Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 aprile 2015, n. 8581 - Demansionamento e mobbing


 

 

Presidente: MACIOCE LUIGI Relatore: BUFFA FRANCESCO

 

FattoDiritto


l. Con sentenza dell'1.9.2010, la Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 12.12.2003 del tribunale capitolino, ha rigettato la domanda di inquadramento superiore di M.N. nei confronti delle Ferrovie dello Stato, accertato il demansionamento della lavoratrice e condannato al pagamento della somma di euro 3.783 a titolo di risarcimento del danno; ha infine dichiarato l'obbligo contributivo del datore, condannando lo stesso al versamento dei contributi a favore della Cassa di Previdenza CIT, non parte in causa.
2. In particolare, la corte territoriale ha escluso che le mansioni svolte dalla lavoratrice di rendicontazione contabile e cd. controllo di gestione rientrassero nella qualifica rivendicata di quadro, ritenendo irrilevante che tale qualifica fosse attribuita a collega precedentemente addetto alle stesse mansioni, sia per assenza di un principio di parità di trattamento sia per incomparabilità delle situazioni, non essendo le mansioni svolte sovrapponibili per contenuto e ambito del coordinamento a quelle del collega.
La corte ha ritenuto, poi, che la successiva assegnazione della lavoratrice a mansioni pacificamente inferiori (addetta alla biglietteria del treno Roma-Fiumicino aeroporto) non era stato oggetto di patto di demansionamento e che comunque il datore non aveva provato che l'assegnazione di tali mansioni era unica alternativa all'ipotizzato licenziamento della lavoratrice, sicché detta assegnazione era illegittima. La Corte ha quindi ritenuto non provato il danno biologico asserito dalla lavoratrice per difetto di prova del nesso causale ed ha liquidato il danno non patrimoniale alla professionalità nella misura del 10% dell'ultima retribuzione per un periodo di 18 mesi di demansionamento. Infine, la corte ha accertato il diritto della lavoratrice al versamento contributivo da parte del datore (che aveva comunicato invece la sospensione delle trattenute e dei versamenti) e condannato il datore al pagamento delle relative somme a favore della CIT.
3. Avverso tale sentenza ricorre la lavoratrice per sei motivi; resiste con controricorso il datore di lavoro, che propone ricorso incidentale per due motivi, illustrati da memoria.
4. Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, in quanto proposti contro la stessa sentenza.
5. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata, per aver questa trascurato la prova documentale e testimoniale da cui risultava che l'attività amministrativa era rimasta di fatto la medesima in azienda ed era stata svolta dalla ricorrente al posto di un lavoratore (posto in cassa integrazione) avente qualifica di quadro, che l'amministratore delegato e il capo del personale consideravano la ricorrente un quadro, ed infine che non vi erano altri lavoratori preposti al settore di attività.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata quantificato il danno nella misura del 10% della retribuzione senza motivazione specifica.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione dell'articolo 429 c.p.c, per avere liquidato la rivalutazione e gli interessi a decorrere dalla sentenza anziché dalla data di maturazione del credito.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione dell'articolo 115 del codice di rito, per aver escluso il danno da mobbing.
Con il quinto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere questa escluso il danno biologico senza aver disposto consulenza tecnica di ufficio e senza aver valutato la documentazione prodotta relativa all'anno 2000.
Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione di legge per omessa pronuncia sui contributi maturandi.
6. Con il primo motivo del ricorso incidentale, si deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata, per aver essa ravvisato un demansionamento della lavoratrice e per aver ritenuto non legittimo lo ius variarteli tra mansioni, che sono sempre soltanto operative.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce vizio di motivazione per aver ritenuto il diritto della lavoratrice al versamento contributivo verso la CIT, sebbene fossero venuti meno i presupposti (la competenza della CIT).
7. Il primo motivo del ricorso principale è infondato, avendo la corte motivato adeguatamente in ordine all'assenza di un diritto della lavoratrice all'inquadramento quale quadro, mentre per altro verso la ricorrente non ha fatto un esame delle mansioni assegnate alla luce delle declaratorie contrattuali. Questa Corte ha già affermato peraltro (tra le altre, Sez. L, Sentenza n. 12791 del 02/09/2003) che l'accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente ai fini dell'inquadramento in una determinata categoria costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in cassazione se sorretto da logica e adeguata motivazione. Nel medesimo senso, si è ritenuto (Sez. L, Sentenza n. 7936 del 18/04/2005) che l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, a un sindacato che è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo di una motivazione coerente e logica; pertanto, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell'obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di un'interpretazione diversa da quella criticata.
