Categoria: Cassazione penale
Visite: 10209


Cassazione Penale, Sez. 3, 19 novembre 2014, n. 47688 - Condanna di due committenti per infortunio mortale e questioni procedurali



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio Felice - Presidente -
Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
D.L.L. N. IL (OMISSIS);
D.L.P. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2712/2013 CORTE DI CASSAZIONE di ROMA, del 14/05/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
sentite le conclusioni del PG Dott. D'Ambrosio Vito (rigetto);
Udito il difensore Avv. Aricò Giovanni.


Fatto

D.L.L. e D.L.P., tramite il difensore, propongono ricorso straordinario, ai sensi dell'art. 625 bis c.p.p. contro la sentenza di questa Corte, quarta sezione penale, pronunciata il 14.5.2013 e depositata il 18.9.2013, che ha rigettato il ricorso da essi proposto avverso la sentenza 12236/2009 della Corte d'appello di Napoli. La decisione di questa Corte aveva reso definitiva la condanna degli odierni ricorrenti alla pena di mesi sei di reclusione, con le attenuanti generiche prevalenti, per il delitto di omicidio colposo in danno di D.C.M., aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

In particolare - e per quel che ancora rileva in questa sede - ai fratelli D.L. era stato addebitato di avere omesso, quali committenti dei lavori riguardanti un immobile di loro proprietà, di accertarsi che il coordinatore per l'esecuzione verificasse l'applicazione, da parte dell'impresa esecutrice, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonchè la corretta applicazione delle procedure di lavoro e di buona tecnica (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2).

A motivo del ricorso straordinario si deduce un errore di fatto nella ricostruzione degli atti processuali, già commesso dalla Corte d'Appello e denunziato in cassazione sotto il profilo del travisamento della prova, errore di fatto manifestatosi nell'errata percezione e ricostruzione degli atti processuali e precisamente del capo di imputazione, della sentenza di primo grado e del contenuto delle trascrizioni allegate al ricorso per cassazione per denunziare il travisamento della prova da parte della Corte d'Appello. Si sostiene, in particolare, che contrariamente a quanto percepito dalla Corte di Cassazione, i germani D.L. non ebbero alcuna cognizione delle modalità di esecuzione dello scavo il cui franamento provocò la morte dell'operaio, perchè lo scavo a cui si era riferita la D. L. nella sua dichiarazione riguardava la parte di intervento eseguita su (OMISSIS), senza alcun rischio per i lavoratori, perchè interessava una strada asfaltata e non esposta a rischi di smottamento e non già i lavori all'interno della villetta dei committenti, non ancora iniziati.

Si denunzia poi, con altra censura, l'omessa pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, rilevandosi che, tenuto conto della data di commissione del fatto ((OMISSIS)) e della pena massima prevista dalla legge vigente al momento del fatto per il reato (5 anni), la Corte di Cassazione avrebbe dovuto pronunciare la relativa declaratoria. A sostegno di tale motivo il difensore ha depositato il 25.9.2014 una memoria difensiva passando in rassegna le cause di sospensione verificatesi nell'intero giudizio e svolgendo i relativi calcoli.


Diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato perchè non viene prospettato un difetto riconducibile alla nozione di errore di fatto rilevante ai sensi della norma evocata.

Storia, natura, ratio del rimedio, e lettera della disposizione che lo istituisce impongono di ritenere che l'errore di fatto idoneo a dare luogo ex art. 625 bis c.p.p. all'annullamento della sentenza della Corte di cassazione è solo quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte nella lettura degli atti del giudizio di legittimità: errore connotato dall'influenza esercitata sulla decisione dalla inesatta percezione di dati processuali, il cui svisamento conduce ad una sentenza diversa da quella che sarebbe adottata senza l'errore di fatto (cass. Sez. 6, Sentenza n. 25121 del 02/04/2012 Cc. dep. 22/06/2012 Rv. 253105; Sez. un. 27 marzo 2002, dep. 30 maggio 2002, n. 16103).

