Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 3, 19 giugno 2015, n. 12720 - Infortunio sul lavoro in una cava di sabbia e ghiaia. Responsabilità del direttore dei lavori


 

 

Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA Relatore: RUBINO LINA Data pubblicazione: 19/06/2015

 

Fatto


S.S., in proprio e n.q. di genitore esercente la potestà sul minore G.I.B., conveniva in giudizio la F.lli F. s.r.l, B.F. (direttore dei lavori per la predetta società), la Regione Lazio e il Comune di Roma, chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito a causa della morte del marito, S.I., in un incidente sul lavoro verificatosi all'interno di una cava di sabbia e ghiaia gestita dalla F.lli F., allorché l'autocarro che questi stava conducendo veniva travolto dalla frana del fronte della cava e precipitava nella fossa di scavo sottostante alla strada carrabile asservita alla cava. Nel corso del giudizio interveniva volontariamente l'INAIL esercitando l'azione di rivalsa nei confronti dei responsabili civili per ottenere il rimborso delle prestazioni previdenziali erogate in favore dei supersiti del lavoratore deceduto.
Il Tribunale di Roma nel 2006 condannava gli originari convenuti in solido a risarcire agli attori la somma di euro 519.815,40, ed a rifondere all'INAIL euro 281.114,07.
La Corte d'Appello di Roma accoglieva l'appello principale del Comune di Roma, dichiarandolo estraneo ad ogni responsabilità e respingeva gli appelli incidentali degli altri condannati confermando per il resto la sentenza impugnata.
B.F., direttore dei lavori nella cava ove lavorava il defunto S.I., propone ricorso per cassazione che consta di un solo motivo nei confronti di S.S., G.I.B. (ora G.I.), Regione Lazio, Comune di Roma (ora Roma Capitale), I.N.A.I.L. e F.lli F. s.r.l. per la riforma della sentenza n. 4429 del 2011 emessa dalla Corte d'Appello di Roma il 24.10.2011.
Hanno depositato controricorso l' I.N.A.I.L., S.S., G.I. e Roma Capitale.
La Regione Lazio ha depositato un atto in cui comunica che parteciperà alla discussione orale alla quale in effetti non ha poi preso parte.
Il ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa.

