datore di lavoro P.E. e il titolare dell'altra impresa che lavorava nello stesso cantiere insieme con la predetta ditta (e cioè il signor P.F. (titolare dell'omonima impresa), deceduto nel corso del dibattimento).
A queste doverose sottolineature ne va aggiunta anche un'altra: C.I. è imputato sotto il profilo di eventuali negligenze riferibili al suo ruolo di coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva; nel capo di imputazione viene, tuttavia, qualificato anche come "responsabile dell'area tecnica del Comune di Albavilla"; questa indicazione risulta fuorviante dal momento che la normativa sulla sicurezza non individua un'autonoma posizione di garanzia riferibile a questo ruolo (a ciò si aggiunga che il vero Responsabile dell'Area tecnica del Comune era l'ing. B.);  eventualmente ci si potrebbe chiedere se un ruolo processuale poteva essere ascritto anche al committente (il Comune di Albavilla) pur dovendosi aggiungere che gli adempimenti formali che spettano a tale soggetto (in primo luogo la nomina del coordinatore in fase di progettazione e in fase di esecuzione) sono stati effettivamente assolti.
Tutto questo per precisare che l'esito dell'odierno giudizio è indissolubilmente legato allo specifico ruolo (di mero coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva) e al tipo di obblighi che conseguono dell'unico imputato rimasto presente nel dibattimento odierno (processo che, astrattamente, avrebbe tutto avere un diverso esito se gli imputati giudicati in dibattimento fossero stati soggetti con ruoli e responsabilità di altra natura).
In prima battuta è utile offrire ima breve descrizione spaziale e temporale del contesto per collocare con concretezza il cantiere in cui si è verificata la caduta dall'alto poi rivelatasi mortale (la caduta ha provocato prima delle lesioni gravissime e devastanti e poi la morte; a tale proposito i consulenti-medici hanno confermato (e nessuno ha mai posto in dubbio) che la morte - sebbene intervenuta a tre anni e mezzo dall'evento - sia stata una diretta conseguenza dell'infortunio sul lavoro). Il cantiere era collocato in una area verde del territorio del Comune di Albavilla (la zona denominata "Alpe del Viceré)"; la costruzione edificata è una struttura polivalente caratterizzata da una base pavimentata di forma più o meno circolare avente una copertura in legno laminato; la copertura è a forma di croce greca (le due braccia hanno uguale lunghezza); la struttura è destinata ad essere utilizzata nella bella stagione e, quindi, non ha pareti laterali (si ribadisce, quindi, che vi è soltanto la pavimentazione, una piccola recinzione e dei pilastri che sorreggono la copertura). Committente dei lavori è stato il Comune di Albavilla; l'attività di copertura con il legno era stata commissionata alla ditta "Fratelli B." la quale ha effettivamente fornito tutto il materiale ma aveva anche subappaltato la posa di tale materiale all'impresa P.E., esperta in questo tipo di lavorazioni; l'impresa P.E. si era coordinata con quella P.F. per 1'esecuzione diretta di una parte dei lavori e per la fornitura dei mezzi (il "merlo", i ponteggi eccetera); il braccio meccanico della impresa P.F. (il cosiddetto "merlo") veniva manovrato dal fratello del titolare, l'artigiano Pu.R.; la posa delle travi veniva compiuta dall'Impresa P.E., esperta in questo settore (impresa formata dal titolare P.E. e il fratello (lavoratore dipendete) P.M.).
La struttura polivalente ormai completata è ben fotografata al foglio 404 del fascicolo del dibattimento (si tratta della copertina della relazione tecnica a firma dell'architetto Mauro M., consulente della difesa dell'imputato.
Guardando la struttura realizzata si comprende come non si tratti di una costruzione particolarmente complessa; il contratto di appalto era infatti stato concluso nel settembre del 2005; i lavori erano cominciati a fine settembre - ottobre 2005; l'infortunio si è drammaticamente verificato il 28 novembre 2005 (un lunedì successivo ad un fine settimana in cui era nevicato abbondantemente); dopo l'infortunio la Asl e/o la Procura non hanno ritenuto di sequestrare il cantiere e i lavori sono ripresi poco tempo dopo e si sono conclusi in tempi altrettanto brevi (il mancato sequestro deve far ritenere che non vi fossero carenze sostanziali nel cantiere ma solo pregressi inadempimenti al momento della realizzazione concreta della singola attività lavorativa).
