Categoria: Corte di giustizia CE
Visite: 14683

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

21 maggio 2015 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 92/85/CEE – Misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento – Articolo 11, punti 2 e 4 – Dipendente pubblica messa in aspettativa per motivi personali al fine di occupare un impiego in qualità di dipendente privata – Rifiuto di versarle un’indennità di maternità in quanto, come dipendente privata, non ha maturato il periodo contributivo minimo che dà diritto a talune prestazioni sociali»

 

Fonte: Sito web Eur-Lex

 

© Unione europea, http://eur-lex.europa.eu/


 

Nella causa C‑65/14,

 

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal tribunal du travail de Nivelles (Belgio), con decisione del 20 dicembre 2013, pervenuta in cancelleria il 10 febbraio 2014, nel procedimento

C.R.

contro

Institut national d’assurance maladie-invalidité (INAMI),

Union nationale des mutualités libres (UNM),

con l’intervento di:

Institut pour l’égalité des femmes et des hommes (IEFH),

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, K. Jürimäe, J. Malenovský, M. Safjan (relatore) e A. Prechal, giudici,

avvocato generale: E. Sharpston

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per C. C.R., da L. Markey, avocate;

–        per l’Union nationale des mutualités libres (UNM), da A. Mollu;

–        il governo belga, da M. Jacobs e C. Pochet, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da D. Martin, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 dicembre 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1), e della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23).

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra C.R., da un lato, e l’Institut national d’assurance maladie-invalidité (Istituto nazionale di assicurazione malattia-invalidità) (INAMI) e l’Union nationale des mutualités libres (Unione nazionale delle mutue autonome) (UNM), dall’altro, in merito al rifiuto di versarle un’indennità di maternità con il motivo che essa non ha maturato il periodo contributivo minimo previsto dal diritto nazionale.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

La direttiva 89/391/CEE

La direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU L 183, pag. 1), così recita al suo articolo 2, paragrafo 1:

«La presente direttiva concerne tutti i settori d’attività privati o pubblici (attività industriali, agricole, commerciali, amministrative, di servizi, educative, culturali, ricreative, ecc.)».

L’articolo 3, lettera a), di tale direttiva dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

a)      lavoratore: qualsiasi persona impiegata da un datore di lavoro, compresi i tirocinanti e gli apprendisti, ad esclusione dei domestici».

L’articolo 16, paragrafo 1, della predetta direttiva prevede quanto segue:

«Il Consiglio, su proposta della Commissione, fondata sull’articolo 118 A del trattato, stabilisce direttive particolari riguardanti, fra l’altro, i settori di cui all’allegato».

La direttiva 92/85

Ai sensi del non e diciassettesimo considerando della direttiva 92/85:

«considerando che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne;

(…)

considerando d’altronde che le disposizioni concernenti il congedo di maternità sarebbero anch’esse senza effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o dal versamento di un’indennità adeguata».

L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva così recita:

«1.      La presente direttiva, che è la decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva [89/391], ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.

2.      Le disposizioni della direttiva [89/391], fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, si applicano interamente al settore di cui al paragrafo 1 nel suo insieme, fatte salve le disposizioni più vincolanti e/o specifiche contenute nella presente direttiva».

L’articolo 2 della predetta direttiva reca le seguenti definizioni:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

a)      lavoratrice gestante, ogni lavoratrice gestante che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;

b)      lavoratrice puerpera, ogni lavoratrice puerpera ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi;

c)      lavoratrice in periodo di allattamento, ogni lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali, che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi».

L’articolo 8 della medesima direttiva, intitolato «Congedo di maternità», prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

2.      Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».

L’articolo 11 della direttiva 92/85, intitolato «Diritti connessi con il contratto di lavoro», così dispone:

«Per garantire alle lavoratrici di cui all’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:

(…)

2)      nel caso contemplato all’articolo 8, devono essere garantiti:

a)      i diritti connessi con il contratto di lavor[o] delle lavoratrici di cui all’articolo 2, diversi da quelli specificati nella lettera b) del presente punto;

b)      il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata alle lavoratrici di cui all’articolo 2;

3)      l’indennità di cui al punto 2), lettera b) è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali;

4)      gli Stati membri hanno la facoltà di subordinare il diritto alla retribuzione o all’indennità di cui al punto 1) e al punto 2), lettera b) al fatto che la lavoratrice interessata soddisfi le condizioni previste dalle legislazioni nazionali per usufruire del diritto a tali vantaggi.

