Cassazione Penale, Sez. 4, 27 agosto 2014, n. 36257 - Pericolosa operazione di manutenzione e infortunio mortale: normativa sulle macchine


 

 

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHI Luisa - Presidente -
Dott. MARINELLI Felicett - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco M. - Consigliere -
Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere -
Dott. SERRAO E. - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
C.D. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2189/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del 29/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/07/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GERACI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore delle parti civili, Avv. Foresta Santino, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori, Avv.ti Alonzi Fabio e Petrelli Francesco, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto

1. In data 29/04/2013 la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 26/01/2011 dal Tribunale di Cassino - Sez. di Sora, che aveva dichiarato C.D. colpevole del reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, condannandolo alla pena di mesi otto di reclusione, con i benefici di legge, nonchè al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, ed al pagamento di una provvisionale pari ad Euro 100.000,00 in favore di ciascuna parte civile.

2. C.D. era imputato di avere cagionato il decesso del lavoratore Ca.Lu. perchè, in qualità di socio della D.T.M. di P. Tiziana & Co. s.n.c. con funzioni di gestione tecnica dell'officina, direzione del personale ed organizzazione del lavoro, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonchè in violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 375, aveva disposto che il dipendente eseguisse un'operazione di manutenzione, consistente nella sostituzione della barra di sostegno del terzo asse di un autocarro, sul quale era montato l'impianto scarrabile Succi Hydraulics omettendo di adottare apposite misure tecniche, nonchè attrezzature ed opere provvisionali sull'area di lavoro, posta al di sopra delle traverse dell'autocarro e al di sotto della biella del braccio idraulico, quali l'installazione di fermi o martinetti volti a bloccare la biella, per impedirne qualsiasi movimento.

2.1. La dinamica dell'infortunio era stata così ricostruita nel giudizio di primo grado: il 17 settembre 2005, nell'officina meccanica di proprietà dell'imputato, si doveva eseguire un intervento di manutenzione di un camion sul quale era montato un braccio meccanico adibito allo scarramento di cassoni di grandi dimensioni; per eseguire l'intervento di manutenzione al veicolo era necessario svitare i bulloni sulle traverse superiori al terzo asse, accessibili solo dall'alto in una posizione posta al di sopra delle traverse ma al di sotto del braccio meccanico; il proprietario del camion aveva spiegato all'imputato il sistema di sollevamento del braccio, indicandogli la leva da azionare, in quanto con il braccio in posizione di quiete, adagiato sullo chassis, non era possibile accedere ai bulloni; l'imputato, dopo aver introdotto il camion nell'officina e averlo collocato nella postazione di lavoro, aveva azionato la leva esterna indicatagli dal proprietario, sollevando verso l'alto il braccio meccanico, e aveva iniziato a lavorare nella zona sottostante; dopo aver impostato il lavoro, aveva chiamato il Ca., incaricandolo di svitare i bulloni che fissavano il pezzo da sostituire, e si era allontanato; poco tempo dopo, l'improvvisa e violenta caduta del braccio meccanico aveva causato l'immediato decesso del lavoratore per politrauma.

3. Ricorre per cassazione C.D., con atto sottoscritto dal difensore, censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) violazione dell'art. 606, lett. c) in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p. per omessa correlazione tra il fatto descritto nel capo di imputazione e quello ritenuto nella sentenza. Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe confermato la sentenza di primo grado attribuendo all'imputato la responsabilità per una condotta totalmente diversa da quella contestata nel capo d'imputazione, posto che, mentre nel capo d'imputazione si contestava di aver disposto che il lavoratore eseguisse un'operazione di manutenzione omettendo di adottare apposite misure tecniche, nonchè attrezzature ed opere provvisionali sull'area di lavoro, quali l'installazione di fermi o martinetti volti a bloccare la biella, la sentenza impugnata avrebbe desunto la responsabilità dell'imputato dall'aver posto in essere un'attività che non poteva essere compiuta, in quanto asseritamente vietata dal manuale di uso e manutenzione del braccio meccanico. La Corte territoriale avrebbe attribuito all'imputato di aver compiuto un'operazione che non si doveva assolutamente compiere, ossia un rimprovero mai addebitatogli dal provvedimento di primo grado, che aveva riconosciuto che l'attività di manutenzione potesse compiersi con il braccio in verticale; l'intera istruttoria si sarebbe svolta in ordine alla necessità o meno che il braccio meccanico venisse in qualche modo bloccato, sul presupposto più che evidente che quell'operazione si potesse compiere;

b) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. d) per omessa assunzione di una prova decisiva. Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di prova avanzata dalla difesa su un aspetto assolutamente fondamentale per valutare la condotta contestata all'imputato, consistente nella emissione del decreto che aveva disposto il giudizio nei confronti del titolare della ditta produttrice del braccio meccanico nonchè della citazione in quel giudizio, quale consulente di accusa, del consulente tecnico della difesa C.. Tale elemento avrebbe avuto, si assume, carattere decisivo in quanto dimostrava come il produttore fosse accusato della non conformità del braccio meccanico alla cosiddetta "Direttiva macchine" in quanto corredato da un manuale di utilizzo incompleto e generico, così dimostrando la fondatezza delle valutazioni espresse dal consulente della difesa nel suo elaborato nel presente processo;

c) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il costrutto argomentativo della decisione sarebbe, secondo il ricorrente, logicamente contraddittorio in quanto, da un lato, vi si affermerebbe che la responsabilità dell'imputato discende dalle modalità attraverso le quali decise che il lavoro dovesse essere effettuato, e dall'altro si sosterrebbe che l'operazione di manutenzione che si stava compiendo non potesse essere disposta in quanto vietata dal manuale di uso e manutenzione. La Corte di Appello avrebbe omesso di spiegare per quale motivo le condotte poste in essere dall'imputato avessero violato il disposto del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 375, posto che nell'atto d'appello era contestato che la situazione che si presentava all'imputato potesse anche solo far sospettare un malfunzionamento del braccio meccanico e quindi la pericolosità per chi vi operasse al di sotto. La sentenza impugnata, si assume, non avrebbe offerto alcuna motivazione a sostegno dell'affermazione secondo la quale l'evento lesivo, ossia l'evento mortale provocato dal difetto occulto della macchina, sarebbe stato in concreto prevedibile da parte dell'imputato, omettendo di considerare che l'attività meccanica richiesta all'officina gestita dall'imputato non costituisse un'attività di manutenzione e riparazione del braccio meccanico, essendo dunque inconferente e scorretto il riferimento alle prescrizioni imposte dal manuale di manutenzione di quest'ultimo, volte ad evitare incidenti nell'ambito di operazioni di manutenzione del braccio stesso. Nell'atto di appello, si assume, era stato dedotto come nel giudizio di primo grado non fosse stata appurata la reale causa che aveva provocato la caduta del braccio, ma la Corte di Appello si sarebbe limitata a riportare acriticamente i risultati ai quali era pervenuto il primo giudice, senza specificare le ragioni per le quali li ritenesse condivisibili.

4. Con memoria depositata il 13 giugno 2014 le parti civili Ca.

V. e M.A. hanno chiesto che il ricorso sia rigettato, deducendo che nell'atto di gravame l'appellante non aveva dedotto l'eccezione proposta con il primo motivo di ricorso, nonostante il giudice di primo grado avesse già trattato la questione della rimproverabilità delle scelte attuate dall'imputato in relazione alle modalità di svolgimento del lavoro; sottolineando come la condotta ritenuta nella sentenza impugnata fosse solo una delle ragioni giustificative della condanna; evidenziando come la rinnovazione del dibattimento sia ipotesi eccezionale nel procedimento di appello, in relazione al cui diniego il giudice di appello non è tenuto ad adottare alcun formale provvedimento;

contestando l'assunto per cui la sentenza impugnata sarebbe affetta da vizio di motivazione.

5. Con memoria depositata il 16 giugno 2014 i difensori del ricorrente hanno reiterato e sviluppato talune argomentazioni inerenti ai motivi di ricorso.

6. All'udienza del 1 luglio 2014 i difensori hanno depositato dichiarazione di rinuncia alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

1.1. Deve premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, ditalchè - sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte - deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (Sez. U, n.6682 del 04/02/1992, P.M., Musumeci e altri, Rv. 191229).

1.2. Secondo il ricorrente, gli artt. 521 e 522 c.p.p. sarebbero stati violati in quanto, in sostanza, nel capo d'imputazione si è contestata l'omessa adozione di misure di protezione dell'area di lavoro, posta al di sotto della biella del braccio idraulico, mentre la responsabilità dell'imputato sarebbe stata confermata in grado di appello con riferimento alla diversa condotta di aver operato disattendendo il divieto, previsto nel manuale di uso e manutenzione, di sostare al di sotto del braccio idraulico.

1.3. Con riguardo ai poteri del giudice, occorre prendere le mosse dal principio enunciato dall'art. 521 c.p.p., in base al quale, ove il pubblico ministero non abbia provveduto a modificare l'imputazione, il giudice non può pronunciare sentenza per un fatto diverso da quello ivi descritto ma deve disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

1.4. Questa Corte, a Sezioni Unite (Sez.U, n.36551 del 15/07/2010, Carrelli, Rv.248051), ha affermato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può esaurirsi nel mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione.

