Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 luglio 2015, n. 15080 - Dipendente delle Poste inciampa sui lacci di plastica usati per legare i plichi (cd. reggie)


 

Presidente: MACIOCE LUIGI Relatore: D'ANTONIO ENRICA Data pubblicazione: 17/07/2015


Fatto


La Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale con cui era stata accertata la responsabilità di Poste Italiane per l'infortunio subito da C.I., dipendente della società quale ripartitore, caduto dopo essere inciampato in un laccio rigido di plastica utilizzato per la legatura dei plichi postali lasciato sul pavimento, a seguito del quale il lavoratore si era provocato un aneurisma post traumatico dell'arteria ulnare della mano destra.
La Corte territoriale ha rilevato che dall'istruttoria svolta risultava accertato che nell'ufficio in cui lavorava il ricorrente il pavimento era ingombro di lacci di plastica - denominati reggie - i quali normalmente legavano i plichi postali e che detti lacci, una volta aperti i plichi, venivano gettati per terra e non nel cestino essendo i cestini, prima del fatto, pochi né essendo state date disposizioni in tal senso, con conseguente pericolosità della condotta.
La Corte ha precisato che effettivamente Poste provvedeva a far pulire due volte al giorno i pavimenti ma comunque tali legature finivano a terra e che anzi nella zona dove era addetto il lavoratore non vi erano neppure bidoni.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistere la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art 2087 cc ed anche ai sensi dell'articolo 8 del d.p.r. n. 547 del 1955, in quanto aveva il preciso dovere di garantire che la pavimentazione sulla quale doveva operare il lavoratore fosse libera da ostacoli e possibilità di inciampare prendendo, se del caso, opportuni provvedimenti volti a sanzionare prassi difformi e produttive di rischi.
Ha escluso, invece, il concorso di colpa dell'infortunato essendo emerso che il ricorrente non era addetto anche all'apertura dei plichi.
In accoglimento dell'appello incidentale e in riforma della sentenza impugnata la Corte d'appello ha rideterminato il risarcimento del danno in €11.067,00 di cui € 3.300, 00 per inabilità temporanea totale e parziale ed € 2766,00 per danno morale, oltre € 5000,00 per invalidità permanente come determinato dal Tribunale,o!tre gli interessi e la rivalutazione.
Avverso la sentenza ricorre Poste Italiane formulando tre motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art 378 cpc, resiste il lavoratore.

Diritto

 

l) Con il primo motivo Poste denuncia violazione dell'art 2087 cc in relazione agli art 116 e 117 cpc . Lamenta che la Corte aveva ritenuto oggettiva la responsabilità di Poste; che invece la responsabilità aveva natura colposa e Poste aveva provato di aver fatto tutto per evitare l'infortunio.
2) Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione.
3) Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art 429 cpc censurando il cumulo di interessi e rivalutazione.
I motivi, congiuntamente esaminati in quanto connessi, sono infondati. Deve, in primo luogo, rilevarsi l'infondatezza dell'eccezione di tardività della notifica del ricorso in Cassazione. Poste Italiane ha riferito di aver passato il ricorso all'ufficiale giudiziario per la notifica tempestivamente in data 6/6/2009, a seguito della notifica della sentenza in data 7/4/09. Ha dedotto, inoltre, che la data dell'8/6/2009 corrispondeva, invece, a quella di invio della raccomandata da parte dell'ufficiale giudiziario. La data del 6/6/2009 trova conferma nella dicitura apposta dal ricorrente sull'atto da notificare "ultimo giorno 6/6/2009" e nello stesso timbro "ultimo giorno" dell'ufficiale giudiziario leggibile sul ricorso.
Nel merito deve rilevarsi che la Corte territoriale ha descritto le modalità con cui era avvenuto l'infortunio. Ha rilevato che l'istruttoria aveva accertato che il pavimento dell'ufficio ove lavorava il ricorrente era ingombro dei nastri di plastica denominati reggie che normalmente legavano i plichi postali; che detti nastri, invece, di essere gettati nei cestini, peraltro, pochi erano buttati a terra determinando una situazione pericolosa e che dove lavorava lo C.I. non c'erano neppure cestini. La Corte ha poi rilevato che nessuno aveva dato disposizioni su cosa fare quando il pavimento era ingombro di nastrane che questi non dovevano essere gettati per terra. La Corte ha poi affermato la responsabilità di Poste per non aveva adottato tutte le misure idonee ad evitare infortuni del genere di quello occorso al lavoratore e che nessun concorso di colpa era ravvisabile nel comportamento dello C.I. il quale non era addetto ad aprire i plichi La Corte territoriale ha dunque evidenziato gli elementi probatori sui quali ha fondato l'avvenuto accertamento della responsabilità di Poste e, pertanto, è del tutto erronea la censura della ricorrente secondo cui la Corte avrebbe affermato una vera e propria responsabilità oggettiva di Poste. Quanto al vizio di motivazione (art. 360 c.p.c, comma 1, n. 5), premesso che questo può rilevare solo nei limiti in cui l'apprezzamento delle prove - liberamente valutabili dal giudice di merito, costituendo giudizio di fatto - si sia tradotto in un iter formativo di convincimento affetto da vizi logici o giuridici, restando altrimenti insindacabile, deve rilevarsi che la Corte di appello ha dato conto delle fonti del proprio convincimento ed ha argomentato in modo logicamente congruo; a fronte di ciò, il ricorso si limita ad opporre un'altra soluzione interpretativa, basata su una diversa ricostruzione fattuale, all'evidenza inammissibile.
Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360 c.p.c, n. 5, non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa.
Né, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se - confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie - prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso "sub specie" di omesso esame di un punto (v. Cass. n. 3161/2002).
Anche il terzo motivo è infondato. La ricorrente censura l'applicazione del cumulo tra interessi e rivalutazione effettuato dalla Corte che ha applicato l'art 429 epe. Il ricorrente, tuttavia, formula una censura non pertinente atteso che avrebbe dovuto denunciare l'errore commesso dalla Corte nell'applicare la norma citata e richiamare, invece, le regole applicabili ai crediti di valore quale quello in esame. In ogni caso deve rilevarsi che questa Corte ha già avuto modo di statuire che la domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall'art. 2087 cod. civ., non ha natura previdenziale perché non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori del credito dal secondo comma dell'art. 429 cod. proc. civ.. (cfr (Cass. n. 3213 del 18/2/2004, Cass n 14507 del 01/07/2011).Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in €100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e 15% per spese generali.