Cassazione Penale, Sez. 4, 28 novembre 2014, n. 49662 - Pericolose operazioni di scarico: infortunio e cause dell'evento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antonio - Presidente -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
A.C. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2016/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del 13/12/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/09/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FODARONI Maria Giuseppina che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Torino ha confermato la pronuncia di condanna emessa nei confronti di A. C. dal Tribunale di Torino, giudicato responsabile di lesioni personali colpose commesse in qualità di datore di lavoro in danno dei dipendenti D.G. e At.Sa..
Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, i due lavoratori erano stati incaricati dall' A. di provvedere al deposito di due armadi componibili all'interno di un box della sua abitazione; il trasporto degli armadi doveva essere effettuato con un furgone posto a disposizione dall' A. medesimo. Il (OMISSIS) il D. e l' At., in compagnia di un terzo lavoratore, erano giunti sul posto e avevano posizionato il furgone sulla rampa di accesso ai box, con i portelloni posteriori rivolti verso questi ed avevano iniziato lo scarico degli armadi. Dopo aver trasportato il primo armadio i lavoratori si erano avveduti che il portone carraio stava richiudendosi incastrando il portellone sinistro del furgone.
Quello tra i lavoratori uscito dall'autorimessa si era posto alla guida del furgone e aveva cercato, manovrando, di disincastrarlo, ma il portone carraio si era ribaltato investendo il D. e l' At., che nell'occorso avevano riportato lesioni personali.
All' A. è stato ascritto di non aver adeguatamente formato ed informato i lavoratori in merito ai rischi per la sicurezza e per la salute connessi all'attività alla quale erano stati adibiti ed inoltre di non aver verificato a priori che l'ingombro del furgone permettesse che questo entrasse totalmente all'interno della rimessa, in modo che le operazioni di scarico non interferissero con il normale funzionamento del portone carraio; infine, di non aver comunque fornito ai lavoratori la chiave di sblocco per l'apertura manuale del portone, in modo da permettere che questo rimanesse in posizione di apertura durante l'intera operazione di scarico.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Flavia Pivano.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge e segnatamente dell'art. 41 c.p., comma 2. Ad avviso dell'esponente la condotta dei lavoratori è stata inadeguata, eccezionale ed imprevedibile e pertanto integra una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento.
2.2. Con un secondo motivo si chiede che il reato venga dichiarato estinto perchè prescritto.
Diritto
3. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
3.1. E' noto che per mitigare il rigore derivante dalla meccanica applicazione del principio generale contenuto nell'art. 41 c.p., comma 1, ovvero del principio per il quale vi è equivalenza nelle cause che possono individuarsi come produttive dell'evento, così identificate attraverso il noto procedimento che taluno chiama di eliminazione mentale (teoria della "condicio sine qua non"), il legislatore ha dato rilievo a cause sopravvenute dal carattere peculiare. Non può trattarsi di cause in grado di instaurare un processo causale del tutto autonomo da ogni altra pregressa, poichè se così fosse saremmo in presenza di una disposizione (quella dell'art. 41 c.p., comma 3) inutile, perchè all'esclusione della valenza giuridica delle diverse cause si perverrebbe già con l'applicazione del principio condizionalistico previsto dall'art. 41 c.p., comma 1.
L'attitudine eziologica di ciascuna causa è premessa della regola dell'equivalenza causale (altrimenti neppure si potrebbe parlare di causa).
Perchè possa ritenersi interrotto il nesso condizionalistico tra condotta del trasgressore ed evento è necessario che il fattore interferente assorba per intero il processo causale. E' quanto si esprime comunemente con l'affermazione per la quale la condotta del trasgressore degrada, da causa, ad occasione dell'evento. E' quanto si pretende con la richiesta del necessario carattere di eccezionalità della causa sopravvenuta (ma, secondo l'opinione preferibile, anche precedente o concomitante: art. 41 c.p., comma 3).
Deve pertanto trattarsi, secondo questo condivisibile orientamento, di un processo non completamente avulso dall'antecedente, ma "sufficiente" a determinare l'evento, secondo un'accezione di sufficienza che non può essere identificata nell'autonomia cui allude l'art. 41 c.p., comma 1 (sicchè fuorviante è il riferimento sovente operato al carattere, che si vorrebbe dover essere proprio della causa sufficiente, della "totale indipendenza dalla condotta dell'imputato": Cass. Sez. 5, sent. n. 11954 del 26/01/2010, Palazzolo, Rv. 246549; Cass. Sez. 5, sent. n. 15220 del 26/01/2011, Trabeisi e altri, Rv. 249967).
"Causa sufficiente" è "il fatto che ha una probabilità minima, insignificante di verificarsi: il fatto che si verifica soltanto in casi rarissimi... nei giudizi sulla causalità umana si considerano "propri" del soggetto tutti i fattori esterni che concorrono con la sua azione, esclusi quelli che hanno una probabilità minima, trascurabile di verificarsi; in altri termini esclusi i fattori che presentano un carattere di eccezionalità".
La causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità (o a procurane la sua interruzione, come altrimenti si dice) presuppone quindi l'esistenza di un percorso causale ricollegato all'azione (od omissione) dell'agente ma si pone rispetto a questo come addizione completamente atipica, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un fattore che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (Cass. Sez. 4, sent. n. 9967 del 18/01/2010, cit.).
Tanto vale per il fattore interferente che abbia concorso nella determinazione di quel medesimo evento cui avrebbe condotto il percorso causale facente interamente capo all'agente/omittente, qualora non fosse intervenuto quell'ulteriore addizione causale.
Ma vale, secondo la prevalente giurisprudenza, anche nell'ipotesi in cui il fattore interferente, che si innesta nel decorso causale già innescato dalla condotta del trasgressore, aggrava l'evento che si sarebbe prodotto.
Anche in tali casi non risulta comunque reciso il nesso causale e la concorrenza causale di condotte di altri dal reo assume valore solo sul piano sanzionatorio.
3.2. La natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto è però un tipico accertamento devoluto al giudice del merito che deve logicamente valutare il suo convincimento sul punto. Ciò è avvenuto nel caso in esame perchè, secondo i giudici di primo e di secondo grado, non può reputarsi causa totalmente autonoma ed imprevedibile il comportamento, ancorchè "erroneo" (ovvero imperito, imprudente o negligente) del lavoratore.
In tema di infortuni sul lavoro, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nello statuire che non integra il "comportamento abnorme" idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013 - dep. 19/02/2014, Rovaldi, Rv. 259313).
Ne consegue la manifesta infondatezza del ricorso, con il quale ci si è limitati ad affermare che i lavoratori erano a conoscenza del luogo e del compito assegnatogli, che questo era di semplice esecuzione, che essi non prestarono la minima attenzione. Rilievi che, alla luce di quanto sopra rammentato, risultano del tutto inconferenti rispetto al tema posto.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile; tanto preclude la declaratoria di estinzione del reato conseguente a prescrizione (Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005 - dep. 22/06/2005, Bracale, Rv. 231164).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2014