1.5. Ad ulteriore specificazione è stato affermato che, a fondamento del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, sta l'esigenza di assicurare all'imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell'imputazione. Ne discende che il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita. Pertanto, nei limiti di questa garanzia, quando nessun elemento che compone l'accusa sia sfuggito alla difesa dell'imputato, non si può parlare di mutamento del fatto e il giudice è libero di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più appropriata alle norme di diritto sostanziale. In altri termini, quindi, siffatta violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza (Sez.5, n.2074 del 25/11/2008, dep.20/01/2009, Fioravanti, Rv.242351; Sez.4, n.10103 del 15/01/2007, Granata, Rv.236099; Sez.6, n.34051 del 20/02/2003, Ciobanu Rv.226796; Sez.5, n.7581 del 5/05/1999, Graci, Rv.213776; Sez.6, n.9213 del 26/09/1996, Martina, Rv.206208; Sez.6, n.7955 del 21/04/1995, P.M. in proc. Innocenti, Rv.202572; Sez.l, n.2421 del 26/01/1995, Di Raimondo, Rv. 200474; Sez.2, n.5907 dell'11/04/1994, De Vecchi, Rv.197831). Sussiste, invece, violazione del principio di correlazione della sentenza all'accusa formulata quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, di fronte - senza avere avuto alcuna possibilità di difesa - ad un fatto del tutto nuovo (Sez.3, n.9916 del 12/11/2009, dep.11/03/2010, Scarfò, Rv.246226; Sez.3, n.818 del 6/12/2005, dep. 12/01/2006, Pavanel, Rv.233257; Sez.6, n.21094 del 25/02/2004, Farad, Rv.229021; Sez.3, n.3471 del 9/02/2000, Pelosi, Rv.216454; Sez.4, n.9523 del 18/09/1997, Grillo, Rv.208784; Sez.6, n.10362 del 30/09/1997, Poggi, Rv.208872).

1.6. Il fatto, di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p., va poi definito come l'accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione tra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. Per fatto diverso deve, perciò, intendersi un dato empirico, fenomenico, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie astratta, lo schema legale nel quale collocare quell'episodio della vita umana (Sez.1, n.28877 del 4/06/2013, Colletti, Rv.256785; Sez.U, n.16 del 19/06/1996, dep.22/10/1996, Di Francesco, Rv.205619). La violazione del suddetto principio postula, quindi, una modificazione - nei suoi elementi essenziali - del fatto, inteso appunto come episodio della vita umana, originariamente contestato. Si ha, perciò, mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza quando vi sia stata un'immutazione tale da determinare uno stravolgimento dell'imputazione originaria (Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv.248051).

1.7. In applicazione di tale principio interpretativo, è stata esclusa la violazione della norma in esame nel caso in cui, contestata la condotta di cessione di sostanza stupefacente, l'imputato sia condannato per la condotta di offerta in vendita di sostanza stupefacente (Sez.6, n.6346 del 9/11/2012, dep. 8/02/2013, Domizi, RV. 254888), ovvero nel caso in cui, inizialmente contestato un delitto in forma consumata, l'imputato sia condannato per il tentativo (Sez.6, n.29533 del 2/07/2013, Tomasso, Rv.256150), ovvero nel caso in cui l'imputazione riguardi un'ipotesi di concorso di persone nel reato e la sentenza di condanna sia emessa nei confronti di un solo imputato (Sez.5, n.7581 del 5/05/1999, Graci, Rv.213776), ovvero nel caso in cui l'imputazione riguardi l'ipotesi di diffamazione e sia emessa condanna per il reato, di natura colposa, di omesso controllo sul contenuto di un periodico (Sez.5, n.46203 del 9/11/2004, Mauro, Rv.231169) ovvero, ancora, nel caso in cui alla contestazione del reato di lesioni personali volontarie sia seguita la condanna per quello di lesioni colpose (Sez.4, n.41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv.232423), mentre è stata ritenuta sussistente la violazione della norma nel caso in cui il fatto ritenuto nella sentenza si trovi in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità rispetto a quello contestato con un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa (Sez.1, n.28877 del 4/06/2013, Colletti, Rv.256785, in un'ipotesi in cui era stato ritenuto in sentenza accertato un incontro tra l'imputato ed un pregiudicato, da cui inferire l'abitualità della condotta, che non risultava menzionato nel capo d'imputazione), ovvero sia stata contestata l'associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e la sentenza di condanna sia emessa per il reato continuato di spaccio di stupefacenti (Sez.5, n.14991 del 12/01/2012, P.G. in proc. Strisciuglio, Rv.252324; Sez.6, n.775 del 21/1/2006, dep. 16/01/2007, Attolino, Rv.235804), oppure vi sia diversità circa la data di consumazione e le circostanze di luogo dell'azione criminosa contestata e di quella ritenuta in sentenza (Sez.6, n.21094 del 25/02/2004, Faraci, Rv.229021).