Tali condizioni non possono in alcun caso prevedere periodi di lavoro preliminare superiori a dodici mesi immediatamente prima della data presunta del parto».

Il diritto belga

La legge del 14 luglio 1994 sull’assicurazione medico‑sanitaria obbligatoria e sulle relative indennità, coordinata (Moniteur belge del 27 agosto 1994, pag. 21524), nella sua versione applicabile nel procedimento principale (in prosieguo: la «legge del 14 luglio 1994»), così recita al suo articolo 86, paragrafo 1:

«Beneficiano del diritto alle indennità di inabilità al lavoro, come definite al titolo IV, capo III, della presente legge coordinata e alle condizioni in essa previste, in qualità di titolari:

1°      a)     i lavoratori soggetti all’assicurazione obbligatoria indennità, ai sensi della legge del 27 giugno 1969 che modifica il decreto legge del 28 dicembre 1944 concernente la previdenza sociale dei lavoratori, compresi i lavoratori che beneficiano di un’indennità (dovuta in seguito all’estinzione irregolare del contratto di lavoro, alla decisione unilaterale di recesso dal contratto di lavoro dei delegati del personale, all’estinzione illegittima del contratto di lavoro, alla decisione unilaterale di recesso dal contratto di lavoro dei delegati sindacali o alla risoluzione consensuale del contratto di lavoro, durante il periodo coperto da tale indennità;

b)      i suddetti lavoratori durante il periodo di congedo di cui all’articolo 32, comma 1, punto 4;

c)      i lavoratori che si trovano in una delle situazioni di cui all’articolo 32, comma 1, punti 3 e 5;

(…)

2°      i lavoratori che, durante un periodo di inabilità al lavoro (o di tutela della maternità), come definito dalla presente legge coordinata, perdono la qualità di titolari di cui al punto 1;

3°      allo scadere del periodo di assicurazione continuata contemplata all’articolo 32, comma 1, punto 6, i lavoratori che hanno avuto la qualità di cui punto 1, a condizione che siano divenuti inabili al lavoro (o che si siano trovati in un periodo di tutela della maternità non oltre il primo giorno lavorativo successivo allo scadere del periodo di assicurazione continuata)».

L’articolo 112 della legge del 14 luglio 1994 prevede quanto segue:

«Sono beneficiari del diritto all’indennità di maternità come definita al titolo V, capo III, della presente legge coordinata e alle condizioni in essa previste, i titolari di cui all’articolo 86, paragrafo 1».

L’articolo 116 della predetta legge così dispone:

«Per ottenere il diritto alle prestazioni contemplate al titolo V, i titolari di cui all’articolo 112 devono soddisfare le condizioni previste dagli articoli da 128 a 132.

Il Re, previo parere del Comité de gestion du Service des indemnités [Comitato di gestione del servizio delle indennità] e per le categorie di titolari da Egli definite, può o dispensare dalle condizioni relative al periodo contributivo minimo previste all’articolo 128, o adattarle».

L’articolo 128 della stessa legge è del seguente tenore:

«1      Per ottenere il diritto alle prestazioni previste al titolo IV, i titolari di cui all’articolo 86, paragrafo 1, devono maturare un periodo contributivo minimo alle seguenti condizioni:

1°      aver totalizzato, nel corso di un periodo di sei mesi precedente alla data di ottenimento del diritto alle prestazioni, un numero di giorni di lavoro determinato dal Re. I giorni di inattività professionale assimilabili a giorni di lavoro effettivo sono definiti dal Re. Egli definisce ciò che bisogna intendere come “giornata lavorativa”;

2°      fornire la prova, alle condizioni determinate dal Re, che in relazione allo stesso periodo i contributi per il settore delle indennità sono stati effettivamente versati; tali contributi devono raggiungere un importo minimo stabilito dal Re o devono, alle condizioni da Lui stabilite, essere integrati con contributi personali.

2.       Il Re stabilisce le condizioni alle quali il periodo contributivo minimo viene soppresso o diminuito.

(…)».