Diritto


l. Con l'unico motivo di ricorso proposto, B.F. deduce censure plurime, affermando che necessitano di una trattazione congiunta. Denuncia in primo luogo la violazione dell'art. 164 n. 4 c.p.c. per aver la corte d'appello mancato di dichiarare la nullità dell'atto di citazione in primo grado per omessa indicazione dei fatti, quindi la violazione dell'art. 342 c.p.c. e del principio tantum devolutum quantum appellatum in appello e l'esistenza di un difetto di motivazione (non individuato tra le varie, alternative tipologie contemplate dalla legge) in relazione a quanto dedotto dallo stesso B.F. con l'appello incidentale.
Sostiene, giacché il giudice di primo grado lo ha ritenuto responsabile ritenendo che le scelte di approfondire lo scavo aumentandone oltremisura la pendenza sarebbero da addebitare oltre che all'imprenditore F. anche al direttore dei lavori, di aver dedotto con l'appello incidentale la nullità dell'atto di citazione di primo grado per mancata esposizione dei fatti di causa, perché dalla laconica ricostruzione dei fatti offerta dalla S.S. non si poteva evincere quale fatto addebitasse al B.F. a fondamento della sua responsabilità nella prosecuzione dell'attività di estrazione benché la cava non fosse più in condizioni di sicurezza, e che non emergesse neppure l'allegazione del nesso causale tra la condotta del direttore dei lavori e il danno riportato dall'operaio. Lamenta che la corte d'appello non si sia occupata affatto del secondo profilo e solo incidentalmente del primo, limitandosi a ribadire che il B.F., in quanto direttore dei lavori, dovesse ritenersi responsabile.
Lamenta poi che la corte d'appello non abbia adeguatamente considerato che il procedimento penale a suo carico per omicidio colposo fosse stato archiviato.
2. Roma Capitale si costituisce al solo fine di denunciare l'inammissibilità del ricorso nei propri confronti, non essendo state proposte doglianze in relazione a quanto statuito dalla Corte d'Appello di Roma in relazione alla sua posizione.
3. S.S. e il figlio, G.I., nel controricorso chiariscono di aver imputato la morte del defunto S.I. nell' atto di citazione in giudizio, in primo luogo alla ditta F.lli F. per la quale S.I. stava lavorando al momento dell'incidente, e quindi al direttore dei lavori B.F., responsabili entrambi, ciascuno nell'ambito delle reciproche competenze, per aver continuato imprudentemente l'attività estrattiva nella cava nonostante che la stessa fosse risultata già da tempo documentalmente priva dei necessari requisiti di stabilità e sicurezza, nonché agli Enti territoriali, per l'omissione delle attività di controllo sulla cava.
4.L'INAIL nel suo controricorso contesta le affermazioni del ricorrente, laddove questi ha asserito che l'eventuale accoglimento del ricorso sotto il profilo della nullità dell'atto di citazione per violazione dell'art. 164 c.p.c. travolgerebbe anche la pronuncia di condanna in favore dell'Istituto, avendo questi svolto intervento volontario autonomo, in quanto titolare di un autonomo diritto ad agire in via surrogatoria, e quindi domanda relativa ad una causa scindibile.
5. Il ricorso del B.F. è infondato.
5.1. In ordine alla dedotta nullità dell'atto di citazione per mancata indicazione ed allegazione dei fatti di causa, ribadita dal ricorrente in ricorso, in memoria, nella discussione orale e finanche nelle note di replica alle conclusioni del P.M., va premesso che il vizio denunciato implica il potere-dovere di questa Corte di procedere all'esame diretto degli atti su cui si fonda la domanda (S.U. 8077 del 2012, Cass. n. 11751 del 2013).
Ciò premesso, la decisione della Corte di merito si è conformata al principio secondo il quale la nullità della citazione comminata dall'art. 164 c.p.c, comma 4 si produce solo quando "l'esposizione dei fatti" prescritta dall'art. 163 c.p.c, n. 3 "costituenti le ragioni della domanda" sia stata del tutto omessa o sia assolutamente incerta, con valutazione da compiersi caso per caso, nel rispetto di alcuni criteri di ordine generale, occorrendo, da un canto, tener conto che l'identificazione della causa petendi della domanda va operata avendo riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e dei documenti ad esso allegati; dall'altro, che la nullità della citazione deriva dall'assoluta incertezza delle ragioni della domanda. In particolare perciò l'incertezza dei fatti costitutivi deve essere vagliata in coerenza con la ragione ispiratrice della norma che impone all'attore di specificare sin dall'atto introduttivo, a pena di nullità, le ragioni della sua domanda, e che, principalmente, risiede