1.8. Tanto premesso, ed il caso in esame neppure involge il tema affrontato dalla CEDU in relazione all'art. 6 della Convenzione (Corte EDU 11/12/2007, Drassich c. Italia), concernente l'ipotesi della diversa qualificazione giuridica del fatto effettuata dal giudice di appello, è evidente come, nel caso di specie, gli elementi essenziali del reato contestato, ossia la condotta ascritta all'imputato (consistente nell'aver indirizzato il lavoratore a stazionare, per svolgere un intervento di riparazione meccanica, in un'area di lavoro non dotata di misure tali da consentire l'effettuazione del lavoro in condizioni di sicurezza) ed il nesso di causalità tra detta condotta ed il decesso della vittima (a seguito di politrauma causato dalla improvvisa caduta del braccio idraulico al di sotto del quale lavorava) hanno trovato piena e diretta corrispondenza nelle sentenze di merito. Conferma del compiuto rispetto del diritto di difesa in merito al fatto contestato, come ritenuto in sentenza, si trae dal fatto che, su impulso della difesa stessa in sede di appello, nella sentenza di secondo grado la pronuncia di condanna è stata integrata con l'approfondita analisi dell'elemento soggettivo in relazione alla prevedibilità dell'evento, ribadendosi il richiamo ad argomenti già svolti dal giudice di primo grado e non specificamente contestati dall'appellante.

1.9. Esaminando, quindi, il contenuto delle sentenze emesse nel doppio grado di merito in relazione al capo di imputazione, se ne desume che il riferimento alle prescrizioni contenute nel manuale di uso del braccio meccanico montato sull'autocarro fosse già presente nella sentenza di primo grado, in cui si evidenziava come a pag.39 di detto manuale venisse imposto di effettuare qualsiasi operazione di manutenzione e riparazione con l'attrezzatura in posizione di riposo e si affermava che l'imputato avesse omesso di controllare tali indicazioni o se ne fosse comunque discostato, ferma restando la violazione della norma specifica imposta dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 375, ricollegandosi alla condotta colposa dell'imputato tanto l'ipotesi in cui si fosse affidato alla certificazione di conformità del macchinario alla cosiddetta "Direttiva macchine", nel qual caso non avrebbe dovuto tenere quel comportamento espressamente escluso dal libretto di uso e manutenzione, quanto l'ipotesi in cui avesse scelto di ignorare ogni indicazione contenuta nel manuale, confidando nella propria esperienza, senza tuttavia percepire un pericolo prevedibile.

1.10. Nel capo d'imputazione erano descritti l'area di lavoro, la dinamica dell'infortunio e l'assenza di misure tecniche, attrezzature ed opere provvisionali idonee a bloccare la biella del braccio meccanico, e tanto la sentenza di primo grado quanto la sentenza pronunciata in grado di appello hanno fondato il giudizio di colpevolezza sul fatto esattamente come descritto nel capo d'imputazione. La tesi del ricorrente, secondo la quale il rimprovero di aver posto il lavoratore in un'area di lavoro pericolosa in violazione del divieto assoluto di lavorare sotto il braccio meccanico comporterebbe violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, trascura il dato essenziale per cui la pronuncia della Corte di Appello, lungi dal negare l'obbligo datoriale di porre in sicurezza l'area di lavoro, ha integrato la sentenza di primo grado, con puntuale riferimento alle censure mosse dall'appellante, con riguardo all'elemento soggettivo del reato, desumendo con una congrua argomentazione la prevedibilità dell'evento dal fatto che nel manuale di uso e manutenzione del braccio meccanico non fosse previsto che si operasse al di sotto di esso, considerandosi tale manovra vietata in quanto pericolosa.