Alla data dell'infortunio la pavimentazione in calcestruzzo della struttura era già stata completata e anche collaudata; anche la copertura del tetto era a buon punto; l'infortunio si è verificato durante la fase in cui i due fratelli P. con l'aiuto di Pu.R. stavano posizionando le travi di legno su cui sarebbe stata posta la copertura in legno lamellare definitiva; si trattava di una vera e propria "orditura" nel senso che sulle travi orizzontali venivano posizionate le travi verticali e quelle diagonali, il tutto al fine di realizzare un'idonea base di appoggio per la copertura; nelle travi di appoggio era stata realizzata un'apposita sede all'interno del quale collocare la trave verticale o diagonale da incastrare. Più specificamente - al momento dell'infortunio - P.E. e il fratello Mario stavano posizionando una trave diagonale; la trave doveva essere collocata in una sede "scavata" nella trave orizzontale in basso e appoggiata sulla trave orizzontale più in alto. Queste travi venivano sollevate mediante uno specifico macchinario denominato "merlo"; si tratta di un macchinario abbastanza elementare che ha una base meccanica con delle ruote e un braccio con un gancio idoneo a sollevare la trave e portarla all'altezza necessaria (le travi venivano affrancate al gancio mediante delle corde con nodi a strozzo); il "merlo" ha un proprio motore che serve a spostare il macchinario sulle sue ruote; una volta giunto in posizione lo stesso viene stabilizzato con dei fermi e, a quel punto, è il braccio telescopico a lavorare per il sollevamento della trave da portare in quota; la trave sollevata veniva abbassata da una quota più alta e portata all'altezza giusta per il collocamento.
Tutta questa attività veniva ripetuta per il posizionamento di ciascuna trave; l'attività per così dire preliminare di sollevamento della trave era già stata compiuta al momento in cui si è verificato l'infortunio. I lavoratori direttamente interessati erano P.E. e P.M.; i due si trovavano già sopra i due ponteggi posti all'estremità della trave sollevata ed avevano lo scopo di incastrare nella posizione corretta la trave diagonale che stavano posizionando; le operazioni venivano dirette dai datore di lavoro P.E.; P.E. e P.M. erano alle due estremità della trave e, quindi, uno di fronte all'altro; ciò non significa necessariamente che i due potessero vedersi distintamente in ogni momento della lavorazione poiché la trave era piuttosto ingombrante e i due operai si trovavano proprio agli estremi della trave stessa per poterla posizionare nei due rispettivi punti di allocazione; più esattamente P.E. ha riferito che dalla sua parte la sede già preparata non era sufficientemente ampia e, quindi, la stava allargando con la motosega (e per tale ragione non osservava cosa stesse facendo il fratello nel frattempo). Il titolare della P.F. non aveva svolto direttamente una significativa attività operativa all'interno di quel cantiere; lo stesso, infatti, seguiva diversi cantieri contemporaneamente e quindi si limitava a svolgere dei sopralluoghi per verificare che le cose procedessero correttamente; per il resto faceva operare il proprio fratello Pu.R. e l'altra impresa P.E.. Al momento dell'infortunio era quindi presente il lavoratore Pu.R. che si trovava a terra e che ha dichiarato di non aver visto direttamente e concretamente i pochi istanti nei quali si è consumato l'infortunio rivelatosi mortale; le uniche altre due persone presenti erano P.E. e P.M..
Una ricostruzione assolutamente certa e dettagliata della dinamica dell'infortunio non è mai stata raggiunta; la Asl, infatti, è intervenuta subito dopo l'infortunio (convocata dal 118 che aveva prestato i primi soccorsi a P.M.) e ha potuto descrivere soltanto ciò che ha trovato sul luogo del cantiere; Pu.R., come già accennato, ha potuto genericamente descrivere la lavorazioni in corso ma non i momenti che hanno caratterizzato l'infortunio: Pu.R. infatti, era l'operaio addetto alla movimentazione e all'utilizzo del "merlo" per cui seguiva le attività da terra, senza necessariamente avere contezza di ogni singolo movimento dei due operai che lavoravano in quota, sopra i ponteggi); il lavoratore infortunato P.M. non ha mai ripreso conoscenza dopo la caduta e non ha potuto riferire nulla in merito alla dinamica della stessa; il coimputato P.E. era al lato opposto della trave e non è stato in grado di fornire particolari spiegazioni sulle modalità che hanno determinato la caduta di P.M..
I pochi elementi di certezza relativi alla dinamica del sinistro sono i seguenti; sia P.E. che P.M., come già accennato, si erano portati alla quota necessaria utilizzando un punteggio per ciascuno; la fase di allocamento della trave potrebbe aver determinato una perdita di equilibrio del povero P.M. che è caduto dal punteggio rovinando a terra; la caduta ha provocato prima il coma irreversibile e, a distanza di alcuni anni, il decesso.