nell'esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (prima ancora che di offrire al giudice l'immediata contezza del "thema decidendum"). Nella specie, le circostanze di fatto contenute nella citazione della S.S. e ampiamente richiamate in sentenza dalla corte d'appello : che la cava nella quale perse la vita lo S.S. continuava a lavorare benché Fattività estrattiva nella stessa fosse divenuta pericolosa; che tanto risultasse dal Piano Stralcio per le attività estrattive del bacino del Rio Galeria,predisposto dal Comune di Roma pochi mesi prima dell'infortunio sul lavoro ed inviato da questo per competenza alla Regione; che nel Piano Stralcio fossero indicati alcuni elementi di allarme, quali le rischiose condizioni di escavazione dei materiali con pareti di scavo che superano i 15 metri di altezza totale, l'assenza di ripristino del reticolo idrogeografico , la presenza di aree di sovra escavazione con affioramento delle superfici di falda, fanno ritenere, in conformità con la valutazione del giudice di appello, che l'attrice avesse pienamente ottemperato al suo onere di allegazione dei fatti di causa, mettendo ampiamente il B.F. in condizioni di difendersi.
Da tutte le circostanze sopra dettagliatamente esposte, nonché dalla modalità dell'incidente sul lavoro (in cui il povero S.I. alla guida dell'autocarro della società sulla pista di accesso al fronte di escavazione veniva travolto dalla frana della parete sovrastante al fronte che trascinava l'autocarro fin sul fondo della cava e lo ricopriva, in modo tale che quando S.I. fu estratto dall'automezzo schiacciato e ricoperto di terra era ormai morto) l'attrice desumeva che l'incidente si fosse verificato per responsabilità sia della società che gestiva la cava sia del direttore dei lavori, che avevano mancato ai compiti che gravavano su ciascuno di essi, facendo proseguire l'attività estrattiva nella cava di sabbia e ghiaia nonostante ne mancassero i requisiti minimi di sicurezza. In ciò l'individuazione, oltre che dei fatti, del nesso causale tra l'operato (o per meglio dire la mancanza della necessaria attività di sorveglianza sulle condizioni di sicurezza del cantiere) del direttore dei lavori e il verificarsi del danno.
La corte d'appello ha escluso i profili di nullità dedotti ritenendo, con motivazione congrua e coerente, che risultasse chiaramente dalla narrativa dell'atto di citazione in primo grado la causa petendi della pretesa risarcitoria dei congiunti del defunto S.I. nei confronti del B.F., citato in giudizio quale direttore dei lavori. Il ricorrente non ravvisa quale potrebbe essere stata la sua responsabilità nell'incidente, verificatosi in una cava che operava in prosecuzione, in attesa della autorizzazione comunale e sulla base di un parere favorevole reso dalla Commissione Regionale Cave per il Lazio che aveva prescritto alla F.lli F. di effettuare gli scavi con una inclinazione media nella scarpata del 30 % sull'orizzontale, in cui sempre la Regione Lazio (come risulta dalla sentenza di appello) ha individuato con un suo rapporto successivo ai fatti, prodotto in giudizio e richiamato in sentenza, le cause del sinistro nella formazione di pareti di 25-30 metri di altezza con una inclinazione del 50\60 % sull'orizzontale.
A fronte di ciò, il ricorrente non considera che il direttore dei lavori, lungi dall'essere un semplice operaio che deve solo eseguire gli ordini della proprietà, è un professionista qualificato e remunerato anche perché i lavori si svolgano in condizioni di sicurezza. A fronte di ciò, non metteva conto evidenziare una particolare condotta attiva e colposa del direttore dei lavori per allegarne la responsabilità, in quanto il direttore dei lavori, quale ausiliario e mandatario del proprietario, è obbligato ad attuare quella stessa sorveglianza e quella medesima ingerenza alle quali è tenuto il proprietario e comunque tenuto a norma dell'art. 2043 cod. civ. ad adoperarsi affinché l'attività sia eseguita a regola d'arte ed in guisa da non arrecare danni a terzi e agli operai che agiscono sotto la sua responsabilità. Egli è il primo tramite attraverso il quale gli ordini dell'imprenditore arrivano agli operai, ma non è un semplice nuncius, bensì è una persona dotata della qualifiche professionali per far sì che il lavoro vada avanti, oltre che a regola d'arte, in condizioni di sicurezza nei confronti degli operai e dei terzi. Il che gli impone, se queste condizioni di sicurezza non sussistono più -come è stato provato in causa e come risultante ampiamente dalle stesse modalità dell'incidente - di tutelare gli operai facendo presente all'imprenditore gli accorgimenti necessari da introdurre per proseguire ove possibile i lavori in condizioni di sicurezza, o se ciò non è possibile, per andare esente da responsabilità, deve'esprimere il suo parere professionale di fermare i lavori.