Il regio decreto del 3 luglio 1996, recante esecuzione della legge sull’assicurazione medico-sanitaria obbligatoria e sulle relative indennità, coordinata il 14 luglio 1994 (Moniteur belge del 31 luglio 1996, pag. 20285), nella sua versione applicabile nel procedimento principale (in prosieguo: «il regio decreto del 3 luglio 1996»), così recita al suo articolo 203:

«Per l’applicazione dell’articolo 128, paragrafo 1, della legge [del 14 luglio 1994], i titolari devono totalizzare, nel corso di un periodo di sei mesi, almeno centoventi giorni di lavoro (…)».

L’articolo 205, paragrafo 1, punto 6, di detto regio decreto prevede quanto segue:

«È dispensata dal periodo contributivo minimo ai fini del diritto alle indennità di inabilità al lavoro:

(…)

6°      la persona che, nel periodo di trenta giorni successivo alla data in cui le sue dimissioni volontarie come dipendente pubblico hanno effetto, acquisisce la qualità di titolare ai sensi dell’articolo 86, paragrafo 1, primo comma, lettera a) o c), della legge [del 14 luglio 1994], purché sia stata impiegata per un periodo ininterrotto di almeno sei mesi come dipendente pubblico. Se è stata impiegata per un periodo inferiore a sei mesi in tale qualità, tale periodo viene assimilato al periodo previsto dall’articolo 128 della legge [del 14 luglio 1994], preso in considerazione per il calcolo del periodo contributivo minimo».

Gli articoli 203 e 205 del regio decreto del 3 luglio 1996 figurano al titolo III, capo III, sezioni 1 e 2, di tale decreto.

La legge del 20 luglio 1991 recante disposizioni in materia sociale e varie (Moniteur belge del 1° agosto 1991, pag. 16951), nella sua versione applicabile nel procedimento principale, così recita al suo articolo 7, paragrafo 1:

«Il presente capo si applica a qualsiasi persona:

–        il cui rapporto di lavoro in un servizio pubblico o in un qualsiasi altro organismo di diritto pubblico si estingue per decisione unilaterale dell’autorità o per annullamento, revoca, abrogazione o mancato rinnovo dell’atto di nomina;

–        e che in virtù di tale rapporto di lavoro non è soggetta alle disposizioni della legge del 27 giugno 1969 che modifica il decreto legge del 28 dicembre 1944 concernente la previdenza sociale dei lavoratori subordinati, nella parte in cui esse riguardano il regime relativo all’impiego e alla disoccupazione e il settore delle indennità dell’assicurazione obbligatoria contro la malattia e l’invalidità».

L’articolo 10, paragrafo 1, di tale legge così dispone:

«Il datore di lavoro versa all’Office national de sécurité sociale [Ufficio nazionale per la previdenza sociale] o all’Office national de sécurité sociale des administrations provinciales et locales [Ufficio nazionale per la previdenza sociale delle amministrazioni provinciali e locali] in favore dei beneficiari del presente capo:

1°      i contributi dovuti dal datore di lavoro e dal lavoratore per un periodo che corrisponde al numero di giorni lavorativi che la persona licenziata deve dimostrare di norma tenuto conto della fascia d’età cui essa appartiene, al fine di essere ammessa a beneficiare dell’indennità di disoccupazione ai sensi della normativa in materia di disoccupazione;

2°      i contributi dovuti dal datore di lavoro e dal lavoratore, calcolati su un periodo di sei mesi, affinché l’interessato sia ammesso al beneficio del regime dell’assicurazione obbligatoria contro la malattia e l’invalidità, settore delle indennità, e dell’assicurazione per maternità».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

Nel settembre 2003, la sig.ra C.R. è stata assunta per lavorare come insegnante a Ternat (Belgio) e, nel settembre 2008, è stata nominata dipendente pubblica dalla Comunità fiamminga.

A partire dal 1° settembre 2009, la sig.ra C.R. ha ottenuto una messa in aspettativa per motivi personali al fine di insegnare nella Comunità francese, nell’ambito di programmi di immersione linguistica, come dipendente privata.

