SENATO DELLA REPUBBLICA
XVII LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico

 

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro


Seduta n. 7, martedì 25 novembre 2014

 

Audizione delle Organizzazioni Sindacali CGIL, CISL e UIL


Presidenza della presidente FABBRI

Intervengono per la CGIL il dottor Sebastiano Calleri, responsabile salute e sicurezza CGIL nazionale, e la dottoressa Nadia Fanelli, Filt nazionale componente della Commissione consultiva permanente; per la CISL, il dottor Giuseppe Farina, segretario confederale CISL, e la dottoressa Cinzia Frascheri, responsabile nazionale CISL salute e sicurezza sul lavoro; per la UIL, la dottoressa Gabriella Galli, responsabile salute e sicurezza.

SULLA PUBBLICITÀ DEI LAVORI

PRESIDENTE
Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso il resoconto stenografico, nonché, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo. Poiché non vi sono obiezioni, resta così stabilito.

PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL

PRESIDENTE
L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL.
Sono presenti per la CGIL il dottor Sebastiano Calleri, responsabile salute e sicurezza CGIL nazionale, e la dottoressa Nadia Fanelli, Filt nazionale componente della Commissione consultiva permanente; per la CISL, il dottor Giuseppe Farina, segretario confederale CISL, e la dottoressa Cinzia Frascheri, responsabile nazionale CISL salute e sicurezza sul lavoro; per la UIL, la dottoressa Gabriella Galli, responsabile salute e sicurezza.
A nome mio e della Commissione, vi ringrazio per la presenza. Come di consueto, i lavori prevedono tempi contenuti nel margine di un'ora per le vostre relazioni, cui seguiranno le eventuali domande dei commissari.
Ricordo che nella seduta di oggi prosegue un ciclo di audizioni che la Commissione ha iniziato nello scorso mese di settembre, allorquando si è insediata. Tali audizioni sono volte a consentire ai commissari di svolgere un lavoro puntuale, non solo quando occorre rilevare casi di incidenti, morti e malattie professionali, ma - speriamo - anche sul piano della prevenzione e della cultura alla sicurezza sui luoghi di lavoro. È nostro auspicio dunque che l'interlocuzione odierna costituisca un momento di confronto utile, non solo per la Commissione, ma anche per i sindacati che rappresentate, ai fini dell'avvio di una metodologia di lavoro che consenta di trasferire conoscenze e competenze di ausilio non solo ai lavoratori nelle nostre aziende, ma anche a quei tanti imprenditori che, considerato anche il periodo di crisi, potrebbero non vivere il tema della sicurezza come noi riteniamo debba invece essere vissuto, non per un fatto di civiltà, ma per un valore aggiunto di sviluppo economico.
Se siete d'accordo, attenendomi all'ordine precostituito, do subito la parola al dottor Sebastiano Calleri della CGIL.

CALLERI
Signora Presidente, ringrazio lei e i commissari presenti, che ascolterete le nostre proposte e la nostra analisi.
Desidero anzitutto dire che questo lavoro rappresenta per noi un importante punto di inizio. Abbiamo infatti scritto una lettera a questa Commissione chiedendo un'audizione, probabilmente la convocazione odierna è arrivata prima della risposta e ne siamo contenti perché si è trattato di un circolo positivo di volontà.
Vorremmo focalizzare l'attenzione su tre aspetti del grande problema che ci troviamo ad affrontare dandone innanzi tutto la dimensione, a nostro avviso, più corretta. Ciò, anche per riprendere quanto più volte abbiamo detto, nelle Commissioni che vi hanno preceduto, su tale argomento che, purtroppo, si ripropone ogni volta.
Partendo dalla dimensione del fenomeno infortunistico, sapete sicuramente meglio di me che vi è una discussione aperta anche sul fenomeno degli infortuni dal punto di vista conoscitivo e dimensionale. Abbiamo detto più volte - e vogliamo ribadirlo in questa sede - che a nostro avviso va considerata l'interezza del fenomeno, dunque non solo quella degli assicurati all'INAIL (non tutti i lavoratori sono assicurati all'INAIL), e includendo anche - per quanto possibile - la dimensione del lavoro nero e del lavoro precario, che riteniamo molto importante ai fini della rilevazione.
È preliminarmente necessaria una considerazione ovvia: la crisi che ormai ci attanaglia da parecchio tempo determina un calo delle ore lavorate e degli occupati. Tutti questi dati andrebbero armonizzati e interrelati tra loro in maniera più corretta.
Vi sono poi delle grandi questioni, ancora aperte, sull'aspetto istituzionale. Sappiamo che il decreto legislativo n. 81 ha subito diverse modifiche e che, purtroppo, in molte sue parti non è ancora attuato. Pensiamo alla vicenda della pubblica amministrazione, ma anche a quelle delle Forze armate e dei trasporti, che ci trasciniamo da qualche anno e che sarebbe forse ora di aggredire in maniera completa. Dico questo perché a noi sta molto, ma molto, a cuore il discorso della prevenzione. Prevenzione non significa solo evitare l'accadimento infortunistico o la malattia professionale evitandone l'eziologia, ma anche rivolgere un'attenzione quotidiana all'interno delle aziende e dei luoghi di lavoro. Soprattutto, la prevenzione coinvolge tutte le componenti che nell'azienda fanno parte del servizio di prevenzione e protezione e che devono rapportarsi tra loro in maniera corretta per rendere il più possibile cogenti l'efficacia e la prevenzione. Ciò significa che bisogna innanzi tutto completare l'assetto istituzionale delle amministrazioni pubbliche perché il sistema informativo nazionale della prevenzione non è ancora partito per varie ragioni. Credo che su questo aspetto si dovrà fare un'inchiesta aggiuntiva perché, secondo noi, è molto importante che questo sistema parta. Infatti, avere un flusso di informazioni corretto tra tutti gli attori e trasparente anche all'esterno è la prima pietra da posare per una prevenzione effettiva.
Ciò detto, vi sono delle contingenze di cui vorrei parlarvi in maniera molto veloce. Abbiamo detto in più sedi (lo abbiamo anche scritto al Governo e al Parlamento) che, con riferimento al Jobs act e alle deleghe in esso contenute, vi sono dei profili riguardanti la salute e la sicurezza. C'è una delega con uno scopo generico di semplificazione, che per noi va interpretata come eventuale semplificazione delle procedure, positiva anche per le aziende; tuttavia, ciò non deve tradursi in una diminuzione della tutela. Questo lo abbiamo ripetuto più volte e penso vi sia noto.
L'altra questione attiene alla verifica della funzionalità e dell'efficacia dei servizi ispettivi. Sappiamo che è in corso una discussione molto importante e ampia, che coinvolge molti attori, riguardante l'Agenzia unica, che ha una funzione di coordinamento rispetto ai servizi ispettivi regionali. Inoltre (per lo meno così abbiamo interpretato il contenuto della delega), vi è un accorpamento delle funzioni ispettive di INPS, INAIL e Ministero del lavoro. Questo che ci preoccupa molto, non tanto per una resistenza innata all'innovazione che potremmo avere, quanto per l'attribuzione di questa Agenzia (mi riferisco ai mezzi dell'Agenzia e, soprattutto, alle attribuzioni di coloro che vi lavoreranno e che faranno gli ispettori sul territorio). Questa è una questione da chiarire molto bene. Unificare i servizi ispettivi dal punto di vista contrattuale-lavoristico e da quello relativo a salute e sicurezza potrebbe indurre una minore attenzione rispetto a queste due ultime questioni. Occorrono regole d'ingaggio e professionalità chiare, dato che, come ben sappiamo, non è possibile che tutti facciano tutto, ma ognuno ha la propria specificazione. È in atto invece una campagna che tende a introdurre un'immagine dei servizi ispettivi, a nostro avviso, non completamente corretta. A differenza di quanto è stato detto più volte, le aziende non sono tartassate dai controlli; dalle statistiche, che sono disponibili a tutti, non si evince, in realtà, un altissimo numero di controlli, né la reiterazione degli stessi nei confronti delle medesime aziende. Non intendiamo sottrarci a una discussione sull'efficacia e sull'organizzazione dei servizi ispettivi, ma ciò va realizzato anche con il contributo di tutti coloro che in questi lavorano e operano concretamente.
I due aspetti che desidero infine sottolineare sono relativi innanzi tutto ai patronati, che, a nostro avviso, hanno un ruolo rilevante all'interno del sistema della prevenzione, perché hanno svolto una grandissima opera di sensibilizzazione rispetto alle malattie professionali. Come abbiamo visto dal rapporto INAIL, infatti, la denuncia delle malattie professionali è molto aumentata; questo significa che vi sono maggior consapevolezza e conoscenza, che sono aspetti sempre positivi che aiutano moltissimi cittadini nell'iter - purtroppo molto faticoso e a volte difficile - da seguire per il riconoscimento dei giusti indennizzi, dei risarcimenti. Per questo i tagli previsti ci preoccupano molto; sappiamo che vi sono state alcune modifiche, ma è molto importante ricordare quest'aspetto, che sembra ininfluente rispetto alla salute e alla sicurezza, ma che tale non è facendo parte di quella cultura più generale che dev'essere presente fra i lavoratori e nelle aziende e che è stato precedentemente ricordato.
Altro aspetto che ci preoccupa molto è il taglio, previsto nella legge di stabilità, dei fondi destinati all'assunzione degli ispettori previsti in un precedente provvedimento. Per dirla in inglese, è un elemento self evident: tagliare quei fondi significa rendere molto più problematica l'organizzazione dei servizi ispettivi in generale.
Anticiperò forse i miei colleghi ricordando due aspetti importanti che abbiamo portato avanti con alcune nostre attività perché vogliamo a nostra volta mettere sul tavolo ciò che facciamo e il nostro ruolo all'interno del sistema prevenzione. Mi riferisco, in particolare, alla piattaforma sindacale unitaria sui temi relativi a salute e a sicurezza, varata nel 2013 ma ancora attualissima, la cui documentazione chiediamo di poter lasciare agli atti della Commissione.