8. Il secondo motivo del ricorso principale è invece fondato: la corte territoriale infatti non ha reso alcuna motivazione in ordine alla misura percentuale della retribuzione utilizzata per la quantificazione del danno, laddove è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 6 - L, Ordinanza n. 7963 del 18/05/2012) che, ai fini della liquidazione equitativa del danno da demansionamento, il giudice deve tenere conto dell'insieme dei pregiudizi sofferti, ivi compresi quelli esistenziali, purché sia provata nel giudizio l'autonomia e la distinzione degli stessi, dovendo, provvedere all'integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell'ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione e, dunque, delle particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, fermo restando il dovere del giudice del merito di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto al risultato finale della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 20320 del 20/10/2005; Sez. 3, Sentenza n. 8624 del 12/04/2006).
9. Il terzo motivo del ricorso principale è del pari fondato, non essendo stata applicata la decorrenza iniziale delle somme riconosciute al lavoratore dalla maturazione del credito, come indicato nell' articolo 429 comma terzo c.p.c.
10. Il quarto motivo del ricorso principale è infondato, non essendo stato provato dalla lavoratrice che vi era onerata l'intento persecutorio che è alla base del mobbing (v. in proposito Sez. L, Sentenza n. 17698 del 06/08/2014, secondo la quale, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi).
11. Il quinto motivo del ricorso principale non merita accoglimento, atteso che (Sez. 3, Sentenza n. 11143 del 16/07/2003; Sez. 1, Sentenza n. 6641 del 09/05/2002) il giudizio sulla necessità ed utilità di disporre una consulenza tecnica d'ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui valutazione esula dal controllo di legittimità; inoltre, la mancata disposizione della consulenza tecnica d'ufficio da parte del giudice, di cui si asserisce l'indispensabilità, è incensurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, laddove la consulenza sia finalizzata ad esonerare la parte dall'onere della prova o richiesta a fini esplorativi alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati (Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007).
12. Il sesto motivo del ricorso principale è inammissibile, non essendo stata dimostrata la decisività della questione sollevata, atteso il riferimento ai contributi maturandi che non sono passibili di pronuncia da parte del giudice. E' consolidato in giurisprudenza (tra le tante, Sez. 5, Sentenza n. 6055 del 16/04/2003) che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l'onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di specificare non solo in quale atto difensivo o verbale di udienza l'abbia formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, ma anche quali ragioni abbia specificatamente formulate a sostegno di essa; ciò in quanto, pur configurando la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d'ufficio, il diretto esame degli atti processuali è sempre condizionato ad un apprezzamento preliminare della decisività della questione.
13. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato, in quanto la Corte ha valutato adeguatamente il contenuto professionale delle mansioni assegnate rispetto a quelle precedentemente assegnate, ravvisando un demansionamento. Tale valutazione dell'equivalenza delle mansioni, ai fini della verifica della legittimità dell'esercizio dello ius variandi datoriale a norma dell'art. 2103 cod. civ., costituisce oggetto di un giudizio di fatto che come tale è incensurabile in cassazione in quanto nella specie è sorretto da una motivazione logica, coerente e completa (Sez. L, Sentenza n. 6326 del 23/03/2005; Sez. L, Sentenza n. 15010 del 14/06/2013).
14. E' invece fondato il secondo motivo del ricorso incidentale, in quanto -a seguito del pieno subentro delle Ferrovie dello Stato nella titolarità del rapporto di lavoro- è venuto meno il presupposto per l'attribuzione dei contributi integrativi alla Cassa autonoma di previdenza, costituito dall'iscrizione del lavoratore alla Cassa, atteso che la previdenza integrativa cui si riferiscono i contributi oggetto del giudizio era prevista solo per i dipendenti della CIT e delle società dalla stessa controllate e non potendo applicarsi la stessa a soggetti diversi quali le Ferrovie dello Stato (cfr. Sez. L, sentenza 12/3/2013, n. 6131).
15. La sentenza impugnata deve essere cassata in accoglimento dei motivi secondo e terzo del ricorso principale e secondo del ricorso incidentale; la causa va rinviata alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese di lite.

P.Q.M.

la Corte accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso principale e rigettagli altri; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvio\alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese di lite.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 novembre 2014.