Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 agosto 2015, n. 16667 - Licenziamento per superamento del periodo di comporto. Aggravamento della malattia imputabile al datore di lavoro? Rigetto


 

Presidente: ROSELLI FEDERICO Relatore: BRONZINI GIUSEPPE Data pubblicazione: 10/08/2015

Fatto


R.C. impugnava il licenziamento intimatogli dalla Metallurgica Abruzzese spa per superamento del periodo di comporto avanti il Tribunale di Teramo allegando la natura professionale della malattie sofferte che avevano determinato il superamento del detto periodo. Deduceva che la situazione lavorativa aveva comportato l'esposizione prolungata e ripetuta al rischio di aggravamento della malattia discoartrosica e che l'aggravamento era da imputarsi al datore di lavoro. Si costituiva la società che contestava la fondatezza della domanda. Il Tribunale di Teramo con sentenza del 27.12.2012 accoglieva la domanda dichiarando nullo il licenziamento ed ordinando la reintegrazione del lavoratore.
La Corte di appello accoglieva invece l'appello della Metallurgica abruzzese e rigettava la domanda. La Corte territoriale osservava che non era stata offerta la prova della responsabilità del datore di lavoro; l'accertato ruolo concausale dell'attività svolta dall'appellante ricorso alla stregua della consulenza medica di ufficio non era sufficiente a dimostrare la responsabilità del datore di lavoro posto che occorreva dimostrare che il lavoratore avesse fatto presente in azienda le proprie condizioni. La società aveva provato di aver adottato tutte le cautele del caso come risultava dalle ispezioni effettuate dalla Asl competente che mai aveva rilevato alcunché di pericoloso in relazione ai reparti ove l'appellato era stato addetto. Sino al 15.9.2005 l'appellato era stato valutato come idoneo dal medico di fabbrica e, dopo tale data, l'azienda lo aveva adibito a mansioni prevalenti di matassatore o in altro reparto ove aveva lavorato da seduto e senza sforzi fisici. Occorreva tener conto anche dell'incidente stradale del 2000 non adeguatamente valutato dal CTU che aveva anche mal valutato le mansioni svolte dal R.C. ed utilizzato metodologie non idonee senza neppure recarsi in azienda a verificare i reparti lavorativi. Inoltre anche la prova svolta non dimostrava la responsabilità del datore di lavoro perché non emergeva che il lavoratore avesse avvertito il datore delle proprie precarie condizioni dopo l'intervento chirurgico subito (il R.C. aveva sottaciuto anche di avere ottenuto una pensione di invalidità); dopo il 2005 erano state affidate solo mansioni da svolgersi non in piedi e senza sforzo fisico. I certificati medici prodotti e consegnati alla Metallurgica erano o del 1994 o successivi al 2005. Era, conclusivamente, emerso che l'appellato non aveva avvertito dei suoi problemi alla colonna vertebrale; quando l'aveva fatto il datore di lavoro lo aveva adibito a mansioni non pericolose.
Ricorre per la cassazione di tale decisione R.C. Roberto con due motivi; resiste parte intimata con controricorso corredato da memoria illustrativa.