Le valutazioni mediche compiute sia dall'ospedale presso cui P.M. è stato ricoverato sia dai consulenti successivamente intervenuti nello studio della situazione clinica hanno escluso che P.M. stesse lavorando in condizioni patologiche particolari o comunque rilevanti e tali da determinare in maniera autonoma o comunque causalmente significativa la caduta dello stesso; più concretamente si vuole dire che non sono emersi elementi concreti e specifici per affermare che la caduta di P.M. sia stata determinata da un malore, da uno svenimento o da qualche cosa di simile o, piuttosto, da una perdita di equilibrio in qualche modo originata dall'oscillazione della trave (il processo non ha offerto elementi più dettagliati per sapere se P.M. si fosse distratto o voltato indietro e, quindi, fosse stato colpito inavvertitamente dalla trave che oscillava oppure se l'oscillazione sia stata più significativa dei previsto e lo abbia "spiazzato" o ancora se P.M.
abbia effettuato una qualche manovra particolare come, ad esempio, attaccarsi con le braccia alla trave che stava oscillando per perdere, successivamente, la presa e rovinare a terra; o ancora se dopo mangiato e con il clima freddo, abbia autonomamente perso l'equilibrio o fatto un passo falso; o ancora se la trave da collocare abbia invece colpito il ponteggio).  Come già accennato e come si ribadisce, non è stato possibile ricostruire esaurientemente gli ultimi momenti decisivi della dinamica della caduta. Gli operanti della Asl hanno trovato il ponteggio su cui stava la vittima a terra ma non è stato possibile chiarire con certezza se P.M. sia caduto poco prima del ponteggio su cui stava, o se sia stato il ponteggio a cadere e, di conseguenza, a far precipitare il lavoratore.
I tempi e il contesto ambientale.
Come si è già accennato, l'infortunio si è verificato il 28 novembre 2005; si trattava di un lunedì e nei due giorni immediatamente precedenti (trattandosi di sabato e domenica il cantiere sarebbe stato comunque fermo) era abbondantemente nevicato; l'infortunio si è verificato intorno alle 13.00, dopo che i tre operai presenti sul posto avevano effettuato la pausa pranzo. L'imputato C.I. era stato al cantiere il giorno stesso, all'inizio della mattina; la ricostruzione di quanto fosse stato concordato e stabilito non è stata completamente univoca ma si può ritenere provato che gli accordi fossero nel senso di limitare l'attività ad un'opera di pulizia della neve dall'area complessiva di cantiere (all'esterno e, per quanto necessario, nella parte interna (pavimentazione). Tuttavia sembrerebbe che tale attività di pulizia abbia richiesto poco tempo ed impegno e la parte già pavimentata (interna) della struttura risultava facilmente utilizzabile in quanto era già stata completata e collaudata la gettata di calcestruzzo; la copertura superiore (anche se non ancora conclusa) aveva in gran parte protetto l'area interna dalla caduta della neve.
E' quindi realistico che per tale ragione gli operai, a partire dal coimputato P.E. (unico datore di lavoro presente in cantiere, in quanto gli altri due presenti erano Pu.R. e Mario P.), abbiano deciso di valorizzare la giornata per proseguire nella posa delle travi (a tale proposito è emerso che P.E. e P.F. avevano già compiuto un sopralluogo la domenica pomeriggio per valutare il da farsi e il lunedì mattina P.F. aveva usato una piccola ruspa per rimuovere la neve ed espresso la sua intenzione di concludere tutto il lavoro nel tempo più breve possibile). La posa delle travi avveniva con un'attività che si ripeteva più o meno alla stessa maniera ogni volta.
La trave, infatti, veniva portata in quota tramite il "merlo" azionato da Pu.R.; P.M. e P.E. avevano un punteggio per ciascuno; di-volta in volta, quindi, occorreva spostale e posizionare i due ponteggi laddove andavano collocati gli estremi della trave da posizionare.
Dai verbali della Asl e dalla testimonianza della dottoressa M. è emerso che gli operai utilizzavano dei ponteggi metallici con telaio prefabbricato (costituiti da strutture ad "H"); si trattava di un punteggio che potremmo definire "a due campate" (che non corrispondono propriamente a "due piani") con una base rettangolare avente dimensioni 1,05 x 1,80 metri e altezza complessiva 3,20 m., cui aggiungere il parapetto che, di regola, ha un'altezza di 1 m. Dalle risultanze istruttorie e applicando semplicemente le regole della logica in relazione al peso di ogni singolo ponteggio e alla, sua "manovrabilità" si deve ritenere che gli operai, dopo aver utilizzato il ponteggio "a due piani", ne smontavano il piano più alto rendendo così la struttura più leggera e più trasportabile; quindi posizionavano il "primo piano" del ponteggio nel luogo in cui avrebbero dovuto collocare la nuova trave e, a quel punto, rimontavano il "secondo piano" e cominciavano le operazioni già descritte sopra (sollevamento in quota della trave tramite il merlo azionato da Pu.R. e collocamento della trave guidata, ai due estremi, da P.M. e da P.E.). La trave che veniva collocata al momento dell'infortunio aveva una lunghezza di circa 4,5 m e, conseguentemente, i due operai (P.M. e P.E.) si trovavano all'incirca a 5 m. di distanza l'uno dall'altro; un elemento importante (per escludere una delle ipotesi possibili e che avrebbero dato tutto un'altra conclusione alle indagini e al processo) è quello relativo al fatto che l'azione del "merlo" e dell'operaio Pu.R. che lo stava conducendo era nulla al "momento dell'infortunio; s'intende dire che non è emerso che sia stato un movimento della trave provocato dall'attività del "merlo" a produrre la caduta dell'operaio P.M. e/o del ponteggio su cui stava; al momento dell'infortunio, infatti, il merlo era completamente fermo in quanto la trave era già stata portata alla quota necessaria; invece era in atto un'attività degli operai P.M. e P.E. per collocare definitivamente la trave stessa.
