Cassazione Penale, Sez. 4, 15 gennaio 2015, n. 1920 - Caduta dal solaio di copertura di un opificio. Prescrizione


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro A. - Presidente -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
M.G., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2002/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del 18/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione;
udito per il ricorrente il difensore di fiducia AVV. COVELLA LUIGI LEONARDO del Foro di Lecce, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso e, in subordine, l'annullamento senza rinvio per prescrizione.



Fatto

1. Con sentenza del 18/11/2013 la Corte d'appello di Lecce confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, aveva dichiarato M.G. colpevole del reato di lesioni colpose gravi, aggravato dalla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in relazione all'infortunio occorso il giorno (OMISSIS) al dipendente F.G., il quale, dopo essere salito sul solaio di copertura dell'opificio industriale ove erano in corso lavori di sistemazione degli infissi, perdeva l'equilibrio e cadeva al suolo riportando lesioni personali gravi con diagnosi di pneumotorace bilaterale in politrauma con prognosi riservata.

Si rimproverava all'imputato, quale legale rappresentante della E. S.r.l. e quindi datore di lavoro dell'infortunato, la violazione del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 10, comma 2, art. 68, comma 1, e art. 70 i quali rispettivamente prevedono l'obbligo di munire i lavoratori di idonea cintura di sicurezza con bretelle collegate a fune di trattenuta assicurata, direttamente o mediante anello scorrevole lungo una fune appositamente tesa, a parti stabili delle opere fisse o provvisionali; l'obbligo per il datore di lavoro di circondare il lucernaio con appositi parapetti; l'obbligo ancora di allestire apposite tavole sopra le ordinature, sottopalchi od opere similari quali reti elastiche.

Concesse le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti, l'imputato era stato condannato alla pena di un mese di reclusione con la concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato penale.

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato, per mezzo del proprio difensore, articolando tre motivi.

2.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato ascritto.

Rileva che l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui le cinture di sicurezza fornite al F. non erano conformi alla previsione di legge e risultavano inidonee ad evitare il rischio di caduta, in quanto agganciate ad un solo impalcato e non ad una fune di trattenuta a sua volta agganciata a due impalcati, è manifestamente illogica. Osserva infatti che, da un lato, la presenza della fune di trattenuta emergeva da diverse prove immotivatamente trascurate dalla Corte d'appello a favore dell'unica dichiarazione di segno opposto resa dal teste M., ispettore del lavoro, e, dall'altro, l'assunto della Corte territoriale secondo cui l'essere tale fune agganciata ad un solo impalcato la rendeva inidonea allo scopo è apodittico, in assenza di alcun approfondimento tecnico al riguardo, e comunque in contrasto con la norma richiamata, la quale collega la sicurezza del lavoratore non al numero delle opere fisse o provvisionali cui la fune di trattenuta deve essere assicurata, ma alla stabilità delle stesse.

2.1. Con il secondo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione della dinamica del sinistro.

Sostiene che immotivatamente la Corte d'appello, anche sul punto trascurando emergenze probatorie di segno opposto, ha ritenuto che al momento del sinistro sia il F. che altro operaio erano intenti a svolgere una ordinaria attività lavorativa piuttosto che, come sostenuto dalla difesa e dedotto anche nell'atto di gravame, a compiere una preliminare verifica, cui essi erano pure incaricati, delle condizioni di sicurezza dei luoghi, ai fini dell'allestimento del cantiere, con conseguente inoperatività delle norme di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 68 e 70 da ritenere pertanto erroneamente richiamate a fondamento dell'addebito di responsabilità.

2.3. Con il terzo motivo, infine, deduce vizio di motivazione in relazione alla ritenuta mancata formazione e informazione del lavoratore in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Rileva che l'affermazione è illogica, in quanto esclusivamente fondata sulla constatazione che il F. non fece uso delle cinture di sicurezza fornitegli e poichè comunque trascura di considerare che il piano di lavoro predisposto dalla società (documento peraltro noto alla Corte, poichè utilizzato in altra parte della sentenza ad altri fini) espressamente attesta che gli operatori sono in possesso dell'attestato di frequenza al corso di formazione specifico (e) ... sono stati informati circa i rischi per la salute derivanti dalla esposizione all'amianto, le norme igieniche da osservare, l'uso corretto dei mezzi di protezione individuale...

3. In data 27/11/2014 la difesa dell'imputato ha depositato memoria nella quale comunica di non aver potuto produrre il verbale di udienza di primo grado da cui risulta l'acquisizione al fascicolo del dibattimento del piano di lavoro di E., in quanto transitato, insieme al fascicolo di causa, dalla Corte d'appello di Lecce alla cancelleria della Suprema Corte.


Diritto


4. Deve preliminarmente dichiararsi l'estinzione del reato per prescrizione, maturata anteriormente alla sentenza impugnata.

Avuto riguardo alla pena edittale prevista, il termine prescrizionale, secondo la nuova formulazione dell'art. 157 cod. pen. (nella specie applicabile, ratione temporis), considerate anche le interruzioni, deve ritenersi pari a sette anni e sei mesi e risulta interamente decorso già alla data del (OMISSIS), non registrandosi sospensioni dello stesso.

Ciò deve condurre all'annullamento senza rinvio della sentenza.

Va infatti rammentato l'orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità e qui condiviso, secondo il quale il giudice di legittimità può rilevare anche d'ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d'appello, pur se non dedotta con il ricorso e nonostante i motivi dello stesso vengano ritenuti inammissibili (v., ex plurimis, Sez. 5, n. 42950 del 17/09/2012, Xhini, Rv. 254633).

Per contro, mette conto altresì rammentare che, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito dalla Suprema Corte, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontra nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una constatazione, che a un atto di apprezzamento e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).

E invero, il concetto di evidenza, richiesto dall'art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Sez. 6, n. 31463 del 08/06/2004, Dolce, Rv. 229275).

Deve, in altre parole, emergere dagli atti processuali, con assoluta evidenza, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, ossia l'assenza manifesta della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richieda il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Sez. 2, n. 26008 del 18/05/2007, Roscini, Rv. 237263).

Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2.

5. In conclusione, ai sensi del richiamato art. 129 cod. proc. pen., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato ascritto al ricorrente estinto per prescrizione.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2015