Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2015, n. 6736 - Infortunio il primo giorno di lavoro: rimozione del pannello di protezione fisso di un macchinario
"L'attività di formazione e di informazione del lavoratore, tanto più quando inesperto, non può esaurirsi nella mera formulazione di un divieto ma deve essere costituita da quelle attività che, secondo le circostanze del caso, sono idonee a determinare nel lavoratore il compendio di conoscenze e consapevolezze necessarie allo svolgimento delle mansioni in totale sicurezza. E tale attività non può prescindere da un momento valutativo conclusivo, che verifichi il conseguimento dell'obiettivo formativo prima della concreta adibizione del lavoratore alle mansioni previste. Tenendo altresì presente che l'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge (Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014 - dep. 26/05/2014, Nogherot, Rv. 259219)."
"Al preposto compete di sovraintendere alle attività, impartire istruzioni, dirigere gli operai, attuare le direttive ricevute e controllarne l'esecuzione (Sez. 4, n. 24764 del 17/04/2013 - dep. 05/06/2013, Bondielli, Rv. 255400). Sicchè il B. da un canto non avrebbe dovuto far eseguire operazioni sulla macchina priva del pannello di protezione e dall'altro avrebbe dovuto impartire ad un dipendente inesperto quale il S. le informazioni necessarie ad assicurare la liberazione della macchina dai film inceppativi in condizioni di totale sicurezza: esattamente vigilare sul rispetto delle prescrizioni di legge, come correttamente affermato già dal primo giudice e ribadito dalla Corte di Appello, la quale ha accertato che il S. non aveva avuto adeguata informazione in merito alle caratteristiche della macchina".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.P. N. IL (Omissis);
B.P.P. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 1198/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del 17/05/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FODARONI Giuseppina che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore avv. De Concilis Cynthia che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. Il 10.12.2007 S.S., al primo giorno di lavoro presso lo stabilimento di Magliano Alpi della Euro P.A. s.r.l., riportava la amputazione del polso sinistro. Secondo quanto ritenuto dal Tribunale di Mondovì e, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Corte di Appello di Torino, il S. era stato addetto dapprima ad operazioni di carico e scarico e quindi alla macchina confezionatrice delle carni lavorate; nel mentre attendeva a quest'ultima lavorazione, avendo notato che alcuni pezzi di film utilizzato per il confezionamento si erano fermati all'interno della macchina, decideva di toglierli; pertanto premeva il pulsante con la dicitura "Stop" posto sul pannello di comando ed introduceva la mano sinistra all'interno della macchina, nella zona della lama della stazione di taglio che, ancora in movimento, gli amputava il polso.
2. All'esito del giudizio di primo grado il grave infortunio è stato ascritto a M.P., in qualità di datore di lavoro del S., e a B.P.P., in quanto preposto; ad entrambi, secondo le rispettive posizioni, è stato rimproverato di non aver adeguatamente formato ed informato il lavoratore dei rischi connessi all'utilizzo dell'apparecchiatura, ancorchè egli fosse stato addetto ad una macchina dalla quale era stato rimosso il pannello di protezione fisso, sicchè era divenuto possibile inserire le mani all'interno della stessa mentre era ancora in funzione; al M., inoltre, è stato ascritto anche di aver omesso di valutare idoneamente il rischio connesso alla necessità per l'addetto al confezionamento di intervenire all'interno della macchina confezionatrice.
All'accertamento dei reati (delitto codicistico e contravvenzioni previste dalla normativa complementare) è seguita la condanna dei prevenuti alla pena di anni uno e mesi due di reclusione per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. e a pene pecuniarie per le contravvenzioni, con la sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno.
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Torino ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati contravvenzionali perchè estinti per prescrizione, eliminando le relative pene ed ha ridotto la pena detentiva a mesi otto di reclusione per ciascuno degli imputati nonchè eliminato la condizione imposta per la sospensione condizionale della pena; infine, ha confermato nel resto ogni altra statuizione del giudice di primo grado.
3. Avverso tale decisione ricorrono per cassazione gli imputati, con atti separati ma dal pedissequo contenuto.
3.1. Viene dedotta violazione di legge in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 192 c.p.p., art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 546 c.p.p., lett. e) nonchè art. 111 Cost., comma 6 e vizio motivazionale.
Rilevano gli esponenti che la sentenza impugnata è afflitta da carenze e contraddizioni avendo preso in considerazione unicamente le dichiarazioni della persona offesa e parte civile, senza tener conto di altre testimonianze ed operando un travisamento della prova assunta in dibattimento. In particolare, essi si dolgono che non sia stato tenuto conto delle deposizioni dei testi S., B. e D., dalle quali emergerebbe che al S. era stato fatto divieto di toccare i comandi della macchina confezionatrice, dovendosi limitare a movimentare i pacchetti confezionati ed essendo il B. l'addetto alla macchina.