Diritto


Con il primo motivo si allega la violazione dell'art. 2087 cc: il ricorrente nonostante avesse informato la società datrice di lavoro delle sue precarie condizioni fisiche era stato adibito a mansioni gravose che avevano compromesso il suo stato di salute. Anche dopo il 2005 spesso il ricorrente era stato inviato in reparti ove ha espletato attività faticose e che richiedevano stazione eretta e sforzo fisico incompatibili con il suo stato di salute. La pensione di invalidità che la sentenza appellata imputa al ricorrente di aver taciuto alla datrice di lavoro è stata riconosciuta nel 2010 e quindi a distanza di tre anni dal recesso e con riferimento alla gestione artigiani.
Il motivo appare infondato. La Corte di appello ha ricordato l'orientamento di questa Corte secondo il quale non possono essere imputate al lavoratore, ai fini del licenziamento per superamento del periodo di comporto, quelle assenze che derivano dalla nocività nelle modalità di esercizio delle mansioni delle quali il datore di lavoro sia responsabile per aver omesso le misure atte a prevenirla o ad eliminarne l'incidenza in adempimento dell'obbligo di protezione ed, eventualmente, anche delle specifiche norme di legge connesse alla concretizzazione di tale obbligo (cass. n. 5006/2000). Più di recente questa Corte ha affermato che " la qualificazione dell'infermità del lavoratore, come infortunio sul lavoro, anziché come malattia professionale, non preclude, in nessun caso, al giudice, in base al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di conoscere e decidere la questione se le assenze del lavoratore, causate dalla stessa infermità, risultino comunque imputabili a responsabilità del datore di lavoro e, come tali, non siano computabili nel periodo di comporto, di cui all'art. 2110 cod.civ. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva respinto la domanda del lavoratore - che aveva fondato l'impugnazione del licenziamento, per superamento del periodo di comporto, sull'asserita riconducibilità delle assenze fatte registrare ad una patologia di origine professionale -, sul presupposto di non poter affermare la sussistenza di un infortunio professionale, anziché di una malattia professionale, in adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, trattandosi non già di mera riqualificazione giuridica della fattispecie dedotta in giudizio dalla parte, sibbene di vera e propria modifica dei fatti costitutivi della domanda; e che, in coerenza con tale premessa, aveva omesso di considerare, adeguatamente, le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio circa la dedotta imputabilità e responsabilità, quantomeno concorrente, del datore di lavoro, e la conseguente incomputabilità, nel periodo di comporto, di alcune assenze per malattia del lavoratore)" (cass. n. 19871/2006). E' principio consolidato, pertanto, quello per cui occorre dimostrare una responsabilità del datore di lavoro nell'avere anche in parte determinato la malattia e quindi l'assenza del lavoratore. Questa responsabilità è stata esclusa dalla sentenza impugnata che ha accertato che la documentazione medica prodotta alla società era solo quella del 1994 e poi quella del 2005, che il lavoratore era stato sottoposto sempre alle visite del medico di fabbrica che non aveva rilevato alcuna impossibilità nello svolgere le mansioni cui il ricorrente era stato addetto; che le ASL nelle ispezioni non avevano mai imputato alla società alcun rischio specifico per le attività svolte nei reparti. Dopo il 2005 in presenza di documentazione che attestava le difficoltà del ricorrente ( che la sentenza impugnata osserva dipendere anche dall'incidente stradale del 2000 con danni alla colonna vertebrale non considerata dal CTU) il ricorrente fu adibito (in via pressoché esclusiva) a mansioni che venivano svolte da seduti o comunque senza sforzo fisico apprezzabile. Si tratta di un accertamento di fatto che appare congruamente motivato con riferimento a plurimi ed obiettivi elementi di prova cui vengono mosse censure di merito, inammissibili in questa sede in quanto dirette ad una "rivalutazione del fatto." Parte ricorrente afferma di aver informato della sua situazione l'Azienda, ma la Corte territoriale ha invece positivamente accertato che fu trasmessa documentazione medica o risalente al 1994 o successiva del 2005, quanto le mansioni affidate al ricorrente mutarono proprio in relazione ai problemi evidenziati di natura fisica. Pertanto la motivazione appare congrua e logicamente coerente in ordine alla mancanza di una responsabilità del datore di lavoro nell'aver omesso cautele e misure di prevenzione dovute ex art. 2087 cc. (non essendo stato informato sino al 2005 in modo adeguato e costante delle condizioni fisiche del lavoratore) e conseguentemente la soluzione adottata appare a sua volta coerente con la giurisprudenza di legittimità.
Con il secondo motivo si allega l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Anche dopo il 2005 il ricorrente era stato addetto in reparti ove era richiesta una posizione eretta e sforzi fisici.
Il motivo appare infondato in quanto la Corte di appello ha già positivamente valutato lo svolgimento anche dopo il 2005 in reparti diversi da quelli espressamente giudicati compatibili con il suo stato di salute, ed ha osservato che comunque in quest'ultimi si era svolta l'attività del ricorrente "in via pressoché esclusiva". Pertanto la carenza motivazionale denunciata non sussiste. Manca, comunque, una dimostrazione adeguata che l'adibizione in via assolutamente prevalente in reparti consigliati in relazione alla specifica situazione del ricorrente non sia avvenuta e quindi si deve ritenere che l'attività cui si riferisce il motivo (gravosa e non consigliata) non sia stata preponderante e significativa sul piano clinico. Manca nel motivo peraltro una ricostruzione organica ed affidabile delle prove svolte posto che di moltissime dichiarazioni trascritte al motivo non è chiaro neppure a quale periodo si riferiscano. Inoltre nel motivo non si spiegano le ragioni per cui l'episodico svolgimento di attività in reparti in cui comunque si svolgevano mansioni in piedi e comportanti una certa fatica fisica abbia aggravato la malattia del ricorrente posto che la consulenza tecnica svolta in primo grado (e comunque giudicata inattendibile dai Giudici di appello) non è stata prodotta né riprodotta, così come non è stata prodotta né riprodotta la sentenza di primo grado.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite- liquidate come al dispositivo-seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rcorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stessi articolo 13.

P.Q.M.


La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonché in euro 3.000,00 per compensi oltre accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stessi articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22.4.2015