PRESIDENTE
La Presidenza la autorizza in tal senso.

CALLERI
Nel tentativo di portare avanti il nostro vero e proprio lavoro, ossia la contrattazione per le aziende, abbiamo realizzato per le nostre strutture una traccia contrattuale su salute e sicurezza nei posti di lavoro (ovviamente si tratta di una contrattazione di secondo livello, aziendale). Trattandosi, a nostro avviso, di un contributo importante, sarebbe decisivo farvelo conoscere.

FARINA
Signora Presidente, riteniamo l'audizione di oggi molto importante per il tema di cui discutiamo.
Condividiamo molto l'impronta che lei ha voluto dare dicendo che siamo qui per favorire e sviluppare maggiormente la prevenzione senza rincorrere e dover intervenire nelle urgenze. D'altronde, il lavoro di questa Commissione, come il lavoro che facciamo noi tutti i giorni, deve necessariamente essere orientato a fare quanto necessario perché gli elementi di prevenzione prevalgano su quelli della gestione delle emergenze. Stare insieme nelle emergenze è più facile perché ognuno (la politica e il sindacato) è lì per gestirla. Fare prevenzione richiede che questa capacità di stare insieme nell'emergenza si ritrovi anche nei lavori ordinari per far funzionare bene le leggi e gli organismi a quest’obiettivo dedicati. Voglio segnalare una certa preoccupazione aggiuntiva data dal fatto che siamo in anni di crisi molto seria. Sappiamo per esperienza che nei momenti di crisi, quando il lavoro manca, ci sono una serie di tolleranze e, a maggior ragione, la nostra attività deve essere più forte perché più forti sono i rischi connessi a un calo di attenzione.
Rispetto alla congiuntura non c'è dubbio che per noi è di particolare rilevanza capire ciò che il Governo vuole fare nel Jobs act in termini di agevolazione e semplificazione delle normative che riguardano la materia. Non abbiamo difficoltà a comprendere le ragioni della semplificazione, ma temiamo che esse possano azzerare i livelli di tutela e di garanzia e far venire meno le decisioni prese nella legge. Riteniamo invece che ciascuna di esse aveva una sua ragione quando la legge è stata fatta. Siamo d'accordo che si possano esaminare semplificazioni della normativa, ma ci preoccupa se semplificazione significa anche ridurre quegli strumenti che garantiscono al sindacato una partecipazione e, quindi, la gestione delle normative, che sono il vero elemento di prevenzione. Mi riferisco al fatto che le relazioni sindacali, attraverso gli strumenti che la legge offre, sono in grado di presidiare bene questo tema. Non siamo contrari all'idea che si passi da una documentazione cartacea a una documentazione elettronica; dobbiamo sapere però che il sistema produttivo italiano è prevalentemente composto da piccole imprese e che questo passaggio non potrà essere possibile dappertutto, anzi, esso rischia di escludere molte aziende dalla gestione della prevenzione sul lavoro e della normale attività dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e di coloro che per il sindacato sono dedicati a tale attività.
Come veniva ricordato dal collega Calleri, vi sono ancora delle norme che la legge prevede che non sono state ancora attuate. Pertanto, da una parte, dobbiamo prestare attenzione a ciò che oggi il Governo è impegnato a fare sul tema della semplificazione, dall'altra, ci sono ancora alcuni aspetti che non hanno trovato attuazione. Penso che il Comitato di cui all’articolo 5 sia un pensatoio, un punto di riferimento congiunto di tutte le parti più impegnate in questa attività che è importante rilanciare perché credo vi siano delle complessità da affrontare. Credo che la sovrapposizione di competenze, che spesso si determina nell'applicazione delle norme di legge e dell'attività di prevenzione, meriti di essere meglio disciplinata. Bisogna però mettere in campo la strumentazione, l'operatività del Sistema informativo nazionale per la prevenzione di infortuni e malattie professionali (un'anagrafe informatizzata delle incidenze infortunistiche) per poter intervenire con politiche più mirate.
Quanto ai rappresentanti della sicurezza, abbiamo bisogno di assicurare loro agibilità in tutti i territori e in tutte le aziende. Nelle medie e grandi aziende essa è assicurata, nelle piccole il ruolo degli RLS territoriali ha bisogno di essere necessariamente rilanciato, anche attraverso la costituzione del fondo di cui all’articolo 52 per poter rafforzare la presenza delle rappresentanze dei lavoratori nelle piccole imprese. Da questo punto di vista ci piacerebbe conoscere meglio qual è la rappresentanza e l'articolazione della presenza dei nostri rappresentanti della sicurezza. Sappiamo che l'INAIL ha l'anagrafe di queste rappresentanze e ci piacerebbe che copia di questa anagrafe potesse essere data anche ai sindacati.
Parlo infine dei patronati. Sono d'accordo sul fatto che il ruolo dei patronati per le malattie professionali sia insostituibile con riferimento alla rappresentanza e alla tutela dei lavoratori più deboli, che hanno più problemi e vivono in condizioni di disagio dal punto di vista fisico e delle malattie. A tal riguardo, ritengo che sul ruolo dei patronati il Governo dovrà fare una riflessione perché mi sembra vi sia una sottovalutazione dell’importanza che essi hanno ai fini della tenuta sociale e della risposta da assicurare ai più deboli della società, anche sul versante degli interventi sulla prevenzione e sulla gestione delle malattie professionali.

