Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 21 maggio 2015, n. 21256 - Morte per lesioni da precipitazione: responsabilità datoriale


 

 

Presidente: FOTI GIACOMO Relatore: MASSAFRA UMBERTO Data Udienza: 13/01/2015

 

Fatto


1. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di C.G. avverso la sentenza emessa in data 7.11.2013 dalla Corte di Appello di Palermo che confermava quella in data 31.1.2012 del Tribunale di Trapani, Sezione distaccata di Alcamo, con cui il predetto era stato condannato alla pena di anni due di reclusione oltre al risarcimento dei danni, al quale veniva subordinata la sospensione della pena, in solido con il responsabile civile, in favore delle parti civili costituite per il delitto di omicidio colposo, con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di B.G. (fatto del 26.11.2007).
2. Il fatto quale emergente dall'imputazione. Il C.G., nella sua qualità di datore di lavoro ed amministratore della società "E. s.p.a", cagionava la morte per lesioni da precipitazione, del lavoratore B.G., operaio generico alle dipendenze della citata società, per imprudenza, negligenza, imperizia, nonché omettendo di adempiere le prescrizioni degli artt. 16 dpr 164/56 / lett. b) dpr 547/55, che impone l'adozione di opere precauzionali o provvisionali idonee a scongiurare il pericolo di caduta di persone e/o cose in caso di lavori in altezza, dell'art. 35 del dpr 164/56, in rapporto all'art. 4 c. 5 d.l.vo 626/94 e 10 c. 1 dpr 164/56, degli artt. 21 e 22 d. L.vo 626/94 che disciplinano in particolare l'esecuzione di lavori in altezza superiore a mt. 2 e la messa in sicurezza dei lavoratori con l'installazione al di sotto delle lastre di copertura, di apposite reti di protezione, o con la dotazione di cinture apposite collegate a dispostivi di trattenuta, ovvero per non avere predisposto l'utilizzo di trabattelli o ponteggi, e per non avere informato il lavoratore di rischi cui era esposto durante i lavori di manutenzione del tetto. In conseguenza di tali omissioni, il dipendente B.G., che si trovava intento con il collega Omissis, ad apporre del silicone su alcune lastre di copertura del tetto del capannone industriale della società sopra specificata (parte delle quali in lamiera zincata ed altre in vetroresina) per porre rimedio ad infiltrazioni di acqua piovana già verificatesi, e che, pertanto, lavorava su detta copertura posta a circa mt. 7 di altezza dal suolo, precipitava, dopo avere poggiato i piedi su una lastra della copertura del tetto in vetroresina non protetta, che si sfondava sotto il suo peso.
3. Il ricorrente deduce i motivi di seguito sinteticamente riportati:
3.1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale per erronea applicazione degli artt. 192, 195, 500 e.7 e 603 c.p.p. in relazione all'art. 6 CEDU per il rigetto della richiesta difensiva avanzata con i motivi di appello di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per procedere all'esame del teste S.S.. Richiama al riguardo la pronunzia di questa Corte a Sezioni Unite (n. 27918 del 25/11/2010, Rv. 250199) secondo cui "le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono -conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell'art. 6 della CEDU - fondare in modo esclusivo o significativo l'affermazione della responsabilità penale";
3.2. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato senza alcun approfondimento del complessivo quadro ricostruttivo del fatto e ciò con riferimento all'accertamento rigoroso della condotta tenuta dal lavoratore deceduto quale causa sopravvenuta sufficiente da sola a produrre l'infortunio per avere egli assunto su di sé il rischio (mortale) non riconducibile all'area di rischio dei compiti ordinariamente svolti, in alternativa all'impiego del B.G. da parte del C.G., assente da Omissis il giorno del fatto, in opere di manutenzione sul tetto dei capannoni presenti all'interno dell'opificio e suo conseguente ordine impartito al lavoratore di effettuare le opere di manutenzione. E' stata depositata una memoria difensiva nell'interesse dell'INAIL.