1.11. Nel ricorso neppure è stato evidenziato il diverso percorso che la difesa avrebbe concretamente compiuto, ove nel capo d'imputazione la condotta contestata al datore di lavoro fosse stata diversamente descritta in termini di violazione del divieto di far stazionare il lavoratore sotto il braccio idraulico, dovendosi in ogni caso rimarcare come nell'atto di appello non fosse stato in alcun modo censurato il riferimento contenuto nella sentenza di primo grado a tale divieto. E se non sussiste violazione del diritto di difesa quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire in ordine alla nuova qualificazione giuridica attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione, non solo davanti al giudice di secondo grado, ma anche davanti al giudice di legittimità (Sez. 6, n. 10093 del 14/02/2012, Vinci, Rv.251961; Sez. 2, n.32840 del 09/05/2012, Damjanovic e altri, Rv.253267; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012 19/02/2013, Jovanovic, Rv. 254649; Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012, dep. 17/01/2013, Manara, Rv. 254135;Sez. 2, n. 45795 del 13/11/2012, Tirenna, Rv. 254357), tanto più evidente risulta l'infondatezza di una doglianza inerente all'accertamento materiale del fatto non specificamente contestata, pur essendovene la concreta possibilità, nell'atto di appello.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

2.1. Deve rilevarsi che la Corte del merito non ha fornito esplicita motivazione delle ragioni per le quali ha rigettato l'istanza di rinnovazione dell'istruttoria. Ricorda a tale proposito il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni evidenziato la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'art. 603 cod. proc. pen. ritenendo, conseguentemente, che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere non potendolo fare allo stato degli atti (Sez. 2, n.41808 del 27/09/2013,Mongiardo,Rv. 256968; Sez. 2, n.3458 del 01/12/2005, dep. 27/01/2006, Di Gloria, Rv. 233391) precisando, altresì, che, considerata tale natura, una motivazione specifica è richiesta solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poichè in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito, nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872).

2.2. Per altro verso, la necessità della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è stata di recente esaminata da questa Corte, ma con riferimento alla diversa ipotesi in cui il giudice di appello sia pervenuto alla condanna in riforma della sentenza assolutoria di primo grado (Sez. 2, n.46065 del 8/11/2012, Consagra, Rv. 254726). In quest'ultima pronuncia, in particolare, si è tra l'altro osservato: "E' importante, a tal proposito, rilevare come il principio per cui la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado -stabilito nell'art. 603 c.p.p., comma 1, - sia subordinata ad una duplice circostanza (in particolare: a) che i dati probatori già acquisiti siano incerti; b) che l'incombente richiesto sia decisivo e, quindi, idoneo ad eliminare le eventuali incertezze ovvero ad inficiare ogni altra risultanza) è perfettamente coincidente e sovrapponibile con il principio di diritto enunciato dalla CEDI) (Corte EDU 5/07/2011, Dan. C. Moldavia), secondo il quale il giudice di appello non può decidere sulla base delle testimonianze assunte nel giudizio di primo grado limitandosi ad una mera rivalutazione - in termini di attendibilità - delle medesime (in senso peggiorativo per l'imputato) quando siano decisive", ferma restando dunque l'eccezionalità dell'istituto quando il giudice di appello ritenga di pervenire alla conferma della decisione di condanna assunta in primo grado.

2.3. Per un corretto inquadramento della fattispecie concreta esaminata dai giudici di merito anche con riguardo al profilo che qui interessa, occorre comunque prendere le mosse dalla normativa introdotta con D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459, cosiddetta "Direttiva macchine", che ha disciplinato i presìdi antinfortunistici concernenti le macchine e i componenti di sicurezza immessi sul mercato (denominata Regolamento per l'attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine).

2.4. Tali norme traggono origine dalla cosiddetta Direttiva macchine 89/392, la cui base giuridica è costituita dall'art. 100 del Trattato CE (ora sostituito dall'art. 114 del Trattato sul funzionamento dell'unione Europea - TFUE), che consente all'Unione di adottare misure volte al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri al fine di assicurare l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno. L'art. 100A del trattato istitutivo della CEE, richiamato a fondamento della Direttiva 89/392/CEE4, si trova nella Parte terza del Trattato, intitolata "Politica della Comunità", nel Titolo 1 intitolato "Norme Comuni", nel Capo 3 intitolato "Ravvicinamento delle legislazioni". Tale richiamo chiarisce che questa Direttiva è nata con l'obiettivo di armonizzare le disposizioni normative di vario livello degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione e sul funzionamento del mercato comune. L'art. 100A, nella versione consolidata, è riprodotta nell'art. 95 del Trattato. Dal testo dei Considerando della Direttiva macchine si evince che l'originario obiettivo del legislatore comunitario era quello di armonizzare le normative di sicurezza degli Stati membri concernenti la produzione delle macchine, ma con particolare attenzione alla creazione di un ambiente di lavoro più sicuro (4 Considerando), al fine di agevolare la circolazione di questi prodotti nel mercato Europeo. La Direttiva accoglieva un concetto generico del termine "macchina" e si proponeva l'espresso scopo di indicare i requisiti inderogabili ed essenziali di sicurezza e di tutela della salute relativi alle macchine.