Contestano, quindi, la logicità delle affermazioni fatte dalla Corte di Appello a riguardo della necessaria interferenza del S. con la macchina nel caso di problemi nelle operazioni ed altresì le argomentazioni utilizzate per affermare l'assenza del pannello di protezione al momento del sinistro.
Sotto altro profilo, censurano i ricorrenti che le attenuanti generiche siano state negate in ragione del comportamento processuale degli imputati, ovvero il loro rimanere contumaci; e evocando la falsa testimonianza di due testimoni, così ipotizzando indebitamente una manipolazione della prova da parte degli imputati. Inoltre la Corte di Appello, pur diminuendo la pena inflitta in primo grado, non ha spiegato le ragioni per le quali non ha ritenuto di condannare alla pena pecuniaria piuttosto che a quella detentiva e come sia pervenuta a determinare l'entità della medesima.
4. Con memoria depositata il 22.12.2014 la difesa della parte civile ha chiesto la declaratoria di inammissibilità e comunque il rigetto del ricorso.
Diritto
5. I ricorsi sono infondati, nei termini di seguito precisati.
5.1. Il principale motivo di ricorso tende in verità a veder affermata una situazione di fatto diversa da quella accertata nei gradi di merito ed esplicata con puntuale motivazione. Si propone, pertanto, una ricostruzione alternativa a quella operata dalla sentenza impugnata, quanto all'attività datoriale che precedette l'adibizione del S. alla macchina confezionatrice e le condizioni della medesima nel frangente del sinistro.
Per tale motivo giova ricordare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Nè può essere utilmente evocato un travisamento della prova - che peraltro nell'esplicazione si smarrisce, risultando rappresentata sostanzialmente una diversità di vedute quanto alla valutazione della prova -, poichè nel presente giudizio si verte in ipotesi di "doppia conforme" e non ricorrono le ipotesi che valgono a superare la preclusione che dalla conformità dei giudizi deriva (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636).
La giurisprudenza di questa Corte chiarisce infatti che, in virtù della previsione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), novellata dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, costituisce vizio denunciabile in cassazione la contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame e, pertanto, l'errore cosiddetto revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011 - dep. 11/05/2011, Carone, Rv. 250168). Il vizio in parola, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto; sicchè - anche per tale verso - è da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (in tal senso Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 - dep. 27/02/2013, Maggio, Rv. 255087). E ciò fermo restando che deve comunque trattarsi di un errore idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
5.2. Tanto premesso si può rapidamente rilevare che il fondamento della duplice condanna si rinviene nella violazione dell'obbligo di formazione ed informazione del S., il quale venne addetto ad una macchina che presentava il rischio di contatto tra la lama di taglio e le mani di un operatore a causa della rimozione del pannello di protezione (circostanza di fatto oggetto di accertamento in sede di merito non sovvertibile in questa sede); rischio accentuato dal fatto che era del tutto ordinario che il film utilizzato per il confezionamento potesse provocare l'arresto della macchina. A fronte di ciò il ricorso insiste sulla circostanza dell'esser stato vietato al S. di agire sui comandi della stessa e che non risultava, come invece affermato dalla Corte di Appello, "nell'ordine delle cose" che egli si occupasse oltre che di ricevere le confezioni, anche degli eventuali inceppamenti.
Si tratta di rilievi infondati. Anche assumendo come reale la circostanza del divieto - e quindi giungendo alle conclusioni cui tende la censura in ordine alla valutazione fatta dalla Corte di Appello delle dichiarazioni del S. -, non per questo risulterebbe privo di fondamento l'addebito mosso agli imputati. E' fuori di dubbio che il S. venne posto a lavorare in prossimità della macchina confezionatrice e in relazione alle operazioni da questa compiute; non errano quindi i giudici di merito quando affermando che il S. venne adibito alla macchina confezionatrice. Ne conseguiva la necessità che egli venisse informato e formato in merito ai correlati rischi.
Orbene, l'attività di formazione e di informazione del lavoratore, tanto più quando inesperto, non può esaurirsi nella mera formulazione di un divieto ma deve essere costituita da quelle attività che, secondo le circostanze del caso, sono idonee a determinare nel lavoratore il compendio di conoscenze e consapevolezze necessarie allo svolgimento delle mansioni in totale sicurezza. E tale attività non può prescindere da un momento valutativo conclusivo, che verifichi il conseguimento dell'obiettivo formativo prima della concreta adibizione del lavoratore alle mansioni previste. Tenendo altresì presente che l'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge (Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014 - dep. 26/05/2014, Nogherot, Rv. 259219).
