Cassazione Penale, Sez. 4, 25 agosto 2015, n. 35534 - Infortunio mortale di un lavoratore autonomo e omessa adozione di misure per il rischio di contatto con linee elettriche. Responsabilità di un committente


 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 14/05/2015

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Lecce ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con la quale G.P. era stato giudicato colpevole di aver commesso, in qualità di committente di lavori edili, talune contravvenzioni prevenzionistiche e di aver causato per colpa specifica la morte di A.G.. La Corte di Appello ha dichiarato non doversi procedere in relazione alle contravvenzioni, siccome estinte per prescrizione, ed ha ridotto conseguentemente la pena, determinata anche giudicando equivalenti alla contestata aggravante le attenuanti generiche già concesse in primo grado.
2. Secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito il 27.2.2006 A.G. stava eseguendo dei lavori di ampliamento del fabbricato rurale sito alla contrada Mezella di Ceglie Messapica - ed in particolare la copertura di parte dell'immobile mediante la posa di armatura metallica e getto di calcestruzzo - utilizzando il mezzo d'opera Fiat Iveco sul quale era montato un braccio meccanico di sollevamento, quando questo veniva accidentalmente a contatto con i conduttori di corrente elettrica in media tensione che attraversavano l'area sovrastante, cagionando la folgorazione del A.G..
L'evento veniva attribuito al G.P. perché questi veniva individuato come effettivo committente dei lavori, ancorché la proprietaria dell'immobile fosse la moglie A.M.E., e quindi come soggetto che aveva la piena disponibilità del fondo sul quale sorgevano le opere edili; in tale qualità non si era attivato per il previo distacco dell'energia elettrica.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. V.F..
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 2, co. 1 lett. b) e d), 3, 7, 11 e 13 d.lgs. n. 494/1996; 3, 7 e 12 d.lgs. n. 626/1994, 1 d.p.r. n. 164/1956, 2087 cc, 589 cod. pen. e vizio motivazionale.
Rileva il ricorrente che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto irrilevante la pur pacifica qualità di lavoratore autonomo del G., figura alla quale non si applicano le norme antinfortunistiche. Non possono quindi attribuirsi all'imputato le violazioni di legge che presuppongono nel reo la qualità di datore di lavoro.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta la violazione delle norme già citate e vizio di motivazione, perché la Corte di Appello, non ha dato risposta alle censure che l'appellante aveva mosso al riguardo della ritenuta qualità di committente del G.P.: a) questi avrebbe potuto assumere la qualità di committente solo in quanto il G. fosse stato un lavoratore subordinato; b) l'intera opera era stata realizzata per conto della proprietaria dell'immobile che, quindi, a mente dell'art. 2, co. 1 lett. b) d.lgs. n. 494/1996 era il committente; c) i lavoratori autonomi, qual'era il G., sono diretti destinatari degli obblighi di prevenzione e protezione "senza la mediazione del 'committente', il quale assume una posizione di garanzia solo nei confronti dei 'lavoratori subordinati'"; d) stante la qualità di lavoratore autonomo del G. non trovano applicazione le misure generali di tutela di cui all'art. 3 d.lgs. n. 626/1994; e) neppure trova applicazione al caso la previsione dell'art. 7 d.lgs. n. 626/1994 perché i lavori in questione non richiedevano la nomina di un coordinatore per l'esecuzione; f) il rischio da elettrocuzione era un rischio specifico ai sensi e per gli effetti dell'art. 7, co. 3 d.lgs. n. 626/1994; in assenza di rapporto di subordinazione, non trova applicazione l'art. 1 d.p.r. n. 164/1956.
3.3. Con un terzo motivo si lamenta violazione degli artt. 43 e 589 cod. pen. e vizio motivazionale. La Corte di Appello ha ritenuto il G.P. responsabile per non aver impedito l'evento ancorché alcuna norma ponesse in capo al medesimo una posizione di garanzia ed egli fosse sprovvisto di poteri impeditivi. Neppure é ravvisabile una colpa generica dell'imputato, al quale la Corte distrettuale rimprovera di non aver adottato alcuna cautela preventiva e di non essere intervenuto quando constatò il pericoloso accostamento del cestello sospeso ai cavi di alta tensione, ancorché il G.P. non avesse alcun obbligo al riguardo ed il G. fosse soggetto dotato di maggior competenza e la linea elettrica fosse ben visibile. Conclude l'esponente che non si poteva chiedere all'imputato una diligenza ben maggiore di quella richiesta al G. e che sul relativo rilievo la Corte di Appello non ha dato replica.