A tale proposito si osservi che la parte finale del capo di imputazione relativa all'imputato C.I. dà per certo che la caduta dall'alto di P.M. sia avvenuta "... A causa del ribaltamento del punteggio" ma l'istruttoria non è stata in grado, come accennato sopra, di appurare se il lavoratore P.M. sia caduto e si sia, per così dire, portato appresso il ponteggio o se sia stato effettivamente l'eventuale ribaltamento del punteggio a determinare la contestuale caduta di P.M..
Ciò detto è opportuno evidenziare quali sono le negligenze che vengono contestate all'imputato C.I. nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori:
1) non aver verificato, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento;
2) non aver organizzato tra i datori di lavoro la cooperazione e il coordinamento delle attività e la loro reciproca informazione.
Nel corso dell'istruttoria e anche grazie al legittimo e doveroso contributo delle parti civili sono stati evidenziati aspetti tecnici che avrebbero costituito delle specifiche carenze organizzative riscontrate nel cantiere e sulle quali si dovrà comunque prendere posizione sebbene non costituiscano aspetti specificamente contestati all'odierno imputato (a tale proposito occorre ancora una volta ricordare che vi erano altri due coimputati: il dato di lavoro di P.M. (P.E.) e il titolare dell'altra impresa operante nel cantiere, la ditta P.F.); a questo proposito il capo di imputazione fa un generico riferimento alle "disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento"; l'istruttoria ha in qualche modo precisato il contenuto di quali sarebbero state le
posizioni non applicate.
Il primo profilo tecnico sul quale è opportuno fare chiarezza è quello relativo alle cosiddette "basette". Al momento dell'intervento della Asl dopo l'infortunio, infatti, il ponteggio trovato a terra è stato indicato come privo di basette. Questo argomento è risultato fuorviante dal punto di vista del nesso causale; le basette, infatti, sono una sorta di tondini di metallo piatti (del diametro di pochi centimetri) posti alla base di ciascuno dei quattro tubi verticali che costituiscono la struttura del ponteggio. Tenuto conto del fatto che queste basette hanno, come si è già detto, un diametro di pochi centimetri, si può facilmente intuire che la loro (unica) funzione è quella di evitare l'eventuale affondamento del ponteggio (che, senza basette, si appoggerebbe su quattro tubi messi in verticale);
tutto questo nel caso in cui il piano di appoggio non sia adeguatamente solido e compatto (ad esempio terra, sabbia e simili). Nel caso di specie, invece, è pacifico che il piano di calpestio fosse stato già ricoperto con la gettata di calcestruzzo che era anche già stata collaudata (il 19 novembre, nove giorni prima dell'infortunio); il diametro di pochi centimetri delle eventuali basette non avrebbe certamente potuto assicurare un incremento di stabilità del ponteggio; la mancanza delle basette in questa fase della lavorazione (con la pavimentazione di calcestruzzo già effettuata ed utilizzabile) non ha avuto, quindi, alcun rilievo causale.

La questione del cosiddetto "ancoraggio".