GALLI
Signora Presidente, abbiamo preparato una nota che lascerò e che cercherò di scorrere rapidamente.
Innanzitutto esprimo apprezzamento per la volontà - che lei ha dichiarato adesso e nel momento in cui è stata istituita la Commissione - di privilegiare l'ottica preventiva rispetto a quella d'indagine, che invece spesso ha interessato le precedenti Commissioni. La questione della prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali è al centro dell'impegno di tutti noi. Dobbiamo capire però che tale attività, fondamentalmente svolta dalle istituzioni, dovrebbe avere una gestione e una visione fortemente «tripartite», anche secondo gli orientamenti non solo internazionali, ma della nostra legislazione. Con tale termine intendo riferirmi a un'attività che impegni le istituzioni, ma coinvolga attivamente le parti sociali.
A nostro giudizio, l'efficacia degli interventi preventivi è ancora ostacolata da numerose difficoltà e carenze del nostro assetto istituzionale. Nei resoconti stenografici delle audizioni precedenti, ho letto un riferimento che hanno già ricordato anche i miei colleghi, ossia quello alla mancata attuazione del sistema informativo nazionale come mancata attuazione di un'importante disposizione del decreto legislativo n. 81 del 2008. Il problema ovviamente non è solo l'incongruenza legislativa dovuta alla mancata attuazione in sé del SINP (Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro), ma la conseguente problematicità per tutto il sistema della prevenzione: questo è proprio uno dei punti di caduta di quel ruolo del tripartitismo cui facevo riferimento. Lo stesso decreto legislativo, in questo caso, prevede una semplice consultazione delle parti, non quel ruolo attivo e di collaborazione con le strutture che il sistema informativo si è dato, che in parte già funzionano e la cui carenza rende difficile la pianificazione delle attività di prevenzione.
Il sistema di sorveglianza degli infortuni mortali, ad esempio, ha dietro di sé una banca dati che purtroppo riporta oltre 3.000 casi accaduti dal 2002 ad oggi. Non si tratta di dati quantitativi, ma qualitativi, perché si tratta di storie e avvenimenti reali analizzati attraverso una metodologia condivisa tra INAIL, ISPESL e Regioni, quindi i servizi delle ASL. Tale metodologia mette in luce elementi utili ai fini della prevenzione, tra cui ovviamente quello noto dai dati INAIL, ossia che gli infortuni accadono prevalentemente nelle aziende con meno di dieci dipendenti. Tale metodologia dà anche indicazioni sulle modalità di accadimento e sulle principali cause di morte, che sono fondamentalmente cinque, tra cui figurano le famose cadute dall'alto - ormai lo sanno anche i tavoli - le cadute di travi e di gravi dall'alto e il ribaltamento delle attrezzature utilizzate. Ecco dunque le prime tre cause.
Questi elementi di carattere preventivo - che includono anche conoscenze sulle precise modalità, quindi sul fatto che non vi sia mai un solo fattore a intervenire nell'infortunio, ma diversi, tra cui anche il comportamento degli individui - sono legati molto spesso alla mancata conoscenza e al mancato utilizzo delle procedure adeguate, nonché alla tolleranza di quelle scorrette, aspetti che rimandano a questioni gestionali e organizzative. Questi elementi di conoscenza potrebbero divenire utili alla pianificazione delle attività di prevenzione: di fatto, però, non è così, o non lo è pienamente, perché nel nostro Paese non esiste un piano che coinvolga tutti, istituzioni e parti sociali, in una politica di prevenzione. Parliamo cioè della mancanza della famosa strategia nazionale, che sembra essere un leitmotiv ricorrente, dato che siamo l'unico Paese a livello europeo che non ce l'ha: sembra una formalità, ma non lo è, perché costituisce invece la modalità concreta con cui si può lavorare insieme, da parte di istituzioni e parti sociali, su obiettivi precisi, che andrebbero definiti, valutati e misurati.
Le criticità dell'assetto istituzionale sono state già richiamate: avevamo un sistema delineato dal decreto legislativo n. 81 del 2008, che giustamente aveva risolto il problema di quelle che anche il Ministro ha definito «le linearità verticali» delle competenze che impedivano il rapporto tra il Ministero del lavoro e quello della salute. Con coraggio, il legislatore del decreto legislativo n. 81, articolo 5 decise di costituire una struttura, il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che avrebbe invece messo insieme tutte queste figure competenti. Va però ricordato che in esso non vi sono le parti sociali: il problema di fondo è che è stato istituito con due anni di ritardo e che per un anno non si sa bene come si sia mosso, finché di fatto da cabina di regia è divenuto una struttura tra le tante di un megacomitato del Ministero della salute senza un ruolo politico. Poiché non è interesse dei Ministri decidere quali siano le politiche e le priorità nazionali in materia di salute e sicurezza, è gestito da funzionari, con buona o cattiva volontà a seconda dei momenti, che devono affrontare tutte le criticità del sistema, come le carenze di organico e di competenza, il fatto che alcune Regioni vanno avanti, mentre altre non fanno niente, e che non si interviene né si utilizza la possibilità che ci darebbe la Costituzione, ossia la surroga nei confronti delle Regioni inadempienti, e così via. A questo Comitato, ex articolo 5 del decreto legislativo n. 81, è comunque mancato il ruolo politico che invece avrebbe dovuto avere per poter svolgere tale compito d'indirizzo.
In questi ultimi mesi, in realtà, come diceva prima il collega Calleri, il dibattito si è focalizzato sugli aspetti della ripetuta vigilanza nei confronti delle aziende: onestamente, si tratta di un falso problema; può accadere, in alcuni casi, ma non è questa la questione di fondo. Dietro a questo falso problema, sul quale purtroppo anche il ministro Poletti ha insistito, nella sua audizione, di cui ho letto il resoconto stenografico, vi è quello di fondo dei servizi delle ASL che non offrono livelli di assistenza uguali a tutti i cittadini italiani. Ogni Regione dà un servizio di qualità fondamentalmente diversa da quella delle altre, ecco il problema di fondo.
La seconda problematica è che ci si dimentica che in Italia il 97 per cento delle imprese ha meno di dieci dipendenti, quindi non è in grado di gestire la salute e la sicurezza, ma ha bisogno di un supporto. Non lo diciamo noi, ma studi e letteratura che si occupano da tempo del tema in tutta Europa, dove vi sono molte meno aziende con pochi dipendenti, com'è il caso dell'Italia. La specificità della microimpresa, infatti, è nostra, quindi dovremmo riprogettare il nostro sistema e la pianificazione in termini preventivi, mettendo al centro la microimpresa e la piccola impresa.
Il problema dei servizi delle ASL, quindi, è che dovrebbero tutti operare in maniera omogenea, sapendo coniugare prevenzione e vigilanza. Non vorrei ricordarlo, ma è questo il loro compito: sono nati così, questo stabiliva la legge di riforma sanitaria. Se però andate a vedere i rapporti delle Regioni, che vengono fatti annualmente, scoprirete che il 90 per cento della documentazione è tutto su indicatori di vigilanza, mentre solo una minima parte descrive le attività di supporto che i servizi svolgono. Se quindi parliamo di semplificazione e razionalizzazione, mettendo al centro la microimpresa, quello che i servizi dovrebbero fare è appunto sviluppare la funzione di supporto, acquisendo le relative competenze. Non vi sono vie d'uscita: le semplificazioni sono un elemento importantissimo, ma sicuramente di secondo piano, rispetto al bisogno di supporto delle aziende nel valutare e gestire i rischi.
Nel tentativo di fornire informazioni più complete, chiediamo l'autorizzazione a lasciare agli atti della Commissione, in allegato a questa nota, la sintesi di una ricerca cui abbiamo partecipato l'anno scorso, attraverso la quale sono stati contattati ed intervistati colleghi di servizi che operano sia in termini di eccellenza, come l'ASL di Vicenza, sia con molte problematicità.