Di conseguenza:

- va escluso ogni errore valutativo o di giudizio;

- l'errore di fatto censurabile, secondo il dettato dell'art. 625 bis c.p.p., deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di legittimità, e, per usare la terminologia dell'art. 395 c.p.c., n. 4, cui si è implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione dell'art. 625 bis c.p.p., nel supporre "la esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa" ovvero nel supporre "l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita", e tanto nell'uno quanto nell'altro caso "se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare";

- l'errore di fatto deve inoltre rivestire "inderogabile carattere decisivo", deve cioè necessariamente tradursi, per legittimare il ricorso straordinario, "nell'erronea supposizione di un fatto realmente influente sull'esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità";

- deve escludersi che nell'area dell'errore di fatto denunziabile con ricorso straordinario possa essere ricondotto l'errore percettivo non inerente al processo formativo della volontà del giudice di legittimità;

- il preteso errore di fatto non deve consistere in un errore già commesso, eventualmente, dai giudici di merito, e che, in quanto tale, avrebbe dovuto essere tempestivamente denunciato attraverso gli specifici mezzi di impugnazione proponibili avverso le relative decisioni.

In sintesi, esulando dall'errore di fatto ogni profilo di diritto o valutativo esso coincide con l'errore revocatorio - secondo l'accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della "invenzione" o della "omissione", - in cui sia incorsa la stessa Corte di cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio.

Ciò premesso, nel caso di specie, come riporta la sentenza n. 38421/2013 di cui oggi si chiede la revoca, col precedente ricorso per cassazione si era dedotto, tra l'altro, "il travisamento del contenuto degli atti processuali con riguardo all'effettiva conoscenza, da parte dei committenti, della situazione di pericolo nella quale operava il D.C.". Si addebitava alla Corte di Appello di aver "travisato il contenuto delle dichiarazioni della D. L. che, nel riferire in ordine allo scavo notato nel corso di una sua visita, aveva fatto riferimento solo a quello, già ricoperto, eseguito sulla via pubblica".

La Corte di Cassazione a pag. 8 della sentenza, ha ritenuto l'infondatezza della censura, non ravvisando il dedotto travisamento e per giungere a tale conclusione ha riportato le argomentazioni della Corte d'Appello, osservando altresì che l'imputata - le cui dichiarazioni erano riportate nella sentenza di primo grado - "non aveva certo sostenuto di avere visionato solo lo scavo eseguito sulla strada, ma aveva solo precisato che quella parte era stata completata, tanto che si stava procedendo ad assestare il terreno facendovi passare sopra un autocarro". Ed ha ritenuto impossibile sostenere "che la committente, che si recava in cantiere per visionare i lavori, si fosse limitata, proprio nella giornata del (OMISSIS), a controllare solo lo scavo, peraltro, già ultimato, esterno al cantiere stesso": una tale condotta,, si legge sempre a pag. 8 della sentenza, sarebbe "del tutto illogica rispetto alle esigenze di controllo che quel giorno ed i giorni precedenti l'avevano spinta a recarsi sul cantiere".

La Corte d'Appello a sua volta, a pagg. 11 e 12 della sentenza, aveva ritenuto innegabile che la D.L., recatasi sul posto, avendo notato che l'impresa aveva ultimato la prima parte dello scavo (quello sulla pubblica via), abbia potuto avere piena cognizione di uno scavo profondo con terreno rimosso e collocato sul ciglio del fosso e dell'assenza di una armatura di sostegno e di protezione e quindi abbia potuto rendersi conto dell'assenza di misure di sicurezza e delle condizioni di evidente pericolo in cui si svolgevano i lavori, da chiunque percepibili.

La Corte di Cassazione, dunque, non è affatto incorsa nell'errore percettivo denunziato dai ricorrenti, ma ha compiuto una normalissima attività di valutazione della motivazione adottata dal giudice di merito per ritenere provata la conoscenza, da parte degli imputati, dello stato dei luoghi ove avvenne l'infortunio mortale e l'ha ritenuta coerente: essa ha dunque operato nel pieno esercizio delle sue attribuzioni quale giudice di legittimità.

La critica del ricorrente si rivela dunque infondata perchè sollecita in definitiva una ulteriore rivisitazione della motivazione adottata dalla Corte di merito: si è pertanto al di fuori dell'ipotesi di errore revocatorio emendabile con il rimedio straordinario di cui all'art. 625 bis c.p.p..