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo di questi principi ed ha effettuato, sulla base sia delle risultanze documentali che delle testimonianze acquisite, un accertamento della responsabilità civile in capo al B.F. non in quanto astrattamente titolare dell'incarico di direttore dei lavori - incarico che comunque comporta determinati compiti e conseguenti responsabilità in tema di direzione e controllo del cantiere - ma in quanto, concretamente, si è accertato che lui stesso abbia fornito di giorno in giorno indicazioni agli operai in ordine alle modalità di esecuzione dello scavo che hanno portato, il giorno dell'incidente, ad una situazione in cui le pareti di scavo avevano raggiunto una inclinazione doppia rispetto a quella indicata dalla Regione come massima per ottenere l'autorizzazione comunale. A fronte di una tale situazione in fatto, compito del direttore dei lavori sarebbe stato quello di informare la proprietà dell'impossibilità di procedere oltre, ammesso che questa non ne fosse perfettamente consapevole e comunque di fermare i lavori opponendosi a continuare ad emettere direttive che erano contrastanti con la sicurezza delle persone poste sotto la sua direzione. Questo accertamento in fatto peraltro avrebbe potuto essere censurato solo sotto il profilo del vizio di motivazione e non lo è stato, e quindi è idoneo a fondare la decisione senza che i rilievi formulati dal ricorrente possano porlo in discussione.
5.2 Egli limita infatti i rilievi sul vizio di motivazione (peraltro formulando il rilievo del tutto genericamente, senza neppure individuare uno dei possibili ed alternativi difetti della motivazione) solo sull'omessa considerazione da parte della corte d'appello della archiviazione del procedimento penale a suo carico, circostanza del tutto irrilevante ai fini di una sua responsabilità in sede civile. Il rilievo, oltre che generico, è infondato perché tocca un punto non determinante della motivazione, attesa la nota non vincolatività degli esiti del procedimento penale in sede civile (salvo che in individuate ipotesi) e la previsione specifica, contenuta negli artt. 651 e 652 c.p.p., in base alla quale l'archiviazione in sede penale non spiega alcun effetto nel giudizio civile di danno.
6. Le spese seguono la soccombenza, con la precisazione che esse vanno liquidate esclusivamente nei confronti dei controricorrenti INAIL e. S.S. e G.I. (ai quali, essendosi costituiti congiuntamente con unico controricorso ed avendo posizioni perfettamente coincidenti, spetta la liquidazione di un'unica nota spese).
La Regione Lazio non ha svolto alcuna attività difensiva e non ha pertanto diritto alla liquidazione. Quanto al Comune di Roma, ora Roma Capitale, il ricorso gli è stato notificato in quanto parte del giudizio di appello in causa scindibile, senza che il motivo di ricorso toccasse in alcun modo la sua posizione. La notifica del ricorso ha pertanto valore di semplice litis denuntiatio, e la sentenza di appello in mancanza di impugnazione è passata in giudicato nei confronti di Roma Capitale, che non aveva alcuna necessità di svolgere in questa sede attività difensiva. Ad essa non spetta quindi la liquidazione di spese di lite, in conformità al principio di diritto già enunciato da questa Corte, secondo il quale "In un giudizio svoltosi con pluralità diparti in cause scindibili ai sensi dell'art.3 32 cod. proc. civ., cioè cause cumulate nello stesso processo per un mero rapporto di connessione, la notificatone dell'impugnatone (nella specie, l'appello) e la sua conoscenza assolvono alla funzione di " litis denuntiatio", così da permettere l'attuatone della concentrazione nel tempo di tutti i gravami contro la stessa sentenza. In tal caso, pertanto, il destinatario della notificazione non diviene per ciò solo parte nella fase di impugnazione e, quindi, non sussistono i presupposti per la pronuncia a suo favore della condanna alle spese a norma dell'art. 91 cod. proc. civ., che esige la qualità di parte, e perciò una "vocatio in ius", e la soccombenza" (Cass. n. 2208 del 2012).

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Liquida in favore dei controricorrenti finali ed S.S. e I.G. le spese di giudizio in complessivi euro 8.000,00 ciascuno di cui 200,00 per spese, oltre accessori e contributo spese generali.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 10 aprile 2015