La normativa sui ponteggi fa riferimento alla possibilità di un eventuale ancoraggio per i ponteggi a due piani; nel caso concreto, tuttavia, occorre osservare che il ponteggio era stato regolarmente reso stabile mediante l'inserimento degli stabilizzatori diagonali (due ulteriori "tubi" messi a "croce di Sant'Andrea" sui lati). In quanto, invece, all'ipotesi di "ancorare" il ponteggio ad una struttura fissa - come ad esempio un pilone di cemento o ad una parete - occorre tener presente che la nuova edificazione non aveva pareti laterali e il montaggio della trave che qui interessa (come di molte altre nella struttura) avveniva in una parte centrale ed interna della costruzione stessa, dove non era possibile realizzare alcun tipo di ancoraggio nel senso cui si sta facendo riferimento; infine, occorre ricordare che la caratteristica del lavoro che gli operai stavano eseguendo era quella di collocare le nuove travi nelle diverse posizioni del tetto della suzione, con una inevitabile necessità di spostare in continuazione i ponteggi e posizionarli nel minto idoneo alla collocazione della nuova trave. Tenuto conto, quindi, della necessità di lavorare anche lontano da punti di ancoraggio fissi (come pareti o pilastri) occorre ricordare quanto riferito da ben 3 testimoni, tutti portatori di competenze tecniche specifiche (due ingegneri ed un geometra); si tratta di dipendenti pubblici non legati da alcun interesse all'imputato C.I.. Sia l'ing. B. (collaudatore della gettata in calcestruzzo e, quindi, presente in cantiere diverse volte e anche nove giorni prima dell'infortunio) sia il Geometra Ba. (impiegato tecnico del Comune di Albavilla, più volte presente in cantiere insieme con l'imputato C.I.) hanno chiaramente ed espressamente riferito che C.I. aveva dato precise e concrete indicazioni circa l'obbligo di accoppiare i ponteggi per renderli più stabili (soluzione che si adotta quando non è possibile l'ancoraggio) e di utilizzare i parapetti. Anche l'ing. B. (Responsabile dell'Area tecnica del Comune e più volte presente in cantire insieme con l'imputato C.I.) ha ricordato la regolarità dei ponteggi "raddoppiati" anche per esservi egli stesso salito sopra ed ha altresì ricordato le prescrizioni impartite dall'imputato C.I. agli operai del cantiere.
Non vi è alcun motivo giuridico-processuale per ritenere queste testimonianze non attendibili. Sgombrato il campo da questi possibili equivoci è necessario trattare le questioni inerenti i due dispositivi di protezione che si sarebbero potuti realmente utilizzare e che avrebbero potuto svolgere un ruolo nell'evitare l'infortunio. A questo proposito, tuttavia, la premessa generale che deve essere fatta é che tali dispositivi (ci si riferisce in concreto alle cinture di sicurezza e al parapetto) erano previsti nei POS e nel Piano di coordinamento (sia in fase di progettazione che in fase di esecuzione dei lavori) ma colui che avrebbe dovuto "vigilare costantemente sul loro uso" è la figura del datore di lavoro e non del coordinatore della sicurezza (il quale aveva svolto, invece, le verifiche di sua competenza).
Le cinture di sicurezza (utili ad evitare le cadute dall'alto) erano previste dai piani di sicurezza e risulta dal verbale redatto dal coordinatore C.I. che le ditte appaltatrici ne erano dotate (verbate del 4 ottobre 2005); ciò detto, si tratta di quel tipico dispositivo di sicurezza individuale che viene indossato e dismesso dal lavoratore soltanto nel momento specifico del compimento di una particolare attività lavorativa; il compito di vigilare sul rispetto di questo comportamento precauzionale e di imporre al dipendente l'uso di questo sistema di protezione individuale grava sul datore di lavoro (in questo caso materialmente presente al momento della verificazione dell'infortunio). Durante il suo esame, P.E. ha espressamente dichiarato che il POS della sua impresa prevedeva l'uso delle cinture di sicurezza e che lui ne disponeva ma, quel giorno, le aveva lasciate nel furgone.
Il secondo dispositivo cui si fa riferimento è quello dei parapetti. Si è già accennato che al momento del sopralluogo della Asl il ponteggio trovato a terra risultava privo di parapetto; se fosse stato possibile ricostruire con assoluta certezza la dinamica della caduta si sarebbe anche potuto stabilire quale reale efficacia protettiva avrebbe avuto il parapetto; trattandosi, comunque, di un sistema di protezione obbligatorio in quella situazione occorre comunque verificare se la mancanza del parapetto possa costituire una fonte di responsabilità per il coordinatore per la sicurezza. In merito a questo argomento devono essere posti in luce due elementi determinanti; il primo è che nel verbale della riunione tenuta dal coordinatore della sicurezza (l'imputato C.I.) in data 20 ottobre 2005 emerge proprio che l'ing. C.I. contestava il mancato uso del parapetto e ingiungeva alle ditte appaltatrici di utilizzarlo; questo primo elemento documentale ci dice con assoluta certezza che, quindi, i parapetti erano presenti in cantiere e previsti nell'attività lavorativa e che C.I. aveva imposto che fossero concretamente utilizzati; si è già ripetuto più volte che il coordinatore non ha un obbligo di continua "vigilanza" (cosa che compete al datore di lavoro) e in questo caso C.I. aveva pienamente adempiuto ai suoi doveri in quanto, riscontrando una mancanza nell'applicazione delle misure di sicurezza, ne aveva imposto il ripristino. Il secondo dato su cui riflettere riguarda gli aspetti temporali dell'infortunio cui si è già fatto cenno; in primo luogo si è già precisato che quella mattina C.I. aveva assolto al suo dovere di verificare le situazioni del cantiere svolgendo il sopralluogo; la conclusione era stata che gli operai avrebbero provveduto a ripulire l'area dalla neve ma non avrebbero svolto lavorazioni specifiche (lo stesso P.E. ha dichiarato di non aver informato l'ing. C.I. dell'intenzione di portare avanti il lavoro delle travi).