2. Infondata è anche la censura riguardante l'omesso rilievo della prescrizione.

Il reato contestato agli imputati, e per i quali è stata pronunciata condanna, è l'omicidio colposo commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, come si evince chiaramente dal capo di imputazione che indica la normativa disattesa (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2 come modificato dal D.Lgs. n. 528 del 1999) e la specifica omissione addebitata ai committenti.

La pena massima edittale era effettivamente quella di cinque anni di reclusione e (cfr. art. 589 c.p., comma 2 nel testo vigente all'epoca dei fatti: (OMISSIS)), sicchè, in mancanza di cause di sospensione, con l'aumento per le interruzioni, il termine sarebbe scaduto il 20.7.2012.

A tale conclusione si perviene sia applicando il regime della prescrizione di cui all'art. 157 nella formulazione introdotta nel 2005 (che per i delitti prevede comunque un termine minimo di sei anni qualora la pena massima edittale si inferiore), sia applicando la vecchia disciplina dell'art. 157 c.p. perchè nel caso di specie erano state concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e dunque occorreva tener conto della diminuzione minima stabilita per le attenuanti, con conseguente applicazione del termine di cinque anni aumentato della metà per le interruzioni.

Senonchè, nel processo si sono verificate varie cause di sospensione, sia nella fase di merito che in quella di legittimità ed è pertanto opportuno procedere ad una ricostruzione dei rinvii (di rilievo ai fini che qui interessano) sulla scorta dei verbali di causa, tenendo conto dei seguenti principii di diritto costantemente affermati in giurisprudenza: la sospensione del termine di prescrizione, come conseguenza della sospensione del processo, è limitata al periodo di sessanta giorni, altre al tempo dell'impedimento, nel caso di rinvio dell'udienza per impedimento di una delle parti o di uno dei difensori, ma non anche in caso di rinvio dell'udienza a seguito di richiesta dell'imputato o del suo difensore cfr. altresì tra le varie, Sez. 1, Sentenza n. 5956 del 04/02/2009 Ud. dep. 11/02/2009 Rv. 243374; Sez. 3, Sentenza n. 4071 del 17/10/2007 Ud. dep. 28/01/2008 Rv. 238544).

E ancora, il rinvio del dibattimento richiesto col consenso espresso di tutte le parti costituisce causa di sospensione del corso della prescrizione (cfr. tra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 27676 del 17/05/2013 Cc. dep. 24/06/2013 Rv. 256363 secondo cui, a contrario, il rinvio del dibattimento richiesto dalla parte civile non costituisce causa di sospensione del corso della prescrizione nella ipotesi in cui la difesa dell'imputato non abbia espressamente prestato consenso al rinvio e si sia limitata semplicemente a "rimettersi" al giudice).

A) Giudizio di primo grado davanti al Tribunale di Benevento - sez. distaccata di Guardia Sanframondi.

Dal 8.10.2007 al 5.11. 2007 ("su concorde richiesta delle parti"): 28 giorni.

Dal 7.7.2008 al 24.11. 2008 ("per discussione su richiesta delle parti"): 140 giorni (e non 60 giorni come indicato dal difensore nella memoria, trattandosi di rinvio su istanza di parte e non per impedimento: cfr. cass. cit.).

Dunque, sospensione totale in tribunale: giorni 168.

B) Giudizio di impugnazione davanti alla Corte d'Appello di Napoli.

Dal 24.1.2012 al 26.4. 2012 (su richiesta del difensore): 93 giorni.

Dal 31.5.2012 al 28.6. 2012 (su richiesta dei difensori): 28 giorni.

Sospensione totale: giorni 121.

C) Giudizio di legittimità davanti alla Suprema Corte di Cassazione.

All'udienza del 12.4.2013 il procedimento è stato rinviato per impedimento del difensore e l'udienza è stata nuovamente fissata al 14.5.2013: 32 giorni.

Sommando i vari periodi di sospensione come sopra individuati, pari a complessivi 321 giorni ed aggiungendoli alla data del 20.7.2012 la prescrizione va individuata al 6 giugno 2013 e dunque in un'epoca successiva alla sentenza della Corte di Cassazione emessa invece il 14.5.2013.


P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2014