2.5. La Direttiva macchine nella originaria versione è stata, successivamente, modificata con le seguenti Direttive, anch'esse indicate nel Regolamento di attuazione n.459/96:

- la Direttiva 91/368/CEE5, che ha ampliato il campo d'applicazione della Direttiva macchine alle attrezzature intercambiabili, alle macchine mobili e alle macchine per il sollevamento di cose. Sono state aggiunte le parti 3, 4 e 5 all'allegato 1;

- la Direttiva 93/44/CEE6, che ha esteso il campo di applicazione della Direttiva macchine ai componenti di sicurezza ed alle macchine per il sollevamento e/o lo spostamento di persone. E' stata aggiunta la parte 6 all'allegato 1;

- la Direttiva 93/68/CEE7, che ha introdotto disposizioni armonizzate relative alla marcatura CE.

2.6. La Direttiva originaria e le sue successive modifiche sono state codificate, ossia unificate in un unico atto normativo, con la Direttiva 98/37/CE3, a sua volta lievemente modificata con l'esclusione dei dispositivi medici (Direttiva 98/79/CE), ed è rimasta in vigore fino al 29 dicembre 2009. L'intera normativa è stata riformata mediante rifusione in una nuova Direttiva, la n. 2006/42/CE, attuata nell'ordinamento italiano mediante d. lgs. 27 gennaio 2010, n.17.

2.7. Mentre la normativa previgente era improntata prevalentemente sulla libera circolazione nel mercato interno di presidi antinfortunistici "nella ricerca di un ambiente di lavoro più sicuro", la nuova normativa ha aperto una diversa prospettiva, al duplice scopo di consentire la libera circolazione delle macchine nel mercato interno e, al contempo, di garantire un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza, non solo dei lavoratori ma anche dei consumatori (Considerando 3), ampliando altresì la responsabilità del produttore all'omessa previsione di presìdi antinfortunistici atti ad ovviare all'uso scorretto della macchina da parte dell'utilizzatore.

2.8. Dal raccordo di tale normativa con il sistema prevenzionistico già in vigore, si è desunta un'anticipazione della tutela antinfortunistica al momento della costruzione, vendita, noleggio e concessione in uso delle macchine, parti di macchine o apparecchi in genere, coinvolgendosi nella responsabilità per la mancata rispondenza dei prodotti alle normative di sicurezza tutti gli operatori ai quali siano imputabili dette attività. Si è, in sostanza, introdotto un "minimum tecnologico obbligato comune" (Sez.3, n.37408 del 24/06/2005, Guerinoni, n.m.) che, da un lato, ha esteso ad altri operatori l'obbligo di controllo della regolarità della macchina o del pezzo prima che gli stessi vengano messi a disposizione del lavoratore; d'altro canto, si è attribuito tale obbligo a soggetti individuati come "costruttori in senso giuridico" del macchinario quando, ad esempio, pur risultando il macchinario composto di pezzi prodotti da altre ditte, l'obbligo di controllare la regolarità del macchinario nel suo complesso al fine di ottenere la certificazione necessaria per immetterlo sul mercato spettasse ad una impresa in particolare, in ipotesi incaricata di assemblare tutte le componenti (Sez. 4, n. 4923 del 15/12/2009, dep.4/02/2010, Bonfiglioli, n.m.).

2.9. Ma questa Corte ha avuto modo di precisare che le disposizioni che hanno dato attuazione alle "Direttive macchine" dell'Unione Europea, pur indicando le prescrizioni di sicurezza necessarie per ottenere il certificato di conformità e il marchio CE richiesti per immettere il prodotto nel mercato, non escludono ulteriori profili in cui si possa sostanziare il complessivo dovere di garanzia di coloro che pongono in uso il macchinario nei confronti dei lavoratori, che sono i diretti utilizzatori delle macchine stesse, non potendo costituire motivo di esonero della responsabilità del costruttore quello di aver ottenuto la certificazione e di aver rispettato le prescrizioni a tal fine necessarie. E' stato anche chiarito che l'obbligo di aggiornamento previsto a carico del datore di lavoro dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, comma 5, lett. b) (ora D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, lett. z)) va valutato in relazione al generale obbligo incombente sul datore di lavoro di adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori; quest'ultimo è, infatti, un obbligo assoluto che non consente, anche in considerazione del rigoroso sistema prevenzionistico introdotto dal citato decreto legislativo, la permanenza di macchinari pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (Sez. 3, n. 47234 del 4/11/2005, Carosella, Rv. 233191).

2.10. Posto, dunque, il principio generale per cui un macchinario messo in uso deve essere conforme alle prescrizioni in tema di sicurezza, ne consegue il corollario per cui il datore di lavoro che metta a disposizione dei lavoratori un macchinario sia sempre tenuto a renderlo conforme alle prescrizioni antinfortunistiche, indipendentemente da eventuali responsabilità del costruttore.