La sig.ra C.R. ha esercitato tale attività fino all’11 gennaio 2010, data in cui è iniziato il suo congedo di maternità. Essa ha partorito il 2 febbraio 2010.

La sig.ra C.R. ha chiesto all’UNM, organismo cui era affiliata, il versamento di un’indennità di maternità a partire dall’11 gennaio 2010.

Con decisione del 23 febbraio 2010, l’UNM ha respinto tale richiesta sulla base del fatto che la sig.ra C.R. aveva cambiato status il 1° settembre 2009, allorché era divenuta dipendente privata dopo essere stata dipendente pubblica. Orbene, secondo la normativa belga, per poter beneficiare di un’indennità di maternità dev’essere stato maturato un periodo contributivo di sei mesi, condizione che essa non soddisfaceva come dipendente privata.

La sig.ra C.R. ha proposto ricorso contro tale decisione dinanzi al tribunal du travail de Nivelles, invocando, in particolare, la direttiva 92/85.

Il giudice del rinvio rileva che la normativa belga prevede, nell’ipotesi di dimissioni o di licenziamento del dipendente pubblico, una dispensa dal periodo contributivo minimo necessario per percepire talune prestazioni sociali. Per contro, non è data siffatta dispensa nell’ipotesi di un dipendente pubblico messo in aspettativa per motivi personali, in particolare per quanto concerne la prestazione relativa al congedo di maternità.

Alla luce di tali considerazioni, il tribunal du travail de Nivelles ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il regio decreto del 3 luglio 1996, nel suo titolo III, capitolo III, sezioni 1 e 2, violi la direttiva 92/85 e la direttiva 2006/54 in quanto non prevede una dispensa dal periodo [contributivo minimo] per il dipendente pubblico messo in aspettativa per motivi personali che si trova in congedo di maternità, mentre la prevede, invece, per il dipendente pubblico dimissionario e per il dipendente pubblico licenziato».

Sulla questione pregiudiziale

Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le direttive 92/85 e 2006/54 devono essere interpretate nel senso che esse ostano a che uno Stato membro rifiuti di corrispondere a una lavoratrice un’indennità di maternità in quanto essa, come dipendente pubblica che ha ottenuto una messa in aspettativa per motivi personali al fine di esercitare un’attività lavorativa subordinata nel settore privato, non ha maturato, nell’ambito di quest’ultima attività, il periodo contributivo minimo previsto dal diritto nazionale per fruire della predetta indennità di maternità, sebbene abbia lavorato per più di dodici mesi immediatamente prima della data presunta del suo parto.

Sulla direttiva 92/85

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 92/85 gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

Secondo giurisprudenza costante della Corte, il diritto al congedo di maternità riconosciuto alle lavoratrici gestanti va considerato come un mezzo di protezione del diritto sociale che riveste un’importanza particolare. Il legislatore dell’Unione europea ha perciò ritenuto che i cambiamenti essenziali nelle condizioni esistenziali delle interessate nel corso del limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, costituissero un motivo fondato per sospendere l’esercizio della loro attività lavorativa, senza che la legittimità di tale motivo potesse essere rimessa in questione, in qualsiasi modo, dalle pubbliche autorità o dai datori di lavoro (sentenze Kiiski, C‑116/06, EU:C:2007:536, punto 49; Betriu Montull, C‑5/12, EU:C:2013:571, punto 48, e D., C‑167/12, EU:C:2014:169, punto 32).

Consegue dall’articolo 11, punto 2, lettera b), della direttiva 92/85 che, per garantire alle lavoratrici l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti in tale articolo, nell’ipotesi del congedo di maternità, devono essere assicurati il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata alle lavoratrici.

A tal riguardo, l’articolo 11, punto 4, della direttiva 92/85 precisa che gli Stati membri hanno la facoltà di subordinare il diritto alla retribuzione o all’indennità di maternità di cui al punto 2, lettera b), di tale articolo alla condizione che la lavoratrice interessata soddisfi i requisiti previsti dalle legislazioni nazionali per usufruire del diritto a tali vantaggi e che tali requisiti non possono in alcun caso prevedere periodi di lavoro preliminare superiori a dodici mesi immediatamente prima della data presunta del parto.