PRESIDENTE
La Presidenza la autorizza in tal senso.

GALLI
Da tale indagine è emerso chiaramente che nelle piccole imprese i risultati, con riferimento alla riduzione degli infortuni - mentre per le malattie professionali il discorso è più complicato, perché più a lungo termine - si hanno solo se i servizi intervengono svolgendo la funzione di supporto. Lo schema del modello d'intervento dell'ASL di Vicenza prevede di concordare con le associazioni ed i sindacati la documentazione tecnica relativa ad un settore, quindi di tracciare linee guida condivise - sia dalle associazioni cui aderiscono le aziende sia dalle organizzazioni sindacali cui aderiscono i lavoratori - che verranno presentate nell'ambito di specifici incontri con le aziende. Quindi, c'è una compartecipazione a monte. Dopo di che, il percorso di supporto non si limita alla distribuzione dei materiali: quando s’interviene in un settore c'è come una sorta di adozione delle aziende, che non vengono più lasciate sole, con modalità di intervento particolari (anche in azienda). Si manda un questionario e le aziende che non rispondono sono quelle immediatamente visitate; oppure si organizzano le riunioni e si chiamano le aziende, quelle che non partecipano sono le prime ad essere visitate. Il percorso quindi è complesso, se vorrete, potrete prenderne visione in questa sintesi o anche nella relazione completa. La sostanza è che le aziende non vengono più lasciate; il principio è quello di non colpire le aziende alle spalle. Questa non è una frase mia ma è uno degli slogan di questo nuovo modello di interventi. Ci si deve sforzare di capire che questo è il centro del problema, ma anche che questa sfida deve veder coinvolte le parti sociali, nella modalità territoriale di cui ho parlato prima, nella rappresentanza aziendale e territoriale, ma anche negli organismi paritetici che le parti hanno costituito.
Mi avvio a concludere. Nelle note troverete tanti altri punti, come, ad esempio, quello sulle malattie professionali. Sono veramente rimasta colpita dal fatto che il Ministro accennando alla campagna sulle malattie professionali non abbia detto che il decreto relativo alle tabelle sulle malattie professionali attende di essere emanato da quattro anni (non sappiamo quando verrà emanato perché la commissione è stata appena insediata e sta cominciando i suoi lavori). Immagino vi sia chiaro che, quando le malattie professionali entrano nelle tabelle, inizia non solo il percorso di riconoscimento, ma anche il percorso di prevenzione. Si può parlare oggi di emersione delle malattie professionali perché nel 2008 (periodo felice anche per le malattie professionali) vennero emanate le nuove tabelle e i nuovi elenchi. Si è trattato di tutta una serie di disposizioni che hanno favorito l'emersione delle malattie professionali.
Lasciamo inoltre una nota sull'indagine che abbiamo realizzato come UIL sullo stress, perché lo consideriamo un tema critico e non secondario. È da lì, infatti, che si può partire per intervenire sugli aspetti dell'organizzazione del lavoro. In caso contrario, i nostri datori di lavoro hanno molta difficoltà a riconoscere che l'organizzazione del lavoro è un problema anche dei lavoratori e ch deve essere, quindi, oggetto di confronto con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Gli obblighi di valutazione e le linee di un indirizzo emanato dalla Commissione consultiva potevano essere un'occasione, che si è trasformata però in un'occasione mancata. I risultati della nostra indagine (che non vuole essere assolutamente esaustiva, perché è fatta sulla nostra banca dati di RLS ed è quindi, chiaramente, di opinione) sono assolutamente critici: pensiamo che si debba rimettere mano alle indicazioni emanate dalla commissione o, comunque, che si debba porre molta più attenzione al tema. Il tema della rappresentanza è elencato nelle note, ma lo salto perché il collega della CISL lo ha affrontato.
Passo, in ultimo, alla questione della valutazione del rischio in ottica di genere ma, in generale, agli obblighi di valutazione (i cosiddetti obblighi trasversali), che attualmente non hanno alcun tipo di attenzione (se non quella culturale, nel senso che sono stati oggetto di ricerche), fino ad oggi non sono stati oggetto di indagine da parte dei servizi ma sono finalmente indicati tra gli obiettivi del Piano nazionale di prevenzione, che è stato appena approvato, e, quindi, dei Piani di prevenzione regionali che verranno emanati. Ci auguriamo che questa tematica trasversale (che comprende genere, lavoratori atipici, stranieri, ma anche vecchiaia ed età) divenga oggetto di confronto tra parti sociali e Istituzioni, ma con le criticità di fondo di cui ho detto prima.