Il secondo dato riguarda l'inevitabile necessità di montare e smontare continuamente i ponteggi per collocarli nella posizione utile a posizionare le travi che di volta in volta si andavano montando; a causa di tutto ciò è certo che i parapetti venissero smontati e rimontati ad ogni singolo spostamento dei ponteggi (si è già visto che la parte superiore del .ponteggio, compreso il parapetto, veniva smontata; gli operai, quindi, spostavano la parte inferiore del ponteggio e poi rimontavano la parte superiore). L'ulteriore attività di rimontare il parapetto era quindi un'attività legata alla lavorazione in corso (si potrebbe dire ora per ora); nel caso concreto, addirittura, l'istruttoria testimoniale ha precisato che gli operai coinvolti avevano (forse parzialmente) predisposto i ponteggi prima di pranzo; successivamente avevano effettuato la pausa pranzo e poi, intorno alle 13, era ripresa la lavorazione.
Il processo non ha consentito di accertare se la mancata installazione dei parapetti fosse stata una dimenticanza del momento (alla ripresa dei lavori dopo la pausa pranzo) o un'omissione più o meno intenzionale (ad esempio per velocizzare il lavoro di montaggio e smontaggio dei ponteggi (si è già detto che P.E. ha riferito che P.F. aveva fretta di portare a termine l'appalto). Anche in questo caso, però, la responsabilità ricadeva sotto il diretto controllo del datore di lavoro essendo, invece, risultato provato che il coordinatore C.I. aveva dato precise indicazioni (risultanti anche da un verbale scritto) con riferimento all'obbligo di utilizzare il parapetto.
Ancora una volta è il coimputato P.E., descrivendo i ponteggi concretamente utilizzati, a dichiarare che il ponteggio era alto circa 4 metri: 3 m. di ponteggio e 1 m. di parapetto; così dando prova che i parapetti, normalmente, erano installati e utilizzati; anche il teste Pu.R. afferma che i ponteggi (ordinariamente) avevano il parapetto).
Un ulteriore elemento di fatto che è emerso dall'istruttoria è quello relativo alla collocazione dei ponteggi nel momento m cui, proprio la mattina dell'infortunio, C.I. aveva visionato il cantiere: essendo un lunedì (immediatamente successivo alla fine settimana) i ponteggi erano smontati e protetti con un telone (ad inizio mattinata); lo stesso coimputato P. E. ha riferito che non ha comunicato all'Ing. C.I. la sua intenzione di procedere nel posizionamento delle travi mediante l'utilizzo dei ponteggi dopo aver completato, abbastanza rapidamente, la pulizia dell'area di cantiere a seguito delle precedenti nevicate. A ciò si aggiunga che dai verbali di sopralluogo del coordinatore C.I. (prodotti all'udienza del 3 aprile 2012) risulta che l'incontro del 15 novembre 2005 era stato proprio dedicato alla fase di posizionamento delle travi e della copertura.
Conclusi gli aspetti relativi ai mezzi di protezione collettivi ed individuali occorre trattare delle attività che sono realmente proprie del coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva; in particolare la "verifica" assidua del cantiere per controllare che le regole teoriche contenute nei piani di sicurezza (quello operativo della singola ditta e quello di coordinamento riconducibile alla specifica figura del coordinatore) venissero realmente messe in opera; così come l'attività di informare le due distinte ditte e coordinarle tra di loro per prevenire i cosiddetti "rischi di interferenze" cioè quei rischi che nascono dal lavoro contestuale di due soggetti imprenditoriali distinti che potrebbero aver adeguatamente preso in considerazione i rischi della propria attività lavorativa specifica ma non quelli nascenti dalla contestualità della presenza di più imprese. Nessun rimprovero è stato mai mosso, né poteva esserlo, al piano di coordinamento stesso dall'Ing. C.I. in fase di progettazione prima e di esecuzione dei lavori poi. Le mancanze relative alla stesura e all'aggiornamento del piano costituirebbero autonome figure di reato, mai contestate all'Ing. C.I..
Gli addebiti mossi nel capo d'imputazione riguardano, semmai, i profili di carattere esecutivo relativi alle verifiche dell'effettiva applicazione dei piani di sicurezza e alla organizzazione delle attività di informazione e coordinamento reciproco tra le imprese appaltatici.
Questi argomenti rimandano, in concreto, al tema dei sopralluoghi in cantiere e delle attività svolte insieme con le imprese appaltatrici.