2.11. Tanto al fine di sottolineare l'inconferenza della censura mossa dal ricorrente in punto di omessa rinnovazione dibattimentale, non solo per la particolare situazione concreta, in cui il lavoratore era solo indirettamente a contatto con il macchinario asseritamente difettoso, ma anche per la natura delle argomentazioni svolte dai giudici di merito, dalle quali si sarebbe desunta l'ininfluenza dell'eventuale accertamento della difettosità della macchina sul giudizio di responsabilità datoriale.

3. Il terzo motivo di ricorso è infondato, non rinvenendosi nella sentenza impugnata le contraddizioni nè le carenze lamentate dal ricorrente.

3.1. Analizzando, in primo luogo, la sentenza di primo grado, che integra la motivazione della sentenza di appello in quanto ad essa conforme, a pag. 6 si rinviene l'affermazione per cui, pur ammettendo la non conformità della macchina, per tale intendendosi il braccio meccanico di marca Succi, alla cosiddetta Direttiva macchine, la condotta dell'agente modello tenuto ad effettuare attività di manutenzione del veicolo non sarebbe stata quella di scegliere di operare al di sotto di un braccio meccanico del peso di alcune tonnellate, ignorandone l'esatto funzionamento, omettendo di controllare o ignorando le indicazioni del libretto di manutenzione e senza adottare alcuna misura idonea a consentire di eseguire il lavoro in condizioni di sicurezza. La pronuncia di condanna del Tribunale aveva, pertanto, già descritto in termini negativi la condotta posta in essere dall'imputato, illustrando la serie di comportamenti alternativi corretti che l'agente modello avrebbe scelto di adottare.

3.2. Erano stati, in sostanza, individuati sia un profilo di colpa generica, in cui poteva sussumersi la scelta di eseguire un intervento di manutenzione del veicolo sotto un braccio del peso di alcune tonnellate sollevato sopra il lavoratore, sia un profilo di colpa specifica, in cui era stata sussunta l'omessa adozione delle misure previste dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 375 nella postazione di lavoro così scelta.

3.3. Avendo ammesso il giudice di primo grado (pag.6) che il braccio meccanico non fosse conforme alla Direttiva macchine, e avendo richiamato sul punto la Corte la prima sentenza (pag.4), occorreva, dunque, stabilire se l'evento fosse prevedibile, posto che la condotta ascritta l'imputato si è posta come concausa cronologicamente sopravvenuta rispetto al paventato difetto costruttivo o manutentivo. E tanto i giudici di merito hanno fatto, accertando la colpa del datore di lavoro, sia generica sia specifica:

il Tribunale, per non avere quest'ultimo compreso la pericolosità della postazione di lavoro (se si fosse affidato al libretto del costruttore, non avrebbe dovuto consentire al lavoratore di porsi sotto il braccio alzato; se avesse ignorato il libretto, la sua esperienza di meccanico gli avrebbe dovuto suggerire che non era sicuro lavorare in quella postazione), percepibile ex ante dall'uomo di media esperienza (nella sentenza di primo grado, a pag.8, si legge: "la condotta corretta, secondo scienza ed esperienza, ma altresì secondo parametri comuni di percezione del pericolo, avrebbe imposto l'adozione di presidi a tutela del lavoratore, primo fra tutti l'assicurazione del braccio in posizione verticale con catene o funi"); la Corte di Appello, per essersi il medesimo negligentemente affidato, come da lui stesso ammesso, alle scarse informazioni sul funzionamento del braccio ricevute dall'autista del mezzo senza controllare le indicazioni del libretto di manutenzione, ignorando il rischio connesso all'operare sotto il braccio indicato in tale libretto, così non adottando la doverosa cautela consistente nello smontaggio del braccio dallo chassis prima di operare la manutenzione dell'asse del veicolo (pag.6).

3.4. I giudici di merito hanno, con motivazione esente da illogicità, ritenuto configurabile l'elemento psicologico del reato contestato muovendo dal presupposto della sussistenza a carico dell'imputato dell'obbligo di controllare che la postazione di lavoro alla quale aveva indirizzato il lavoratore durante l'intervento di riparazione del veicolo fosse sicura. Conseguentemente, affermando che, se l'imputato avesse rispettato le norme di diligenza (smontare il braccio dallo chassis, piuttosto che tenerlo sollevato sulla postazione, prima di far sostare il lavoratore nell'area, ovvero assicurare il braccio con opere provvisionali), l'evento non si sarebbe verificato.