Con particolare riferimento alla figura del preposto, poi, a questi compete di sovraintendere alle attività, impartire istruzioni, dirigere gli operai, attuare le direttive ricevute e controllarne l'esecuzione (Sez. 4, n. 24764 del 17/04/2013 - dep. 05/06/2013, Bondielli, Rv. 255400). Sicchè il B. da un canto non avrebbe dovuto far eseguire operazioni sulla macchina priva del pannello di protezione e dall'altro avrebbe dovuto impartire ad un dipendente inesperto quale il S. le informazioni necessarie ad assicurare la liberazione della macchina dai film inceppativi in condizioni di totale sicurezza: esattamente vigilare sul rispetto delle prescrizioni di legge, come correttamente affermato già dal primo giudice e ribadito dalla Corte di Appello, la quale ha accertato che il S. non aveva avuto adeguata informazione in merito alle caratteristiche della macchina.
Neppure incorre in affermazione manifestamente illogica la Corte di Appello laddove afferma che le modalità con le quali il S. ritenne di spegnere la macchina rivelano la "grande approssimazione" cognitiva "circa i reali rischi della stessa e il suo funzionamento e bloccaggio". Si tratta di una deduzione del tutto coerente con la massima di esperienza secondo la quale un'azione scorretta trae origine da un difetto cognitivo e/o esecutivo e che se essa è di semplice esecuzione allora il difetto è necessariamente cognitivo.
5.3. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, vale rammentare che il consolidato indirizzo del giudice di legittimità insegna che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 - dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244), Ciò in quanto la ragion d'essere della previsione normativa recata dall'art. 62bis cod. pen. è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile. Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell' imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (in tali termini già Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381).
Nel caso di specie la Corte di Appello ha tuttavia ritenuto di dover confermare il diniego della richiesta attenuante per due ordini di ragione; il primo comprende il comportamento processuale, il secondo il comportamento dell'azienda post factum (mancata riassunzione dell'infortunato).
Orbene, è illegittimo valutare negativamente la scelta processuale dell'imputato di rimanere contumace; ed è mera congettura, in assenza di giudicato sul punto, che gli imputati (uno dei due, entrambi?) abbiano manipolato le prove, dovendo peraltro osservarsi che dalla Corte di Appello viene indicato come disposto il rinvio a giudizio di due testi per il reato di falsa testimonianza e non quello degli imputati per il reato di subornazione. Quanto alla mancata riassunzione del lavoratore, prima ancora della veridicità della circostanza, contestata dai ricorrenti, mette conto rilevare che la Corte di Appello non esplicita sulla base di quali elementi abbia attribuito la decisione, che essa stessa imputa all'azienda, anche agli odierni imputati (e nuovamente: ad uno dei due, ad entrambi?). Tuttavia il comportamento processuale valutato negativamente dal primo giudice era rappresentato anche dalla reiterata prospettazione dell'imputato della propria volontà di risarcire il danno, che in tal modo aveva ottenuto una pluralità di rinvii nella trattazione del processo, dimostratisi inutili. Un simile profilo può essere legittimamente valutato ed è sufficiente a giustificare il diniego delle attenuanti generiche.
5.4. Manifestamente infondato è l'ulteriore motivo attinente alla mancata inflizione di pena pecuniaria in luogo di quella detentiva.
Lungi dal rappresentare una censura all'uso del potere discrezionale riconosciuto al giudice in presenza di comminatoria di pena alternativa (il giudice, nell'esercizio del potere di scelta, ha l'obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva: in tal senso già Sez. 4, n. 3280 del 15/01/1979 - dep. 30/03/1979, Candito, Rv. 141654), il motivo pare concretare una implicita richiesta di veder diversamente circostanziato il delitto ascritto agli imputati, che da aggravato per essere state inflitte lesioni gravissime si vorrebbe veder aggravato per lesioni gravi. Non si comprende altrimenti la doglianza, atteso che sin dalla entrata in vigore della L. n. 102 del 2006 la pena prevista per il reato di lesioni colpose gravissime cagionate con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro è divenuta la reclusione da uno a tre anni; pertanto la sola pena detentiva.
Ed è appunto questa la previsione normativa che trova applicazione nel caso che occupa, risalendo l'infortunio al 10.12.2007. Ma di tutto ciò vi era già evidenza, avendo il Tribunale condannato gli imputati alla pena di anni uno mesi due di reclusione senza che fosse elevata specifica censura sul punto con i motivi di appello, che ponevano la questione della illegalità di tale pena per essere superiore al massimo edittale e delle pene pecuniarie facevano menzione solo in relazione ai reati contravvenzionali, ritenendo immotivata la relativa commisurazione. Sicchè delle due l'una: o il ricorso introduce un motivo di impugnazione del tutto nuovo o erra nel presupporre che la pena prevista per il caso che occupa sia alternativa.
6. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali. Nulla va disposto in favore della parte civile, non avendo questa presentato conclusioni.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 gennaio 2015.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2015