Cassazione Penale, Sez. 3, 20 maggio 2015, n. 20856 - Termini di prescrizione per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro


 

 

Presidente: SQUASSONI CLAUDIA Relatore: ACETO ALDO Data Udienza: 01/10/2014

ORDINANZA


sul ricorso proposto da
M.P., nato a Omissis il Omissis
avverso la sentenza del 17/04/2013 della Corte di Cassazione, IV Sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto.

FattoDiritto


1 -Il sig. P.M. propone ricorso straordinario, ex art. 625-bis, cod. proc. pen., per la correzione materiale della sentenza di cui in epigrafe con cui questa Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza del 09/03/2012 della Corte di appello di Perugia che, in parziale riforma della condanna inflitta di primo grado per il reato di cui all'art. 589, commi 1, 2 e 3, cod. pen., aveva ridotto la pena ad un anno e otto mesi di reclusione, aveva concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermato nel resto la sentenza.
2.1 fatti risalgono al 03/09/2005, data del decesso dei primi due lavoratori, e al 31/03/2006, data del decesso del terzo.
3.Premette, in diritto, che il reato di omicidio colposo plurimo non è configurabile come reato unico ma come concorso formale di più reati, unificati soltanto "quoad poenam", sicché il termine di prescrizione va computato con riferimento a ciascun evento di morte o di lesioni, dal momento in cui ciascuno di essi si è verificato.
3.1.Eccepisce, di conseguenza, che alla data del 03/03/2013 il reato relativo al decesso dei primi due lavoratori era estinto per prescrizione e che, avendo questa Corte ritenuto ammissibile il ricorso, la maturazione del relativo termine era evidentemente sfuggita per un errore di fatto o comunque una svista.
3.2.Deduce, a tal fine, che all'epoca dei fatti la pena massima edittale prevista per il reato di cui all'art. 589, comma 2, era pari a cinque anni di reclusione e che in applicazione degli artt. 157, comma 1, e 161, comma 2, cod. pen., come sostituiti dall'art. 6, legge 5 dicembre 2005, n. 251, il termine massimo di prescrizione (pari a 6 anni più un quarto, per un totale di 7 anni e 6 mesi) era maturato dopo la sentenza della corte di appello e prima dell'udienza di discussione del ricorso per cassazione.
4.Osserva il Collegio che, a norma dell'art. 157, comma 6, cod. pen., così come sin dall'inizio modificato dall'art. 6, legge n. 251 del 2005, cit, i termini di prescrizione sono stati raddoppiati per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, aggravato ai sensi dell'art. 589, comma 2, cod. pen..
4.1.Ne consegue che la prescrizione matura, per questi reati, dieci anni dopo l'evento, cui si aggiungono due anni e sei mesi in caso di interruzione del suo corso.
4.2.Alla data della pronuncia, pertanto, la prescrizione non era ancora maturata, non essendo decorsi dieci anni dal 03/09/2005.
4.3.A non diverse conclusioni, peraltro, si giungerebbe facendo il confronto con le norme vigenti al momento dei primi due decessi e precedenti le modifiche introdotte con la citata legge n. 251 del 2005.
4.4.1 giudici di merito, infatti, hanno concesso all'imputato le circostanze attenuanti generiche giudicandole equivalenti alla contestata aggravante.
4.5.Applicando i criteri di computo del termine della prescrizione previsti dal combinato disposto di cui agli artt. 69, comma 3, e 157, comma 3, cod. pen. (nella previgente versione), occorre prendere come riferimento la pena di cinque anni di reclusione prevista dall'art. 589, comma 1, cod. pen..
4.6.Il previgente art. 157, comma 1, n. 3), cod. pen., prevedeva, per i reati puniti con pena della reclusione non inferiore a cinque anni, il termine della prescrizione di dieci anni, termine che poteva essere aumentato fino alla metà in caso di eventi interruttivi del suo corso.
4.7.Dunque, anche in applicazione della previgente disciplina, la prescrizione non era maturata alla data della sentenza di cui in epigrafe.
5.Il ricorso è pertanto manifestamente infondato.
5.1. Ne consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 01/10/2014