PRESIDENTE
Ringrazio la dottoressa Galli per la relazione.
Lascio la parola a eventuali domande e sollecitazioni dei colleghi commissari.

FASIOLO
Presidente, ho perso qualche passaggio, ma vorrei comunque segnalare il seguente aspetto. Sono venuta a conoscenza che la modulistica INAIL relativa ai decessi per malattie professionali non è comprensiva, tra le cause di morte, delle malattie professionali. In altre parole, dal modulo che individua le cause di decesso verrebbe esclusa questa voce. Vorrei sapere se questo fatto risulta o meno.

GALLI
Non ho capito la questione.

FASIOLO
Mi è capitato di venire a conoscenza che, quando si verifica un decesso, c'è evidentemente una diagnostica e vengono segnate tutte le cause di morte. Posso sbagliarmi, però chiedevo se vi risulta che non fosse comprensiva ...

GALLI
Questo significherebbe che non ci sono riconoscimenti?

FASIOLO
A livello di modulistica. Non le risulta?

GALLI
No.

BAROZZINO
Spero di non ripetermi, ad eccezione di un punto sul quale voglio invece ripetermi all'infinito. Avendo avuto una lunga esperienza lavorativa, credo che diritti sul lavoro e sicurezza non possano essere due cose separate; penso anzi che se questi due elementi vengono separati, non possiamo garantire - mi riferisco a tutti, dalla politica alle parti sociali - un'effettuale sicurezza nel mondo del lavoro. Dico questo perché, a volte, da parte di tutti ci sono buoni propositi, ma poi il problema è che dobbiamo confrontarci con la realtà, che in alcuni casi è molto più cruda di come la si racconta in tanti posti di lavoro. Non so se a voi è mai capitato - a me capita spesso - che diversi lavoratori vi chiamino dicendo che, in questo momento, non denunciare un infortunio è terapeutico per loro, perché rischiano di incappare in qualcosa di brutto che fino a qualche anno fa - lo dico con sollievo - non succedeva, o comunque non si verificava con la frequenza con cui avviene ultimamente.
Accolgo con favore tutti i vostri interventi. Più volte ho detto che, dal mio punto di vista, il ruolo degli RLS è fondamentale trattandosi di coloro che conoscono meglio di tutti il proprio luogo di lavoro e possono dare meglio degli altri il proprio contributo avendo a che fare spesso e continuativamente con i lavoratori. Ho sentito che anche voi ritenete fondamentale questo ruolo e - ripeto - lo accolgo con molto favore.
Vorrei aggiungere un’altra considerazione rivolgendomi alla Presidente. Ritengo che questa Commissione sia fondamentale e molto importante per il ruolo e il «potere» che può avere. Vorrei però fare un rilievo. Sono molto attento al tema del lavoro perché - ripeto - avendo vissuto in quel mondo una vita si tratta di un tema che sento particolarmente mio. Ogni giorno esce una notizia da cui risulta che, ormai, si viene licenziati per un post su Facebook, perché una lavoratrice è malata o per tanti altri motivi (nell'ultima settimana ho letto 7-8 di queste notizie). È chiaro che questo non aiuta la sicurezza sul lavoro.
Mi sforzo sempre di immedesimarmi nel lavoratore e ritengo che, in un momento come questo, nella sua mente passa l'idea di poter essere licenziato per un nulla (uno starnuto ad esempio). Ebbene, se questa Commissione e almeno una parte della politica molto attenta al tema del lavoro, nonché le parti sociali tutte, non prenderanno una posizione seria sul tema, queste discussioni lasceranno il tempo che trovano, per quanto importanti esse siano. Naturalmente, non voglio che questo accada, come del resto non credo lo voglia nessuno di noi. Penso quindi che sia arrivato il momento da parte di questa Commissione d'inchiesta su infortuni e malattie professionali di diramare comunicati che diano realmente coraggio.
Avendo sentito parlare di passaggio dal supporto cartaceo a quello telematico, mi chiedo perché le due cose non possano procedere di pari passo. Sicurezza sul lavoro significa anche informazione, perché più informazione si fa e meglio è per l'azienda, che tiene realmente a costruire un mondo del lavoro che dia prospettive, e per il lavoratore. Quindi appendere dieci volantini d'informazione nelle bacheche aziendali o sindacali non è così compromettente da poter sollevare una discussione sul fatto che il supporto telematico sia preferibile a quello cartaceo: ritengo piuttosto che vadano utilizzati entrambi. L'informazione per il lavoratore è fondamentale in quanto aiuta seriamente innanzi tutto l'azienda. Sono d'accordo, infatti, con chi mi ha preceduto nel dire che nessuno qui vuole dare pugnalate all'azienda. Ripeterò all'infinito di non aver mai visto un lavoratore che voglia il male della propria azienda e, se qualcuno un giorno me ne porterà uno che sputa nel piatto in cui mangia, sarà un'eccezione che conferma quello che non conosco. Sotto questo profilo, penso che queste discussioni vadano bene, ma debbano avere una prospettiva molto più ampia, che dia al lavoratore la serenità e la facoltà di denunciare gli abusi, nel caso in cui ve ne siano; altrimenti, avremo fatto un compitino in classe che resterà tale. Vorrei invece che il compito fosse completo e desse prospettive al mondo del lavoro, alle aziende e ai lavoratori, e lo ribadisco con forza; diversamente parliamo di altro.

BORIOLI
Signora Presidente, desidero innanzi tutto scusarmi con lei e con i nostri ospiti per il mio ritardo, perché ero impegnato in un incontro con il presidente Grasso e la rappresentanza dei familiari delle vittime dell'amianto.

PRESIDENTE
Ne parleremo al margine dell'audizione, senatore Borioli.