3.4. Con un quarto motivo si deduce violazione degli artt. 40, 41 e 589 cod. pen. e vizio motivazionale. Assume l'esponente che l'evento si é verificato per l'esclusivo comportamento imprudente e distratto del G., come dedotto nell'atto di appello con motivo non esaminato dalla Corte di Appello.
3.5. Il quinto motivo censura l'omessa motivazione in ordine alla doglianza che si indirizzava alla sentenza di primo grado per aver questo affermato l'insussistenza di un concorso colposo della vittima.
3.6. Si lamenta, quindi, che la Corte di Appello sia pervenuta ad un giudizio di equivalenza delle concorrenti circostanze eterogenee, laddove le medesime ragioni che hanno indotto il secondo giudice a ridurre la pena avrebbero dovuto indurlo a riconoscere le attenuanti prevalenti.
3.7. Infine, si lamenta omessa motivazione in ordine al mancato attestarsi della pena sul minimo edittale.

Diritto



4. Il ricorso é infondato.
4.1. In via preliminare mette conto rammentare che al G.P., in uno al delitto contro la persona, erano state contestate le seguenti contravvenzioni: artt. 3 e 4 d.lgs. n. 494/1996; art. 3 d.lgs. n. 626/1994; art. 11 d.p.r. n. 164/1956. Violazioni che l'accusa postulava essere state commesse dal G.P. in qualità di committente dei lavori. Il Tribunale ha condiviso la prospettazione computando la pena alla luce del ravvisato concorso formale di reati ed anche la Corte di Appello, disponendo non doversi procedere in ordine alle contravvenzioni per l'estinzione delle medesime conseguente al maturare del termine prescrizionale, ha mostrato di voler ribadire il giudizio di sussistenza di dette violazioni.
Il ricorrente si duole che siano state ritenute applicabili norme che presuppongono l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. La doglianza non considera che la giurisprudenza di questa Corte afferma che l'unitaria tutela del diritto alla salute, indivisibilmente operata dagli artt. 32 Cost., 2087 cod. civ. e 1, comma primo, legge n. 833 del 1978, impone l'utilizzazione dei parametri di sicurezza espressamente stabiliti per i lavoratori subordinati nell'impresa, anche per ogni altro tipo di lavoro, sicché il committente che affida lavori edili in economia ad un lavoratore autonomo di non verificata professionalità è titolare di una posizione di garanzia nei confronti di questo (Sez. 4, n. 42465 del 09/07/2010 - dep. 01/12/2010, Angiulli, Rv. 248918). Inoltre, la Corte di Appello ha attribuito al G.P. la qualità di diretto esecutore dei lavori (cfr. pg. 10-12). Sicché vale il principio per cui l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell'impresa, hanno prestato la loro opera in via autonoma (Sez. 4, n. 13917 del 17/01/2008 - dep. 03/04/2008, Cigalotti, Rv. 239590).
4.2. Con il secondo motivo ci si duole che talune delle violazioni attribuite al G.P. non possano essere commesse dal committente. Orbene, se tanto é parzialmente vero, non altrettanto deve dirsi a riguardo del soggetto che esegua i lavori direttamente e a mezzo di altro personale, ancorché rappresentato da lavoratore autonomo. Come appunto è stato ritenuto l'imputato. Secondo la ricostruzione dei giudici territoriali, la qualità di committente del G.P. ed anzi di committente concretamente ingeritosi nell'esecuzione dei lavori, perché da lui stesso coordinati e gestiti (cfr. pg. 10 e 12), si desume dal diretto coordinamento del cantiere svolto dall'imputato, secondo quanto dal medesimo dichiarato e ulteriormente dedotto dalla telefonata che egli fece al venditore della merce ritirata dal G. per rassicurarlo in merito al pagamento del materiale nonché dai contatti presi con la vittima il giorno precedente il sinistro. Affermazioni che l'esponente sembra non prendere in carico, reiterando l'indicazione della A.M.E. quale proprietaria dell'immobile. Così dimenticando che in tema di violazioni prevenzionistiche vige il principio di effettività, oggi assurto a dignità di norma del diritto positivo con l'art. 299 d.lgs. n. 81/2008; principio in forza del quale una determinata qualità di rilievo prevenzionistico va affermata non solo sulla base del dato formale ma anche sulla scorta del ruolo concretamente assunto dal soggetto.