3.5. Il ricorrente aveva proposto appello evidenziando che tale valutazione egli avrebbe potuto e dovuto fare purchè avesse avuto in qualche modo cognizione e percezione del difetto di costruzione del braccio, ma tale assunto è stato correttamente disatteso dalla Corte territoriale per un'evidente ragione già messa in luce dal Tribunale, che (pag. 8) aveva individuato come corretta l'adozione di presidi a tutela del lavoratore, primo fra tutti l'assicurazione del braccio con catene o funi, sulla base di "parametri comuni di percezione del pericolo". La pronuncia è stata integrata, sul punto, dalla sentenza di appello, che (pag. 5) ha ritenuto rimproverabile all'imputato l'aver operato disattendendo il manuale di uso e manutenzione del braccio meccanico, rimarcando come la sua esperienza pluridecennale di meccanico gli avrebbe consentito di comprendere la pericolosità del lavoro che stava facendo svolgere al suo sottoposto ed affermando che, anche un agente dotato di media esperienza, avrebbe potuto prevedere che il braccio potesse cedere sotto il proprio ingente peso.

3.6. Nel censurare la motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente ha trascurato quanto evidenziato dai giudici di merito in ordine alle circostanze del caso concreto, con particolare riguardo all'utilizzo anomalo della macchina. Così si legge a pag.8 della sentenza di primo grado: "egli stava utilizzando il braccio in maniera anomala, non in conformità al quotidiano e fisiologico uso del medesimo (ed infatti i tecnici concordano nel ritenere che il peso del cassone in scarramento avrebbe ostacolato la fuoriuscita del perno) e neppure in condizioni abituali di utilizzo dello stesso (bensì a motore spento sotto vistose sollecitazioni)"; la Corte di Appello ha ribadito (pag.7): "quello che va evidenziato, piuttosto, è che egli stava utilizzando il braccio in maniera anomala, addirittura vietata". Da tali dati i giudici di merito hanno logicamente desunto che l'imputato non potesse fare affidamento sulla corretta costruzione della macchina. E considerato che l'obbligo di agire presuppone la conoscenza o quantomeno la conoscibilità, con la diligenza propria dell'agente modello, della situazione che rende attuale l'obbligo medesimo, il C. è stato motivatamente ritenuto, con giudizio ex ante, in grado di riconoscere la pericolosità della postazione di lavoro, conoscibilità che non sarebbe stato possibile escludere persino in caso di attestazione di conformità della macchina rilasciata dal produttore (Sez.4, n.27959 del 5/06/2008, Stefanacci, Rv.240519), tanto meno in condizioni di uso anomalo del macchinario.

3.7. Il datore di lavoro non può, infatti, ritenersi esente da responsabilità qualora si sia posto, con un utilizzo anomalo della macchina, nella condizione di ampliare l'area di rischio infortunistico, posto che in tale situazione emerge con chiarezza la sussistenza di quel concreto elemento che rende prevedibile l'evento, con ciò risultando inconferente il richiamo alla natura "silente" della pericolosità della situazione suggerita nel ricorso.

3.8. E' qui utile ricordare la nozione che della prevedibilità dell'evento è stata elaborata dalla giurisprudenza di legittimità.

Valutando la prevedibilità di un evento, il giudice si pone, in sostanza, il problema delle conseguenze di una certa condotta commissiva od omissiva avendo presente il modello di agente, ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività che importa l'assunzione di certe responsabilità nella comunità, la quale esige che l'operatore concreto si ispiri a quel modello facendo tutto ciò che da questo ci si aspetta (Sez.4, n.31462 del 26/05/2006, Capobianchi, Rv.235423). La prevedibilità di un evento può essere esclusa qualora l'agente modello faccia ragionevole affidamento sul fatto che anche gli altri consociati si comportino in conformità alle regole cautelari proprie del contesto di attività che di volta in volta viene in considerazione, ma, applicando tali principi al caso concreto, il principio di affidamento non può trovare applicazione nel caso in cui il datore di lavoro abbia utilizzato un macchinario in modo anomalo, tanto più ove si consideri che nella giurisprudenza di questa Corte è stato più volte affermato il principio secondo il quale il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, non essendo esonerato dalla sua responsabilità in ragione dell'affidamento riposto nella notorietà o competenza tecnica del costruttore (Sez.4, n.26247 di 30/05/2013, Magrini, Rv.256948; Sez.4, n.37060 del 12/06/2008, Vigilardi e altri, Rv.241020).

4. Le considerazioni che precedono evidenziano l'infondatezza di tutti i motivi di ricorso, che deve essere, pertanto, rigettato; al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese sostenute dalle costituite parti civili, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre oneri accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al rimborso delle spese in favore delle costituite parti civili, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2014