BORIOLI
Presidente, avendo potuto sentire soltanto la coda degli interventi dei nostri ospiti, vorrei porre un paio di questioni che riguardano il vostro ruolo, autorevole ed importante, di interlocutori che riportano il punto di vista di chi osserva le dinamiche dell'infortunistica sul lavoro, svolgendo la funzione di rappresentanza del lavoro stesso.
Della prima questione ultimamente ho parlato diverse volte con la Presidente: non molto tempo fa, sulla pagina locale di «La Repubblica» di Torino, che è quella che leggo io, vivendo in Piemonte, il procuratore Guariniello è intervenuto in maniera piuttosto tranciante, esprimendo una valutazione personale sostanzialmente molto perplessa rispetto ai dati ufficiali sull'andamento dell'infortunistica del lavoro, che ha restituito per altro anche in questa sede INAIL e che sembrano indicare una tendenza alla diminuzione. Questo è quanto sostiene il procuratore e cito una fonte autorevole e notoriamente piuttosto ingaggiata sul tema nei suoi molteplici aspetti, rispetto alle cui dichiarazioni chiedo una vostra valutazione. Desidero sottolineare che il procuratore nella sua intervista ha detto esplicitamente che quelli sono dati che vanno considerati come ufficiali, ma non attendibili rispetto alla dinamica reale. Evidentemente, sfugge alla loro quantificazione tutto ciò che fa parte o delle omesse denunce o semplicemente del sommerso, legato anche a determinati fenomeni sociali molto evidenti nel nostro Paese. Pur consapevole della difficoltà di provare a fare una stima quantitativa e qualitativa di questi fenomeni senza dati ufficiali, vorrei però capire se avete la percezione di questa dinamica e quali sono i settori in cui si manifesta più intensamente. Il dottor Guariniello, ad esempio, ha fatto esplicito riferimento all'agricoltura, come ambito in cui si possono anche reperire alcune delle ragioni di ciò, senza grandi difficoltà.
Altra questione che vorrei porvi è la seguente: interloquendo con alcuni rappresentanti del mondo sindacale, che per altro operano anche nel settore delle costruzioni - in modo particolare presso la scuola edile del territorio in cui vivo, che, come sapete, svolge funzioni di formazione soprattutto nel campo dell'edilizia - sono stato sollecitato a tentare la strada seguente. Mi è stato proposto di provare ad introdurre nelle norme che riguardano gli aspetti finanziari, come elemento valutato utile ad intensificare le forme di antinfortunistica e prevenzione sui luoghi di lavoro, meccanismi che vadano verso l'agevolazione del carico IVA su alcune delle dotazioni che riguardano i DPI. Lo si dovrebbe fare con un approccio graduale, in considerazione del fatto che in questa materia vi è un mondo dell'impresa che semplicemente elude, aggira o non rispetta le norme, perché così ci si pasce e se ne compiace (e credo di aver colto quest'aspetto anche dall'intervento della dottoressa Galli). Soprattutto per quanto concerne la piccola impresa, però, vi è anche un tessuto che oggi, nel quadro della crisi economica, può avere difficoltà oggettive. Vorrei sapere se questo può essere uno strumento e quali, secondo voi, potrebbero esserne gli ambiti, tenendo conto che i limiti della finanza pubblica non consentono di allargare il campo. Quali potrebbero essere le priorità di un intervento del genere, in modo da verificarne la probabilità pratica, non tanto in questa, che è una Commissione d'indagine, quanto trasferendo questo tipo d'informazione a quelle di merito?

FUKSIA
Signora Presidente, nello scusarmi a mia volta per il mio ritardo, a causa del quale non ho potuto ascoltare alcuni interventi, vorrei formulare un quesito flash.
Nell'ottica di una riorganizzazione della normativa riguardo la sicurezza e la salute sul lavoro, dal vostro punto di vista, quali sono le cose che fareste subito, perché le considerate mancanti o da rivedere? Quali invece considerate adempimenti inutili, da eliminare?

FAVERO
Signora Presidente, vorrei solo aggiungere un paio di considerazioni, esprimendo innanzi tutto l'apprezzamento per quanto ho sentito, con particolare riferimento alla sottolineatura del Jobs act, tenuto conto che stiamo aspettando i famosi decreti. In linea generale, vi è la condivisione dell'Agenzia unica e della semplificazione, che penso vedano tutti d'accordo e su cui ritengo vi sia un comune intendere.
Precisando che sarà nostra cura creare un maggior coinvolgimento, vado al punto e alla suggestione del mio intervento: già in questa Commissione ho sottolineato quanto le buone prassi siano indispensabili. La prevenzione, a mio avviso, si fa anche attraverso la condivisione di ciò che di buono viene fatto. Esiste un registro delle cattive prassi che sfociano in una serie di morti e malattie. Io vengo dal territorio di Biella dove, per nostra fortuna, ci sono buone prassi che hanno portato al contratto nazionale dei lavoratori perché proprio lì nacque il patto tra i sindacati e le aziende. Da noi da anni abbiamo, in virtù della specificità del lavoro tessile unito al chimico e al meccano tessile, una serie di incontri e tavoli che hanno portato a dei protocolli di intesa tra attori datoriali e sindacali con la condivisione di ASL e INAIL. Chiedo a voi, come ho già sottolineato in altri interventi in Commissione, che si lavori anche per condividere maggiormente ciò che di buono viene fatto nei territori da vari soggetti. Uno dei grossi problemi è la condivisione dei dati di queste piattaforme che esistono. Noi lo abbiamo chiesto e l'ha detto anche il ministro Poletti.
Io sono una maestra di scuola elementare e vi porto un esempio. Negli anni i bambini, attraverso le esercitazioni e le simulazioni per quanto previsto dal decreto legislativo n. 626 del 1994, sono stati portati a un grado di sicurezza nei casi di emergenza. Noi abbiamo subito ultimamente delle problematiche non di poco conto. Bisogna prevedere una crescita a livello culturale ed educativo iniziando da piccoli nelle scuole. Vedo tutto quello che viene fatto di eccezionale dai sindacati e dall'Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro (ANMIL) perché fanno cultura e prevenzione. Credo che di questo abbiamo bisogno: di buone prassi e di maggior condivisione con l'aiuto e l'apporto di tutto, ognuno con il proprio ruolo ma con grande determinazione.
Essendo stata relatrice sul provvedimento di istituzione della Commissione, posso dire che in Commissione lavoro tutti abbiamo voluto fortemente che si inserisse nel nome la dicitura «malattie professionali» e che si considerasse un'altra cosa precedentemente non contenuta: la prospettiva di genere. Sappiamo che le malattie non aggrediscono allo stesso modo gli uomini e le donne e che anche il recupero è diverso.

PRESIDENTE
Mi unisco ai ringraziamenti dei colleghi commissari rispetto alla vostra disponibilità, che penso e spero sia un punto di partenza per un obiettivo comune con tutte le differenziazioni del caso. Ritengo importante quanto sottolineava la dottoressa Galli, ovvero che la sfida vera è riconoscere anche che abbiamo un sistema imprenditoriale che, per oltre il 95 per cento, è fatto da imprese di piccolissime dimensioni. Altrimenti cerchiamo di fare una fotografia a qualcosa che non esiste. C'è comprensione e disponibilità a riconoscere che quella è la modalità con cui vogliamo esprimerci e lavorare.
L'altra questione che, oltre a voi, preoccupa anche noi - lo dico perché è un impegno di questa Commissione - è la confusione tra semplificazione e sottovalutazione o superamento del problema o mancato riconoscimento della sicurezza sui luoghi di lavori quale fattore competitivo delle imprese, se vogliamo immaginare un nuovo sviluppo economico e una ripresa del nostro Paese.
Prima di darvi la parola volevo sottolineare, soprattutto al senatore Barozzino, che la Commissione d'inchiesta, avendo un tale ruolo, si esprime su casi per cui c'è da indagare su morti sul lavoro e malattie professionali; si esprime sul piano programmatico ritenendo utile il tema e partendo dal presupposto che la prevenzione sia la chiave di lettura rispetto a come affrontare in modo moderno e attuale il tema della sicurezza sul lavoro, ma non si può sostituire a un sindacato dei lavoratori. Non a caso oggi abbiamo le parti sociali. È difficile che la Commissione d'inchiesta possa intervenire su casi specifici. Questa deve lavorare affinché il terreno sul quale si muovono imprese e lavoratori sia culturalmente quello in cui essa si esprime con i concetti e le sollecitazioni che ci siamo appena detti.
Spero che ci sia un rapporto proficuo di collaborazione. Leggeremo gli atti e probabilmente avremo bisogno ancora di voi. Nelle prossime settimane audiremo - riteniamo che le parti sociali siano fondamentali nel nostro Paese - anche le principali parti datoriali per capire come da un confronto utile si possano aiutare lavoratori e imprese sul tema della sicurezza del lavoro.

