Cassazione Civile, Sez. 3, 12 maggio 2015, n. 9564 - Richiesta di risarcimento per infortunio mortale di un lavoratore


 

Presidente: SEGRETO ANTONIO Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

 

Fatto


L.C., in proprio e nella qualità di genitore esercente potestà sul figlio T.D., convenne dinanzi al Tribunale di Lanciano F.DL., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. L., chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti alla morte di C.D., marito e padre di essi istanti, caduto da un impalcatura mentre lavorava alle dipendenze della società convenuta e morto pochi giorni dopo l'incidente.
Il giudice di primo grado accolse la domanda nei confronti della sola L..
La corte di appello de L'Aquila rigettò i gravami, tanto principale quanto incidentale, hìnc et inde proposti.
Per la cassazione della sentenza della Corte abruzzese ricorrono L.C. e i figli, Do. e D., sulla base di tre motivi di censura illustrati da memoria.
Resiste con controricorso F.DL..
La L. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo, si denuncia contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ruolo svolto da F.DL., contributo causale all'evento, specifici obblighi di vigilanza e di controllo dei dipendenti con compiti diversi e ulteriori da quelli di semplice amministratore);
omessa motivazione in ordine ad una prova decisiva e violazione e falsa applicazione degli artt. 352 c.p.c. e 15 1-11 c.p.p..
Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 cc. in rapporto agli artt. 4 a) e b) DPR 547/55, 22, 23 e 24 DPR 164/56, 4 D.lgs. 626/94, 40, 42 111 c.p., 185, 590 c.p. e 2059 cc..
Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cc. .
Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate attesane la intrinseca connessione, evidenziano, sotto plurimi aspetti, reiterate violazione di norme di legge e decisivi vizio motivazionali della sentenza impugnata nella parte in cui, con essa, si omette di considerare - ovvero non si considera in modo conforme a diritto - il ruolo attivo assunto in proprio dal DL. in qualità non di amministratore della società, bensì di persona fisica nell'ambito del cantiere (così trascurandosi ogni valutazione della sua posizione di garanzia in qualità non soltanto di legale rappresentante della società, ma anche di preposto alla sorveglianza), soffermandosi, in particolare, sulla omessa predisposizione di qualsivoglia dispositivo di protezione e sicurezza a tutela del lavoratore.
Le doglianze non possono trovare accoglimento in questa sede.
Esse si infrangono, difatti, sul corretto iter motivazionale adottato dalla Corte territoriale, che ha ritenuto, con apprezzamento di fatto scevro da vizi logico-giuridici che il collegio interamente condivide, come la declaratoria di non luogo a procedere nei confronti del DL., pronunciata dal GUP del Tribunale di Lanciano per il reato di omicidio colposo, pur non spiegando alcun effetto preclusivo in sede civile, attesa la fase e il contenuto processuale che la caratterizzava, comportasse la necessità di pervenire ad una prova appagante, nella specie mancata, del fatto che l'indagato avesse fattivamente contribuito alla produzione dell'evento di danno ovvero fosse destinatario di specifici obblighi di vigilanza e di controllo sull'operato dei dipendenti della L., con compiti ulteriori e diversi da quelli di semplice amministratore.
La ricostruzione del ruolo svolto dall'odierno resistente in relazione all'evento mortale che colpì il D., fondata su di una analitica disamina dei fatti di causa, con la conseguente attribuzione alla (sola) società datrice di lavoro della responsabilità dell'incidente - cui le violazioni di legge evocate dalla difesa dei ricorrenti sono state ritenute riconducibili in via esclusiva - risulta, pertanto, esente dai vizi lamentati, non essendo consentito a questa Corte il riesame del merito della causa volta che, come nella specie, la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure mossele.
Tutti i motivi di ricorso sono, pertanto, irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello (che, dal folio 10 al folio 16 della sentenza oggi impugnata, ricostruisce approfonditamente la dinamica dell'incidente), dacché essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una plurima e concorrente violazione di legge e un di decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all'impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle - fra esse - ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili) , non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E' principio di diritto ormai consolidato, in particolare, quello secondo cui l'art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove ed. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.
Le spese del giudizio possono essere nuovamente compensate in questa sede, per le medesime ragioni addotte dal giudice di appello e non espressamente censurate dinanzi a questa Corte.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di Cassazione. Così deciso in Roma, li 17.12.2014