Orbene, alla luce di quanto appena evidenziato si comprende la non pertinenza delle doglianze - anche quella di cui al terzo motivo, incentrato sulla inesistenza in capo al G.P. dell'obbligo giuridico di impedire l'evento - che muovono dall'assunto della mancanza di un rapporto di lavoro subordinato e della qualità di lavoratore autonomo del G.. L'addebito che si é mosso al G.P. é quello di non aver 'bonificato' l'area dei lavori, pur essendo a conoscenza della esecuzione di un'attività che comportava l'utilizzo di una gru, con pericoloso avvicinamento ai cavi elettrici soprastanti. Il relativo obbligo si pone a prescindere dalla qualifica dei soggetti che si trovano ad eseguire i lavori nell'area in parola: lavoratori autonomi, lavoratori subordinati, fornitori ecc.
Infatti, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine; mentre non può andare esente da responsabilità ove abbia omesso di attivarsi per prevenire il rischio non specifico (cfr. Sez. 3, n. 12228 del 25/02/2015 - dep. 24/03/2015, Cicuto, Rv. 262757, in tema di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio). Com'è quello del rischio di contatto con linee elettriche soprastanti l'area di lavoro.
Né coglie il segno il quarto motivo (che si lega al quinto): l'esistenza di un concorso di colpa della vittima è stata esclusa dalla Corte distrettuale, che ha affermato, al riguardo, trattarsi di 'elemento indimostrato'. Pertanto, da un verso non risponde al vero che la sentenza impugnata non esamini il tema del concorso di colpa del G.; dall'altro l'accertamento dell'esistenza del nesso causale tra la condotta dell'imputato e l'evento prodottosi rappresenta questione di merito che questa Corte non può sovvertire se sostenuto, come nel caso, da motivazione non manifestamente illogica.
Il cardine della decisione in esame è rappresentato dalla mancata adozione delle misure necessarie ad eliminare il rischio di elettrolocuzione incombente sull'area dei lavori per effetto della sovrastante linea elettrica; obbligo che incombeva al G.P. quale soggetto al quale facevano capo sostanzialmente i lavori in corso e che si poneva a beneficio e tutela di chiunque si fosse trovato ad operare nel cantiere, quale che ne fosse la qualifica. A fronte di ciò, indubitata la relazione eziologica sul piano materiale, solo un comportamento del G. del tutto estraneo all'area di rischio gestito dal G.P. poteva comportare la negazione della causalità giuridica. A sostenere ciò non giunge neppure il ricorrente, che scrive di un errore della vittima (come già rilevato, non affermato dalla Corte di appello).
4.3. I motivi concernenti il giudizio di bilanciamento delle concorrenti circostanze eterogenee e il trattamento sanzionatorio risultano manifestamente infondati.
Posto che alla riduzione della pena la Corte di appello è pervenuta in ragione del venir meno delle contravvenzioni estintesi per prescrizione e per la necessità di ricondurre la pena a quella prevista dalla norma vigente al tempo del commesso reato, così emendando l'errore in cui era incorso il tribunale, non si vede cosa possa intendersi asserendo che le medesime ragioni che avevano indotto la Corte distrettuale a ridurre la pena avrebbero dovuto condurre a ritenere le attenuanti prevalenti. Non v'è valutazione sottesa a quella riduzione; il rilievo è quindi manifestamente infondato.
Quanto alla pretesa omessa motivazione in merito alla determinazione della pena base, il ricorso non coglie la chiara menzione fatta dalla Corte distrettuale alla congruità della pena ed ai criteri di cui all'art. 133 c.p. Elementi testuali che la ferma giurisprudenza di legittimità considera sufficienti ad adempiere l'onere motivazionale.
5. In conclusione il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14/5/2015.