CALLERI
Signora Presidente, ci dichiariamo disponibili a qualsiasi interlocuzione. Volevo dare alcune risposte flash alle sollecitazioni pervenute.
Rivolgendomi al senatore Barozzino, dico che non c'è bisogno di ripetere le cose in ogni possibile sede anche facendo una manifestazione nazionale con queste tematiche al centro. È ovvio che per noi esiste un legame tra i diritti del lavoro e la conseguente ricattabilità dei lavoratori, non solo per la questione del famigerato articolo 18, ma anche per l'invecchiamento dei lavoratori. Ci troviamo di fronte ad un problema, che è il combinato disposto delle norme cosiddette Fornero e della crisi, che fa sì che nel sistema produttivo ci saranno ancora a lungo moltissime persone che, ovviamente, innalzeranno l'età media dei lavoratori nei siti produttivi. Questo è un problema gravissimo da affrontare.
L'altro tema è quello delle persone senza diritti, cioè delle persone che hanno contratti temporanei e precari - che abbiamo analizzato e sentito richiamare in questi tempi in maniera particolare - e che sono ovviamente dei soggetti attivi anche di queste problematiche.
Per quanto riguarda le RLS, penso ci sia un problema culturale d'accettazione - fornisco questo suggerimento alla Commissione e poi sono disponibile ad approfondirlo - del ruolo delle RLS all'interno delle nostre aziende. Faccio un esempio semplice. Abbiamo un sistema contrattuale per le piccole e medie aziende, concretizzato soprattutto nell'artigianato, che vede il riconoscimento di una rappresentanza a livello territoriale. Prima che si creasse quest’accordo tante aziende hanno eletto le RLS aziendali per non partecipare a quel sistema controllato di rappresentanza. Credo che questo sia un problema che bisogna affrontare in questo Paese: le RLS e le rappresentanze sindacali non sono né un intralcio ai desideri delle aziende, né una figura neutra e tecnica che non ha senso. Esse anzi hanno un senso: portano la rappresentanza e la voce dei lavoratori in quel posto di lavoro.
Per quanto riguarda il procuratore Guariniello e i dati INAIL, mi dispiace che il senatore Borioli non era presente perché a queste cose avevo già accennato. Sono d'accordo sull'impostazione generale. I dati INAIL andrebbero intrecciati con questioni più precise e ovviamente anche su questo ci vuole un minimo di approfondimento.
Venendo all'IVA sui DPI, nel nostro Paese si è consolidato da molti anni un sistema preventivo che premia e incentiva non tanto gli obblighi minimi di legge quanto ciò che si fa in più. Da questo punto di vista (non so se tutti lo sanno ma lo dico perché è importante), con il progetto ISI, l'INAIL stanzia oltre 200 milioni di euro ogni anno a favore delle aziende per interventi su salute e sicurezza sul lavoro ed è stato fatto un calcolo statistico minimo con riferimento a chi e come sono stati stanziati detti fondi. A nostro parere, questo sarebbe un lavoro da fare prima di intraprendere questo tipo di sgravi perché, purtroppo – e lo dico solo a fini conoscitivi essendo noto a tutti – le aziende non sempre fanno quello che devono fare in termini minimi sui DPI; vi sono anche aziende che li fanno comprare direttamente ai lavoratori (ma questa è un'altra questione).
In quest’atmosfera in cui si dice di semplificare tutto in maniera veloce, sicuramente farei quello che abbiamo detto a più voci; mi riferisco al decreto per l'istituzionalizzazione della rappresentanza territoriale in tutte le aziende; mi sembra si tratti di una cosa civile, ma in questo Paese non si riesce ad affrontare quest’aspetto.
Riguardo alla delega prevista nel Jobs act, vorrei ribadire un concetto sul quale forse non mi sono spiegato bene: se intesa in maniera positiva, lavoreremo su questa delega purché essa non sia in bianco; in altre parole, dobbiamo sapere quello che nella stessa è contenuto. Questo è il problema: è difficile interpretare se non si dice qual è la volontà politica, ma ci si limita a parlare di semplificare, razionalizzare, implementare.
Riguardo alle buone prassi, è già in atto un lavoro in tal senso. Presso il Ministero del lavoro esiste un albo delle buone prassi condivise, che sono state vagliate anche da un comitato costituito dalla commissione consultiva nazionale di cui all’ex articolo 6. Detta commissione si riunisce presso il Ministero del lavoro ed è fondata sul principio del tripartitismo; di essa fanno parte, infatti, le Istituzioni e le parti sociali, sia datoriali che sindacali. In questi anni tale commissione ha fatto un grande lavoro e ha prodotto una serie di cose che però sono ancora poche, non sono molto diffuse né molto conosciute (sono consultabili sul sito del Ministero del lavoro che non è particolarmente visitato); questo dipende però anche dall'impegno che ci si mette.
Mi avvio a concludere, soffermandomi sull'ultima questione relativa alla già citata commissione consultiva permanente su salute e sicurezza di cui all’ex articolo 6. Questa commissione, che ha avuto una storia pluriennale, è stata recentemente ricostituita (quest’anno ha già fatto tre riunioni) e ha anche alcuni compiti importanti, fra i quali predisporre anche un piano di azione su salute e sicurezza. Sicuramente sarà nostra cura mettervi a conoscenza del punto dei lavori a cui siamo giunti.