Diritto

Il ricorso è infondato e va respinto.
Giova premettere che in tema di giudizio di appello, la rinnovazione del dibattimento, postulando una deroga alla presunzione di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado, ha caratteristica di istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando appaia assolutamente indispensabile, cioè nel solo caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Né tanto meno può ritenersi ammissibile la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che si risolva in una attività "esplorativa" di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente, come nel caso di specie, in cui si pretende di escutere nuovamente un teste che ha reso dichiarazioni sgradite alla difesa ovvero conoscere la fonte della sua conoscenza, sicché correttamente è stata respinta la richiesta di rinnovazione dibattimentale.
Peraltro, va rammentato che non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito (tra le altre: Cass. pen. Sez. IV, 19.6.2006, n. 38424), giacché, attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen. Sez. IV, 12.2.2008, n. 15556, rv. 239533). Ciò, del resto, vale nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui il giudice d'appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen. Sez. II, 24.1.2007, n. 5223, Rv. 236130; 15.1.2008, n. 5994 ed altre successive conformi).
Orbene, come ha evidenziato lo stesso ricorrente, l'infortunio si è verificato a seguito di due causali possibili e fra loro alternative: o l'iniziativa autonoma ed estemporanea del B.G. di salire sul tetto e provvedere alle riparazioni necessarie con assunzione personale del rischio del tutto eccezionale ed abnorme del suo comportamento tale da escludere la responsabilità dell'imputato ovvero l'incarico specifico fu commissionato da C.G. al B.G.. Ma è pacifica la dinamica del sinistro, l'omissione delle precauzioni antinfortunistiche prescritte nonché l'assenza di un responsabile per la sicurezza in assenza del C.G. ed è inverosimile ritenere che l'operaio B.G. abbia autonomamente inteso esporsi a siffatti pericoli: ciò è radicalmente smentito dalle emergenze istruttorie accuratamente vagliate dai giudici di merito.
Invero, si deve rilevare come le dichiarazioni rese a s.i.t. nell'immediatezza del fatto dal dipendente della "E. s.p.a." S.S., acquisite con il consenso delle parti, e la deposizione de relato dal defunto marito (valida ed efficace: come si deve argomentare a contrario dal disposto dell'art. 195, ultimo comma c.p.p.) della vedova della vittima, sulla base delle quali il giudice di primo grado aveva ritenuto che il C.G. aveva impartito precise disposizioni al B.G. e al suo collega (v. pag. III sent. di appello), non siano state smentite da quelle rese da altri testi ma, al contrario, corroborate da quelle iniziali del collega di lavoro Omissis (benché poi il medesimo abbia ridimensionato in sede dibattimentale l'entità dei lavori commissionati dal C.G., riducendoli da "quelli in questione" con indicazione dell'inizio dei lavori tre giorni prima del tragico evento, alla mera pulizia delle grondaie e del tetto di altro capanno, in tal modo rendendosi destinatario della trasmissione degli atti in Procura per l'eventuale reato di falsa testimonianza): questi ha persino ammesso (pag. XI sent. di appello) la realizzazione nel corso dei vari anni del capannone stesso insieme al collega B.G., senza l'uso di cinture di sicurezza sul tetto. A tanto si aggiungono le ulteriori conferme derivanti dalle dichiarazioni del teste P. che, come ha rilevato la Corte territoriale, ha riferito che i due operai erano addetti alla manutenzione "in quanto il B.G. era fabbro". Sul punto ben argomenta la Corte (pag. XIII sent.) laddove assume che "la riparazione o meglio il fissaggio con il silicone della lastra sul tetto faceva parte delle mansioni e dei compiti quel pomeriggio affidati ai due dipendenti".
Insomma, non si può ritenere che le dichiarazioni dello S.S. abbiano fondato in via esclusiva o significativa il verdetto di colpevolezza e, comunque, avendo la difesa consentito all'acquisizione delle dichiarazioni dello S.S. che pure avrebbe potuto interrogare, ha sostanzialmente rinunciato a tale diritto, sicché non è possibile in tale caso ravvisare alcuna violazione dell'art. 6 CEDU.
7. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore delle costituite parti civili e liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Lo condanna altresì alla rifusione delle spese del presente giudizio che complessivamente liquida in euro 3.500,00 in favore di V.R., B.F. , B.A. e B.Gi. e in euro 2.500 in favore dell'INAIL, oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma il 13.1.2015