Sotto questo profilo il comportamento dell'imputato C.I. può davvero essere considerato esemplare; l'istruttoria dibattimentale (documenti relativi ai verbali di sopralluogo; tabelle relative all'uso dell'automobile comunale per raggiungere quello specifico cantiere; testimonianze orali delle persone presenti in cantiere) hanno dimostrato come la presenza del coordinatore fosse particolarmente assidua se non addirittura quasi giornaliera; ingiustamente alcune parti processuali hanno voluto sottolineare che agli atti processuali sono stati acquisiti "soltanto" tre verbali di sopralluogo; a questo proposito occorre considerare che il cantiere era partito ad ottobre e l'infortunio si è verificato a novembre: tre verbali di sopralluogo per un periodo così esiguo non sono affatto pochi. In secondo luogo occorre rilevare che nessuna norma giuridica e nessuna prassi prevede che venga redatto un verbale in occasione di ogni accesso al cantiere; tutti i testimoni ascoltati e presenti stabilmente o occasionalmente in cantiere (il coimputato P.E., l'operaio Pu.R., gli Ingegneri B. e B. e il Geometra Be. (tecnici che - in diverse occasioni - accompagnavano frequentemente C.I. durante i sopralluoghi) hanno confermato che l'ing. C.I. si recava molto spesso presso il cantiere dell'Alpe del Viceré; del resto non è un caso e non è irrilevante che - perfino a cantiere ancora fermo a causa della precedente nevicata e, comunque, il giorno stesso dell'infortunio - l'imputato C.I. si fosse recato presso il cantiere dell'Alpe del Viceré.
Il comportamento tenuto dall'imputato riflette correttamente quelli che sono gli obblighi stabiliti dalla legge con riferimento alla figura del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione e con riferimento all'esplicitazione che la giurisprudenza di legittimità ne ha sempre fatto.
Il fondamentale ed indiscutibile principio di portata generale secondo cui la sussistenza di responsabilità di uno dei soggetti portatori di una funzione di garanzia (quale ad esempio la sussistenza della responsabilità del datore di lavoro) non esclude automaticamente la responsabilità di una delle altre figure può, se mal interpretato, trarre in inganno ("In tema di omicidio colposo, allorquando l'obbligo di impedire l'evento ricada su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, Configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41, comma primo, cod. pen". (Cassazione, Sezione 4, Sentenza n. 37992 del 11/07/2012 Ud. (dep. 01/10/2012 ) Rv. 254368).
Le responsabilità dei diversi soggetti garanti, infatti, sono concorrenti e devono tutte contribuire ad assicurare l'incolumità del lavoratore; ciò non contrasta, tuttavia, col fatto che ciascun garante potrà essere riconosciuto responsabile e, quindi, dovrà essere condannato soltanto se gli sia imputabile una qualche forma di colpa riconducibile a quelli che sono i suoi specifici obblighi. Ogni garante, infatti, risponde (solo) per gli obblighi che sono suoi propri.
Questo principio, di portata generale, è stato chiaramente affermato in una recente sentenza della Suprema Corte che fa il punto sui profili principali di questa complessa materia:
"In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per la progettazione, ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. n. 494 del 1996, ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori; diversamente, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ai sensi dell'art. 5 stesso D.Lgs., ha i compiti: (a) di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza; (b) di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), piano complementare di dettaglio del PSC, che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; (c) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni. Trattasi di figure le cui posizioni di garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell'incolumità dei lavoratori. (Cassazione, Sezione 4, Sentenza n. 18472 del 04/03/2008 Ud (dep. 08/05/2008 ) Rv. 240393.
Insieme con questi principi di portata generale che rendono semplicemente più chiara e comprensibile la norma di legge, la giurisprudenza di legittimità ha però offerto un ulteriore contributo di chiarificazione precisando che non si può richiedere al coordinatore per la sicurezza (neppure a quello in fase esecutiva) un tipo di vigilanza continua e diretta che spetta, invece, ad altre figure e, in primo luogo, al datore di lavoro:
"Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dall'art. 5 D.Lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). (Fatto commesso prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81 del 2008 e del D.Lgs. n. 106 del 2009"). (Cassazione, Sezione 4, Sentenza n. 18149 del 21/04/2010 Ud. (dep. 13/05/2010 ) Rv. 247536).
In altra sentenza, parlando specificamente del datore di lavoro in materia edile e specificando la differente funzione di garanzia che compete al datore di lavoro e al coordinatore per la sicurezza anche in fase esecutiva, la Suprema Corte ha chiarito:
"Il responsabile dei lavori edili è titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori, ed ha, pertanto, l'obbligo dì predisporre e fare osservare i presidi di sicurezza richiesti dalla legge per l'esecuzione dei predetti lavori, a nulla rilevando la compresenza di un "coordinatore della sicurezza in fase di progettazione" e di un "coadiutore della sicurezza in fase di esecuzione", a loro volta titolari di autonome e concorrenti posizioni di garanzia... ." (Cassazione, Sezione 4, Sentenza n. 17634 del 10/03/2009 Ud. (dep. 24/04/2009 ) Rv. 243996 ).