Nel caso di specie, emerge dalla decisione di rinvio che, ai sensi della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, al fine di usufruire del diritto a un’indennità di maternità, la lavoratrice interessata deve maturare un periodo contributivo minimo, il quale implica, in particolare, l’aver totalizzato, nel corso dei sei mesi precedenti alla data di ottenimento del diritto all’indennità di maternità, almeno 120 giorni di lavoro.

Tuttavia, tale normativa non prevede alcuna dispensa dal periodo contributivo minimo necessario per ottenere tale indennità di maternità nell’ipotesi, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, di un dipendente pubblico messo in aspettativa per motivi personali al fine di esercitare un’attività lavorativa subordinata nel settore privato, a differenza dell’ipotesi di dipendente pubblico dimissionario o licenziato.

In tal modo, nel procedimento principale, tra la data in cui la sig.ra C.R. è divenuta dipendente privata, dopo essere stata dipendente pubblica, e la data presunta del suo parto essa non aveva maturato, come dipendente privata, i sei mesi di periodo contributivo richiesti dalla normativa belga. Ne risulta che, benché la sig.ra C.R. abbia lavorato ininterrottamente come insegnante per più anni prima di prendere il suo congedo di maternità, essa è stata privata di qualsiasi indennità di maternità.

Occorre, quindi, verificare se l’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85 osta a che uno Stato membro possa esigere un nuovo periodo contributivo minimo di sei mesi allorché un dipendente pubblico, come la sig.ra C.R., sia collocato in aspettativa al fine di esercitare un’attività lavorativa subordinata nel settore privato, sebbene tale dipendente abbia lavorato per più di dodici mesi immediatamente prima della data presunta del suo parto.

In via preliminare, si deve ricordare che, ai sensi del suo articolo 1, paragrafi 1 e 2, la direttiva 92/85 è la decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391 e che le disposizioni di quest’ultima direttiva, fatto salvo il suo articolo 2, paragrafo 2, si applicano integralmente all’intero ambito disciplinato dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 92/85. Orbene, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 89/391, quest’ultima direttiva concerne tutti i settori d’attività, privati o pubblici. Al suo articolo 3, lettera a), la medesima direttiva definisce «lavoratore» qualsiasi persona impiegata da un datore di lavoro, compresi i tirocinanti e gli apprendisti, ad esclusione dei domestici.

Per quanto riguarda il tenore letterale dell’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85 si deve rilevare che quest’ultimo si riferisce a «periodi di lavoro preliminare», al plurale in più versioni linguistiche di tale disposizione. Ciò si verifica, in particolare, nelle versioni in lingua spagnola («períodos de trabajo previo»), inglese («periods of previous employment»), francese («périodes de travail préalable»), italiana («periodi di lavoro preliminare») o portoghese («períodos de trabalho»).

Altre versioni linguistiche, segnatamente quelle in lingua danese, tedesca o neerlandese, non escludono l’esistenza di più periodi di lavoro preliminare.

Peraltro, né l’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85, né nessun’altra disposizione di tale direttiva fissano le condizioni relative alla natura di tali periodi di lavoro.

In tale contesto, i «periodi di lavoro preliminare» di cui all’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85 non possono essere limitati al solo impiego occupato prima della data presunta del parto. Tali periodi di lavoro devono essere intesi nel senso che essi comprendono i diversi impieghi occupati in successione dalla lavoratrice interessata prima di tale data, ivi inclusi quelli svolti per differenti datori di lavoro e con status diversi. L’unico requisito previsto da tale disposizione è che la persona interessata abbia esercitato uno o più lavori durante il periodo richiesto dal diritto nazionale per avere diritto all’indennità di maternità, in applicazione della predetta direttiva.

Consegue, dunque, dal tenore letterale dell’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85 che uno Stato membro non può esigere un nuovo periodo contributivo di sei mesi preliminare all’ottenimento del diritto a un’indennità di maternità per il solo fatto che la lavoratrice interessata ha cambiato status lavorativo o lavoro.

Conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenze Merck, 292/82, EU:C:1983:335, punto 12; TNT Express Nederland, C‑533/08, EU:C:2010:243, punto 44, e Utopia, C‑40/14, EU:C:2014:2389, punto 27).