FRASCHERI
Signora Presidente, vi lasceremo un documento unitario in cui, con riferimento a quanto chiesto dalla senatrice Fucksia, sono raccolte tutte le proposte in relazione a ciò che siamo disponibili a modificare (più che altro integrare) nel decreto legislativo n. 81. Si tratta, non solo di portare a sistema quello che è già previsto, ma anche di apportare alcune integrazioni e modifiche che si sono rese necessarie trascorsi sei anni dal 2008. Il documento è pronto.
Quanto alle mie considerazioni, vorrei fare un duplice richiamo a quanto veniva detto con riferimento alla difficoltà dei lavoratori oggi, viste le condizioni del mercato del lavoro, relativamente all'emersione delle malattie professionali. In particolare, desidero soffermarmi sul coraggio necessario da parte dei lavoratori nel far emergere le patologie e le problematicità che ci si trova ad affrontare, con la paura di perdere il posto di lavoro, o comunque l'idoneità al tipo di mansione svolta. Quest’aspetto richiama un elemento che non dobbiamo dimenticare. Mi riferisco al dover necessariamente intervenire sul ruolo del medico competente oggi molto lontano da quello che il decreto legislativo n. 81 ha previsto. Dal lato operativo, in realtà, il medico competente non svolge la funzione che il decreto legislativo, e prima ancora le altre direttive, hanno previsto, ossia una funzione di collaborazione alla valutazione dei rischi. Non voglio entrare in un tecnicismo, ma è importante capirsi: a oggi il medico competente si limita a svolgere un’attività di mero «visitificio», nel senso che svolge una funzione esclusivamente di sorveglianza sanitaria per la quale però non è nato. Se così fosse, il legislatore avrebbe previsto per ogni azienda l'obbligo di stipulare una convenzione con un ambulatorio dove mandare i lavoratori a fare le visite specialistiche senza bisogno di individuare una figura dedicata in azienda, sia essa consulente o interna. Il ruolo fondamentale del medico competente, invece, è quello della collaborazione nel senso del: conosco e capisco il ruolo e la mansione svolta in quel contesto, in quell'ambito e in quella tipologia lavorativa; individuo le problematicità e, al contempo, le soluzioni di prevenzione. Dico questo perché, se il medico competente viene meno come figura di sostegno affiancata al lavoratore, è inevitabile che poi il lavoratore abbia paura di parlare. Sappiamo, infatti, che il decreto legislativo n. 81, all’articolo 42, stabilisce in maniera chiara che, nel momento in cui vi sono delle inidoneità, solo «ove possibile» il lavoratore si ricolloca, altrimenti è a casa. Questo il lavoratore lo sa. A fianco del lavoratore deve certamente esserci il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ma il medico competente è una figura specifica, nel senso che può veramente esprimere la sua competenza.
Legato a questo, sottolineo il problema che oggi si ha in relazione alla CONSIP. Le dinamiche CONSIP prevedono la gara al massimo ribasso anche nella scelta del medico competente. In questo caso, il datore di lavoro pubblico si trova anzitutto a vedersi imposto (consentitemi il concetto) un determinato medico competente. Se possiamo partire dal fatto che si tratti, comunque, di un medico competente, buono e valido, in realtà, aver vinto una gara al massimo ribasso crea comunque un disequilibrio nell'ambito del mercato, influenzando le offerte che oggi vengono fatte con visite e proposte di svolgimento della professione a costi bassissimi. Quindi, si avrà un riflesso nella qualità dello svolgimento della professione offerta e (altro elemento pericolosissimo su cui occorrerebbe intervenire) si potrebbero creare situazioni in cui i medici competenti seguono una miriade di aziende. In tal senso è chiaro che il medico competente può dedicare al lavoratore un minimo tempo alla visita prevista e non può instaurare quel rapporto di conoscenza del luogo di lavoro e dello svolgimento della mansione, nonché la visita negli ambienti di lavoro, obbligo che il decreto prevede. In questo caso occorre necessariamente ripensare lo svolgimento di quest’attività.

BAROZZINO
Tanto che si usa una figura chiamata ergonomo.

FRASCHERI
Sì. In realtà è una figura parallela e non prevista obbligatoriamente.
In questo senso, c'è un'altra figura collegata a quella del medico competente. Ricordo che la Conferenza Stato-Regioni sta per approvare l'accordo sui corsi di formazione per i Responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Lo si sa, anche se non siamo ancora stati consultati, né conosciamo il testo, da voci di corridoio che, anche in questo caso, si opererà per semplificare e razionalizzare (uso questi due termini anche se ci troviamo tutti sul piano dei termini ma poi meno sul piano dell'applicazione). Al fine di snellire questi percorsi formativi, tendendo in realtà a un minor numero di ore e di specificazioni di corsi di formazione per gli RSPP sui codici ATECO occorre stare attenti perché - a oggi - la figura del RSPP è centrale e su di essa si basa tutta la valutazione del rischio. Il datore decide, ma è RSPP ad avere in mano la partita. Pertanto, è rischioso un RSPP che non sa, che non conosce, che è debole o che non è in grado di avere in mano gli strumenti per applicare un sistema di gestione. Ciò non vuol dire certificazione, ma avere una valutazione dei rischi assolutamente sistemica, che tenga insieme una serie di elementi che non sono solo quelli del rischio tradizionale ma - come si diceva - anche quelli dei fattori trasversali (tra questi, la gestione dell'invecchiamento perché, se le persone non sono più idonee, non potremo mandarle tutte a casa). Quindi, dovremo lavorare sull'organizzazione del lavoro.
Un RSPP (Responsabile del servizio prevenzione e protezione) che non sa cosa voglia dire organizzazione del lavoro, ma lavora ancora per rischi tradizionali, è un limite che rende necessario prestare attenzione al suo percorso formativo.
Vorrei poi dire un'ultima battuta relativamente al discorso che è stato fatto sui DPI (Dispositivi di protezione individuale), che merita tutta l'attenzione, anche con riferimento agli sgravi. Si faccia attenzione anche in questo caso, a non credere che siano la soluzione primaria, per quanto riguarda la prevenzione dei rischi. A oggi, si hanno dati provenienti sia dall'INAIL sia da altre analisi che dimostrano che molto spesso è la prima soluzione che viene scelta perché più comoda, ma lavorare con una serie di DPI, senza intervenire sul piano della prevenzione a livello di ambiente e di luoghi di lavoro - quindi su dispositivi di protezione collettiva, anziché individuale - è un aspetto che bisogna tenere in considerazione. Anche in questo caso, molto spesso per gli RSPP o per il datore di lavoro è più comodo dare una serie di DPI, ma lavorare con essi costituisce assolutamente un aggravio, una fatica ed un disagio. Il decreto legislativo
n. 81, infatti, prescrive di svolgere prima interventi di natura ambientale e poi, solo nell'impossibilità di abbattere il rischio in maniera adeguata, di intervenire a livello individuale; prioritariamente si parla di dispositivi di protezione collettiva.
Qualsiasi proposta venga in questo senso, come gli sgravi, va dunque benissimo, ma stiamo attenti a non facilitare una via che alla fine può diventare molto più disagevole per il lavoratore, che, se è pieno di DPI, si muove male: non dimentichiamo che la fatica per lo svolgimento della propria attività è un elemento che comunque espone a maggior rischio, mentre occorre essere dinamici e pronti ad affrontare problemi di prevenzione.

PRESIDENTE
Nel ringraziare i rappresentanti delle organizzazioni sindacali intervenuti per il prezioso contributo fornito ai nostri lavori, dichiaro conclusa l'audizione.


Testi non rivisti dagli oratori.
Fonte: senato.it