Cassazione Civile, Sez. Lav., 16 luglio 2015, n. 14939 - Ripristino della rendita per malattia professionale (ipoacusia)


 

Presidente: AMOROSO GIOVANNI Relatore: BRONZINI GIUSEPPE Data pubblicazione: 16/07/2015

Fatto


La Corte di appello di Milano con sentenza del 6.5.2011 rigettava l'appello proposto dal I.V. avverso la decisione di primo grado del Tribunale di Varese che aveva rigettato la domanda del I.V. diretta al ripristino della rendita per malattia professionale (ipoacusia) con postumi del 12% con aggravamento al 18% nel 91, ma nel 99 rettificata per errore con annullamento nel 1999 in quanto riconosciuta con postumi solo del 6%. La Corte territoriale osservava che la Corte costituzionale con sentenza n. 151/2005 aveva dichiarato la illegittimità dell'art. 9 comma 5 e, 6 e 7 del d. Lgs n. 38/2000 e che poi era stata approvato l'art. 14 vicies quater con legge n. 168/2005 che aveva salvaguardato l'affidamento degli assicurati in presenza di determinate condizioni di reddito che avevano chiesto ed ottenuto la revisione, mentre nel caso in esame il ricorso era stato rigettato sia in sede amministrativa che giudiziale e quindi non si ricorreva nell'ipotesi prevista dalla novella del 2005. Il CTU aveva confermato che i postumi erano al di sotto del minimo indennizzabile. La consulenza a suo tempo era stata anche condivisa.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il I.V. con due motivi, resiste l'inail con contoricorso, corredato da memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto


Con il primo motivo si allega il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. La valutazione percentuale del danno era stata effettuata sulla base di un esame audiometrico del 14.7.2005 , quindi a distanza di oltre venti anni dal momento in cui era stata costituita la rendita; la patologia era pertanto cristallizzata. Non erano state esposte nella consulenza svolta in primo grado le ragioni per cui l'originaria diagnosi dell'INAIL fosse errata.
Il motivo appare infondato. In primo luogo nel motivo non si smentisce idoneamente l'affermazione in sentenza ( p. 3 ) per cui la consulenza effettuata in primo grado non sarebbe stata tempestivamente contestata ma addirittura condivisa per cui le censure alla consulenza appaiono tardive, alla luce del principio condiviso dalla giurisprudenza di legittimità per cui le censure alla consulenza vanno sviluppate tempestivamente nelle sedi di merito in modo da consentire al Giudice di adottare i necessari provvedimenti. L'allegazione per cui il difensore avrebbe oralmente contestato la consulenza non è sufficiente in quanto lo stesso ricorrente precisa che poi il CTU è stato richiamato a chiarimenti. In secondo luogo si imputa alla decisione un vizio di motivazione perché a fondamento della decisione vi sarebbe un accertamento medico effettuato a distanza di oltre 15 anni dalla data di costituzione della rendita, ma tale profilo non concreta un difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di ordine sanitario per far valere l'errore originario dell'Inail (imputato alla consulenza in primo luogo) , ma semmai una violazione di legge. Con il motivo infatti parte ricorrente censura la consulenza tecnica e l'accertamento compiuto nel merito e ha cura di precisare che le censure riguardano " palesi errori e devianza dalla comune scienza mendica", anche se non emerge dal motivo in che cosa sarebbe consistita l'allegata devianza. Circa l'ultima doglianza avendo accertato l'esame del 2005 che i postumi erano al di sotto del minimo indennizzabile è del tutto lecito inferire che l'Inail a suo tempo avesse mal valutato tali postumi, anche perché gli accertamenti erano stati compiuti con gli strumenti disponibili all'epoca.
Con il secondo motivo si allega la violazione dell'art. 14 vicies quater d.l. n. 115/2005. L'orientamento della Corte di appello era opposto a quella della Corte dì cassazione.
Il motivo appare infondato in quanto la norma prima citata riguarda " i soggetti che hanno richiesto ed ottenuto il riesame del provvedimento di rettifica delle prestazioni erogate ai sensi del D. Lgs n. 38/2009, art. 9 commi 5,6, e 7 dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 119/2005 continuano a percepire le stesse prestazioni a condizione., di un reddito assoggettabile ad Irpef non superiore a euro 3.00,00 rivalutabile secondo gli indici Istat". Ora, come correttamente osservato nella sentenza impugnata, si tratta di una norma che vuole attenuare gli effetti della dichiarata incostituzionalità dell'art. 9 sotto il profilo della sua retroattività che consentiva agli assicurati di paralizzare i provvedimenti di rettifica delle prestazioni intervenuti dopo il termine di decadenza, salvaguardando quei soggetti che in base alla norma poi dichiarata incostituzionale effettivamente avessero già ottenuto il riesame del provvedimento e cristallizzando la misura della prestazione così ottenuta. Peraltro tale norma di favore è limitata ai soli soggetti che godano di un reddito non superiore a quello indicato.
Nel caso in esame la situazione è completamente diversa in quanto la rettifica era stata richiesta dall'INAIL alla luce della legislazione precedente ed il ricorso è stato rigettato sia in sede amministrativa che giudiziaria per cui non vi alcun affidamento (di colui che ha agito alla luce di una normativa retroattiva poi dichiarata incostituzionale) da salvaguardare. Siamo pertanto completamente al di fuori del campo di applicazione della norma e della sua ratio in quanto mai il ricorrente ha ottenuto il ripristino della prestazione e quindi la vicenda connessa alla normativa sul punto del 2000 gli è totalmente estranea. Va peraltro ricordato che questa Corte ha già con la decisione n. 11031/2007 precisato che " in tema di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, il fondamento del limite decennale al potere di rettifica è l'esigenza, di tutela delle aspettative del titolare di rendita protratta nel tempo, riconosciuta costituzionalmente legittima (Corte cost. n. 191 del 2005), prevalente, con il decorso di un decennio, anche sull'esigenza di rimuovere un diritto erroneamente riconosciuto; l'istituto della decadenza non tollera, tuttavia, applicazioni retroattive sicché la disciplina originaria dell'art. 9, quinto, sesto e settimo comma, del d.lgs. n. 38 del 2000, retroattiva in senso tecnico - in quanto consentiva all'interessato di chiedere il riesame della rettifica da parte dell'INAIL e l'applicazione delle medesime condizioni di legittimità della rettifica ai rapporti prescritti, definiti con sentenza passata in giudicato, o ancora "sub iudice", anche a ritroso rispetto al termine di decadenza decennale derivante dall'applicazione immediata - è stata dichiarata costituzionalmente illegittima (Corte cost. n.191 cit.), con conseguente legittimità dei provvedimenti di rettifica adottati nel vigore dell'art. 55, quinto comma, della legge n. 88 del 1989, dichiarato indirettamente legittimo dal Giudice delle leggi, e inapplicabilità della disciplina del citato art. 9".
Si deve quindi rigettare il ricorso. Nulla sulle spese vista la data del deposito del ricorso introduttivo e la materia trattata.

P.Q.M.


La Corte:
rigetta il ricorso. Nulla spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28.4.2015