A tal riguardo, si deve ricordare che lo scopo perseguito dalla direttiva 92/85, adottata sulla base dell’articolo 118 A del Trattato CEE, cui corrisponde l’articolo 153 TFUE, è quello di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (sentenze Paquay, C‑460/06, EU:C:2007:601, punto 27; Danosa, C‑232/09, EU:C:2010:674, punto 58, e D., C‑167/12, EU:C:2014:169, punto 29).

In tale contesto e come emerge dal diciassettesimo considerando della direttiva 92/85, al fine di evitare il rischio che venga meno l’effetto utile delle disposizioni relative al congedo di maternità se non vi è contestuale mantenimento dei diritti connessi al contratto di lavoro, il legislatore dell’Unione ha previsto, all’articolo 11, punto 2, lettera b), della direttiva 92/85, che il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata per le lavoratrici cui si applica tale direttiva devono essere garantiti nel caso del congedo di maternità di cui all’articolo 8 (v., in tal senso, sentenza Boyle e a., C‑411/96, EU:C:1998:506, punto 30).

Orbene, esigere un periodo contributivo minimo distinto a ogni cambiamento di status lavorativo o di lavoro equivarrebbe a rimettere in discussione la tutela minima prevista all’articolo 11, punto 2, della direttiva 92/85 laddove la lavoratrice interessata non abbia maturato il periodo contributivo di sei mesi nel suo nuovo lavoro, benché abbia svolto periodi di lavoro superiori a dodici mesi immediatamente prima della data presunta del suo parto.

Infine, il governo belga fa valere che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non esige che la lavoratrice interessata eserciti la medesima attività durante i sei mesi precedenti il parto, ma richiede che quest’ultima abbia esercitato, durante almeno sei mesi, una o più attività che le conferiscano diritti nell’ambito della previdenza sociale dei lavoratori dipendenti. Orbene, un’attività lavorativa esercitata nell’ambito del pubblico impiego non comporterebbe il versamento di contributi alla previdenza sociale dei lavoratori del settore privato.

A tal riguardo, è sufficiente ricordare che, qualora la lavoratrice interessata abbia cambiato impiego divenendo dipendente privata dopo essere stata dipendente pubblica durante il periodo di cui all’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85, spetta a ogni Stato membro garantire il coordinamento dei diversi organismi che possono intervenire nella corresponsione dell’indennità di maternità.

In tale contesto, si deve dichiarare che, in applicazione dell’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85 uno Stato membro non può rifiutare di corrispondere a una lavoratrice un’indennità di maternità in quanto essa, come dipendente pubblica che ha ottenuto una messa in aspettativa per motivi personali al fine di esercitare un’attività lavorativa subordinata nel settore privato, non ha maturato, nell’ambito di tale attività, il periodo contributivo minimo previsto dal diritto nazionale per fruire della predetta indennità di maternità, sebbene abbia lavorato per più di dodici mesi immediatamente prima della data presunta del suo parto.

Sulla direttiva 2006/54

Tenuto conto della risposta fornita alla questione relativa alla direttiva 92/85, non occorre rispondere a questa stessa questione riguardante la direttiva 2006/54.

Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro rifiuti di corrispondere a una lavoratrice un’indennità di maternità in quanto essa, come dipendente pubblica che ha ottenuto una messa in aspettativa per motivi personali al fine di esercitare un’attività lavorativa subordinata nel settore privato, non ha maturato, nell’ambito di quest’ultima attività, il periodo contributivo minimo previsto dal diritto nazionale per fruire della predetta indennità di maternità, sebbene abbia lavorato per più di dodici mesi immediatamente prima della data presunta del suo parto.

Sulle spese

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

L’articolo 11, punto 4, secondo comma, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro rifiuti di corrispondere a una lavoratrice un’indennità di maternità in quanto essa, come dipendente pubblica che ha ottenuto una messa in aspettativa per motivi personali al fine di esercitare un’attività lavorativa subordinata nel settore privato, non ha maturato, nell’ambito di quest’ultima attività, il periodo contributivo minimo previsto dal diritto nazionale per fruire della predetta indennità di maternità, sebbene abbia lavorato per più di dodici mesi immediatamente prima della data presunta del suo parto.

Firme

* Lingua processuale: il francese.


 

Vai al testo in inglese - English version