Sulla scorta di questi criteri occorre allora ribadire che, nel caso concreto, l'imputato C.I. ha compiuto accessi molto frequenti al cantiere intrattenendosi con i titolari delle imprese appaltatrici e con le maestranze; ha impartito disposizioni in materia di sicurezza come risulta dalle testimonianze degli stessi lavoratori o dei collaboratori dell'Ing. C.I. e come risulta dai verbali che sono stati redatti quando l'imputato ha ritenuto di imporre delle prescrizioni (come nel caso specifico e già ricordato dell'uso dei parapetti); infine, l'imputato C.I. si è sempre preoccupato di mantenere adeguato il livello di sicurezza del cantiere.
Ovviamente il suo compito di "verifica" (così come previsto dal citato Decreto legislativo 494/96) non può essere confuso con quello di "vigilanza" assidua del datore di lavoro; nel caso di specie, poi, è emersa la prova positiva che il coordinatore si recava comunque frequentemente in cantiere ed era stato presente anche il giorno in cui è successo il tragico infortunio (dalle testimonianze emerge che gli accessi erano sempre finalizzati a verifiche concrete e operative).
I lavoratori coinvolti nelle attività del cantiere (compreso il lavoratore infortunato P.M. e il suo datore di lavoro P.E.) erano operai professionisti con vasta esperienza e adeguata formazione; nello stesso tempo deve essere ricordato che il citato Decreto legislativo 626/94 (ma, questa volta, all'articolo 35, inerente gli obblighi del datore di lavoro) prevede che "il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché durante l'uso delle attrezzature di lavoro siano rispettate le disposizioni di cui ai commi 4 bis e 4 ter. All'atto della scelta delle attrezzature di lavoro il datore di lavoro prende in considerazione: a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere; b) i rischi presenti nell'ambiente di lavoro: e) i rischi derivanti dall'impiego delle attrezzature stesse... Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro siano: a) installate in conformità alle istruzioni del fabbricante; b) installate correttamente... e bis) disposte in maniera tale da ridurre i rischi dell'utilizzatore per le altre persone; il successivo articolo 36 bis Decreto legislativo citato si riferisce poi al tema specifico delle attrezzature per i lavori in quota, elencando gli obblighi del datore di lavoro in materia di protezione individuali e collettive (si è già detto come il coordinatore della sicurezza avesse verificato l'esistenza di questi sistemi di protezione e ne avesse prescritto l'uso; sarebbe quindi toccato al datore di lavoro (concretamente presente nel caso di specie) imporre l'uso effettivo di questi sistemi di protezione in quella specifica occasione); analogo discorso viene svolto dall'articolo 36 quater del Decreto citato con riferimento ai ponteggi e alla loro stabilità (ancora una volta si ricorda come i testi abbiano riferito che l'imputato C.I. aveva preteso che i ponteggi fossero accoppiati e operassero in condizioni di sicurezza).
Per quanto riguarda, poi, i profili inerenti il ruolo del coordinatore con riferimento ai rischi da "interferenze" si è visto come l'infortunio non sia assolutamente dipeso da una carenza di coordinamento tra l'impresa P.F. o l'artigiano Pu.R. che portava la trave in quota mediante il "merlo" e l'impresa P.E. che la posizionava (l'infortunio si è verificato durante la lavorazione condotta esclusivamente tra il titolare P.E. e il dipendente P.M., posti l'uno di fronte all'altro e separati solo dalla trave).
Alla luce di tutte queste considerazioni in fatto e in diritto e tenuto conto che il coimputato P.E., datore di lavoro della vittima P.M., ha definito la propria posizione processuale con una sentenza di applicazione della pena su richiesta che - ai sensi del secondo comma dell'articolo 445 c.p.p. - è a tutti gli effetti "equiparata ad una pronuncia di condanna" occorre concludere per la piena assoluzione dell'imputato C.I. per non aver commesso il fatto.
L'assoluzione dell'imputato C.I. comporta, necessariamente, il rigetto delle pretese risarcitorie avanzate dalle tre distinte parti civili.

P.Q.M.


Il Tribunale di Como - Sezione di Erba
Visto l'articolo 530 codice procedura penale
ASSOLVE C.I. dal reato lui ascritto per non aver commesso il fatto.
Visto l'articolo 544 comma 3 c.p.p.
Indica termine fino al 30 luglio 2013 per il deposito della motivazione.